Percezione di nuovi scenari La sicurezza energetica |
Giovanni ERCOLANI |
Il concetto di "Security-Sicurezza" Il crollo del Muro di Berlino e l’implosione della ex-Unione Sovietica portarono, già agli albori degli anni ‘90 del secolo scorso, ad una radicale revisione del concetto di sicurezza: dall’iniziale interpretazione di "sistema-apparato militare" si pervenne presto ad una visione più ampia, sviluppatasi essenzialmente a livello accademico così come come era già avvenuto sul finire del II Conflitto Mondiale. L’Unione Sovietica, come è noto, non venne sconfitta militarmente e le diverse teorie di relazioni internazionali, specificamente quella definita "Realista", non hanno potuto trovare soddisfazione nei diversi tentativi di validare i propri presupposti nonostante una rilettura a ritroso della storia quando questa era ormai già stata vissuta e scritta. Nel 1991, con la pubblicazione di un testo accademico da parte di Barry Buzan (1) , lo stesso concetto di "sicurezza" venne ampliato ed aggiornato, risultando ormai obsoleto quello che era stato in uso durante la Guerra Fredda. Mantenendo come attore principale delle relazioni internazionali la figura dello "Stato" che opera in un sistema di "matura anarchia" (2) (sistema in cui si sono sviluppati dei criteri da parte dello Stato che consolida la propria identità e legittimità e riconosce quella degli altri Stati), l’autore sposta il centro referente del concetto stesso di sicurezza: non coincidendo più le frontiere disegnate da gruppi etnici e culturali con quelli dello Stato-nazione si deve parlare di human collectivities. Quindi la sicurezza di queste "collettività umane" può essere minacciata da taluni e specifici fattori in cinque particolari settori e cioè militare, politico, economico, sociale ed ambientale. Ultimamente portati a sei, con l’aggiunta della religione (3) , questi elementi compongono il concetto di sicurezza nell’accezione più ampia; non operando isolatamente, sono legati da una rete di rapporti che li vede strettamente interdipendenti. In questo contesto, il processo di "securitization" di uno Stato (o una società), in cui sia consolidata vis-à-vis la minaccia e/o il nemico, deve dare una concreta risposta a quelle che io definisco le cinque domande di Pyrrho (4) : 1. Chi/cosa deve essere protetto? 2. Da chi/quando deve essere protetto? 3. Perché/come deve essere protetto? 4. Chi provvede alla sicurezza? 5. Quali metodi/approcci devono essere utilizzati per provvedere alla sicurezza? Per dare una risposta che ci permetta di legare il concetto di "sicurezza" a quello di "sicurezza energetica" è necessario individuare e definire il tipo di "Stato" che è chiamato a provvedere alla "sicurezza" dei suoi cittadini. Secondo le teorie sviluppate da Rober Cooper (5) , gli Stati - considerata la loro evoluzione statuale, economica, intellectual basis e le relazioni estere - si classificano in "pre-modern", "modern" e "post-modern". L’Europa, a partire dal 1989, ha iniziato ad operare come un "post-modern state". "Il ‘post-modern state’ si autodefinisce attraverso la propria politica di sicurezza che avviene attraverso scelte politiche. (...) In questa forma di Stato gli ‘individui’ hanno vinto e la politica estera è la continuazione delle preoccupazioni interne oltre le frontiere nazionali. Il consumo individuale rimpiazza la gloria collettiva come tema dominante della vita nazionale. La guerra deve essere evitata: l’acquisizione di territori con la forza non è un interesse" (6) . Tale immagine di "post-modern state" si avvicina molto a quella di "market state" definita da Philip Bobbitt (7) . Caratteristiche del "market state" sono che esso dipende dal sistema del mercato del capitale internazionale e dal successo economico; suo fine è massimizzare le opportunità dei membri che compongono la propria società. Appare dunque chiaro come la politica economica di un Paese ("post-modern state" o "market state") abbia un fortissimo impatto sui settori politico e sociale. Per il semplice fatto che l’economia (ed il modus vivendi) della maggior parte di questi Paesi - che appartengono a questa fascia definita "post-modern state" e "market state"- dipende dall’importazione di risorse energetiche quali petrolio e gas naturale, appare evidente il nesso tra sicurezza nazionale e sicurezza energetica. Possiamo adesso rispondere ai cinque interrogativi di Pyrrho basandoci più sulla sostanza che sulla forma: 1. deve essere protetta la nostra società ed il nostro sistema di vita; 2. il nemico non deve più essere identificato in un individuo, in uno Stato o in un attore non statale. Il concetto necessita di un ampliamento fino ad inglobare la definizione di situazione come particolare minaccia; 3. le conquiste di un intero corpo sociale (radici, cultura, progresso) vanno tutelate. Lo Stato provvede a regolamentare, a definire e ad apprestare i mezzi di difesa; 4. lo Stato sovrano, dotato dell’autorità che l’assetto giuridico gli conferisce, deve provvedere alla sicurezza nell’ambito del complesso delle responsabilità e delle competenze demandategli dal sistema; 5. essendo la prevenzione uno degli approcci e dei metodi adottati dagli Stati e quindi dai rispettivi apparati di sicurezza, è di