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GNOSIS 3/2008
Passione, valori, violenza e ordine pubblico

Mondo Ultrà


Emanuela C. DEL RE


franz gustincich
Quanti amici hai diffidato, quanti sogni hai incarcerato,
quante volte ci han provato e non ci hanno mai piegato.
Superiam la barricata, onda d'urto e carne umana,
spingi forte contro i blu, spingi a oltranza, spingi su!

ENTRA A SPINTA NELLO STADIO
ENTRA A SPINTA NELL'ARENA
ENTRA A SPINTA NELLA VITA
ENTRA A SPINTA PURE TU!


(da www.identitaultras.splinder.com)



Passione ultrà

Il sito "Vita da ultrà...diffidato"(1), con due bandierine tricolori che garriscono ai due lati del titolo, così come i caratteri stessi sono bianchi rossi e verdi, riassume già nella home page tutti i problemi e le riflessioni che investono il tifo e il calcio oggi. Nel sottotitolo si legge infatti: "Portale dedicato agli ultras che lottano per difendere le Loro radici, la Loro passione, la Loro squadra, e i colori che amano, senza essere i primi capri espiatori di un sistema che non va!". La maiuscola che sottolinea il "Loro" non è casuale, come non sono casuali le enfatiche 'manchette' in cui è scritto "No al calcio moderno! No alla Pay-tv!", che coronano il testo integrale del decreto Amato (L. 41/2007), ovvero, le "Misure urgenti per la prevenzione e la repressione di fenomeni di violenza connessi a competizioni agonistiche".
Tutte le parole e i simboli chiave in una sola schermata sul computer: ultrà, diffidato, bandiera italiana, squadra, passione, colori, capri espiatori, sistema che non va, calcio moderno, pay-tv, decreto calcio. E in una sola schermata appaiono subito contraddizioni, insoddisfazioni, aspirazioni. Da una parte la passione, dall'altra il freddo raziocinio del decreto. Non emerge però tutto quello che si trova tra questi due estremi.
Non è il solo, questo sito, a poter essere preso a simbolo di un movimento di pensiero importante che pur nella sua approssimazione e scarsa organizzazione, non può essere sottovalutato. Migliaia i siti e i blog di tifosi e migliaia le forme che la voglia di parlare di calcio e comunicare la propria passione assume. Blog dove si comunica a frasi sbocconcellate, per slogan, mettendo in rete foto di donnine nude e bicchieroni di birra. Blog dove si discute della "ideologia" della tifoseria. Qualcuno, ad esempio, si interroga sul perché i giovani romanisti d'oggi non facciano più dell'anti-lazialità la loro ideologia(2). Molti i riferimenti, spesso grossolani, a questioni politiche e sociali e molta la confusione, quando si legge che il tal blog è vietato "ai comunisti, ai musulmani, ai laziali".
Altrove, e di frequente, immagini forti, espressioni aggressive e "politicamente scorrette", reinterpretazioni storiche anche scioccanti, come il mostrare un'immagine, sicuramente della seconda guerra mondiale, con dei cadaveri appesi a testa in giù minacciando così alcune categorie sociali e tifosi antagonisti di finire anche loro così.
Con didascalia "stile ultras e non solo", l'immagine di un ragazzo col volto semicoperto e bandiera della propria squadra(3), e tra i commenti quello slogan "Teppismo ultima bandiera", apparso in una enorme scritta sulla curva di Via Damiano Chiesa a Roma, non passando inosservata a molti, che infatti l'hanno interpretata come la sintesi di un pensiero comune, tanto che la si vede riecheggiare un po' ovunque nei blog già dal 2007.
I blog si chiamano "commando XY", "brigata XY" come i gruppi di tifosi amano definirsi. La questione politica infatti non è assente e anzi suscita vivaci discussioni. Le "Brigate autonome livornesi" (BAL) specificano sulla home page la loro identità: "le brigate autonome livornesi sono gli ultras della squadra di calcio del Livorno. Lottano contro il razzismo, il fascismo e il capitalismo"(4).
Inequivocabile la posizione visto che il loro simbolo è la falce e martello con la stella rossa, eppure non convince chi risponde e si chiede dubbioso: "calcio contro il capitalismo??? ma andate un po' a .... il calcio è una delle massime espressioni del neoliberalismo: - compra/vendita di PERSONE! - sponsorizzazioni massicce, e quali sponsor poi: Nike, McShit, Coca Cola e via dicendo -pensione a 40 anni... il tutto solo per pochi eletti… questi signorini li paghiamo (eh sì, siamo noi a pagare sia chi lo segue sia chi se ne sbatte) per questi pseudosportivi attori e drogati che tirano calci ad una palla!!! magari facessero qualcosa di utile e costruttivo... si dicono anti fascisti: già i nemici li distinguono non dal colore della pelle ma da quello delle sciarpe; durante i mondiali c'era in giro un’aria da ultranazionalisti che faceva schifo!... se sei contro il capitale, se sei contro il razzismo non puoi essere tifoso (ultrà poi) di calcio!"(5). Alla provocazione viene risposto: "Scusami, ma secondo me hai detto solo un'accozzaglia di luoghi comuni e di banalità. Si può benissimo seguire il calcio che è uno splendido sport e allo stesso tempo odiare il capitalismo. Se vai a dare un'occhiata al sito delle BAL ti accorgerai che sono compagni veri e che organizzano tante ottime iniziative. Ad esempio, quando raccolgono il denaro per le loro coreografie, quello che avanza viene sempre donato ad Emergency, associazione umanitaria di medici che sicuramente conosci. E questa è solo una delle tante. Quindi permettimi di darti un consiglio, prima di gettare fango su qualcosa o qualcuno, assicurati di conoscere bene ciò di cui stai parlando"(6).
Conoscere bene gli ultras non è facile. Difficile la definizione, la quantificazione. Difficile cogliere le sfumature di un fenomeno sociale importante che non può essere sottovalutato ma con cui bisogna stabilire una comunicazione solida, durevole, credibile e produttiva.


