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GNOSIS 3/2008
Tutela delle informazioni ed economia mafiosa. L’insider trading di Cosa Nostra

Alberto CISTERNA


Foto Ansa
Le associazioni mafiose, divenute ormai sofisticate strutture di intelligence destinate a infiltrare gli apparati repressivi dello Stato, ricorrono sempre più, per l’acquisizione informativa, a ‘insider’ capaci di attingere i dati in modo agevole e continuativo.
E' proprio all’insider trading mafioso che è dedicato l’approfondimento dell’autore che, nell’esaminare matrici e caratteristiche, ne sottolinea, anche, le peculiarità e le difformità rispetto ad altri sistemi di relazione.



La morfologia delle associazioni mafiose è raffigurata, com’è noto, nel testo dell’art. 416 bis C.p. e la disposizione ha cura di enumerare nel dettaglio finanche quali siano le finalità perseguite da tali gruppi organizzati.
Il legislatore del 1982, a qualche dozzina d’ore dall’uccisione del Prefetto di Palermo, non si è sottratto a questa messa a punto terminologica che ha reso, ad ogni effetto, l’associazione mafiosa un unicum nel panorama della cooperazione a delinquere: «l’associazione è di tipo mafioso quando coloro che ne fanno parte si avvalgono della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva per commettere delitti, per acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o, comunque, il controllo di attività economiche, di concessioni, autorizzazioni, appalti e servizi pubblici o per realizzare profitti o vantaggi ingiusti per sé o per altri», «ovvero al fine di impedire od ostacolare il libero esercizio del voto o di procurare voti a sé o ad altri in occasione di consultazioni elettorali», si aggiungerà dieci anni dopo, a pochi giorni dalla strage di Capaci e a qualche mese dall’omicidio di Salvo Lima.
Innumerevoli e autorevoli analisi hanno scandagliato nel tempo la rilevanza giuridica dei requisiti fissati dall’art.416-bis ed hanno chiarito le implicazioni sociologiche più minute del metodo mafioso. L’evocazione di questa architettura di pensiero appare indispensabile se si ambisce ad una cornice di contesto non effimera per le considerazioni che si andranno a svolgere, esse intendono semplicemente verificare se la contesa tra le organizzazioni mafiose e le strutture istituzionali di contrasto si perimetri anche nel terreno malfermo delle "informazioni". Si badi bene che ciò accada, de facto, è questione tutto sommato irrilevante: che i gruppi ex art. 416 bis agiscano sulle scorta di notizie acquisite tramite soggetti più o meno intranei alla politica, all’economia, alle stesse istituzioni in generale è un dato condiviso dall’esperienza giudiziaria e finanche percepito dal comune sentire sociale.
L’evoluzione delle associazioni mafiose, soprattutto quelle siciliane, mostra come queste abbiano, nel tempo, realizzato vere e proprie strutture sofisticate di intelligence, appositamente destinate a infiltrare gli apparati repressivi dello Stato per il costante ottenimento di informazioni utili. E' uno stadio organizzativo certo, avanzato, che consegna un quid pluris rispetto alla storica attività di insider trading posta in essere dalle organizzazioni mafiose in settori parimenti vitali della società civile. Operazioni complesse di infiltrazione e controllo del settore degli appalti pubblici richiedono informazioni privilegiate che i vertici della struttura criminale devono accaparrarsi per tempo, al fine di poter strutturare la presenza del gruppo.
Diversamente da qualche decennio or sono, i clan più agguerriti non attendono l’indizione di una gara d’appalto o, vieppiù, l’esecuzione dei lavori per approntare attività, quasi parassitarie, volte alla percezione di illeciti profitti, ma puntano a conoscere, anche anni prima, la destinazione delle risorse pubbliche verso un certo settore o in direzione di un certo territorio, al fine di predisporre, magari nelle tranquille regioni del nord Italia, le risorse umane e tecniche (aziende, imprese, partecipazioni azionarie, certificazioni SOA etc.) da riversare nei mercati del Sud controllati dall’alto da posizioni sempre più apicali. A ben guardare si tratta di un fabbisogno informativo in costante ascesa e che sempre più connota la qualità dei clan di mafia spinti dall’esigenza di spostare il peso dell’egemonia territoriale dal versante della gestione a quello del controllo, entrambi annoverati dall’art. 416 bis: «per acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o comunque il controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, appalti e servizi pubblici».