tutta evidenza che l’Intelligence deve assumere un ruolo primario. Come sostenuto da Thomas L. Friedman, "le risorse energetiche rappresentano la più importante sfida geostrategica e geoeconomica del nostro tempo" (8) , al punto che, proprio in questo periodo, definito "post-post-Cold War" gli "axis of oil" (9) (Russia, Venezuela ed Iran) "sono più importanti del terrorismo stesso" (10) . "Sicurezza Energetica": evoluzione di un concetto Alla stregua di quanto avvenuto con il concetto di security così anche quello di sicurezza energetica ha subito una inevitabile evoluzione, non essendo ormai più riconducibile esclusivamente alle problematiche degli approvvigionamenti energetici ed alla loro diversificazione (11) . In un contesto in cui i maggiori Paesi consumatori stanno facendo fatica a liberalizzare e privatizzare definitivamente le società petrolifere nazionali, più o meno ancora partecipate dallo Stato a ragione della loro rilevanza strategica ed i Paesi produttori stanno nuovamente nazionalizzando le risorse presenti sui propri territori, il discorso si amplia oltre le frontiere nazionali degli stessi Paesi consumatori come è il caso dell’Unione Europea.
2. la crescita demografica che avverrà per il 95% in Paesi in via di sviluppo (pre-modern e modern states, molti dei quali produttori energetici o allocati in regioni geopoliticamente e strategicamente importanti); 3. le risorse energetiche che vengono estratte in pre-modern e modern states; 4. nuovi conflitti e terrorismo. Queste quattro preoccupazioni sono state anche confermate dalle due edizioni dell’US National Security Strategy del 2002 e del 2006. "Energy Security: An Umbrella Term" La "Frontiera": un fronte allargato Questo riferimento alla politica statunitense ci permette a questo punto di individuare e definire il terzo elemento di questa analisi, precisamente il concetto di "frontiera", termine che non è più destinato a definire solo i limiti territoriali fisici del post-modern/market-state in quanto la dipendenza e le minacce che possibilmente questo sarà costretto ad affrontare si trovano notoriamente al di là appunto dei confini nazionali. Con l’improvviso aumento dei prezzi delle risorse energetiche (con chiaro riflesso su quello di certi prodotti agricoli ad uso alimentare utilizzati ora per produrre energia c.d. pulita) dovuto non solo all’aumento della domanda da parte di Paesi emergenti (14) ma anche all’azione di gruppi di investitori e speculatori (e criminali) il mondo dipenderà sempre più da nuove forme di rifornimenti che provengono da aree dove i sistemi di sicurezza sono ancora in via di definizione. In aree come quelle del Mar Caspio e dell’Africa Occidentale, dove petrolio e gas naturale vengono estratti, la minaccia alla sicurezza non è solo rappresentata da attività terroristiche e criminali, guerre civili, atti di pirateria ma anche da disastri ambientali (15) . Da un punto di vista nazionale, a distanza di tre anni dalla dichiarata conclusione della guerra in Iraq, alcuni membri dell’establishment americano stanno ammettendo il legame tra l’invasione e la rilevanza delle fonti di energia fossile presenti in Iraq. "Anche se politicamente inconveniente la guerra in Iraq è per il petrolio!" ha recentemente affermato Alan Greenspan, poi costretto a "chiarire" meglio il senso della sua dichiarazione (16) . Il discorso di sovrapporre le quattro "preoccupazioni" americane ci porta anche in Africa dove Washington, in una corsa contro il tempo e contro la Cina che si sta sempre più interessando al petrolio africano, ha predisposto un piano di 500 milioni di dollari al fine di eradicare cellule terroristiche islamiche (legate ad Al Qaeda) dall’Africa occidentale. Il piano, che prevede la costituzione di un comando americano (AFRICOM) in un Paese ancora non indicato, oltre a combattere il terrorismo dovrebbe assicurare stabilità ai Paesi locali (in particolare alla Nigeria) e garantire continuità delle operazioni di produzione da fonti energetiche primarie (17) . Ciò spiega in parte la richesta americana rivolta ai Paesi aderenti all’OPEC di aumentare la produzione (18) e l’interesse di società petrolifere straniere a ché venga approvata al più presto dal Parlamento iracheno la legge sullo sfruttamento delle risorse energetiche con la definizione delle quote da affidare su base contrattuale (19) . Il problema energetico, dove "l’energia è il fattore chiave della sicurezza nazionale degli Stati Uniti" (20) , è nell’agenda della campagna elettorale dei candidati alla presidenza americana: John McCain e Barack Obama. Ma la "frontiera" si allarga ulteriormente se andiamo ad analizzare l’evoluzione di una organizzazione internazionale quale la NATO. Tra il 1991 ed il 1999, l’Organizzazione ha lavorato per ridefinire la propria missione a seguito della scomparsa della minaccia del comunismo sovietico. Durante l’intervento umanitario portato in Kosovo, l’Alleanza, festeggiando i suoi 50 anni di esistenza, formulava il "Nuovo Concetto Strategico" firmato da tutti gli alleati il 24 aprile 1999 a Washington. In particolare, sono due gli articoli che ci fanno intravedere come la "minaccia" non sia più identificata nella figura di un determinato nemico o Paese, bensì in