Identità ultrà

Le discussioni più o meno articolate sui blog sono indicatori forti di un potenziale sociale importante, scarsamente canalizzato o canalizzabile, i cui punti di riferimento si sono andati sfaldando nel tempo e di cui restano oggi solo residui traballanti.
Ripercorrendo la storia del tifo dagli anni ‘50 ad oggi, appare chiaro che il tifo in Italia attualmente, da un lato è riuscito ad adeguarsi alle nuove offerte e alle nuove domande, dall'altro l'adeguamento tradisce una crisi sia dal punto di vista del valore aggregativo, sia dal punto di vista del valore identitario.
Nato come risposta a esigenze sociali tipiche di una società post-bellica alla ricerca di forme salde di aggregazione e di impegno, ha faticato a riadattarsi alle nuove forme che la società andava via via assumendo con l'invasione tecnologica e le misure restrittive che, pur assolutamente necessarie, hanno avuto un forte impatto non solo sulle fasce violente ma su tutta la tifoseria, comportando seri cambiamenti.
Bisogna riflettere attentamente su tali cambiamenti perché è solo comprendendo le fasi di assestamento, riorganizzazione, riflessione, crisi d'identità e tentativo di ricostruire una nuova forma aggregativa, che risponda anche all'esigenza di punto di riferimento sociale, che si può comprendere l'attuale situazione.
L'identità ultrà è fatta innanzitutto di passione: una forma di condivisione sostenuta da comuni emozioni, che scaturiscono dalla stessa fonte ispiratrice, che si rigenerano continuamente nella partecipazione collante dell'aggregazione.
La condivisione sta nel credo condiviso in una stessa "fede" (è questa la terminologia) per una stessa squadra che rappresenta un universo a se stante in cui gli elementi fondanti sono: la squadra, la partita intesa come competizione, i giocatori, il sostegno da parte dei tifosi, non a caso definiti "dodicesimo uomo in campo".
Le comuni emozioni scaturiscono dal momento aggregativo, diluito nel tempo attraverso la partecipazione a riunioni e preparazioni di "coreografie", scambio di informazioni, incontri, discussioni e altro, per culminare nel momento più alto di partecipazione, ovvero la partita allo stadio. La partita, le partite, però, costituiscono solo il picco di un grafico line-chart con periodi di preparazione e picchi relativi a queste, poi ancora preparazione e ancora partita. Momenti alti sono costituiti dalle trasferte che comportano maggiore organizzazione e coinvolgimento, in quanto mettono alla prova la compattezza del gruppo.
Gli ultras, che tali si definiscono, basano la loro auto-percezione, dunque, su due elementi fondamentali: l'identità e l'aggregazione.
L'identità va intesa nel senso classico del termine(7). è un elemento di questa perché gli ultras non improvvisano la loro "fede", sono invece in grado di ricostruirne le origini. Si tratta spesso di fede ereditata dalla famiglia, che li ha cresciuti nell'amore per la squadra. Le riviste delle squadre di calcio riservano sempre un paio di pagine ai tifosi che inviano foto di famiglia in cui viene celebrata la loro appartenenza al mondo dei tifosi di una determinata squadra. Da tifosi neonati di pochi giorni cui è stata già fatta indossare la maglia con i colori della squadra, ad anziani, anch'essi con indosso i simboli giallo-rosso, bianco-celeste, bianco-nero o altro, celebrati per la loro incrollabile fede, portata avanti per tutta la vita. La dimensione di trasmissione della memoria di generazione in generazione è molto forte e significativa, anche perché garantisce un terreno comune in cui generazioni diverse possono trovare forme di comunicazione in altri ambiti difficilmente utilizzabili.
Non a caso la storia della squadra è fondamentale e fa la differenza tra le squadre. Quelle più antiche rivendicano storicità e tradizione maggiori rispetto alle nuove arrivate. La tradizione storica accorda ai tifosi della squadra maggiore autorevolezza perché eredi di esperienze e saperi più antichi.
Tuttavia, come sottolineava Roversi già nel 1992, la concezione diacronica del tifo ormai sembra perdere importanza.
Gli ultras più anziani si lamentano della perdita di autorevolezza nei confronti dei più giovani, che una volta rispettavano la scala gerarchica per anzianità. Molti giovani non hanno una "storia" da ultrà alle spalle, piuttosto si improvvisano tali, e non rispettano le norme consuetudinarie ormai consolidate nel mondo ultrà(8). È vero anche che, come sottolineano più fonti dirette, i capi storici sono ormai diffidati o in carcere, e molti ultras sono usciti dalla militanza quando sono entrati stabilmente nel mondo del lavoro o hanno creato una famiglia. I più giovani quindi trovano scarsi punti di riferimento consolidati, semmai cercano di crearne di nuovi, a scapito della compattezza del gruppo, che si va quindi spesso frammentando in gruppi più piccoli e meno controllabili.
La connotazione urbana del fenomeno ultrà costituisce un ulteriore elemento di frammentazione perché la città di per sé diventa territorio poco controllabile e nonostante l'enorme sforzo degli ultras di creare punti di ritrovo e di riferimento condivisi, molte frange sfuggono sia al controllo sia all'inclusione. Il mondo urbano, peraltro, non riesce a costituire quel cuscinetto sociale di controllo che invece nel mondo rurale è più forte e più efficiente sia per gli spazi condivisi e più circoscritti, sia per la maggiore tenuta del tessuto aggregativo, soprattutto nelle comunità numericamente limitate, come piccoli paesi. La dispersione, l'accesso a più fonti di informazione, il bombardamento di stimoli rendono l'ambiente urbano un luogo più difficile da vivere e in cui trovare una qualche identità. La diffusione delle droghe, poi, ha ulteriormente complicato la situazione: la curva si ammala gravemente e l'auto-controllo della tifoseria diventa impossibile.L'"anzianità di curva" perde progressivamente importanza nel tempo, così come la struttura organizzativa, con gruppi dirigenti e capi, che a suo tempo avevano costituito, nella formazione dei gruppi ultras un passo avanti superando la connotazione spontanea e rispondendo all'esigenza di costituzione di gruppi strutturati basati sull'adesione a valori e principi.

Foto Ansa
E in questo senso la connotazione territoriale diventa rilevante e costituisce elemento fondante della dimensione aggregativa.
La tifoseria deve potersi collocare territorialmente perché deve potersi organizzare in occasione delle partite. Non solo, la territorialità era in origine fortemente legata al linguaggio, altro elemento fondamentale dell'identità, per cui si poteva comunicare in dialetto o con inflessioni dialettali. I blog di tifosi di squadre specifiche sono infatti pieni di riferimenti locali per quanto riguarda luoghi, eventi, espressioni idiomatiche e termini dialettali.
Il tifoso che partecipa attivamente è legato alla dimensione territoriale perché segue la squadra.
La squadra va in trasferta e il tifoso la segue con il gruppo di tifosi, che tutti insieme si organizzano per il viaggio e per le attività da svolgere prima, durante e dopo la partita.
Il tifoso in quel caso troverà una dimensione identitaria territoriale, perché verrà definito semplicemente in base alla sua squadra e alla sua città d'origine. I tifosi del Napoli partono da Napoli per seguire la squadra in trasferta, così come quelli dell'Atalanta partono da Bergamo.
Una geografia dell'identità su cui la dimensione aggregativa poggia fortemente e su cui, non a caso, oggi si poggia molta della riflessione sulle misure di sicurezza, considerando che la trasferta comporta un vero e proprio spostamento di un blocco di fattori identitari in altro luogo, con tutte le forme di contrapposizione con il gruppo locale in cui si va ad inserire momentaneamente.
Lo spostamento è la messa alla prova della tenuta del gruppo in trasferta, gruppo che si rafforza nella propria vulnerabilità percepita e auto-percepita e che deriva dalla consapevolezza di non potersi muovere nel proprio territorio conosciuto. Il gruppo si muove, infatti, sapendo di andare verso l'ignoto, cosa che ne aumenta, enormemente, l'emotività.
Secondo alcune fonti dirette, però, la trasferta oggi è uno dei momenti in cui si avverte la frammentazione, perché non vi è più la compattezza di un tempo e pur ritrovandosi tutti insieme, soprattutto per questioni di sicurezza, in realtà il gruppo di tifosi non è veramente coeso; si tratta, infatti, di piccoli gruppi indipendenti che aderiscono in quella circostanza ad uno stesso progetto, ma non rispondono ad un unico o più capi, e non necessariamente condividono le stesse norme e gli stessi codici di comportamento.


