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GNOSIS 2/2008
Il FORUM



L'energia
nuova frontiera dell'Intelligence

a cura di Giovanni ERCOLANI




Presentiamo in tema di sicurezza energetica e possibili riflessi sul mondo dell’Intelligence, un confronto di opinioni tra alcuni operatori ed esperti privati del settore che, alla luce di esperienze dirette condotte in ambito internazionale, contribuiscono a scandagliare un mondo tanto vasto ma ancora tanto sconosciuto.



foto Ansa


Rispondono

Carlo BIFFANI - Frank G.MADSEN - Gennaro SCALA



D. Il mondo è attraversato da conflitti, tensioni e da crisi politiche, sociali ed economiche correlate anche al vertiginoso aumento dei prezzi delle materie prime. Quali sono, in particolare, le problematiche connesse agli approvvigionamenti delle fonti energetiche di origine fossile?

Gennaro Scala
Una premessa di carattere generale è d’obbligo.
Peraltro, da tale domanda discende un’altra serie di interrogativi, tutti pressanti, che attanagliano autorità, operatori e consumatori.
Come è noto, in queste ultime settimane il prezzo del greggio ha dapprima sfiorato e poi superato i 145 $ al barile mentre la qualità Brent (dal nome del campo di prima produzione situato nel Mare del Nord), quotata mediamente 2-4 $ in meno del WTI, ha addirittura superato le stesse quotazioni del West Texas Intermediate. Non era mai accaduto prima!
Talune società di rating, analisti ed esperti prevedono il raggiungimento della soglia di 150 $ in pochi mesi e addirittura quota 200 $ a medio termine (entro 1-2 anni).
Osama Bin Laden, in uno dei suoi ultimi messaggi audio, ha auspicato il raggiungimento della soglia dei 150 $/b nel più breve tempo possibile per vedere così distrutta l’economia americana e, conseguentemente, “festeggiare” la fine dell’imperialismo yankee.
Secondo le stesse stime, dal 2010 al 2012 il prezzo dovrebbe iniziare a scendere per attestarsi sui 60-75 $/b verso la fine del biennio. Quali sono dunque le cause che originano tali incrementi al punto che il prezzo alla pompa della benzina verde e del gasolio per autotrazione - che sconta maggiori costi di produzione per le carenze strutturali del processo industriale - ha superato 1,50 € per litro? Possibile che il minimo incidente - sciopero delle maestranze o blocco temporaneo di una raffineria in Francia, incendio casuale in un deposito di prodotti raffinati alle porte di Londra, danneggiamento o attentato ad un oleodotto o piattaforma marina in Nigeria, condizioni meteo avverse sul Mare del Nord o Golfo del Messico, un tornado o un ciclone in Texas, l’incidente ad una petroliera, la dichiarazione minacciosa del presidente di un paese produttore - sia effettivamente in grado di condizionare e destabilizzare fortemente intere sedute della Borsa di New York e della stessa capitale britannica provocando
un effetto domino su tutti gli altri mercati più dell’attacco terroristico dell’11 settembre e più ancora della minaccia USA di applicare nuove restrizioni all’embargo all’Iran deciso unilateralmente anni addietro? è credibile un sistema energetico apparentemente così fragile ed instabile? E, soprattutto, è sicuro? è poi vero che si avvicina sempre più il momento della fine dell’era dell’oro nero e, di conseguenza, anche quello dell’oro blu come anche viene definito il gas naturale? Ed il prezzo del metano e del GPL per autotrazione è destinato anch’esso ad aumentare di pari passo con quello della benzina e del gasolio? E quello dei biocarburanti?
Domande tutte legittime e pertinenti cui, però, è sempre più difficile dare risposte univoche, attendibili, esaustive e comprensibili all’opinione pubblica, salvo per quelle sui prezzi dei nuovi prodotti destinati ad appiattirsi sempre più verso l’alto per effetto dell’aumento della domanda in un sistema non strutturato alla stregua di quanto già avvenuto per le motorizzazioni diesel, che oggi assorbono il 35% del mercato automotore senza che vi sia stata un’attenta pianificazione o comunque un’interazione con le major della raffinazione.
Le motivazioni più semplicistiche rimandano:
• al costante aumento generalizzato della domanda in presenza di un’offerta appena sufficiente a soddisfare i consumi mondiali attuali e quelli nel breve periodo;
• alla fame di energia del c.d. BRIC, acronimo di Brasile, Russia, India e Cina, Paese quest’ultimo che, dopo un periodo di relativa calma in concomitanza con un rallentamento della forte crescita registrata nel quinquennio, è ritornato prepotentemente alla ribalta in questo periodo per la necessità di garantirsi adeguate scorte in vista delle imminenti Olimpiadi e per far fronte alle conseguenze del sisma che ha appena devastato le province del Sichuan e del Beichuan inducendo un nuovo quanto sin qui imprevisto accrescimento della domanda di energia elettrica, già prodotta attraverso gli invasi ora inoperativi a seguito dei gravi danni riscontrati su centinaia di dighe a monte degli impianti idroelettrici;
• allo strapotere assunto nel frattempo dai Paesi Opec non controbilanciato da quelli indipendenti per effetto di un generale decadimento delle capacità esplorative e produttive di questi ultimi;
• alla debolezza strutturale del settore energetico avuto riguardo ai c.d. fondamentali (mancati investimenti e nuove tecnologie al palo; decadimento di molti giacimenti e questione riserve contabilizzate; concentrazione della produzione in aree ben determinate, direttamente o indirettamente interessate da conflitti e da tensioni socio-politiche; inadeguatezza, qualitativa e quantitativa, degli impianti di raffinazione);
• alla speculazione dei mercati finanziari.