situazioni di crisi che possono provocare danni all’economia dei Paesi costituenti l’Alleanza: -Art.20: "(...) Rivalità etniche e religiose, dispute territoriali, tentativi inadeguati o falliti di riforma, abuso dei diritti umani, e la dissoluzione degli Stati possono portare a instabilità locali o anche regionali. Le tensioni risultanti potrebbero portare a crisi che incidano sulla stabilità euro-atlantica." -Art. 24: "(...) Un qualsiasi attacco armato sul territorio degli Alleati, da qualunque parte provenga, sarebbe coperto dagli Articoli 5 e 6 del Trattato di Washington. Tuttavia la sicurezza dell’Alleanza deve anche prendere in considerazione il contesto globale. Gli interessi di sicurezza dell’Alleanza possono andare soggetti ad altri rischi di una natura più ampia, inclusi atti di terrorismo, di sabotaggio e di crimine organizzato, o anche alla interruzione del flusso di risorse vitali. I movimenti incontrollati di un gran numero di persone, in particolare come conseguenza di conflitti armati, possono anche porre problemi per la sicurezza e la stabilità, che colpiscano l’Alleanza." (21) Il dibattito che venne aperto circa la possibilità di un coinvolgimento dell’Alleanza Atlantica in operazioni di "energy security" (22) ha trovato nella guerra al terrore un ulteriore impulso. Per Gal Luft, Direttore Esecutivo dell’Institute for the Analysis of Global Security di Washington, "(...) il nuovo contesto di sicurezza (NATO) vuol dire che gli interventi nei Paesi produttori di petrolio, le attività navali lungo gli stretti strategici e le operazioni di antiterrorismo contro i petro-jihadisti che vogliono bloccare l’economia mondiale interrompendo il nostro approvvigionamento energetico sono quasi del tutto certi. Nessuno dei problemi che il sistema energetico mondiale ha di fronte è transitorio e la sfida determinata dalla sicurezza energetica può solo crescere nel tempo. Nei prossimi anni, come ha dichiarato il Senatore Richard Lugar, presidente della Commissione relazioni estere del Senato USA, alla vigilia del ve rtice di Riga, ‘la più probabile fonte di conflitti armati nel teatro europeo e n elle regioni circostanti sarà la scarsità e la speculazione sui prodotti energetici’ ". Proprio questa priorità della sicurezza energetica nel contesto di sicurezza della NATO ha fatto scrivere a Barry Buzan che "sebbene la minaccia terroristica sia importante, da parte dell’amministrazione americana la ‘global war on terrorism’ è stata elevata ad un ‘manifesto’ strategico per rimpiazzare il nemico oramai sparito del comunismo sovietico" (23) . Si può benissimo tracciare una linea che vede la sicurezza energetica come una costante preoccupazione della NATO dal 1999 sino ai nostri giorni. In due Summit NATO l’energia è stata vista sia come un’arma che come un bersaglio da proteggere. Durante il Summit della NATO di Riga (2006): -mentre il senatore americano Richard Lugar, Chairman of the Senate Foreign Relations Commitee, ha proposto la possibilità di invocare l’Art. 5 del Patto Atlantico nel caso in cui le risorse energetiche di un Paese membro vengano minacciate con la forza arrivando così ad equiparare questa minaccia ad un vero e proprio attacco militare (24) , -Jamie Shea, Director of NATO Policy Planning, ha suggerito la creazione, da parte del Consiglio Atlantico, di una Cellula per l’analisi dell’Intelligence e la sicurezza energetica. Secondo Shea: "un’Unità simile è stata già formata e, con successo, si occupa di terrorismo ma si potrebbe benissimo allargare il mandato di questa Unità includendo uno specifico compito relativo all’Intelligence sulla sicurezza energetica. Le informazioni raccolte dagli alleati, da partners, da società petrolifere e da diversi governi verrebbero poi gestite da un Comitato Speciale con il compito specifico di facilitarne il flusso e l’utilizzazione da parte delle diverse entità che si occupano della sicurezza energetica" (25) . In una visione geopolitica ad ampio raggio la NATO è coinvolta in una serie di partnership con i Paesi sia consumatori che produttori di energia: -"Partnership for Peace", con i Paesi dell’Europa Orientale e Centrale; -"Istanbul Cooperation Initiative", con i Paesi del Medio Oriente; -"Mediterreanean Dialogue" con i Paesi della sponda del Mediterraneo, -per non parlare poi dei diversi partenariati con l’Australia, il Giappone (questi due Paesi potrebbero in un futuro far parte formalmente dell’Alleanza; in questo si potrebbe vedere una nuova politica di containment nei confronti della Cina), Nuova Zelanda e Corea (26) . Più recentemente, al Summit NATO di Bucarest (2008), il discorso energia-geopolitica è stato riaffermato con il fortissimo sostegno dato dagli Stati Uniti alla Georgia ed all’Ucraina (27) che hanno fatto richiesta di entrare nell’Alleanza. Ingresso ancora una volta rimandato per una serie di ragioni geopolitiche tra cui le spinte secessioniste interne e le minacce della Russia, Paese dal quale pure si dipartono i gasdotti e le pipelines che attraversano le due Nazioni richiedenti e che rilevano fortemente per l’Europa Centrale ed Occidentale sotto il profilo geostrategico. La dichiarazione congiunta dei capi di governo che hanno partecipato al Summit di Bucarest è di notevole