Adagio con crescendo

In Italia il tifo calcistico organizzato nasce negli anni ‘50, anche se le fonti non sempre concordano perché differiscono nel modo di intendere il livello di strutturazione del tifo(9). Ormai storici i "Fedelissimi Granata 1951", seguiti poi dai tifosi milanesi della "Fossa dei leoni" del 1968, considerati i primi veri ultras come organizzazione, anche se il termine ultras viene però poi utilizzato nel 1969 dai tifosi della Sampdoria nel gruppo "Ultras Tito Cucchiaroni", seguiti dai tifosi del Torino, gli "Ultras Granata".
Parallelamente in Inghilterra si vanno formando gli hooligans, che si differenziano dagli ultras nostrani per vari aspetti: dal modo di intendere il tifo all'organizzazione interna e altro(10).
Le coreografie sono molto diverse, come diverse sono le tradizioni culturali di cui sono l'espressione, e su questo il mondo delle tifoserie discute. Gli hooligans, ad esempio, preferiscono esprimere il tifo vocalmente, mentre i nostri si concentrano sulle coreografie e usano anche tamburi, assenti nel tifo britannico. Differenze fondamentali nel modo di intendere il calcio, perché indicano il ruolo che la tifoseria vuole assumere in campo e il tipo di rappresentazione e auto-rappresentazione dei tifosi stessi. Ancora, diverso è l'impegno perché il modello inglese contempla una serie di attività che esaltano il senso di gruppo ma che non implicano un particolare e durevole impegno extrapartita.
Balestri sottolinea anche che la violenza stessa assume valore diverso nei due gruppi: per gli inglesi è il principale motivo di aggregazione; per gli italiani la violenza costituisce solo una delle opzioni del gruppo, perché è vista nel quadro di una visione politica che la interpreta come strumento e non come fine(11).
Le differenze tra hooligans e ultras italiani oggi vengono richiamate soprattutto quando si parla del modo in cui il tifo viene gestito negli stadi e quando si analizzano le misure di sicurezza, ma di questo si parlerà più avanti.
Negli anni '60 il tifo organizzato si raccoglie attorno alle grandi squadre e comincia a connotarsi come tifo particolare rispetto a quello dei tifosi in genere. La differenza sta nell'entusiasmo e nell'organizzazione del tifo teso a sostenere la squadra. L'ansia identitaria porta ogni gruppo a dotarsi di nome e striscione intorno al quale raccogliersi, e il tifo diventa "coreografia" con canti, fumogeni colorati, bandiere, striscioni.
Negli anni '70 il tifo assume una connotazione specifica. Non si può dimenticare che l'Italia attraversava un periodo complesso, in cui non solo il terrorismo metteva a dura prova la società e le Istituzioni, ma la violenza diventava spesso una forma di azione politica. Il tifo, infatti, si accostava ai movimenti politici e si muoveva parallelamente ad essi, da essi traendo ispirazione tanto da riprenderne gli aspetti connotativi esterni - l'abbigliamento in particolare, e quelli comunicativi - slogan ripresi dalle manifestazioni, simboli presi in prestito alla politica. La connotazione politica si esemplificava anche nella scelta dei nomi di alcuni gruppi di tifosi come ad esempio: Fedayn, Tupamaros.
Questo aspetto non va sottovalutato in quanto è in esso che si possono trovare alcuni elementi interpretativi del fenomeno ultras oggi.
È proprio per questo che la tifoseria italiana nel suo evolversi non può essere paragonata a quella inglese o ad altre che andavano parallelamente nascendo ovunque in Europa.
La storia di ciascun Paese segna fortemente la storia e la caratterizzazione delle tifoserie. La radice della profonda frattura tra tifosi ultras e Stato nasce in quegli anni, perché la sua crescita e la sua evoluzione hanno luogo in un periodo storico in cui la società si riassesta di fronte ad un nemico efferato, il terrorismo. Le tensioni sociali sono altissime e comportano soprattutto il riassestamento dei ruoli sociali, anche per quanto riguarda il conflitto tra generazioni differenti, laddove la vecchia viene sfidata dalla più giovane che preme per il cambiamento.
Le risposte repressive dello Stato, non sempre hanno l'effetto di un deterrente. A volte diventano un amplificatore che trasforma le reazioni in reazioni estreme, anche violente. Il tifo risente di tutto questo, ma mancando di "pensiero politico" strutturato, anche perché comunque principalmente orientato sulla passione per la propria squadra, assorbe solo in parte il significato della lotta politica, accogliendone però la forma espressiva.
La contrapposizione tifoso-Forze dell'Ordine riproduce il sentire politico di una parte della società. Il tifoso è parte della società, è consapevole, perché parte di un gruppo, di acquisire nel gruppo stesso l'identità che la società gli nega, e con il gruppo stesso vuole partecipare alle dinamiche sociali. Probabilmente il senso di comunanza con il mondo della protesta politica parte da qui, dal gruppo: gli ultras sono contro lo Stato perché lo Stato reprime il gruppo, non specificatamente il gruppo politico ma il gruppo come concetto, come elemento disturbante perché poco controllabile.
Le evoluzioni di questa prima radice del conflitto saranno approfondite più avanti, ma intanto possiamo dire che è proprio in quegli anni che comincia ad emergere la "violenza ultrà", pervasa da astio rancoroso, in cui il senso di rivalità è esasperato. Valerio Marchi sottolinea però che gli atti di violenza non sono da imputarsi agli ultras soltanto, nel senso che in quegli anni si assiste ad un mutamento della natura degli incidenti legati agli eventi calcistici indipendentemente dal ruolo che in essi ricoprono gli ultras(12). Marchi sottolinea anche che la suddivisione proposta da Roversi in incidenti e intemperanze, i primi provocati da ultras, i secondi provocati da tifosi non-ultras, più adulti(13), in quest'ottica diventa difficilmente applicabile, perché il limite tra le due categorie in molti incidenti è sfumato. L'identificazione della violenza legata al calcio con gli ultras diventa automatica, perché, dice Marchi, l'ultrà "finisce per assumere nelle proprie fattezze il lato oscuro del sistema-calcio"(14).
Gli anni '80 e '90 sono gli anni del consolidamento. Ogni squadra ha un gruppo ultras di riferimento. Questo comporta maggiore visibilità, maggior potere di intervento nel mondo del calcio, maggiore controllo delle risorse umane, delle opportunità. La televisione e il calcio-mercato cominciano a introdurre una consapevolezza nel mondo ultras che prima non c'era.
Gli ultras sanno bene che le coreografie - non a caso definite tali - sono diventate un elemento fondamentale del calcio-spettacolo. Sanno che i numeri, in stadi da centomila persone, non sono indifferenti e che una massa di persone da tremila, quattromila tifosi alla volta, se non di più, che segue la squadra in trasferta, comporta la messa in moto di meccanismi estremamente articolati, da quello della sicurezza a quello economico della vendita di biglietti, all'enorme business dei materiali da tifo e altro.
I gruppi cominciano a rendersi conto che il tifo è parte del circuito economico che ha investito il calcio, coi suoi ingaggi pluri-miliardari, le concessioni televisive, la pubblicità.
Gli ultras cominciano a fare accordi con le società, e le società cominciano a rendersi conto del potere contrattuale che il tifo ha assunto e dell'importanza non solo di sfruttarlo ma anche di contenerne e arginarne l'irruenza perché non si metta a rischio il sistema. La questione del rapporto con le società diventa in quegli anni elemento cruciale e lo sarà per lungo tempo. Eppure, afferma Ghirelli, già dalla fine degli anni '60 le società cominciavano a mostrare segni di instabilità economica. La Lega Calcio, già sotto la presidenza di Aldo Stacchi, ad esempio, faticava a tenere in ordine l'amministrazione delle società, che intanto erano state trasformate in società per azioni. Vi era da parte degli organi direttivi del calcio un forte interesse a conservare il favore popolare anche se le società erano afflitte da debiti, ipoteche, contabilità sociale truccata e altro(15).
Intanto il prezzo dei biglietti saliva, considerato che il forte consenso per il calcio da parte della popolazione aumentava e di conseguenza i dirigenti rischiavano sulla base di questa garanzia per il futuro.
Il rapporto con le società resterà sempre elemento controverso, tanto che proprio all'indomani dei fatti di Catania molte voci si alzano a sottolineare che il calcio non può vivere di "ricatti". Emerge un mondo in cui il calcio come passione resta solo sullo sfondo: rapporti stretti tra società e ultras, rapporti leciti ma che comportano un giro d'affari di milioni di Euro, gestione di potere su migliaia di ultras e meccanismo di ricatto più o meno latente verso i club(16).
La televisione intanto irrompe nel mondo del calcio aumentando esponenzialmente il numero di spettatori, e di conseguenza il bacino economico che essi costituiscono.
Si viene a creare un circolo vizioso per cui se le tifoserie diventano consapevoli del fatto che costituiscono uno snodo essenziale nel ciclo economico e si rivolgono alle società pretendendo da esse il riconoscimento di questo ruolo, le società a loro volta sono ben consapevoli che le tifoserie devono essere tenute a bada per lo stesso motivo. La conseguenza è che da una parte fare il tifoso ad alto livello diventa una vera e propria professione, dall'altra le società trovano degli escamotage per tenere a bada capi e gruppi che altrimenti potrebbero creare problemi.
Nessuno dei due, tifosi e società, si rende conto del pericolo insito in un simile sistema e quindi non fa piani a lungo termine.
È dal quel circolo vizioso che hanno origine gli ultras come sono oggi. La loro caratterizzazione è basata sulla rivendicazione di un proprio ruolo nel mondo del calcio e di conseguenza della loro possibilità di esprimersi in merito alle norme e alle decisioni relative al sistema calcio, in questo modo divenendo componente fortemente attiva. L'elemento di novità sta nel fatto che gli ultras acquisiscono una nuova visione di se stessi, quella che Marchi definisce "visione antagonista" all'interno del sistema-calcio(17).
La violenza non sarebbe una novità - fonti storiche confermano con numerosi episodi la violenza innescatasi in tutte le epoche in occasione di eventi sportivi - e neppure il tifo stesso. (Vds. la RUBRICA a pag. 151).
La novità sta nel ruolo che hanno assunto gli ultras e nella trasformazione del calcio.Dagli anni '90 comincia infatti un cambiamento che la commercializzazione del calcio riversa sui tifosi.
La rivoluzione delle Pay-TV comporta il cambiamento degli orari delle partite, l'aumento del costo dei biglietti allo stadio, con una generale percezione, da parte dei tifosi, di una strumentalizzazione del gioco, loro grande passione.
Per non parlare poi della corruzione che comincia ad intaccare anche la sacralità delle squadre, la cui forza è messa in discussione da eventuali partite truccate; una situazione che raggiungerà l'apice con squadre di primissimo livello addirittura retrocesse in serie B, con uno stillicidio doloroso di intercettazioni telefoniche pubblicate sui giornali a prova della manipolazione del campionato.
Con la possibilità di comunicare sempre più, ovunque e in tempi brevissimi, il mondo ultrà muta i suoi modi, e quelli che potevano dirsi movimenti di pensiero locali diventano movimenti di pensiero globali.
Oggi appare chiaro che la tecnologia ha trasformato anche il tifo, come ha trasformato tutte le manifestazioni sociali. Internet, in particolare, è diventato il 'non-luogo' per eccellenza, dove l'identità può scomporsi, ricomporsi e confrontarsi tanto che spesso alla provocazione di uno risponde la riprovazione dell'altro. Un incontro/scontro che non sarebbe possibile se non con la protezione della rete, che permette di poter esplorare, indisturbati, anche mondi ideali lontanissimi da quelli propri. Che il calcio fosse circondato da enorme produzione di carta stampata è noto, e non a caso il quotidiano più letto in Italia è la Gazzetta dello Sport (3.592.000 lettori nel 2006-2007) seguita a distanza da La Repubblica (2.944.000) e quindi dal Corriere della Sera (2.615.000)(18). E vi sono riviste per ogni squadra, libri, "fanzine" (riviste autoprodotte).