Frank G. Madsen
Non è questa certo la sede per sottolineare l’importanza che rappresentano per l’Occidente le fonti e gli approvvigionamenti energetici anche se taluni Paesi, come il Giappone e l’Italia, sono più vulnerabili di altri, mentre la Francia e gli Stati Uniti, che dispongono del nucleare ed i secondi finanche di fonti fossili dirette, presentano, solo in apparenza, meno vulnerabilità. Il problema di fondo rimane: le forniture di energia devono essere stabili e prevedibili. Pertanto, la questione, oltre che di tipo economico, è geostrategica.


D. Organismi specializzati dell’ONU e dell’Unione Europea, scienziati, ricercatori ed analisti continuano ad affermare che la crisi attuale degli approvvigionamenti energetici è dovuta essenzialmente all’indisponibilità complessiva delle materie prime ed all’incapacità dei Paesi produttori di far fronte alla crescente domanda mondiale. Allo stesso tempo, viene sottolineato il continuo decadimento delle fonti primarie che sarebbe ormai inarrestabile. Gli sforzi, pertanto, dovrebbero essere concentrati sulla ricerca e sull’utilizzo di fonti alternative eco-compatibili. è fondata una simile analisi?

Gennaro Scala
La crisi che stiamo vivendo sembra più complessa e per certi versi più grave dei precedenti shock petroliferi. Essa, infatti, riguarda l’intero paniere delle materie prime: dal greggio all’oro, dal gas al mais, dall’uranio al plutonio, dall’alluminio al riso, dal rame al frumento e da altri metalli e prodotti anche in ragione della sottrazione di molte risorse dell’agricoltura convertite, negli ultimi tempi, alla produzione di biocarburanti.
Il catastrofismo ambientalistico imperante, i vincoli utopistici derivanti dal Protocollo di Kyoto e dal Piano Energetico dell’UE (20-20-20), la corsa verso fonti c.d. pulite, la propaganda che insinua insistentemente la convinzione che la soluzione stia nel produrre subito energie alternative sostenibili, rinnovabili ed eco-compatibili facendo ricorso al fotovoltaico, all’eolico, alle biomasse, ai biocarburanti, all’etanolo ed all’idrogeno sono tutti fattori che concorrono a determinare effetti concatenati, talora anche di natura psicologica, e quindi uno stato di crisi durevole in un contesto che trascura, di fatto, l’unica vera energia rinnovabile costituita dall’efficienza e dal risparmio energetici e sottovaluta le conseguenze di un insieme di azioni che, purtroppo, stanno interagendo con la domanda alimentare mondiale e con l’ambiente stesso aggravandone i problemi sottostanti.
Da qui la questione della sicurezza energetica, intesa come:
• capacità di un Paese di assicurare ai suoi cittadini continuità nel soddisfacimento del fabbisogno (elettrico, per autotrazione, per i trasporti aerei, per il sistema industriale e residenziale);
• complesso delle misure di security atte a salvaguardare le grandi infrastrutture e le reti di trasporto delle diverse fonti energetiche (petrolio e gas; prodotti raffinati; siti di stoccaggio e depositi; linee elettriche di vario tipo, portata e potenza; centrali nucleari);
• difesa dei siti di esplorazione e produzione da attacchi di diversa origine (terroristica, conflittualità locali) e da sabotaggi.
A partire dagli anni ‘60, le teorie del Club di Roma sono state tutte ripetutamente sconfessate e smentite dai fatti: la civiltà del petrolio, contrariamente a quanto affermato, ha resistito per 4 decenni e continuerà ad esistere ed a consentire il progresso di molti Paesi e l’affrancamento di intere popolazioni (oltre 3,5 miliardi di esseri umani distribuiti in Asia, Africa, America Centrale e del Sud) almeno per i prossimi 30-50 anni stando agli approfonditi studi e calcoli condotti da scienziati e tecnici indipendenti sulle riserve provate di idrocarburi oggi disponibili ed economicamente esplorabili, talché le fonti fossili - petrolio, gas e carbone - sono destinate a soddisfare l’85% della domanda energetica mondiale almeno per il ventennio a venire pur in presenza di standard di consumi costanti (a valori attuali, 30 barili/anno per ogni cittadino nordamericano, 15 pro capite per l’europeo e solo 2 per quelli indo-cinesi).
Sul punto, rimando al World Energy Outlook 2007 dell’International Energy Agency - IEA contenente una messe di dati e la prospettazione di uno Scenario di Riferimento, di uno Scenario Alternativo e di uno Scenario di Crescita Elevata al 2030 in Paesi come Cina ed India, nelle aree del Medio Oriente e dell’America Latina.