In una visione aggiornata è su questo terreno che sembra doversi misurare il gradiente di una deterrenza mafiosa suscettibile di variazioni da gruppo a gruppo: occorre quindi distinguere tra clan capaci di instaurare e conservare link informativi vitali, con segmenti importanti della società civile e delle Istituzioni, e organizzazioni vicarie che si situano "a valle" di quel patrimonio informativo per lucrare eventuali ricadute. Per una famiglia mafiosa di alto prestigio è indispensabile disporre di ogni informazione riguardante i settori strategici del controllo e della gestione criminale e, ad un tempo, poter neutralizzare l’attività di contrasto dello Stato attraverso infiltrazioni mirate che rivelino l’evolversi delle investigazioni, i loro mezzi e i loro obiettivi. V’è una chiara struttura binaria dell’attività di intelligence mafiosa, orientata per un verso a supportare e dirigere l’egemonia criminale e per altro a fornire protezione dalle iniziative giudiziarie.
Quanto più l’azione dello Stato ha perseguito strade innovative nella repressione dei gruppi mafiosi (collaboratori di giustizia, intercettazioni, etc.) di tanto è accresciuta l’esigenza di penetrare le strutture investigative per conseguire conoscenze idonee a sviare, contenere o vulnerare le indagini. è ricorrente l’immagine letteraria o cinematografica del vecchio capo-bastone che amministra il proprio potere criminale valendosi di compiacenti "talpe" e per questo profilo qualsivoglia ragionamento avrebbe il valore di una mera ricognizione sull’arte mafiosa, capace, al più, di aggiornarne l’iconografia.
Quel che preme esplorare, piuttosto, è se il sistema criminale di acquisizione di informazioni privilegiate presenti delle vulnerabilità e se il legislatore si sia assunto l’onere di creare un perimetro normativo adeguato per ostacolare l’acquisizione informativa (rectius: lo spionaggio) attuata sistematicamente dalle mafie nei confronti della società civile e delle Istituzioni. La riflessione tende ad assumere connotati per così dire, de iure che appare opportuno svolgere per poi far rifluire ogni conclusione sul versante di eventuali buone prassi da sottoporre alla valutazione degli operatori e delle agenzie di contrasto.


Insider trading mafioso

Naturalmente questa locuzione non ambisce ad una precisione semantica: sembra piuttosto una sorta di container concettuale, ossia un modo efficace per richiamare talune caratteristiche dell’acquisizione informativa di mafia. Le notizie indispensabili per il gruppo devono essere fornite da insider capaci di attingere i dati in modo abbastanza agevole e continuativo. Non si tratta di incursioni occasionali, ma di una sistematica operazione di intelligence, svolta all’interno di ogni struttura che detiene le informazioni utili. Matrici e caratteristiche di questa attività non si atteggiano in modo differente rispetto a quanto è avvenuto o avviene nella storia di altri sistemi di relazione politica o militare (1) : i soggetti assumono comportamenti analoghi, v’è un governante-committente e una rete di agenti, più o meno efficienti. Il rating della struttura è direttamente proporzionale, ovviamente, al livello di infiltrazione dell’informatore e alla rilevanza della notizia carpita. Sicuramente l’elaborazione giurisprudenziale che ha sostenuto il consolidarsi del concorso esterno in associazione, appare capace di sanzionare attività di tal genere ovunque siano state poste in essere e per effetto della loro strumentalità ai fini dell’organizzazione. Anzi le coordinate tracciate dalla giurisprudenza di legittimità consentono di punire anche attività informative che pur non destinate ad una immediata progettualità operativa dell’organizzazione siano comunque in grado di rafforzarne il prestigio e la deterrenza criminale (2) . è tale la rilevanza del contributo che l’extraneus in questo caso reca al consolidamento della cosca da render lecita l’ipotesi di una sorta di responsabilità penale da posizione (3) derivante cioè dalla violazione degli obblighi di riservatezza e di lealtà connessi al ruolo ricoperto nell’istituzione infiltrata in combinato con la traditio delle informazioni all’associazione mafiosa.