http://medicineman.splinder.com
Non è un caso che proprio per questa aumentata possibilità di comunicazione si delinei un fenomeno nuovo, quello della trasversalità nel mondo ultrà prima diviso dalle tradizionali rivalità. Trasversalità in alcuni ambiti, come quello della lotta contro il cosiddetto "calcio moderno", e relativo inasprimento della lotta contro il comune nemico - le Forze dell'Ordine - che scendono in campo per sedare le violenze perpetrate da alcuni.
Il risultato, purtroppo, è l'accrescimento della tensione che influenzerà tutto il popolo del calcio e le Istituzioni stesse, costrette ad adottare misure più rigide.
La morte dell'Ispettore Filippo Raciti a Catania, il 2 febbraio 2007, segna uno dei momenti di maggiore tensione. Le Forze dell'Ordine portano all'attenzione dell'opinione pubblica la loro condizione di vulnerabilità in contesti in cui lo scoppiare di tafferugli è imprevedibile e l'intensità della violenza non valutabile. Viene approvato il Decreto Calcio del 7 febbraio 2007 in cui si rivedono le norme relative a tutti gli ambiti, a tutte le fasi, a tutte le componenti, a tutte le manifestazioni delle tifoserie.
La morte di Gabriele Sandri, l'11 novembre 2007, costituisce un altro momento di altissima tensione, in cui peraltro si rovesciano i ruoli, a conferma di quella frattura degli ultras con le Forze dell'Ordine che appare ora quasi insanabile. Il fatto che peraltro si sia trattato di un episodio fin dall'inizio oggetto di interpretazioni contrastanti, anche da parte della stampa, con protagonista un poliziotto, non fa che confermare, agli occhi degli ultras, una loro contrapposizione evidente con le Forze dell'Ordine.
Il fratello di Gabriele Sandri ha affermato a questo proposito: "Ad esempio, ricordo un servizio televisivo trasmesso circa un mese dopo la morte di Gabriele, in cui si è voluto forzatamente fare la contrapposizione tra la morte dell'ispettore Raciti e mio fratello, in cui parlando dell'ispettore Raciti si intervistavano i colleghi, si intervistava la moglie, lo ricordo bene, mentre parlando della morte di mio fratello si parlava di estremismo di destra che con il fatto in sé, con chi era mio fratello, non aveva nulla che fare'. E ancora, a proposito delle reazioni del mondo ultras alla morte del fratello: "Purtroppo è inevitabile. Per come si sono sviluppati i fatti logicamente dopo che si è venuto a sapere che Gabriele stava andando a seguire la Lazio e quindi era indubbiamente un sostenitore che si stava recando a vedere la squadra in trasferta, c'è stato subito un tam tam, perché i telefonini non li hanno inventati ieri. Si è pensato che fosse meglio giocare, quando, invece, la reazione è stata quella opposta."


Contrapposizioni

Il famoso derby Lazio-Roma del 21 marzo 200419 diventa estremamente significativo per comprendere il mutare del ruolo degli ultras. Va ricordato che il clima di tensione in un simile evento è altissimo, perché la rivalità tra le due squadre è molto forte: fu proprio in occasione di un derby Roma-Lazio che nel 1979 restò ucciso Vincenzo Paparelli, colpito al volto da un razzo sparato dalla curva sud.
Nel 2004 accadde che, diffusasi la notizia, poi rivelatasi falsa, che un'auto della Polizia aveva investito ed ucciso un bambino, si creò agitazione nel pubblico che iniziò a manifestare con forza il proprio disappunto, tanto da raggiungere i calciatori in campo e portare alla sospensione della partita.
Ora, pensando ai miliardi di pubblicità e altro che un evento di portata mondiale come il derby Roma-Lazio comporta (erano 20 i Paesi collegati, un miliardo i potenziali spettatori), il fatto che i tifosi siano stati in grado di far sospendere la partita suscitò già allora in chi scrive grande stupore e curiosità, dovuti al fatto che improvvisamente appariva chiaro il nuovo ruolo che i tifosi avevano assunto nel sistema-calcio.
Va detto che l'episodio fu probabilmente il risultato di una tensione che si era andata accumulando già dal pomeriggio intorno allo stadio, con tafferugli, interventi della Polizia, fumogeni e altro, per cui all'inizio della partita la situazione era già calda.
La voce che fosse morto un bambino, investito da una cammionetta della Polizia, comincia a passare di bocca in bocca durante il primo tempo e diventa sempre più credibile. All'inizio del secondo tempo la curva sud chiede che si sospenda l'incontro; la parte opposta recepisce il messaggio e abbassa gli striscioni. Poco dopo gli stessi giocatori interrompono l’incontro. All'altoparlante viene letto, per ben tre volte, un comunicato della Questura che afferma che la notizia è priva di qualsiasi fondamento. Tre tifosi scendono in campo e parlano con il capitano della Roma. I giocatori si fanno interpreti del volere delle curve e decidono di non giocare, nonostante Prefetto e Questore siano scesi in campo per sostenere la necessità di proseguire la partita per motivi di ordine pubblico. L'arbitro e il Presidente della Lega-Calcio optano per la sospensione.
L'episodio descritto evidenzia un aspetto fondamentale per la comprensione del fenomeno ultrà: il fatto che pur avendo la Questura diffuso un comunicato allo stadio in merito alla falsità della notizia, ad esso non sia stato dato alcun credito.
Quello che emerge e sorprende, infatti, è la compattezza di due tifoserie, tradizionalmente rivali, nei confronti di quello che diventa il nemico comune: le Forze dell'Ordine, viste come braccio dello Stato.
Su questo bisogna seriamente interrogarsi non tralasciando anche quanto affermato dallo stesso Marco Sandri: "Secondo me va rivisto il discorso sul rapporto che si instaura tra cittadino e Forze dell'Ordine, e ancora di più tra i giovani, che si parli di stadio, che si parli di politica, che si parli di tante altre manifestazioni. Va rivisto il rapporto tra i giovani e le Forze di Polizia".