Stante ciò, perché l’allarme ricorrente che ha, per ultimo, investito anche il settore del gas naturale alla luce del recente accordo strategico, sottoscritto tra Russia (Gazprom) ed Algeria (Sonatrach), che molti analisti considerano il primo passo verso la costituzione di una nuova associazione di paesi produttori strutturata sul modello Opec?
I punti fermi riguardano gli scenari della produzione e del fabbisogno mondiale attuale degli idrocarburi, quelli al 2015 e quelli al 2030.
La produzione di greggio, a marzo 2008, è stata pari a 87 milioni di bg di cui 50,3 provenienti dai Paesi non Opec. L’incremento rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente è stato di circa 4,7 milioni di bg per lo più destinati alla domanda delle economie emergenti (BRIC), del Medio Oriente (Golfo Persico incluso) e dell’America del Sud. All’inizio dell’anno corrente, le previsioni accreditavano un incremento della domanda di circa 1,2 milioni di bg per l’intero anno, ma poi la crisi economico-finanziaria, i processi inflazionistici in atto, la temuta recessione nordamericana e la crescita estremamente ridotta o frazionata dei paesi UE-OCSE hanno determinato un rallentamento dei consumi mondiali cosicché la produzione è oggi attestata su 82 milioni di bg anche per effetto della diminuzione dei consumi appunto e dei tagli apportati alle rispettive quote da taluni Paesi Opec intenzionati a mantenere il prezzo attuale, se non addirittura a creare le condizioni per una costante lievitazione, all’uopo sostenendo che:
• nonostante tutto, i prezzi correnti dei prodotti petroliferi sono comunque bassi e che, stante la situazione globale, l’equilibrio dovrebbe essere raggiunto intorno ai 200 $/b. Tale affermazione era stata già anticipata dal Presidente venezuelano, Hugo Rafáel Chávez Frías, due anni addietro;
• l’incidenza negativa sui prodotti raffinati finali destinati al mercato dei Paesi industrializzati è determinata, per circa il 70%, dal regime fiscale e dai gravami tributari interni, accusa questa ripetutamente rivolta ai governi occidentali dallo stesso Chávez e dal Presidente iraniano Amhadinejad;
• in poco più di un lustro, la svalutazione del dollaro americano ha raggiunto quasi il 100% rispetto all’epoca dell’adozione dell’euro (2001: 1 $ = 0,87 €; luglio 2008: 1 € = 1,57 $) per cui il prezzo attuale coprirebbe il gap ed il tasso inflazionistico nel frattempo accumulato.
Ciò nonostante, cominciano a registrarsi le prime crepe in seno alla stessa organizzazione: Arabia Saudita, Kuwait ed Emirati Arabi Uniti - anche per le pressioni nel frattempo esercitate dal Presidente George W. Bush - non nascondono uno stato di insofferenza generalizzato - e non solo per motivi geopolitici - al punto da minacciare e praticare, come nel caso dell’Indonesia - costretta recentemente ad aumentare il prezzo delle benzine sul mercato interno provocando così gravi perturbamenti dell’ordine pubblico - l’uscita dall’organizzazione in presenza di una politica restrittiva voluta essenzialmente dall’Iran e dal Venezuela; Paese quest’ultimo, in particolare, ove il prezzo alla pompa dei raffinati è prettamente “politico” essendo sussidiato dal governo centrale con copertura di parte del costo di produzione e per intero di quello di raffinazione (al confronto, l’acqua potabile, che si acquista in boccioni da 25-50 lt, è oro puro!) e dove la produzione non riesce più a risollevarsi dopo gli eventi dell’aprile 2002 (tentato golpe), del 2003 - ‘04 (dicembre-marzo: prolungato sciopero e blocco di ogni attività nel settore petrolifero con successivo licenziamento di oltre il 50% delle maestranze di PDVSA ritenute ostili al regime) e le ri-nazionalizzazioni del 2006 - ‘07.
Sta di fatto che i Paesi produttori incamereranno quest’anno plusvalenze superiori a 1.000 miliardi di USD proprio per effetto dell’esplosione dei prezzi di oil & gas; nondimeno, tali immense ricchezze non andranno a beneficio delle popolazioni povere e diseredate locali né contribuiranno a far decrescere la fame, i tassi di mortalità infantile e di povertà estrema né le malattie che affliggono le genti del Terzo e Quarto Mondo ove, ironia della sorte, insistono i principali Paesi detentori delle maggiori riserve provate di idrocarburi ed i più ricchi di giacimenti, allo stato, in produzione.
Allo stesso tempo, i bilanci delle multinazionali del settore, pur in presenza di una contrazione generalizzata dei consumi per effetto della crescita quasi vicino allo zero e di una revisione generalizzata e sfavorevole dei contratti in essere, sono tutti ampiamente positivi, come pure si rileva dalle recenti trimestrali, talché è evidente che la risposta ai pressanti quesiti non può risiedere nel semplice ed apparente squilibrio tra domanda ed offerta.