Si versa tutto sommato nell’ambito di un perimetro qualificatorio privo di particolari criticità e rispetto al quale lo stabilizzarsi della cornice ermeneutica consegna agli operatori giudiziari strumenti repressivi provvisti di una sufficiente flessibilità.
Altre fattispecie delittuose, com’è noto, concorrono a delineare la protezione che l’ordinamento giuridico appresta a tutela del corretto funzionamento dei circuiti informativi: dalle disposizioni concernenti il segreto d’ufficio a quelle riguardanti la protezione della privacy, per giungere alla difesa dei mercati finanziari, v’è un corpus consolidato di disposizioni predisposte per interdire la captazione o l’utilizzazione di informazioni riservate.
La circostanza aggravante introdotta dall’art. 7 del dl 152/91 («Per i delitti punibili con pena diversa da
l'ergastolo commessi avvalendosi delle condizioni previste dall’articolo 416-bis del codice penale ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni previste dallo stesso articolo, la pena è aumentata da un terzo alla metà») opera da clausola in grado di attrarre ciascuno dei delitti in parola nel circuito delle attività mafiose e ciò a prescindere dalla qualità del soggetto agente e dal suo ruolo di partecipe o meno al sodalizio (4) .
Per meglio dire l’art. 7 citato opera da moltiplicatore delle fattispecie delittuose, costituendo accanto a ciascun delitto "comune" una speculare e simmetrica variante "mafiosa" che ha la particolarità di incidere sulla struttura delle singole ipotesi di reato in relazione al quomodo e al fine che ha orientato l’esecuzione del delitto-base.

Foto Ansa
V’è quindi la possibilità di individuare uno spettro di disposizioni che in modo appropriato consentano la punizione di ogni divulgazione di notizie segrete o riservate che abbiano quale utente finale l’associazione mafiosa.
Ad esempio il pubblico ufficiale che riveli lo stato o l’esistenza di indagini, per una qualsiasi finalità che possa, comunque, agevolare l’attività del raggruppamento mafioso di riferimento, attua una condotta punita in astratto da una congerie di disposizioni che vanno dal concorso esterno al favoreggiamento, alla rivelazione di segreti d’ufficio, alla corruzione, tra le quali sarà compito del giudice optare, a seconda delle concrete modalità dell’apporto e della stabilità dei legami funzionali con la cosca, eventualmente accertata nel corso del processo.
Un disallineamento si riscontra invece nel caso in cui l’apporto conoscitivo non derivi dalla adphensio di notizie presidiate da obblighi di segretezza, ma dalla propalazione di informazioni che pur non essendo formalmente inaccessibili al gruppo mafioso, derivino, comunque, da rapporti privilegiati e fiduciari con soggetti esterni che gestiscono o veicolano dati sensibili per l’organizzazione. In ipotesi potrebbe essere vitale per la cosca apprendere della destinazione che un certo organismo (ministero, assessorato etc.) intenda imprimere a finanziamenti pubblici ovvero sapere della classificazione urbanistica che un ente locale intenda conferire a un’area o ancora dell’elaborato progettuale di un tracciato autostradale.
L’associazione, infatti, potrebbe essere in condizione di influire (valendosi di ulteriori contatti e/o di pressioni illecite) sulla governance di tali risorse e trarne intuibili vantaggi.
Non si tratta di impadronirsi degli arcana imperii, ma di quelli che, con antico stilema, si definivano gli arcana dominationis (5) , ossia dei corollari interni ai sistemi decisionali che di per sé non sono segreti o riservati in senso giuridico, ma di cui chiunque coglie la rilevanza politica e economica.
L’operazione captativa in questi casi non solo non determina rischi immediati sotto il profilo penale ma, per di più, accresce i patrimoni informativi mafiosi di dati-controllo molto più urgenti dei dati-protezione. L’assessore che anticipa al responsabile del mandamento o della ‘ndrina l’assetto urbanistico di un’area o l’erogazione di fondi pubblici verso determinate attività si trova in una condizione giuridicamente instabile, posto che non sempre lo stato delle acquisizioni probatorie consegna - di volta in volta e secondo graduazioni vicarie - la dimostrazione di una intraneità consapevole o di una esternalità durevole o di un sinallagma politico-mafioso (6) .