Rabbia

"Contro diffide e repressione lottiamo insieme", accompagnato dal simbolo in vernice nera che rimbalza di muro in muro a Roma in cui si vede la figura stilizzata di un poliziotto con casco che manganella un tifoso che impugna quella che sembrerebbe l'asta di una bandiera. Il testo che segue è un "manifesto del pensiero ultrà" e vi si legge che il mondo ultras nel suo insieme condivide valori, tra cui la Patria, la fede, ad esempio, e norme.
Le norme si riferiscono ai comportamenti da adottare nello scontro, che è visto, quando rivolto verso la squadra avversaria, come normale espressione della rivalità intrinseca del gioco come tenzone.
Regole che, tuttavia, riportano alla lealtà e al rispetto, per cui è proibito l'attacco di molti contro uno, anche se gli ultras sanno che lo scontro può non essere alla pari (difficile essere sempre in parità numerica), ma non deve mai essere armato, se non di sassi o aste. Assolutamente proibito l'uso di lame, contro cui gli ultras combattono da tempo, imputandone l'uso a teppisti20.
Quale violenza dunque? Difficile individuare il limite. "Ho gridato centinaia di volte 10-100-1000 Paparelli non certo condividendo l'omicidio, ma sfruttando la truculenza dello slogan per fare infuriare la parte avversa", afferma qualcuno parlando della mentalità ultrà connessa all'anti-lazialità su internet(21). E d'altra parte sui blog non manca, purtroppo, il "10, 100, 1000 Raciti" che riecheggia in vari non-luoghi della rete(22). A questo, molti rispondono, con altrettanta forza su YouTube con video intitolati "Onore alle Forze dell'Ordine"(23).
Allora c'è da chiedersi: da dove viene tanta rabbia? Perché le Forze dell'Ordine sono diventate il nemico da combattere?
Diversi analisti hanno studiato il problema(24), soffermandosi necessariamente sulla violenza connessa al fenomeno degli ultras, ma è sulle vere radici di questa contrapposizione ultras-Forze dell'Ordine, ovvero Stato, che l'analisi sembra stemperarsi in una serie di considerazioni poco sistematiche. Va detto però che la sistematicità in questo ambito è piuttosto difficile, perché da un lato si può ricorrere a dati quantitativi, ma dall'altro si richiede un'indagine squisitamente qualitativa, con interviste in profondità, storie di vita, analisi testuale, osservazione partecipante in gruppi chiusi che rivelano un lessico complesso, sospettosi nei confronti dell'estraneo e spesso sulle difensive.
Roversi, ad esempio, ha fondato la sua analisi su entrambe le metodologie, ma il suo testo, che risale al 1992, meriterebbe un aggiornamento, considerato che da allora sono cambiate molte cose soprattutto per quanto riguarda le misure legislative.
L'ambizione ad una connotazione più qualitativa della questione ultrà viene poi dagli ultras stessi, che decidono di raccontarsi e creare una "letteratura ultras" che li rappresenti davvero, cosicché l'iniziativa assume secondo Giulio Ravagni, titolare di una casa editrice, "un significato 'storiografico', visto che le autorità sembrano convinte a sradicare di punto in bianco una cultura giovanile che si è sviluppata per qualcosa come 40 anni. Scherzo naturalmente, ed è giusto per sdrammatizzare"(25).
Ma l'affermazione non è casuale.
Ovunque in rete e nelle pubblicazioni, si ritrova l'appello alla comprensione del fenomeno, alla distinzione tra tifo sano e tifo violento tout court. Il problema è che, come si è detto, diventa difficile distinguere tra livelli o gradi di violenza se le stesse norme degli ultras non sono chiare e riconoscono non solo un grado di ammissibilità per certi atti violenti ( per quanto ne vengano definite circostanze e condizioni di riferimento), ma perpetuano linguaggi, simboli, atteggiamenti violenti.
Pur essendo forte il dibattito tra gli ultras se sia ravvisabile una politicizzazione del tifo, resta il fatto che il riferimento a simboli, linguaggi e atteggiamenti con forti echi politici di una o l'altra parte non manca. Anzi, il riferimento politico non è mai il riflesso di un pensiero articolato, ma semplicemente l'adesione a principi estremamente basilari, ancora una volta fondati su contrapposizioni: contro la squadra nemica, contro i neri, contro gli Ebrei, contro i musulmani, contro gli omosessuali, contro la Polizia, contro lo Stato ecc. Contro il diverso da me, in sintesi.
Questo tradisce una fragilità sostanziale della tifoseria oggi. Non a caso viene rivelato che "prima" era diverso, se un gruppetto di facinorosi in curva alzava uno striscione offensivo per qualche categoria sociale, i capi potevano intervenire e farlo eliminare. Oggi, a seguito della destrutturazione dell'organizzazione ultras, questo non è più possibile. Non essendovi gruppi gerarchicamente organizzati - laddove la gerarchia era basata sull'età e l'anzianità di curva - l'elemento sensazionalistico prevale, anche perché uno striscione provocatorio non resta in un circuito limitato, ma attraverso la televisione il suo effetto viene moltiplicato all'infinito.


Mentalità ultrà

La politica nel mondo ultras c'entra eccome, bisogna vedere piuttosto in che modo. Ladestra.info informava nel 2007 che il movimento ultras piacentino avrebbe appoggiato ufficialmente la lista fronte d'azione-fiamma tricolore, e che due tra i principali esponenti del tifo biancorosso, Marco Reboli e Daniele Reboli (detto Cece) avrebbero presentato la loro candidatura come consiglieri comunali.
Alcuni, quindi, sostengono che non sarebbe inopportuno cominciare a pensare alla politica, visto che gli ultras sono decine di migliaia.
D'altra parte questo fa gola a molti. L'idea è stata sfruttata nelle recenti elezioni amministrative a Roma: si sono presentati sia il partito "Forza Roma" sia il partito "Avanti Lazio". Anche se dai risultati scarsi, l'operazione desta attenzione, perché, se pur criticata da più parti come manipolazione che nulla ha a che fare con il calcio, comunque proprio ai simboli e ai valori del calcio ha fatto ricorso.
Forme meno "sane" di politicizzazione del tifo le troviamo un po' ovunque, nelle città e nelle tifoserie, come i cosiddetti nazi-skin(26) spesso, soprattutto a Milano, contrapposti ai giovani dei centri sociali. Una storia in cui si ravvisano divisioni sociali legate al tifo, basate sulle condizioni economiche e culturali. Gli "Irriducibili", le "Brigate Rossonere", al pari delle altre tifoserie, sono espressione anche di tendenze politiche chiare, che spesso si esplicitano a seguito della sollecitazione della parte percepita come avversa.
La riflessione tra gli ultras diventa piuttosto raffinata quando ci si interroga su quanto sia possibile non essere politicizzati: "se essere ultrà è prima di tutto essere e fare gruppo, ciò non può avvenire se non attraverso una condivisione di principi e idee che non possono prescindere da quelli con cui si vive e si affrontano i problemi di ogni giorno" sostiene la rivista Senza Soste(27). Tifonet.it promuove una campagna intitolata "Ferma la Politica" condensando in questa frase, tratta da Supertifo del 17 febbraio 2002: "...chi preferisce sventolare un tricolore o un Che Guevara, una celtica o una falce e martello piuttosto che una bandiera con i propri colori sociali non ha a cuore fino in fondo la propria squadra..."(28). Torna la confusione, però: tricolore, Che Guevara, colori "sociali".
Asromaultras.org(29) riporta una riflessione sulla connotazione politica delle tifoserie, sostenendo che il fenomeno dal punto di vista quantitativo interessa una componente minoritaria delle tifoserie, ma poi indulge in un'analisi degli orientamenti a destra e sinistra delle tifoserie stesse, tracciando un ritratto interessante di un aspetto del mondo ultras tutt'altro che trascurabile e che sta, peraltro, cominciando a raggiungere un livello di organizzazione.
A sinistra, ad esempio, il Fronte di Resistenza Ultras, costituitosi in un incontro antirazzista organizzato a Narni, interpretato come "il primo tentativo da parte delle tifoserie di sinistra di individuare un comune denominatore tra le curve politicamente affini, basato sull'ideologia politica"(30), propose anche di partecipare a manifestazioni di piazza.
A destra, ad esempio, nelle tifoserie della Roma e della Lazio in particolare Irriducibili, Banda de Noantri, Tradizione e distinzione, si sarebbe infiltrato un movimento di estrema destra romano, con il risultato di far superare la storica rivalità tra i gruppi, che si ritrovano così uniti in progetti politici come quello, ad esempio, di partecipare a manifestazioni di piazza contro la globalizzazione.
Nonostante i cambiamenti nelle affiliazioni politiche, fermo restando che ad esse aderiscono frange delle tifoserie e non le tifoserie nel loro complesso, in molti azzardano mappature politiche del fenomeno(31) su scala nazionale.
Si può a ragione commentare, quindi, che seppure come afferma un tifoso: "allo stadio si va non per vedere la partita ma per sostenere la propria squadra", tuttavia vi sia l'aspirazione ad un maggiore coinvolgimento nelle questioni sociali.
Si può dire ancora, però, che questa aspirazione difficilmente viene canalizzata correttamente, proprio perché nasce e si evolve in ambienti, quelli delle tifoserie, dove la passione per la squadra prevale così come l'organizzazione pratica delle coreografie e delle trasferte.
Solo quando la tifoseria, che sente il peso della società globale, che forse è in crisi per il senso di impotenza provato anche a fronte delle misure restrittive imposte per sedare la violenza, che sente di non aver voce in un mondo che grida, incontra un elemento catalizzatore come un gruppo politico e allora tenta il salto, "provando" a costruirsi una identità "di riserva", che non prevale sulla passione per la squadra ma costituisce uno sbocco, uno sfogo. Sfogo non sempre positivo, da cui il tifoso non trae la serenità necessaria