Frank G. Madsen
Invito a porre l’attenzione sull’aspetto tematico e cioè sulle varie forme di energia ed i problemi che ciascuna presenta all’analisi, nonché sull’aspetto industriale, vale a dire sullo sviluppo di nuovi sistemi di sfruttamento delle fonti d’energia esistenti. Discorso a parte è la problematica del terrorismo rispetto alle forniture d’energia.
Parlando di energia si pensa immediatamente al petrolio ed al prezzo del greggio. Gli idrocarburi rimangono sicuramente di estrema importanza nelle nostre società. Però, la precarietà delle riserve di greggio e le spinte da parte di vari gruppi all’uso di fonti alternative impongono la necessità di cambiare il punto d’osservazione e di valutare le entità oggi presenti sul campo. Dal punto di vista dell’Intelligence, non è più sufficiente osservare il comportamento di Paesi ricchi di greggio ed i loro Governi e tenere sotto controllo la sicurezza del trasporto e della distribuzione; incombe, infatti, il fattore (o campo) “politica interna” particolarmente sensibile alle pressioni di un’opinione pubblica impaurita dalla questione intergenerazionale del riscaldamento del pianeta.
Il gioco intorno al greggio rimane nell’ambito della tematica definita “The Great Game” (Il Grande Gioco) da Rudyard Kipling per l’area intorno all’Afghanistan. L’approccio - che irriverentemente ho chiamato un gioco - rimane diplomatico e politico-militare allo stesso tempo, salvo evoluzioni al momento imprevedibili. Pertanto, il ruolo dell’Intelligence continuerà ad essere primario ed imprescindibile. è, sì, il vecchio ballo degli specchi, parte allettamento, parte pressione (politica e/o militare) incentrato sulle zone ricche di risorse naturali, ma oggi, il trasporto su lunghe distanze, tramite pipeline e/o gasdotti, che attraversano per lo più Paesi instabili, pone problemi di sicurezza insoliti e transfrontalieri.
Un esempio classico, nel senso di tipico della diplomazia ed anche diacronico per l’aspetto storico e psicopolitico, è dato dalla situazione venutasi a creare intorno al Mar Caspio a seguito del disfacimento dell’ex-Unione Sovietica(1). Un numero di Governi occidentali, più o meno rappresentanti di interessi privati o parastatali nel settore energetico, fa fronte ai cinque Paesi bagnati da quelle acque: Iran, Russia, Turkmenistan, Kazakhstan e Azerbaigian. In quest’ambito, si assiste ad una serie di manovre, peraltro non del tutto nuove, fra i Paesi occidentali - pure in competizione fra loro - e fra i cinque Paesi appena menzionati, impegnati in contenziosi che dovrebbero alla fine portare ad accordi sui diritti allo sfruttamento delle acque prospicienti i rispettivi limiti territoriali e quindi alla spartizione delle aree da esplorare e mettere in produzione. Gli schieramenti si formano e si disfano a seconda degli interessi e dei veti incrociati che, di volta in volta, promanano da una parte o dall’altra senza che i due blocchi riescano a trovare unità in seno a ciascuno di essi.
Il Mar Caspio costituisce una delle più recenti scoperte in termini di nuovi giacimenti estesi nell’offshore e nell’onshore e dunque un crocevia importante per una rete di oleodotti e gasdotti, in parte esistenti ed in parte già progettati(2). E' chiaro che in quel contesto, l’Intelligence deve svolgere un ruolo di primo piano fornendo rapporti tematici di sintesi e profili sulla personalità di intere classi dirigenti dei Paesi rivieraschi ad uso e consumo dei governi e dei negoziatori occidentali alla stregua di quanto avvenuto nel caso di Nijazov(3) la cui complessità psicologica ha attirato, per forza di cose, l’attenzione e l’interesse di numerosi Servizi informativi.
Detti Paesi sono in realtà ancora poco conosciuti essendosi formati da circa un ventennio. Per questa ragione è essenziale procedere con prudenza nell’applicare il processo e le metodologie di analisi, prevedendo, ad un certo punto, l’inserimento degli aspetti di Intelligence culturale.


D. Quale è il fabbisogno e a quanto ammontano le riserve provate di petrolio e gas? Quali sono le prospettive a medio-lungo termine?


Gennaro Scala
L’IEA calcola che, sia nello Scenario di Riferimento che in quello Alternativo, tra il 2005 ed il 2030, il fabbisogno di energia primaria mondiale aumenterà del 55% ad un tasso annuo dell’1,8%, raggiungendo i 17,7 miliardi di tonnellate equivalenti di petrolio (tep) rispetto agli 11,4 del 2005, pari cioè a circa 116/121 milioni di bg in dipendenza della densità dei greggi estratti. A quella data, la produzione complessiva potrebbe già aver raggiunto i 130 milioni di bg.
Ben diverso, ovviamente, lo Scenario di forte crescita!
Per quanto concerne il gas naturale, così come si rileva dal rapporto annuale di Cedigaz - l’associazione internazionale cui aderiscono 195 membri appartenenti a 40 paesi - nel corso del 2007, i consumi mondiali hanno fatto registrare un incremento modesto (dai 2.930 miliardi di metri cubi del 2006 ai 2.951 del 2007 vs 1.000 miliardi di mc del 1970), per effetto del calo della domanda registrato nell’Unione Europea (da 542 a 525 miliardi di mc) e nei Paesi ex-URSS (da 669 a 634), compensato dagli incrementi verificatisi in Medio Oriente, nel resto dell’Asia ed in Oceania e, soprattutto, negli Stati Uniti, il cui impiego è passato da 770 a 803 miliardi di mc per effetto del nuovo programma energetico federale che prevede il graduale ricorso a fonti energetiche alternative quali il gas appunto e l’etanolo estratto dalla canna da zucchero, materia prima questa ad alta efficienza energetica e scarso impatto sui gas-serra e sui prezzi delle materie prime destinate all’alimentazione umana ed animale, in sostituzione del petrolio i cui tagli all’import sono ormai evidenti.
Le riserve provate al 2006 ammontavano a 179.700 miliardi di metri cubi, di cui:
Ai consumi attuali, il fabbisogno sarebbe garantito almeno per i prossimi 60 anni in assenza di ulteriori scoperte di giacimenti, associati o no all’oil.