Anzi in ipotesi potrebbe difettare ciascuno di tali contesti, potendosi trattare di singoli ed episodici contatti in cui si consumano pericolosi scambi di informazioni sugli interna corporis, tuttavia penalmente irrilevanti. La trasparenza democratica dei procedimenti decisionali non può imporre che segmenti dell’iter che germina la deliberazione degli enti pubblici o privati (si pensi alla strategia di lotta sindacale in un cantiere o alle opzioni di un partito in un consesso elettivo) abbiano una divulgazione limitata all’ambito circoscritto degli "addetti ai lavori".
La condivisione di tali informazioni con il gruppo mafioso rappresenta una grave e pericolosa violazione della lealtà infra moenia, ma si colloca in una territorio anomico in cui con difficoltà è dato rintracciare una disposizione incriminatrice. Certo l’art. 54 della Costituzione sancisce che: «tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservare la Costituzione e le leggi» (7) e la fedeltà evoca uno scenario deontologico incompatibile con l’insider trading in favore della mafia, ma non si tratta di enunciare una mera riprovevolezza morale o politica, quanto di indicare la fattispecie penale correlabile a tali condotte.
Si badi bene, che l’ordinamento non abbia un atteggiamento neutrale rispetto ai doveri di fedeltà del singolo in favore delle formazioni sociali di appartenenza o verso le istituzioni pubbliche cui è intraneo è confermato da un nugolo di disposizioni che trasversalmente intersecano la materia assiologicamente densa della lealtà (ad esempio cfr. art. 2105 codice civile: «Il prestatore di lavoro non deve trattare affari, per conto proprio o di terzi, in concorrenza con l’imprenditore, né divulgare notizie attinenti all’organizzazione e ai metodi di produzione dell’impresa, o farne uso in modo da poter recare ad essa pregiudizio» (8) .
Preme evidenziare, tuttavia, che il trattamento delle informazioni all’interno di tali raggruppamenti sociali, ove canalizzato verso gruppi criminali, non sempre costituisce ragione per l’applicazione di una sanzione penale, mentre può dar luogo a censure di ordine disciplinare (si veda la posizione di alcune associazioni imprenditoriali sul tema della contiguità impresa-mafia).
In realtà alcuni criteri d’orientamento possono trarsi dalla legislazione di Riforma dell’attività dei Servizi di Informazione. L’art. 17 comma 5 della L. 124/2007 prescrive che: «Le condotte di cui al comma 1 (ossia quelle che ricadono nell’ambito delle garanzie funzionali) non possono essere effettuate nelle sedi di partiti politici rappresentati in Parlamento o in un’assemblea o consiglio regionale, nelle sedi di organizzazioni sindacali ovvero nei confronti di giornalisti professionisti iscritti all’albo».
E il successivo art. 21 comma 11 precisa che: «in nessun caso il DIS e i Servizi di Informazione per la Sicurezza possono, nemmeno saltuariamente, avere alle loro dipendenze o impiegare in qualità di collaboratori o di consulenti membri del Parlamento europeo, del Parlamento o del Governo nazionali, consiglieri regionali, provinciali, comunali o membri delle rispettive giunte, dipendenti degli organi costituzionali, magistrati, ministri di confessioni religiose e giornalisti professionisti o pubblicisti».
Come si vede l’ordinamento, in una materia particolarmente sensibile per le iterazioni tra informazioni e obblighi di riservatezza, ha inteso tracciare un perimetro invalicabile per gli stessi soggetti istituzionalmente preposti all’acquisizione di notizie e dati utili alla sicurezza della Repubblica, escludendo che luoghi e funzioni pubbliche o private patiscano intrusioni o cooperazioni da cui potrebbe derivare la cessione di informazioni in violazione di doveri di segretezza o di mera riservatezza.
è un hortus conclusus che ovviamente deve stimarsi al riparo da scorrerie informative eseguite dalle organizzazioni mafiose.