importanza perchè una volta di più il fortissimo legame "energy security" ed "intelligence" viene ribadito con un valore programmatico. Il ruolo della NATO per la "Sicurezza Energetica", secondo la dichiarazione, dovrà, pertanto, estrinsecarsi nei seguenti campi: 1. "fusione e condivisione della conoscenza e delle informazioni segrete"; 2. "progettare stabilità"; 3. "promuovere la cooperazione sia internazionale che per ogni singola regione"; 4. "dare supporto ad una gestione consequenziale"; 5. "assicurare la protezione delle strutture critiche di produzione d’energia" (28) . Possiamo dunque affermare che il "Nuovo Concetto Strategico", che vedrà la luce nel 2009 in occasione della celebrazione dei 60 anni dell’Alleanza Atlantica, manterrà ed amplierà la messa in pratica dei due concetti di "Energy Security" e di "Intelligence". Il principale problema che dovranno affrontare gli alleati sarà quello di chi sarà pronto e chi no ad assumere incarichi e portarli avanti con competenza, dando così luogo a delle gerarchie deputate alla gestione della "Energy Security Policy". Prepararsi per il nuovo fronte Ritornando alle preoccupazioni degli Stati Uniti, il quarto punto menziona la minaccia delle nuove guerre e del terrorismo. Come vedremo, entrambi i termini sono fortemente legati tra loro. Mary Kaldor, in una sua opera "New & Old Wars: organized violence in a global era" (29) individua come elementi caratterizzanti delle "New Wars" la nuova politica dell’identità, i diversi metodi di combattimento, la nuova economia di guerra. -La nuova politica dell’identità - sia nazionale che transnazionale - comporta una rivendicazione del potere, anche distruttivo, sulla base di semplici etichette, in contesti di indebolimento delle fonti della legittimità politica, a livello locale o globale (per esempio degli organismi internazionali): un gruppo rivendica una posizione di privilegio su di un altro in quanto portatore di purezza etnica o garante dell’ordine internazionale, paladino dei diritti umani contro la violenza genocida o rappresentante del bene contro il male. Etichette, appunto, che tendono a isolare singoli Paesi creando contrapposizioni funzionali al controllo della geopolitica mondiale. -I diversi metodi di combattimento sono da una parte riconducibili alle tecniche della guerriglia (e sono le aggressioni alle città sperimentate nei Balcani, discutibilmente definite "guerre civili"), dall’altra alla logica della spettacolarità, anche mediatica (la guerra in Iraq e la guerra NATO nella Federazione serbo-montenegrina e in Kosovo). Le nuove tecniche di combattimento tendono, infatti, a evitare gli scontri diretti tra eserciti regolari, con l’effetto di aver rovesciato, nel corso del Novecento, il rapporto tra vittime militari e vittime civili: nella prima guerra mondiale rispettivamente otto a uno, nella seconda in rapporto di parità, nella guerra moderna uno a otto. -La nuova economia di guerra, infine, è decentralizzata (al contrario di quanto avveniva nelle guerre tradizionali) e dipende fortemente dalle risorse esterne, compreso il commercio illegale di armi, droga, beni pregiati; prevede, inoltre, il ricorso all’embargo, con l’effetto di produrre regressione delle relazioni sociali ed azzeramento di diritti umani fondamentali quali la salute e l’istruzione, oltre che della vita stessa. Quando vengono analizzati gli attori che prendono parte a queste "nuove guerre" si nota che esse avvengono all’interno degli Stati, sono guerre civili, quindi non guerre tra Stati. Vengono condotte e combatture da forze regolari, gruppi paramilitari, self defence units (composte da volontari che cercano di difendere il proprio terrirorio), mercenari stranieri e, per ultime, da truppe regolari straniere che sono coinvolte nei conflitti in quanto operano per conto delle Nazioni Unite, della NATO, ecc.. Un altro fattore importante, però, è costituito dall’economia di guerra al punto che tali stati di conflittualità vengono definiti cheap, "guerre a buon mercato" (30) , non solo da un punto di vista dell’armamento utilizzato ma anche per quanto attiene alla disponibilità di "mano d’opera" che partecipa al conflitto stesso portando differenti motivazioni, di per sé passaggio molto interessante ed intrigante. Infatti, se queste guerre/conflitti interni ("civil wars", "new wars") avvengono in un ambiente in cui: 1. il governo viene abbattuto o sprofonda; 2. gruppi minoritari si trovano geograficamente isolati all’interno di un diverso gruppo etnico di dimensioni maggiori; 3. l’equilibrio del potere politico si sposta da un gruppo ad un altro; 4. le risorse economiche del Paese cambiano velocemente di mano; 5. ai gruppi viene chiesto di smobilitare i propri eserciti partigiani. (31) Se a questi cinque fattori aggiungiamo che: -"i conflitti il più delle volte sono causati da occasioni economiche piuttosto che da motivazioni legate a combattere l’ingiustizia"(32) -il Paese colpito da una guerra civile/new war produce risorse energetiche, allora ci troviamo di fronte a conflitti che vengono definiti come New Oil Wars. L’evoluzione del concetto di New Oil Wars, coniato da Mary Kaldor, riproduce le tappe dei concetti di new wars e old wars, ma in questo caso applicandolo