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a superare il rancore, divenuto in molti casi leit motiv della vita da ultrà.
Sempre di risorse importanti si tratta, quelle di giovani alla ricerca di un luogo sicuro in cui esprimersi. Questo a sostegno della convinzione che quello degli ultras è un bacino ricchissimo di risorse potenzialmente positive, più che negative. E forse questo spiega il successo di una iniziativa lodevole come Progetto Ultrà(32), che parte proprio dal principio di canalizzare positivamente le enormi risorse che il mondo ultrà offre.

Misure di contrasto

Il Centro Nazionale di Informazione sulle Manifestazioni Sportive (CNIMS) del Ministero dell'Interno, traccia la sintesi di quanto è avvenuto durante la stagione calcistica 2007/2008(33). Emergono le molte determinazioni: ben 62 di cui: 18 prima della morte di Gabriele Sandri, 40 subito dopo e 4 nella fase finale dei campionati. Dieci gli incontri svoltisi a porte chiuse, 123 le gare senza la presenza di tifosi ospiti, 81 le limitazioni alla vendita di biglietti, 4 i differimenti di gare.
Nel rapporto viene anche sottolineato il ruolo dell'Osservatorio Nazionale sulle Manifestazioni Sportive, la cui attività di analisi ha portato all'aumento del 43% delle gare messe sotto osservazione come incontri a rischio, passate da 700 nel 2006/2007 a 1.005 nel 2007/2008.
L'osservazione e l'intervento preventivo hanno portato, secondo il rapporto, ad una diminuzione di incontri con feriti del 9,4%, diminuzione progressiva dal 2005, per un totale del 47%. Si sottolinea, altresì, che, in cinque anni, il numero dei feriti si è ridotto ad un quarto (1.219 nel 2003/2004 361 nel 2007/2008), "grazie anche all'intervento meno generalizzato delle Forze dell'ordine sulla folla, reso ormai raro grazie ai dispositivi di sicurezza passiva conseguenti alla messa a norma degli impianti e le minori occasioni di contatto con i tifosi, resi possibili dall'entrata in vigore della normativa sugli steward", come si legge nel rapporto. Anche i feriti tra le Forze dell'Ordine sono diminuiti del 48% dal 2003/ 2004 (914 nel 2003/2004, 200 nel 2007/2008), sebbene nei campionati dilettantistici si registri un aumento del 58%; anche i feriti tra i tifosi sono diminuiti del 20% (305 nel 2003/2004, 161 nel 2007/2008) e i casi di ferimento si sono "registrati prevalentemente a seguito dei 110 interventi delle Forze dell'Ordine, comunque diminuiti del 34% rispetto ai 166 della stagione precedente.
Importante anche la delineazione dei luoghi in cui sono avvenuti gli episodi: 63 nelle adiacenze degli impianti sportivi; 27 all'interno degli impianti stessi; 15 nell'ambito urbano; 1 in quello ferroviario; 4 in quello autostradale, prevalentemente riconducibili alla rivalità tra le tifoserie opposte (78 episodi) mentre sono 13 gli episodi determinati dall'aperto attacco operato ai danni delle Forze dell'Ordine. Pochi, comunque, i casi dovuti a: ingresso senza biglietto (8), contestazione di arbitraggio (3), società (5), squadre (2), e vandalismo (2).