La legge n. 124/2007 reca sotto questo profilo un dato di novità: la protezione non concerne l’informazione in sè, ma la fonte della stessa. Non rileva che i dati acquisiti siano più o meno segreti o riservati, poiché viene in considerazione l’inaccessibilità dei luoghi che custodiscono la notizia e l’inavvicinabilità dei soggetti che la detengono. Inquadrare da questo angolo visuale le intrusioni informative delle associazioni mafiose equivale a riconoscere che si tratta comunque di attività contra ius le quali danno luogo a «vantaggi ingiusti», secondo la clausola aperta recata dall’art. 416 bis comma 3 Cp, e determinano a latere accipientis la consumazione del delitto associativo.
Altrimenti detto: l’ingiustizia del vantaggio è mutuata dal riferimento alle prescrizioni interne proprie dell’istituzione di appartenenza (si pensi al testo unico degli impiegati civili dello Stato o ai codici deontologici professionali), anche solo di natura disciplinare le quali sanzionano la violazione degli obblighi di lealtà e riservatezza e, più in generale, tale ingiustizia può essere ricavata dal disposto della L. 124/2007 che offre importanti indicazioni oggettive e soggettive. Se questo consente l’incriminazione delle condotte dei partecipi al sodalizio che curino l’ingerenza informativa ab intra ad extra, la condizione giuridica dell’extraneus all’associazione mafiosa appare suscettibile di essere messa a fuoco secondo altri moduli e attraverso ulteriori prospettive. Si prenda in considerazione l’art. 240 comma 2 Cpp, norma com’è noto interpolata a seguito dell’approvazione del Decreto legge 22 settembre 2006, n. 259 recante: «Disposizioni urgenti per il riordino della normativa in tema di intercettazioni telefoniche» (9) , a mente del quale: «Il pubblico ministero dispone l’immediata secretazione e la custodia in luogo protetto dei… documenti formati attraverso la raccolta illegale di informazioni» (10) .
Come si vede la disposizione prende in considerazione un’attività di «raccolta illegale di informazioni» in cui l’area del disvalore giuridico non coincide con quella governata da specifiche norme incriminatrici di diritto penale. Per meglio dire esiste un evidente punto di distinzione e una chiara non sovrapponibilità tra la nozione di «raccolta illegale» e quella di «raccolta illecita» e il riferimento corre a tutte quelle disposizioni del Decreto legislativo n. 196/2003 (Codice sulla privacy) che sanzionano talune condotte con mere violazioni amministrative (artt. 161 e seguenti), stimandole illegali, ma non stricto sensu illecite.
E' evidente che, secondo il comune sentire, l’idea di una «raccolta illegale» evoca scenari in cui soggetti - per lo più privati e per esigenze connesse allo svolgimento delle proprie attività - si adoperino nel procacciamento di informazioni senza essere provvisti di qualsivoglia abilitazione giuridica o eccedendo dai limiti della stessa. I casi di cronaca che hanno imposto la decretazione governativa d’urgenza sono a tutti noti e segnalano scenari abbastanza univoci. Tuttavia, sebbene più distante dal contesto d’allarme che il legislatore ha inteso disciplinare, può darsi il caso in cui la raccolta avvenga a cura di organizzazioni mafiose in vista delle proprie strategie espansive. Valga in proposito riproporre la considerazione che, sebbene non sempre si sia in presenza di un’attività perpetrata mediante la commissione di delitti, in ogni caso il soddisfacimento del fabbisogno informativo si atteggia (oltre che come «ingiusto vantaggio») quale componente essenziale del metodo mafioso, descritto dall’art.416 bis, soprattutto quando intenda: «acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o comunque il controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, appalti e servizi pubblici».
Si badi bene, non si tratta di evocare un’ulteriore, quasi banale, simmetria tra strutture ordinamentali pubbliche e strutture mafiose - approccio sociologico superato dall’evoluzione di fenomeni criminali i quali, sempre più, orientano a proprio vantaggio uffici ed enti pubblici con una tendenziale diarchia di governo del territorio - quanto di prendere atto della vulnerabilità del sistema di trattamento e gestione delle informazioni a questo genere di aggressione.