a Paesi che producono e vivono esclusivamente degli introiti derivanti dalla produzione energetica. Mentre nelle old oil wars il discorso strategico, quindi prettamente militare e geopolitico, era il più rilevante, in quanto le superpotenze potevano controllare - direttamente e/o indirettamente - manu militari il territorio dello Stato produttore, ora con le New oil wars questo è più complicato. Siamo di fronte, infatti, a conflitti che vedono coinvolti attori statali e non statali, entrambi interessati alle revenues derivanti dalla vendita e trasporto delle risorse energetiche. In un primo momento questi conflitti assumono la forma di old wars laddove gli attori sono ancora le grandi potenze; mano a mano che il ciclo della violenza evolve, entrano in scena nuovi gruppi portatori di interessi altrettanto forti, cosicché lo Stato perde completamente il dominio del monopolio della forza: da qui la fase della New oil wars(33) Siffatta tipologia di conflitti può presentarsi sottoforma di lotte secessioniste (casi del Delta del Niger in Nigeria o del Sud della Thailandia) o di vere e proprie guerre civili (Algeria, Colombia, Sudan ed Iraq). Secondo Michael Ross, la ricchezza ricavata dalle risorse energetiche ( oil wealth) può innescare conflitti armati in tre maniere: 1. causando instabilità economica che porta all’instabilità politica; 2. oil wealth spesso aiuta a mantenere le forze insorgenti; 3. oil wealth incoraggia i separatismiNew oil wars(34) . In termini pratici, se dovessero esserci attentati terroristici a danno delle fonti e/o ai sistemi di distribuzione delle risorse energetiche, il gruppo terroristico - preso nella totalità delle sue più svariate rivendicazioni di carattere religioso, indipendentista, separatista, autonomista e/o politico - potrebbe raggiungere i seguenti risultati strategici: -provocare seri danni economici al governo del Paese contro cui combatte, facilitando così il raggiungimento dell’obiettivo politico; -provocare seri danni anche ai Paesi stranieri che hanno investito e che sostengono il governo del Paese; -riuscire ad autofinanziarsi, sia rivendendo le risorse energetiche che si è procurato sia minacciando (ricatto) ulteriori attacchi al fine di ricevere danaro da investire in armamento, addestramento, ecc. dei componenti del gruppo di appartenenza. Gli attacchi potrebbero avvenire: -facendo esplodere le pipeline; -facendo esplodere pozzi di petrolio o altre infrastrutture (piattaforme petrolifere); -attaccando le petroliere; -attaccando o minacciando di attaccare il traffico marittimo nei "choke points"; -facendo esplodere gli uffici della compagnia petrolifera nazionale o straniera; -sequestrando e/o uccidendo il personale della compagnia petrolifera (vedere i recenti casi in Nigeria e l’attività terroristica del MEND - Movement for the Emancipation of the Niger Delta)New oil wars(35) Proprio il carattere di questi conflitti - interni, ma con indubbie ripercussioni internazionali - contraddistinti dalla varietà e qualità degli attori coinvolti, specie quando di terrorismo internazionale si tratti, contribuiscono a dare alla politica di energy security un livello di operabilità senza frontiere, in quanto, mancando chiaramente un fronte, l’idea è di una guerra vera che si combatte su diversi campi e nell’ambito di scenari non propriamente tradizionali, così come conferma Javier Blas in una recente analisi apparsa sul Financial Times: "in genere solo una guerra può causare un aumento di 10 $ al barile in una settimana"New oil wars(36) è dunque una guerra che si gioca anche sulle percezioni oltre che su conflitti veri e propri e su minacce, proiezioni di produzioni e consumi; ma è anche una guerra che vede partecipi, tra gli altri, gli attori delle war economy presenti nelle new wars. L’incompatibilità tra le forze in conflitto risiede nel controllo delle risorse energetiche: pertanto, gli Stati Uniti hanno elaborato un programma, che ora sta diventando realtà, prodotto delle esperienze maturate nella guerra al terrore e che hanno portato il Pentagono ad investire più risorse ed energie nella cooperazione civile-militare con un approccio del tutto nuovo. Avendo identificato situazioni a rischio nel 2006, lo State Department ha iniziato ad offrire a studenti americani borse di studio di "critical languages" quali l’arabo, il bangla/bengali, l’hindi, il punjabi, il turco e l’urdu, per poi aggiungere, nel corso del 2007, il cinese, il coreano, il persiano ed il russoNew oil wars(37) Forti di un approccio più vicino agli studi di "Conflict Resolution", le Forze armate americane hanno adottato nel febbraio 2008 il nuovo "Operations Manual FM 3-0". "Secondo il manuale, gli Stati Uniti nel corso dei prossimi tre lustri dovranno: affrontare una era complessa di conflittualità ininterrotta; sostenere conflitti fuori dal territorio nazionale in Paesi dove le istituzioni locali sono fragili e l’ambiente difficilissimo e ostile; con le loro forze armate operare in presenza di popolazioni civili; elevare il livello di importanza delle stesse Stability Operations al punto da doverle parificare alla vittoria sull’avversario-nemico"New oil wars(38) . La particolarità di questo manuale risiede nel fatto che le operazioni di