Frank G. Madsen
L’utilizzo odierno di idrocarburi non è sostenibile a lungo termine. Alla bramosia occidentale, già di per sé immensa, nel corso dell’ultimo quinquennio si è andata sommando la crescita inopinata e prepotente delle economie cinese ed indiana, i cui fabbisogni sono andati via via aumentando in maniera esponenziale, giungendo ad incidere finanche sullo scacchiere geopolitico.
A livello internazionale, l’Intelligence deve prendere in considerazione le iniziative e le azioni poste in essere da questi due paesi ed in particolare quelle cui ha dato vita la Cina, che si è mossa per tempo, attivamente e vigorosamente – si veda per esempio l’uso del c.d. “aiuto selvaggio” (“rough aid”) – stringendo accordi ed alleanze in tutto il mondo.
In tale contesto, l’Indonesia ha accettato dalla stessa Cina aiuti sostanziali ed incondizionati – in concorrenza con quelli di certo inferiori e condizionati della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale – per la modernizzazione ed il potenziamento della rete elettrica interna.
Inoltre, la Cina – sempre usando l’aiuto selvaggio – ha stretto accordi con la Nigeria, altro Paese produttore di greggio associato all’Opec e finanche con il Venezuela.
Queste mosse internazionali, la rarità di nuove scoperte di giacimenti, i fabbisogni incrementati e la nocività ambientale degli idrocarburi fanno sì che la ricerca di fonti d’energia alternative si stia intensificando.
Nel contesto, vale la pena sottolineare che le fonti di energia alternative trovate finora hanno il vantaggio di essere più sparse, meno centralizzate, e dunque meno esposte all’interruzione dovuta ad attacchi terroristici con un’eccezione per la produzione idroelettrica, che presenta notevoli rischi per le popolazioni circostanti in caso di rottura di una diga o di tracimazione delle acque per una qualsiasi causa.
Dal punto di vista dell’Intelligence, le fonti alternative d’energia rappresentano nuove sfide, perché sono il risultato della ricerca e dello sviluppo a costi elevati con l’impiego di ingenti investimenti.


D. Come funziona il mercato del greggio e quale è il meccanismo alla base della formazione del prezzo degli idrocarburi sui mercati internazionali?

Gennaro Scala
Intanto, è opportuno precisare che, in via generale, le oil companies:
• non operano direttamente sui mercati per vendere o acquistare petrolio a differenza del gas per il quale, normalmente, si ricorre ad accordi bilaterali e multilaterali tra produttore ed acquirente/trasportatore/ distributore (grandi monopolisti mondiali comproprietari e/o gestori delle pipeline e dei gasdotti che attraversano più Paesi per migliaia di km);
• fruiscono essenzialmente di tre tipologie di contratto con i Paesi produttori:
- la prima è costituita dal Contratto di Concessione che conferisce alle compagnie l’esclusiva sulle attività di esplorazione e sfruttamento delle risorse dietro corresponsione di royalties e tasse. Consente alle stesse compagnie di iscrivere a libro riserve e produzione di spettanza (equity);
- la seconda è detta Production Sharing Agreement – PSA in base al quale la compagnia assume la maggior parte dei costi e dei rischi dell’esplorazione unitamente alla compagnia petrolifera del Paese ospite. Viene compensata con quote di produzione;
- la terza consiste nel c.d. Contratto di Servizio in base al quale il Paese produttore, carente di risorse per gli investimenti e di tecnologie, attraverso la compagnia statale, affida alla società petrolifera tutte le fasi del processo. Il compenso avviene in denaro e talora anche in quote di produzione;
• si rivolgono al mercato attraverso trader e broker alla stregua di quanto praticano gli stessi Paesi produttori una volta sottratte le quote destinate al fabbisogno interno ed alle compensazioni per onorare le quote contrattuali spettanti agli operatori.
Si tratta perciò di una vera e propria filiera con tutti i difetti che il mondo occidentale ha imparato a conoscere attraverso la produzione, la commercializzazione e la distribuzione di beni di prima necessità come i prodotti dell’agricoltura in generale ed alimentari di base. Si pensi che in Italia, per commercializzare e distribuire i prodotti raffinati, il gas imbottigliato ed i lubrificanti, una multinazionale ha messo su una struttura esterna all’azienda che va sotto il nome di “agenzie” da cui dipende anche il supporto alle migliaia di distributori (rete ed extra-rete), alle PMI ed ai privati!
Dov’è dunque il problema e perché a prezzi costanti di produzione del greggio (in base alle aree, si va dai 5 ai 16 $/b comprensivi dei costi di trasporto, via mare o oleodotti terrestri) si registrano siffatte oscillazioni?
Da qui la questione della speculazione, interna ed internazionale, e dei costi che ovviamente incidono sul prezzo finale alla pompa.


D. Come si determina allora il prezzo del greggio e come avvengono le contrattazioni sul mercato globale? Vi è speculazione dei mercati finanziari sulle commodities?