Non sembri paradossale, ma lo svilimento di questi rapporti privilegiati, ossia l’attacco al sistema mafioso di intercettazione delle informazioni, vitali per l’elaborazione delle pratiche di dominio sociale, si può determinare solo attraverso una completa de-secretazione delle procedure decisionali.
Così, ad esempio, solo la corretta attuazione del disposto dell’art. 49 della Costituzione (che legittima l’attività dei partiti politici in quanto concorrano con metodo democratico a determinare la politica) in uno con la trasparenza dell’iter di elaborazione delle scelte, può alterare l’influenza mafiosa prefigurata da rilevanti disposizioni dell’ordinamento giuridico italiano (11) . Tutte le disposizioni che governano la trasparenza dei procedimenti amministrativi, perseguono il fine ulteriore di svilire il contrabbando di informazioni che settori della pubblica amministrazione o rilevanti protagonisti sociali (imprese, professionisti etc.) curano con la criminalità organizzata. In definitiva potrebbe essere giunto il momento in cui le strutture di contrasto alla mafia affrontino la sfida più difficile che le cosche pongono loro: quella della contesa sul know how dell’organizzazione.
Per far ciò potrebbe essere sufficiente, in prima battuta, rendere trasparenti ed evidenti gli obiettivi economici, politici e sociali della mafia; trasformare le informazioni vitali, gelosamente acquisite e custodite dalla criminalità, in un patrimonio condiviso in cui operazioni commerciali, cointeressenze, partecipazioni, subappalti, soggetti imprenditoriali siano dati noti e, come tali, sempre verificabili.
Un habitat sociale non più ammorbato da segreti, da propalazioni, da spiate servilmente recapitate al capo della ‘ndrina, ma ordinato dalla verità, dalla comune consapevolezza, dalla pubblica trasparenza in cui sono dispersi gli arcana dominationis, i riti di un potere che preferisce le tenebre alla luce.



(1) Si veda l'interessante analisi di BULTRINI, Spionaggio, inganni, stratagemmi e sicurezza nel pensiero militare, politico e giuridico agli inizi dell'Età Moderna, in Suppl. al n.1 della Rassegna dell'Arma dei Carabinieri, 1992.
(2) Naturalmente in questa sede si deve rinviare per intero al contenuto delle ultime elaborazioni dottrinali (Visconti, "Contiguità alla mafia e responsabilità penale", Torino, 2003; Cavaliere, "Il concorso eventuale nel reato associativo", Napoli, 2003; Morosini, "La difficile tipizzazione giurisprudenziale del "concorso esterno" in associazione", in "Diritto penale e processo", 2006, 592) e giurisprudenziali (Cassazione sezioni unite, 30 ottobre 2002, Carnevale, in "Foro italiano", 2003, II, 453; sezioni unite, 12 luglio 2005, Mannino, in "Guida al diritto", 2005, n.39, 88; sezione V, 15 maggio 2006, Pg in proc. Prinzivalli, in "Diritto penale e processo", 2006, 1112 con nota di Corvi; sezione VI, 6 febbraio 2004, Pg in proc. Credentino, in "Foro italiano", 2005, II, 320).
(3) Sul controverso dibattito riguardante le relazioni tra responsabilità penale oggettiva e responsabilità derivante dall'attribuzione di una determinata posizione all'interno di un'associazione mafiosa cfr. Cassazione sezione VI, 15 novembre 2007, P.M. in proc. Saltalamacchia, in Ced. Cass. n.238402; sezione I, 2 dicembre 2003, Riina e altri, ivi n. 228379; sezione V, 30 maggio 2002, Aglieri, ivi n.226423; sezione I, 22 dicembre 1997, P.M. e Nikolic ed altri, ivi n. 209846.