costruzione e stabilizzazione delle Nazioni non sono solo militari, ma anche di Intelligence con il coinvolgimento di numerose Agenzie e finanche di ONG. Questo perchè le operazioni di contro-insurrezione si vincono dal di dentro, perchè vengono combattute tra la popolazione civile e "modellare la struttura civile-amministrativa è altrettanto importante per il successo". Operazioni che hanno un carattere prevalentemente interno perchè gli attori delle nuove guerre si muovono in maniera "cellulare" e a diversi livelli. Il fenomeno terroristico opera sia a livello nazionale che internazionale e la caratteristica, se volessimo prendere come esempio Al Qaeda, non è solo la sua struttura ma il fascino che esercita nei confronti di certi individui/gruppi attraverso i messaggi che riesce a diffondere. Conclusioni Una volta ribaltato l’approccio verso gli attuali conflitti, si rende necessario creare una nuova mappatura delle possibili minacce. Ed è tracciando questa "mappa del conflitto" o meglio ancora la New Oil Wars Mapping che il contesto nazionale e quello internazionale si sovrappongono dando luogo ad un’unica minaccia alla sicurezza. Per analizzare, interpretare e comprendere la "mappa", diventa per ciò indispensabile il ruolo dell’ Intelligenceche deve saper fornire risposte adeguate a tre domande ontologiche di base: 1. cosa è considerato come realtà? 2. Che cosa consideriamo come conoscenza affidabile? 3. Cosa possiamo fare? Solo dopo aver chiarito che la realtà di fatto è un "conflitto" e che un gran numero di informazioni viaggiano non solo sui canali di fonti aperte, ma anche attraverso circuiti finanziari ristretti capaci di determinare flussi e concentrazioni occulte finalizzate eventualmente ad alimentare finanche il conflitto stesso a favore di una parte, nonché attraverso organizzazioni criminali internazionali, gruppi/cellule terroristiche e lo stesso terreno (nazionale ed internazionale), allora si può dar vita ad una comunità epistemologica in grado di rispondere alla terza domanda "Cosa possiamo fare?" fornendo così all’autorità politica un quadro esaustivo di situazione di crisi. Una comunità multidisciplinare - esperti ed analisti di diverse materie, dalla finanza internazionale alla sociologia, dai linguisti agli esperti di risorse energetiche - che confronti le informazioni provenienti dal terreno (militari, forze di polizia, società, aziende, ecc.) con quelle desumibili dalle fonti aperte o procedenti da fonti chiuse. La stessa divisione, anch’essa superata, tra Difesa e Sicurezza dovrebbe di converso suggerire metodiche al passo con i tempi concedendo più spazio all’uomo impegnato sul terreno, il quale, indipendentemente dal colore delle mostrine, ha la possibilità, in base alle proprie qualità e conoscenze culturali e professionali, di interagire con l’ambiente in cui è inserito e, se del caso, "passare inosservato" all’interno di strutture/situazioni/ambienti, il tutto con il fine di contribuire alla sicurezza nazionale. Un adattamento di questo tipo richiede: un quadro normativo di riferimento chiaro ed inequivocabile atto a tutelare l’agente, nonché tempo e risorse per la formazione, l’addestramento, l’organizzazione, il coordinamento e l’inserimento. Non a caso, molti Paesi hanno deciso di sopperire alle carenze strutturali dei rispettivi sistemi esternalizzando funzioni di siffatta delicata natura delegando compiti specifici a compagnie militari e di sicurezza private, di certo meno vincolate, flessibili e più rispondenti oggi ad impieghi di teatro e quindi alle operazioni sul terreno in zone di conflitto (a bassa ed alta intensità), simili a quelle ove, peraltro, già operano le Forze armate italiane. In tale contesto, sta emergendo una nuova figura professionale, quella dell’ Human Security Worker, che, per le caratteristiche distintive proprie, potrà essere percepita dagli attori locali (popolazioni ma anche parti in conflitto) come più neutra rispetto alle forze militari regolari di un Paese o di una coalizione anche se dotate di un badge delle UN o della NATO. Contesto in cui il "diritto a difendere" ed il "diritto ad intervenire" per proteggere le popolazioni civili hanno sin qui consentito l’intervento di terze parti con funzioni di "peace-maker", "peace-builder", "humanitarian mission" ed altro. Pertanto, il tema della "Human Security"New oil wars(39) sta prendendo sempre più forza. L’ Human Security Worker, risultato della cooperazione civile-militare, dovrebbe quindi avere caratteristiche e requisiti tali da avvicinarlo quanto più possibile ad un operatore di una ONG. Pertanto, non sarà uniformato ma addestrato sì all’uso delle armi, sarà dotato di un bagaglio culturale di livello universitario, formato e preparato sulle specifiche questioni di human security e di Diritto Umanitario Internazionale, assimilato al funzionario di Polizia o dei Carabinieri, che dovrà entrare in stretto contatto con la popolazione afflitta dal conflitto mantenendo un low profile in modo da non destare, per quanto possibile, risentimenti e reazioni nella zona delle operazioni assegnatagli ( job description)New oil wars(40) . Il fronte, però, è anche interno, per cui lo stesso approccio dovrebbe essere utilizzato a livello