Gennaro Scala
A seguito del crollo dei mercati finanziari indotto dal fallimento e dalle pesanti perdite di liquidità accusate da numerose istituzioni finanziarie internazionali per la crisi dei mutui sub prime americani, gli investitori - hedge, fondi e privati - si sono riversati sui future con una massa valutaria da taluni analisti quantificata in 300 miliardi di dollari (l’IEA ne indica 30 in base a stime molto restrittive).
Considerato che il costo del barile prende a riferimento le due qualità principali del greggio oggi estratto (Wti americano e Brent europeo, quest’ultimo sempre più scarso) e che di qualità in realtà ne vengono offerte quotidianamente diverse decine (differenti gradi API, +/- contenuto di zolfo, olio leggero/pesante ed extrapesante, etc. e con prezzi che scontano anche il 16%) a seconda della domanda e della struttura dei processi di raffinazione - costituenti una variabile importantissima del fabbisogno energetico da idrocarburi data la relativa capacità delle infrastrutture oggi esistenti - si distinguono due tipi di contrattazione:
• lo spot market: rappresenta circa il 30% del mercato globale. Riguarda lo scambio di volumi fisici di greggio al di fuori dei normali canali di approvvigionamento e di contratti di fornitura duraturi. Ogni quantitativo di greggio può cambiare di mano all’infinito;
• i future (commodity future): è il mercato finanziario ove vengono movimentati solo i c.d. “barili di carta”. Si tratta di un tipo di finanza derivata come gli swap con la quale una parte sottoscrive oggi un impegno a vendere o a comprare un bene ad un prezzo prefissato, calcolato il possibile rischio (da un mese a tre/dieci anni).
è questo, in sintesi, il contesto di riferimento attuale.
è altresì evidente che in un sistema siffatto, dove la movimentazione di capitali è vorticosa, il rischio infiltrazioni è certamente notevole ed i condizionamenti speculativi risultano per certi versi imbarazzanti sia sotto l’aspetto della sicurezza delle forniture che della struttura stessa del mercato che è, pertanto, permeabile ad una serie di interessi non sempre specchiati a partire da quelli degli stessi Paesi produttori (corruzione, quote trattate in proprio da potentati locali attraverso intermediari, interscambio di attività, costituzione di società di comodo di trading e brokeraggio, movimentazioni e depositi di capitali in Paesi offshore, interessi delle mafie e della criminalità organizzata con opportunità di riciclaggio, parallelo traffico e contrabbando di armi e droghe, etc.). Non si spiegherebbe altrimenti come, in periodo di quasi recessione economica (o anche di deflazione e stagflazione) e comunque di recessione della domanda energetica, i prezzi degli idrocarburi continuino la corsa verso i 150/200 USD al barile.
Non è altresì sempre vero che ci si trovi in presenza di una domanda che non possa essere soddisfatta: il differenziale tra offerta reale e offerta possibile è tuttora di circa 7/8 milioni di bg tant’è che nessuna richiesta di greggio è sin qui rimasta inevasa!
Quando il cartello Opec decide o minaccia di tagliare la produzione - peraltro in termini solo di qualche centinaia di migliaia di barili - lo fa consapevole del fatto che:
• i Paesi consumatori, benché lentamente, stanno adottando politiche di diversificazione energetica (nucleare, ritorno al carbone ed all’idroelettrico, altre fonti);
• al ridimensionamento della domanda deve corrispondere l’aumento dei prezzi per compensare le perdite in volumi;
il tutto nell’ottica di incamerare - adesso e subito - quanti più profitti è possibile in un contesto che vede comunque fermi gli investimenti finalizzati allo studio ed allo sfruttamento di nuovi e vecchi giacimenti prematuramente abbandonati negli anni ‘70 e ‘80 ed allo sviluppo delle tecnologie di settore la cui rilevanza è fondamentale come dimostrato dalla storia e dalle innovazioni intervenute negli ultimi trent’anni (dalla trivellazione orizzontale all’esplorazione in acque profonde impensabili solo qualche decennio addietro ed ancora ai processi di raffinazione sempre più complessi e sofisticati per separare sostanze altamente inquinanti e pericolose). Investimenti mancati anche nel ventennio ‘80 - ‘99 a ragione dei bassi prezzi (16-20 USD/b) che lasciavano ben pochi margini di sviluppo per l’esplorazione e la coltivazione di campi di una qualche complessità e quindi a più elevato costo di produzione (sabbie bituminose e profondità, ad esempio).