(4) Correttamente il Tribunale Palermo, ordinanza 10 maggio 2001, Calabrò, in "Giurisprudenza merito", 2002, 510 annota che "l'aggravante ad effetto speciale di cui all'art. 7 D.l. n. 152 del 1991 (delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dall'art. 416 bis c.p. ovvero al fine di agevolare l'attività delle associazioni previste dallo stesso articolo) non è incompatibile con la qualità di appartenente all'associazione mafiosa, dovendosi ritenere che il legislatore abbia voluto valutare diversamente la gravità di un reato commesso al fine di agevolare la mafia ovvero avvalendosi delle "condizioni mafiose", rispetto al reato che, commesso pur da un associato, abbia carattere individuale per contesto e per finalità". In giurisprudenza, da ultimo, Cassazione sezione I, 6 novembre 2007, Comis, in Ced. Cass. n.238642; sezione VI, 26 aprile 2007, De Rito, in ivi n.236861; sezione VI, 2 aprile 2007, Mauro, ivi n. 236628; sezione I, 20 dicembre 2004, P.G. in proc. Tomasi ed altri, ivi n.230451ove si precisa che "la circostanza aggravante prevista dall'art. 7 D. L. 13 maggio 1991 n. 152, convertito in legge 12 luglio 1991 n. 203 si applica a tutti coloro, partecipi o non di qualche sodalizio criminoso, la cui condotta sia riconducibile a una delle due forme in cui può atteggiarsi (aver commesso il fatto avvalendosi delle condizioni previste dall'art. 416-bis Cod. pen. ovvero al fine di agevolare l'attività delle associazioni previste dallo stesso articolo) e, per i soggetti partecipi, opera anche con riferimento ai reati-fine dell'associazione".
(5) Clapmarius Arnoldus, De arcanis rerum publicarum, Buch 3, Amsterodami, apud Ludovicum Elzevirium, 1644.
(6) Sia consentito il rinvio, da ultimo, A. Cisterna, "Boss e politici, è sufficiente l'intesa preventiva" nota a commento di Cassazione sezione V, 6 febbraio 2007, Tursi Prato, in "Guida agli enti locali. Il sole-24ore", 2007, n. 27, 60.
(7) Sul punto, tra molti, Ventura, "Fedeltà alla Repubblica", Milano, 1984; P. Prodi "Il sacramento del potere: il giuramento politico costituzionale nella storia dell'Occidente", Bologna, 1992. Si veda ancora la L. 331 del 2001 che riassume questi concetti nel principio in base al quale "le Forze armate sono al servizio della Repubblica" e "concorrono alla salvaguardia delle libere istituzioni" (rispettivamente commi 1 e 5 dell'art. 1), e la L. n. 382 del 1978, ove si prescrive che "l'assoluta fedeltà alle istituzioni repubblicane è il fondamento dei doveri del militare" (art. 4, comma 1).
(8) Mattarolo, "Obbligo di fedeltà del prestatore di lavoro. Art. 2105", in "Il Codice Civile" commentario diretto da Piero Schlesinger, Milano, 2000.
(9) Appare di particolare rilevanza la premessa che, nel corpo del decreto legge, illustra le ragioni che hanno giustificato l'adozione del provvedimento legislativo in parola "Ritenuta la straordinaria necessità ed urgenza di adottare misure volte a rafforzare le misure di contrasto alla detenzione illegale di contenuti e dati relativi ad intercettazioni effettuate illecitamente, nonchè ad informazioni illegalmente raccolte. Ritenuta altresì la straordinaria necessità ed urgenza di apprestare più incisive misure atte ad evitare l'indebita diffusione e comunicazione di dati od elementi concernenti conversazioni telefoniche o telematiche illecitamente intercettate o acquisite, nonché di informazioni illegalmente raccolte e, nel contempo, di garantire adeguate forme di indennizzo alle vittime di fatti illeciti in materia".
(10) Per una prima interpretazione cfr. Cassazione sez.V, 13 marzo 2007, Mancini, in Ced. Cass. n. 236402, nonché le problematiche esposte nel provvedimento di remissione alla Corte costituzionale da Tribunale di Milano - Ufficio del Giudice per le indagini preliminari, ordinanza 30 marzo 2007, in "Guida al diritto", 2007, n.22, 58 con nota di Cisterna, "Prevedibile una restituzione di atti in attesa delle nuove eccezioni".
(11) Si considerino oltre all'art. 416-bis e 416-ter, le disposizioni di cui all'art.3 quater della L. 31 maggio 1965 n. 575, quelle in tema di certificazione antimafia o ancora quelle che regolano lo scioglimento dei consigli comunali, provinciali e delle aziende sanitarie.

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