nazionale, in cui i confini tra intelligence statale ed intelligence privata dovrebbero venire meno. Come ha affermato recentemente l’Attorney General Michael MukaseyNew oil wars(41) , i network delle organizzazioni criminali hanno già penetrato porzioni del mercato internazionale dell’energia. Infatti: "Le organizzazioni criminali internazionali: -hanno penetrato il settore energetico ed altri settori strategici dell’economia. Queste organizzazioni, insieme ai propri partners, controllano significativi settori dei mercati dell’energia e di materiali strategici che sono vitali agli interessi della sicurezza nazionale degli USA. Tali attività inoltre hanno un effetto destabilizzante negli interessi geopolitici americani; -forniscono supporto logistico ed altro a gruppi terroristici, Servizi di Intelligence straniera e Paesi stranieri; -sono responsabili del traffico di esseri umani e delle attività di contrabbando negli USA; -sfruttano gli USA ed il sistema finanziario internazionale per muovere capitali illeciti; -usano il "cyberspace" per colpire cittadini e strutture americane; -manipolano "security exchanges" e stanno perpetrando frodi specializzate; -corrompono e cercano di corrompere i funzionari pubblici negli USA e all’estero; -usano la minaccia della violenza, e la violenza, come base per il loro potere"New oil wars(42) Da tali affermazioni non è difficile desumere che l’aumento del prezzo del petrolio di questi ultimi mesi possa essere originato anche da cospicui processi speculativiNew oil wars(43) dietro i quali si celano gruppi criminali e società regolarmente registrate. Le minacce o gli attacchi di gruppi terroristici, come ad esempio il MEND in Nigeria, non possono trovare certamente posto ai livelli più alti della gerarchia di motivazioni serie adducibili per spiegare le tensioni dei mercati! Per questo, il mondo globalizzato ed interdipendente (market-states) corre rischi superiori a quelli immaginati o solamente percepiti e spetta proprio alla comunità dell’ Intelligence o meglio alla nuova Intelligence (nella totalità degli attori statali e non) far sì che si possa lavorare su questo fronte senza frontiere! |
(1) Barry Buzan, People, States & Fear: An Agenda for International Security Studies in the Post-Cold War Era, 2nd edn, Hemel Hempstead: Harvester Wheasheaf, 1991.
(2) Il concetto di "mature anarchy" si contrappone ai concetti di "immature anarchy" (in cui gli attori stessi vengono tenuti uniti dalla forza imposta loro dalle elites, ed in cui i rapporti tra gli Stati sono caratterizzati da una costante lotta per il dominio; tale sistema si avvicina al chaos) e di "anarchy" (assenza di un governo centrale), in Buzan, op.cit.. (3) Lausten, Carsten Bagge e Ole Waever, "In Defence of Religion: Sacred Referent Objects for Securitization", in Millennium, 29, 3 (2000), pp. 705-39. (4) Pyrrho, padre dello Scetticismo. (5) Robert Cooper, The Post-Modern State and the World Order, London: Demos, 1996; Robert Cooper, The Breaking of Nations, London: Atlantic Books, 2003. (6) Robert Cooper, The Breaking of Nations, pp. 50-54. (7) Philip Bobbit, The Shield of Achilles, New York: Anchor, 2003. (8) Thomas L. Friedman, "Gas pump geopolitics", International Herald Tribune, April 29-30, 2006. (9) Sull’uso del termine "Axis of Oil" vedere anche Flynt Leverett & Pierre Noel, "The New Axis of Oil", The National Interest, Number 84, Summer 2006, pp. 62-70, dove secondo gli autori "The term ‘axis of oil’ describes a shifting coalition of both energy exporting and energy importing states centeres in ongoing Sino-Russian collaboration". (10)Thomas L. Friedman, "The post-post-Cold War", International Herald Tribune, May 11, 2006. (11) Jan H. Kalicki and David L. Goldwyn, Energy & Security: Toward a New Foreign Policy Strategy, Washington, D.C.: Woodrow Wilson Center Press, 2005, p. 9. (12) The New Energy Security Paradigm, World Economic Forum, Spring 2006, pp. 9-10. (13) "Global Trends 2010" (1997) reperibile alla pagina: http://www.cia.gov/nic/special_globaltrends2010.html; "Global Trends 2015: A Dialogue About the Future With Non-government Experts" (2000) reperibile alla pagina: http://www.cia.gov/cia/reports/globaltrends2015/index.html; "Mapping the Global Future" (2004) reperibile alla pagina: http://www.cia.gov/nic/NIC_globaltrend2020.html#contents. (14) Gli USA hanno una popolazione di 298 milioni di abitanti e consumano annualmente 2.325 milioni di tonnellate di petrolio (m/t/p); la Cina 1,315 miliardi di popolazione per 1.609 m/t/p; l’India 1,103 miliardi di popolazione per 572 m/t/p; dati ricavati dal "Pocket World in Figure", London: The Economist, 2007. (15) Daniel Yergin, "Ensuring Energy Security", in Foreign Affairs, March/April 2006, pp. 69-82. (16) Vedere: Graham Paterson, "Alan Greenspan claims Iraq war was really for oil", The Sunday Times, September 16, 2007, reperibile alla pagina: http://www.timesonline.co.uk/tol/news/world/article2461214.ece. Gideon Rachman, "The oily truth about foreign policy", Financial Times, Tuesday May 13, 2008. (17) Su questo "AFRICOM" si può leggere: Otto Sieber, "Africa Command: Forecast for the Future", Strategic Insight, Volume VI, Issue 1, January 2007; Christopher Thompson, "The Scramble for