D. Esiste relazione tra “sicurezza energetica”, concentrazione delle risorse ed assetti giuridico normativi?


Gennaro Scala
La sicurezza degli approvvigionamenti da fonte fossile è messa a rischio soprattutto dalla fitta concentrazione delle risorse sin qui disponibili in ben determinate aree del Globo (Medio Oriente e Golfo Persico, Regione Caspica, Russia e Repubbliche ex-URSS, Africa e Sud America). Ciò può comportare un significativo blocco delle operazioni e dell’export in caso di stato di crisi nelle aree interessate e/o di conflitti ad alta intensità. Se a tali rischi si aggiungono gli effetti perniciosi di politiche energetiche non coordinate ed un assetto normativo, come quello europeo, che obbedisce alle logiche del libero mercato senza tener conto che quello energetico è un settore strategico vitale si ottiene un quadro d’insieme piuttosto preoccupante. In materia di gas naturale, le politiche antitrust dell’UE appaiono suicide: sul punto, resiste l’asse franco-tedesco che, a differenza dell’Italia, si oppone al c.d. unbundling energetico, vale a dire alla separazione delle reti di trasmissione da quelle di distrib
uzione (proprietà delle reti e il c.d. modello integrato verticale).
Si pretende, infatti, sostituire un monopolio nazionale delle reti di trasporto infraeuropee del gas - e quelle interne a ciascun Paese - evidentemente con un omologo addirittura extracomunitario nella presunzione che questi determini finalmente la libera concorrenza del mercato, favorendo così il consumatore finale. E ciò nella perdurante assenza di un’univoca, seria e fondata politica energetica europea e di un’unica grande società della Comunità in grado di contrastare, se del caso, il duopolio dei produttori/ fornitori del gas attuali ed il potere acquisibile da quelli futuri! Dunque, la pretesa di scorporare e separare le reti - sin qui detenute dall’operatore interno - liberalizzandole significa aumentare la sudditanza energetica del Paese in presenza di colossi come la Gazprom russa e la Sonatrach algerina dalle cui forniture, ad esempio, l’Italia dipende per circa il 75% (il 16% costituisce la produzione nazionale mentre l’incidenza del gas naturale sul bilancio energetico è pari al 33,9% con olt
re 87 miliardi di mc importati nel 2007). Non solo: in virtù degli effetti della globalizzazione, delle vigenti normative e degli accordi internazionali, presto i due giganti stranieri, oltre che produttori e fornitori, saranno anche distributori diretti negli stessi Paesi UE (Spagna, Italia, Francia, Portogallo e Turchia) in concorrenza proprio con le tante compagnie infraeuropee, aumentando così i rischi di ricatti alla stregua di quanto avvenuto recentemente tra Russia ed Ucraina e Russia e Georgia, specie in mancanza di adeguati siti di stoccaggio e di infrastrutture idonee quali i rigassificatori che permetterebbero di rifornirsi altrove a costi ancora convenienti diversificando così le fonti di approvvigionamento.
La stessa Sonatrach ha appena messo a punto un piano strategico di medio periodo finalizzato ad estromettere dall’Algeria le compagnie operatrici straniere riducendo drasticamente le quote di partecipazione di queste nelle joint venture sino al 30% in un primo tempo per azzerarle poi definitivamente, nazionalizzando così l’intero settore, al punto da prevedere un investimento complessivo di ben 45 miliardi di dollari nel prossimo decennio.
Intendo con ciò sottolineare che i Paesi produttori hanno ripreso in toto nelle loro mani le redini del mercato globale delle forniture, mentre le oil companies, sono costrette, pur con enormi profitti, al ruolo di operatori con tecnologia al seguito. In sostanza, o sottostanno alle condizioni del Paese che detiene la ricchezza petrolifera o sono fuori come è già avvenuto in Venezuela, in Bolivia ed in Ecuador da un lato e quanto sta avvenendo in Africa, in Medio Oriente ed in Asia. Per ultimo, vedansi le situazioni determinatesi in Libia, Nigeria, Iran e Kazakhstan: quei Governi pongono continuamente in discussione gli accordi stipulati, alzando mano a mano la posta ed imponendo nuove condizioni talora anche utilizzando l’argomento della difesa e della tutela dell’ambiente. Tale ultimo argomento costituisce anche l’arma con la quale l’Europa sta preconizzando il suo suicidio: ma come si fa ad imporre vincoli ambientali così utopistici da raggiungere al 2020 quando solo in Cina sono in costruzione ben 800 centrali elettriche a carbone? Veramente qualcuno crede che coprendo l’Italia di pannelli solari o di pale a vento si riesca a sopperire all’endemico deficit energetico? Si continua, pertanto, a stare alla finestra senza che vengano adottati urgenti provvedimenti del tipo di quelli dei primi anni ‘70 con blocchi della circolazione privata, targhe alterne, attuazione di drastica riduzione dei consumi, pubblici e privati. Continuiamo, al contrario, a registrare i soliti bollettini del traffico e dei blocchi chilometrici persistenti lungo tutte le arterie nazionali. E che cosa facciamo? Ci lamentiamo del costo delle benzine, mentre dappertutto è possibile vedere ogni tipo di automezzo con il solo conducente a bordo.
Meno consumi + efficienza energetica = risparmio energetico = crisi dell’offerta.
Si raggiungerebbe così nuovamente il punto di equilibrio capace di rimettere in moto l’intera economia mondiale.


D. Circa la questione della speculazione sui mercati finanziari risulta che sia stato lanciato un allarme specifico?


Gennaro Scala
L’allarme è stato recentemente lanciato negli USA dal sen. Harry Read, leader della maggioranza democratica al Senato, che ha presentato un disegno di legge – Consumer-First Energy Act – con il quale si intenderebbe imporre alla CFTC – Commodities Futures Trading Commission di alzare i margini iniziali sui futures petroliferi corrispondenti all’importo che ogni operatore deve depositare presso la borsa per poter gestire il contratto da trattare.
Il NYMEX, però, contesta tale iniziativa asserendo che una siffatta soluzione andrebbe a svantaggio della trasparenza dei mercati e favorirebbe attività collaterali non controllabili. Indipendentemente da tale posizione, che appalesa un evidente conflitto di interessi in quanto il NYMEX perderebbe fette consistenti di attività e quindi di commissioni, rimane il problema di fondo del tutto nuovo: l’assenza di attività informativa specialistica e, di conseguenza, un’adeguata attività di monitoraggio, vigilanza e controllo da parte delle autorities competenti.
Non solo! è notizia trapelata solo in questi giorni che la stessa CFTC ha avviato, sin dal dicembre scorso, un’indagine conoscitiva sui movimenti speculativi ritenuti responsabili di aver in qualche modo influenzato, se non manipolato, il mercato dei future e delle commodities in generale.