Foto Ansa
Per quanto riguarda l'attività di contrasto, "benché sia nettamente diminuito il numero dei reati", sottolinea ancora il rapporto, vi sono stati 292 arresti (378 nel 2006/2007) e 999 denunce (1.129 nel 2006/2007).
Gli arresti, sono stati fatti per lo più durante gare di campionato di serie A (139 arresti, +23% rispetto alla stagione precedente); nei campionati di serie B e C si è invece verificato un significativo decremento (-70,6% in B e -26,8% in C). I casi di arresto in flagranza differita sono stati 64. Tra i denunciati, vi è un aumento dei deferiti in stato di libertà in occasione di gare di serie A (+33%), mentre vi è un forte decremento dei denunciati in serie B (-34,4%) e C (-41,9%).
L'impatto dei risultati conseguiti già nella stagione precedente, ha portato ad un minore
impiego di rinforzi durante gli incontri nei campionati professionistici: 90.833 (-18,36%) rispetto ai 111.265 del 2006/2007.
Elementi analitici importanti indicati nel rapporto sono il riferimento al tipo di atti violenti riscontrati e ai trasporti.
In merito alla violenza, viene sottolineato, infatti, il carattere in gran parte "non distruttivo" degli atti violenti e si evidenzia che in genere la violenza ha avuto origine da tensioni tra le opposte tifoserie.
La questione trasporti rientra in quella che il CNIMS definisce "azione preventiva mirata" per cui una "strategia di normalizzazione" del rapporto è stata adottata dalle Ferrovie con il supporto della Polfer, che non ha tollerato deroghe all'acquisto del biglietto o altro. I tifosi in trasferta, che pure diminuiscono, preferiscono ormai pullman o minivan.
Questo il quadro.
Ma gli ultras continuano a pronunciare un acronimo, ACAB (All cops are bastards)(34), che dopo i fatti di Catania sembra sia diventato, purtroppo, un simbolo.
ACAB trae origine, secondo alcune fonti, da una delle canzoni dei The 4-Skins (gruppo punk della fine degli anni '70, apolitici ma contrari al razzismo).
L'acronimo entra nel linguaggio comune degli Skinheads i quali lo introducono nel mondo del calcio attraverso il tifo per la loro squadra. Di chiara origine inglese, in cui va contestualizzato e politicamente connotato, ACAB in Italia è in uso anche oggi trasversalmente nelle tifoserie e tradisce il comune sentimento contro le Forze dell'Ordine.
Il sentimento è tanto forte da rientrare nel codice d'onore degli ultras. Lo scioglimento dello storico gruppo del tifo rossonero "Fossa dei Leoni" nell'autunno 2005, viene spiegato con la violazione del codice d'onore: i "Viking" juventini avevano rubato lo striscione alla Fossa, e per riaverlo la Fossa si era rivolta alla Digos. Sebbene la storia dello scioglimento sia legata anche ad altri fattori, quali la leadership della Fossa tuttavia resta da sottolineare quanto la violazione del codice sia stata rovinosa per un gruppo stabile da ben 37 anni.
I fatti di Catania del febbraio 2007 avevano portato la società italiana ad interrogarsi sul fenomeno della violenza legata al calcio. Fiumi di inchiostro sono stati versati, e anche nei blog dei tifosi appare una certa riflessione, seppur timida. Gianni Mura su Repubblica(35), ad esempio, aveva lanciato un appello ai tifosi stessi perché sottoscrivessero alcune regole. L'appello è rimbalzato sulla rete raccogliendo, però, non solo adesioni. Eppure Mura si rivolgeva a tutti gli attori in campo: tifosi, club, politici, Figc, informazione e Polizia.
Il Daspo (Divieto di Accedere alle Manifestazioni Sportive) è una misura introdotta con la legge 401 del 13 dicembre 1989(36) che vieta al soggetto ritenuto pericoloso di poter accedere ai luoghi in cui si svolgono determinate manifestazioni sportive.
Il provvedimento viene emesso dal Questore e la sua durata può variare da uno a cinque anni, in base alle modifiche del c.d. Decreto Amato (legge 41 del 5 aprile 2007) varato nel febbraio 2007(37) dopo gli scontri di Catania che hanno causato la morte dell'Ispettore di Polizia Filippo Raciti. Può essere accompagnato dall'obbligo di presentazione ad un ufficio di polizia in concomitanza con lo svolgimento della manifestazione vietata. Esso viene sempre notificato all'interessato ma, nel caso in cui sia affiancato dall'obbligo di comparizione, viene comunicato anche alla Procura della Repubblica presso il Tribunale competente. Il Procuratore della Repubblica, entro 48 ore dalla notifica all'interessato, ne chiede la convalida al G.I.P. (presso il medesimo Tribunale), che deve provvedere entro le successive 48 ore, a pena di perdita di efficacia. Tuttavia, il Questore può autorizzare l'interessato, in caso di gravi e documentate esigenze, a comunicare per iscritto il luogo in cui questi sia reperibile durante la manifestazione sportiva.Tutto il calcio discute sui provvedimenti. Le riviste delle squadre pubblicano interviste alle autorità locali(38) e anche gli arbitri riflettono e riportano nelle loro riviste i dati sugli episodi di violenze fisiche e morali, proprio quando citano le norme previste dal regolamento dell'Associazione Italiana Arbitri (AIA) nel 2007/(39).
Il mondo ultrà, già con il provvedimento Daspo, aveva gridato all'incostituzionalità; con il Decreto Amato afferma, addirittura, che simili misure non risolveranno nulla e anzi distruggeranno per sempre lo spirito del tifo che viene irreggimentato e frustrato nella sua spontaneità. I testi degli striscioni, ad esempio, devono essere comunicati una settimana prima via fax alle Questure. "A parte la logica perdita dell'effetto sorpresa, le Forze dell'Ordine negheranno le autorizzazioni in caso di striscioni di forte protesta, di contestazione, sia essa ai vertici calcistici o societari. Per intendersi con chiarezza: è arduo immaginare il sovrintendente che vidimerà uno striscione del tipo "Presidente tizio vattene(...) il DL Amato (...) di fatto impedirà l'autoidentificazione e l'aggregazione in un determinato gruppo di supporters(40)" , afferma, appunto, il tifoso Stefano Prizio di Fiorentina.it su Tifosionline).
Va sottolineato che il Decreto sferra un duro colpo anche a meccanismi economici come la vendita dei biglietti per le trasferte, che costituivano una delle risorse economiche del tifo organizzato. Il Decreto prevede, inoltre, che il Prefetto possa decidere in quali stadi si dovranno svolgere le partite senza pubblico, in quanto non a norma con le misure di sicurezza, in base alle indicazioni fornite dall'Osservatorio sulle manifestazioni sportive. Vengono inasprite le pene per atti vandalici (lancio di razzi, petardi, utilizzo di mazze e bastoni) sia allo stadio sia nelle immediate vicinanze, con pene fino a quattro anni di reclusione; il reato contravvenzionale di mero possesso di razzi, petardi, mazze e bastoni in prossimità degli stadi, viene qualificato delitto, prevedendo la specifica sanzione della reclusione da sei mesi a tre anni, provvedimenti che si applicano sia nel corso degli eventi sportivi sia nelle 24 ore antecedenti o successive le partite.
Ancora, vengono utilizzate misure di prevenzione personale o patrimoniale contro associazioni o club nei quali siano evidenti i favoreggiamenti di tifosi violenti. Il periodo di "quasi flagranza" poi, viene aumentato a 48 ore entro le quali le Forze dell'Ordine possono procedere all'arresto dei responsabili delle condotte illegali dopo la verifica di filmati e così via. Il risultato dell'inasprimento è stato già qui illustrato con i dati del CNIMS sulla passata stagione calcistica, dai quali emerge un bollettino di guerra che registra però anche segnali di decremento del fattore violenza, come ad esempio, una diminuzione del 9,4% degli incontri con feriti.
Tuttavia, la violenza continua a costituire l'aspetto più eclatante e preoccupante. Il caso del "treno di Napoli" del 31 agosto 2008(41), può essere preso ad esempio, anche per le controversie che ha suscitato. Treno assaltato, danni per 500.000 Euro, passeggeri paganti scesi a terra terrorizzati… I blog e la stampa si sono subito riempiti di testimonianze che raccontano versioni completamente diverse. Qualcuno ha parlato addirittura di "treno fantasma". Ma ciò che interessa qui, è che, ancora una volta, un episodio così grave abbia suscitato scandalo non solo tra i benpensanti, ma anche tra gli ultras stessi e quindi dovrebbe portare ad una riflessione di tutti gli attori coinvolti.
Al di là delle possibili manipolazioni della Camorra nel tifo napoletano -forse sorprenderebbe il contrario- o della criminalità organizzata in genere(42), o il ricorso al reato di terrorismo(43), le misure di contrasto adottate sembrerebbero funzionare, ma come arginare masse di persone che si muovono insieme e la cui energia emotiva costituisce il fattore meno controllabile?