Africa’s Oil", New Statesman, June 14, 2007; Dino Mahtani, "Poverty and graft breed extremism in Nigeria", Financial Times, Jul 5, 2007; Dino Mahtani, "The new scramble for Africa’s resources", Financial Times, Jan 28, 2008. (18) Javier Blas and Andrew Ward, "Saudis bow to oil pressure", Financial Times, May 17, 2008. (19) Antonia Juhasz, "Whose oil is it, anyway?", International Herald Tribune, March 13, 2008. (20) Richard G. Lugar, "The New Energy Realists", The National Interest, Number 84, Summer 2006, pp. 30-33. (21) NATO Summit, The Alliance’s Strategic Concept, reperibile alla pagina: www.nato.int/docu/pr/1999/p99-065e.htm. (22) Al riguardo vedere: "La NATO dovrebbe svolgere un ruolo più importante nel campo della sicurezza energetica?", in NATO Review, Primavera 2007, reperibile alla pagina: http://www.nato.int/docu/review/2007/issue1/italian/debate.html; Tom Lantos, "Un punto di vista pubblico sulla sicurezza energetica", NATO Review, Inverno 2007, reperibile alla pagina: http://www.nato.int/docu/review/2007/issue4/italian/interview2.html. (23) Barry Buzan, "Will the ‘global war on terrorism’ be the new Cold War?", International Affairs, 82:6 (2006), pp. 1101-1118. (24 )Judy Dempsey, "U.S. lawmaker urges use of NATO clause", International Herald Tribune, November 29, 2006. (25) Jamie Shea, "Sicurezza energetica: il potenziale ruolo della NATO", NATO Review, Autunno 2006, reperibile alla pagina: http://www.nato.int/docu/review/2006/issue3/italian/special1.html. (26) Thierry Legendre, "Energy Security, a New NATO issue?", 16 Jan 2008, reperibile alla pagina: http://www.nato.int/docu/speech/2008/s080116b.html. (27) Judy Dempsey, "U.S. presses NATO to grow eastward", International Herald Tribune, Febraury 14, 2008; sulla sicurezza energetica ed il Mar Nero vedere il recente articolo: Giovanni Ercolani e Carlo Frappi, "Il Mar Nero", Rivista Militare, N. 1, Gennaio/Febbraio 2008, pp. 4-13. (28) Bucharest Summit Declaration Issued by the Heads of State and Government participating in the meeting of the North Atlantic Council in Bucharest on 3 April 2008", reperibile alla pagina: http://www.summitbucharest.ro/en/doc_201.html. (29) Mary Kaldor, New & Old Wars: organized violence in a global era, Cambridge: Polity, 2nd ed, 2006. (30) Herfried Munkler, The New Wars, Cambridge: Polity, 2005, pp. 74-81. (31) Barbara F. Walter and Jack Snyders, Editors, Civil Wars, Insecurity, and Intervention, New York: Columbia University Press, 1999, pp. 4-8. (32) Mads Berdal and David M. Malone Ed., Greed and Grievance: Economic Agendas in Civil Wars, London: Lyne Rienner, 2000, pp. 91-111. (33) Le nuove guerre per il petrolio sono sia globali sia locali e così la distinzione fra guerre civili e guerre tra Nazioni in conflitti internazionali ha minor rilevanza (...) Queste coinvolgono, come protagonisti, sia Nazioni sia entità locali entrambe in cerca di redditi e da questi sostenuti. In queste circostanze è molto più arduo controllare il territorio direttamente, con metodi militari, o indirettamente sostenendo regimi autoritari (...) All’inizio del ciclo, si verifica qualcosa di simile alle condizioni che determinano "guerre di tipo tradizionale, quando gli sforzi per monopolizzare i ricavi dal petrolio implicano un monopolio di legittima violenza organizzata dallo Stato ed il controllo del territorio. Ma nel progredire del processo, lo Stato medesimo si sgretola (...) Ciò che sì evidenza, spesso all’improvviso, è la perdita del monopolio della violenza organizzata, la difficoltà di proteggere i campi petroliferi, sia militarmente sia politicamente e, nel peggiore dei casi, il collasso dello Stato stesso". In Mary Kaldor, Terry Lynn and Yahia Said, Ed., Oil Wars, London: Pluto Press, 2007, p. 25. (34) Michael L. Ross, "Blood Barrels, Why Oil Wealth Fuels Conflicts", in Foreign Affairs, May/June 2008, pp. 2-8. (35) Giovanni Ercolani, "Risorse energetiche e terrorismo", in Rivista Militare, Maggio-Giugno 2007, n. 3, pp. 7-23. (36) Javeir Blas, "Prices spike 10 USD during ‘crazy week’ fro crude", in Financial Times, may 24/may 25 2008. (37) Critical Language Scholarships Program, reperibile alla pagina: https://clscholarship.org/home.php. (38) Giovanni Ercolani, "Usa, l’Operations Manual FM 3-0 e i piani per le operazioni future", in Pagine Difesa, 31 marzo 2008, reperibile alla pagina: http://www.paginedidifesa.it/2008/ercolani_080331.html. (39) Mary Kaldor, Human Security, Cambridge: Polity, 2007. (40) Marlies Glasius, "Human Security from Paradigm Shift to Operationalization: Job Description for a Human Security Worker", in Security Dialogue, Vol. 39 (1), 2008, pp. 31-54. (41) Randal Mikkelsen, "‘Mobsters without borders’ are global threat: US", in Reuters, Apr 23, 2008, reperibile alla pagina web: http://www.reuters.com/article/domesticNews/idUSWAT00939120080424?sp=true. (42) Dave Gonigam, "Organised Crime Responsible for 119 USD Oil?", Apr 25, 2008, reperibile alla pagina: http://www.contrarianprofits.com/articles/organized-crime-responsible-for-119-oil. (43) F. William Engdahl, "More on the real reason behind high oil prices", in Globalresearch, 2 May 2008, reperibile alla pagina web: http://globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=9042. |