Nell'angolo

Innamorato della Juventus grida dal sito cuoreultras: "Siamo ultras, non criminali"(44). Ma si potrebbe rispondere che agli occhi dell'opinione pubblica gli eventi rendono la distinzione alquanto difficile. C'è chi difende gli ultras sottolineando la differenza tra ultras e violenti occasionali chiedendosi quando la criminalità abbia inquinato una "sottocultura" come quella ultrà, densa di valori positivi.
Allo Stato viene addirittura imputato di fronteggiare una naturale espressione del mondo giovanile con mezzi eccessivamente repressivi, e di accettare il fenomeno ultras manipolandolo perché "da un lato tiene 'occupati' le migliaia di giovani che potrebbero tornare in piazza a sfogare la loro violenza, e dall'altro sono rassicuranti per tutti, in fondo serve sempre qualcuno che ci faccia sentire 'buoni e bravi'"(45). Sono queste le sconcertanti riflessioni sul fenomeno che si trovano in rete e che rimbalzano di PC in PC, ovunque. Voci che, comunque, non possono e non devono essere sottovalutate. Una scritta sulla tangenziale di Roma recita:"Ci togliete dagli stadi, ci ritroverete nelle strade".
Lo Stato è il nemico, e allora chiediamoci: cosa fare per trasformare questo terribile assunto?
Parlando con alcuni ultras inglesi di vecchia data, tifosi del Chelsea, si è tentato di comprendere perché le misure di contrasto siano per le tifoserie inglesi ormai cosa assodata, assimilata ed una routine per quelle Forze dell'Ordine.
La memoria, infatti, riporta proprio ad una partita del Chelsea, cui la scrivente ha assistito a metà degli anni '80 a Londra: il clima era estremamente teso, i tifosi entravano timorosi nello stadio rafforzati solo da vigorose bevute di birra in pub aperti dalle 11 alle 15, proprio in tempo per la partita. La Polizia a cavallo era in tenuta anti-sommossa, con un evidente intento intimidatorio. Erano anni ancora caldi, quelli, ma colpiva l'enorme effetto che la Polizia esercitava.
Gli ultras inglesi intervistati nei giorni scorsi, alla domanda su come si fosse riusciti a creare nel tempo un clima meno teso in Inghilterra, rispondevano che:
a) gli ultras che facevano parte delle tifoserie dagli anni '60 col tempo erano cresciuti e si erano stancati del tifo violento e poiché le nuove leve sono venute su quando già costoro si "erano calmati", non ne hanno ereditato la rabbia tipica dei primi anni;
b) l'aver eliminato le famose 'terraces', i luoghi interni allo stadio dove i tifosi potevano sostare in piedi, ha evitato escalations di tensione dovute ad assembramenti di persone che provocano e vengono provocate;
c) i tifosi inglesi vanno in trasferta in piccoli gruppi;
d) gli ultras inglesi non hanno più connotazioni politiche e non si percepiscono come forza politica;
e) il rapporto degli inglesi con l'Autorità è molto più remissivo e ragionevole.
Riguardo le differenze con l'Italia(46), gli ultras inglesi, che hanno una lunga esperienza di trasferte nel nostro Paese, criticano proprio l'eccesso di tensione che spingerebbe le nostre Forze dell'Ordine, allo scopo di controllare la situazione, a procedere con controlli troppo severi. In Inghilterra, invece, le barriere non ci sono più, lo stadio è uno spazio aperto e di recente si è riaccesa la polemica sulla voglia di tornare alle terraces(47), è pur vero però che ormai la ritualità del calcio inglese e la stessa Polizia hanno trovato una sorta di equilibrio. Alla domanda dove siano finiti gli ultras comunque violenti, gli inglesi rispondono sorridendo che probabilmente agiscono in altri ambiti della società. Una società, quella inglese, appunto, in cui le divisioni e le disparità sociali sono molto forti, in cui ci si interroga su quale sarà il futuro per l'attuale gioventù, disorientata e aggressiva.


Isole del tifo

Torniamo all'Italia, e cerchiamo di fare il punto. La frattura con le Forze dell'Ordine ha origini lontane, su cui si deve attentamente riflettere, e meccanismi che la perpetuano ancora oggi. Su questi meccanismi occorre soffermarsi.
Probabilmente bisogna uscire dall'equazione che sta minando tutto il sistema. Se isoliamo le variabili, troviamo:
a) incontro calcistico (tifoso+ultrà+ ultrà violento) = alto potenziale di rischio (per numero di persone e potenziale aggressività);
b) misure repressive e di contenimento = atteggiamento provocatorio degli ultras e conseguente irrigidimento dell'atteggiamento della Polizia;
c) controllo degli spazi del calcio (impianti ma anche metaforicamente le coreografie) = aumento del rancore degli ultras, perché privati della libertà di espressione.
Si potrebbe proseguire, ma è sufficiente ciò per affermare che bisogna interrompere il ciclo della tensione. Le misure repressive nei confronti del tifo violento ci sono e, come si è visto, cominciano a dare frutti. Se non sono, però, inserite in un quadro più ampio, rischiano di diventare non solo alibi di vittimismo per alcuni e motivo dell'aumento di prestigio per altri(48), ma addirittura un amplificatore di violenza.
Bisogna prendere atto, del fatto che alcune misure, per quanto assolutamente essenziali e risultato di attentissime analisi, vengono recepite in modo completamente diverso dagli ultras. Il passare, ad esempio, dal treno al pullman nelle trasferte, per gli ultras è legato al concetto di vulnerabilità rispetto al territorio, quindi difficilmente accettabile.
In campo vi sono le Forze dell'Ordine alle quali bisogna dare atto di un grande sforzo di comunicazione e di interpretazione del loro ruolo, anche attraverso modalità alternative, come ad esempio l'intelligente e lodevole iniziativa della Polizia di prossimità. Tuttavia, è auspicabile un addestramento sempre più mirato per affrontare un terreno che certamente si presenta difficilmente controllabile e su cui pende l'incubo dell'imprevedibilità.
Tecniche di controllo e gestione della tensione sempre più mirate per contesti di così forte conflittualità; una maggiore conoscenza del fenomeno, incontri con le tifoserie per concordare strategie comuni di comunicazione, valutando anche il modo di superare l'ostacolo del non-contatto tra Forze dell'Ordine e ultras.
Sono questi solo alcuni suggerimenti perché già sono molte e lodevoli le iniziative in atto: serve, forse, solo una maggiore sistematicità dell'intervento.
Ma la questione coinvolge soprattutto gli ultras, che hanno problemi a mantenere l'equilibrio interno. Essi dovrebbero superare l'assurdità del valore condiviso, che li porta a considerare incoerente, con i loro valori, il contatto con le Forze dell'Ordine. La violenza va arginata e peraltro molti ultras invocano l'ordine e rivendicano la loro condizione di ultras "sani" rispetto a ultras corrotti, violenti.
Gli ultras dovrebbero, quindi, cominciare a riflettere sul perché proprio nei loro movimenti finiscano 'avanzi di galera' che agirebbero in modo violento e criminoso, ma che nel mondo ultrà paradossalmente trovano un humus favorevole.
Gli ultras dovrebbero ripulirsi essi stessi, e non ha senso pensare che questo possa avvenire senza la cooperazione con le Forze dell'Ordine.
Va ricordato anche che bisogna arrivare ad una forma di cooperazione che permetta una migliore gestione delle risorse, perché è inconcepibile che il fenomeno del calcio, che comunque interessa una parte della popolazione e non la sua totalità, possa assorbire così tante risorse così da comportare carenze altrove. Il numero del personale di Polizia che viene impiegato nelle partite, nelle trasferte, infatti, è alto e, come espressione dello Stato, è di tutti i cittadini, benché ne beneficino solo una parte.
Se tutti vogliamo riprenderci il calcio, come espressione alta di aspirazioni aggregative sociali, dobbiamo necessariamente fare un passo avanti nella storia.
Preoccupante il fatto che gli ultras violenti guardino al Rugby, ora, come nuovo terreno di intervento(49). Va sottolineato "violenti" perché è evidente che costoro mirano al ciclo economico, al controllo su persone e cose e non ad esportare un tifo come quello italiano che, quando è sereno, fa scuola nel mondo per la sua creatività.


Foto Ansa

Il Presidente della Lazio Claudio Lotito già da tempo immagina stadi-città, con giardini, attrazioni, parchi giochi e altro. Della Valle recentemente ha presentato il suo progetto per una "Cittadella viola"(50).
A Lotito, va riconosciuto, il merito di aver dato inizio alla "moralizzazione" del calcio, che comporta non solo ingaggi più contenuti per i calciatori, ma soprattutto il ritorno ai valori fondamentali del calcio come la lealtà.
L'aspetto importante è che al calcio si accosta il concetto di morale, che dovrebbe andare di pari passo con quelli che nel tifo e nel calcio sono definiti valori, ma che senza la morale restano vuoti.
Un arazzo di Fortunato Depero, presso la Galleria d'Arte Moderna di Roma, si intitola "Guerra-festa" ed è un capolavoro di sintesi dell'assurdità del conflitto e di quanto vi ruota intorno, come, ad esempio, l'eccitazione adrenalinica che dà la violenza. Alle immagini crude di violenza si alternano colori e ghirlande che distraggono l'attenzione da quella tragedia umana che è la guerra. L'arazzo torna in mente pensando allo stadio e alle coreografie, al potenziale positivo e agli atti di violenza. Uscire dalla guerra-festa non è facile se non si isola la festa, la si esalta, la si protegge, la si rispetta, contrastando, nel contempo, duramente la guerra.



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