D. Alla luce di quanto appena affermato che ruolo dovrebbe essere attribuito all’Intelligence?


Gennaro Scala
L’Intelligence dovrebbe costituire per lo Stato - per ogni Stato - un’attività preminente tenuto conto della vitale rilevanza che assume oggi il settore strategico degli approvvigionamenti energetici specie per un Paese che non dispone di risorse primarie proprie come l’Italia, che, come è noto, dipende dall’estero per l’85% del suo fabbisogno nazionale e che per queste ragioni sostiene una bolletta energetica del valore di circa 60 miliardi di €/anno, vale a dire un costo superiore del 35% rispetto a quello degli altri paesi della Comunità che possono peraltro contare sull’apporto, non certamente trascurabile, del nucleare.
Al di là delle problematiche di geopolitica e di prevenzione e di lotta al terrorismo - pur esse comunque incidenti sulla futura sicurezza energetica, intesa non solo come complesso di misure atte a garantire la continuità delle forniture e l’affidabilità delle infrastrutture utilizzate per il trasporto delle fonti energetiche da idrocarburi - viene oggi avvertita la necessità emergente di delegare ai Servizi di intelligence compiti informativi specifici le cui risultanze dovrebbero essere finalizzate a creare sinergie con la miriade di altre attività che concorrono alla formazione e all’evoluzione del Sistema Paese.
Pertanto, l’Intelligence dovrebbe poter:
• fornire ai Governi elementi conoscitivi significativi affinché questi siano messi nelle condizioni di fissare le linee politiche e le strategie a breve, medio e lungo termine, sia a livello interno che internazionale, atteso che la sicurezza energetica è oggi parte integrante ed imprescindibile della sicurezza nazionale;
• individuare, attraverso la collaborazione internazionale, gli elementi di turbativa dei mercati;
• produrre analisi puntuali di contesto geopolitico riconducibili a fenomenologie solo apparentemente non collegabili quali, ad esempio, quella dei flussi migratori massivi da o attraverso Paesi produttori, eventi registrati in zone di conflitto ad alta e bassa intensità, etc.;
• determinare la genuinità di una pletora di società di trading e di broker per lo più registrate in Paesi offshore o laddove i controlli sono pressoché nulli;
• focalizzare l’attenzione sulle connessioni oil for arms & oil for drug in funzione antiterrorismo, antiriciclaggio ed anticontrabbando sulla scorta dell’esperienza acquisita nel recente passato con oil for food;
• monitorare l’andamento dei mercati delle materie prime destinate all’alimentazione umana, e che oggi vengono dirottate verso la produzione di biocarburanti, in quanto tale questione potrebbe costituire – anche a breve/medio termine – una vera e propria bomba ad orologeria potenzialmente capace di destabilizzare intere regioni del Pianeta con un effetto domino e riflessi e conseguenze anche interni.

Frank G. Madsen
L’interazione fra la fornitura di energia e l’Intelligence è indubitabile. Va comunque sottolineato che l’Intelligence non deve essere una raccolta ed un accumulo di informazioni fine a se stessi, bensì costituire il supporto dell’intero processo decisionale e quindi essere applicata a più livelli; a livello geostrategico, ma anche, tematico, industriale, culturale. Il livello geostrategico, ad esempio, spinge a considerare la situazione politico-sociale nei Paesi bagnati dal Mar Cinese e, ancora più importante, intorno allo Stretto di Malacca, la navigabilità dei quali rimane di importanza fondamentale per le forniture energetiche del Giappone, ma non solo. L’Intelligence industriale, vale a dire un altro aspetto, porta ad esaminare e valutare il livello di protezione della ricerca in tema di fonti d’energia alternative quale la generazione di energia eolica più efficace e meno costosa, l’applicazione dei nanoconduttori agli impianti fotovoltaici per una resa più efficiente in termini di unità di potenza prodotta e superfici coperte, ecc.
Finalmente, ma senza trascurare altri aspetti oltre i tre qui selezionati, l’Intelligence culturale che fornisce gli strumenti ed i mezzi per comprendere l’ambiente nel quale deve svolgersi la raccolta e l’analisi e finanche il linguaggio del corpo, il non-detto, ecc., per consentire di posizionare “i fatti” in un contesto concettuale interpretabile e comprensibile.
Si pensi all’archeologia. Un oggetto - cioè un dato - non dice quasi nulla, per quanto possa offrire un possibile piacere estetico, se non è collocato in un contesto preciso ed idoneo.
L’Intelligence culturale fornisce detto contesto, la mancanza del quale dà solo un’informazione “nuda” priva di significato apparente e, quindi, incomprensibile, talché le conclusioni che da essa promanano possono trarre in errore, come si è verificato tante volte nel passato e finanche nel caso del mitico “ugly American”.
Va altresì osservato che l’Intelligence finanziaria ha, nel contesto attuale, una valenza del tutto particolare laddove si considerino gli aspetti dei relativi mercati (svalutazioni strategiche, proprietà delle compagnie esploratrici, interi pacchetti azionari che si spostano con la rapidità e velocità del vento, finanziamenti per l’estrazione di materie prime, sponsorizzazioni da governi o altre istituzioni pubbliche o private che siano, ecc.).
Sottolineo non soltanto il ruolo assolutamente cruciale che l’Intelligence deve avere nel contesto della fornitura di energia di un paese, ma anche i vari livelli (interno – esterno) e soprattutto precisare il concetto dell’aspetto, e cioè il modo di vedere ciò che permette una migliore comprensione dell’oggetto analizzato, che, come un diamante, brilla sempre da più lati in relazione all’incidenza del fascio di luce.
E' compito dell’Intelligence dunque svelare tutte le sfaccettature per mettere a disposizione dei livelli decisionali tutti i mezzi possibili e necessari per un ottimale svolgimento delle rispettive funzioni istituzionali.


D. Il terrorismo e le forniture energetiche. Quali le possibili minacce? Quali le difese e quale il ruolo dell’Intelligence?


Frank G. Madsen
Gli attacchi terroristici portati essenzialmente dal fondamentalismo islamico ad obiettivi civili e militari dei Paesi occidentali e di quelli islamici considerati moderati (Arabia Saudita, Egitto, Algeria, Marocco, Turchia) ha indotto tutti i governi e tutti i settori industriali a valutare ex novo minacce, rischi, esposizioni e vulnerabilità.
In particolare, il settore energetico - dalle fonti al trasporto, dalla distribuzione alla commercializzazione di prodotti da fonte fossile - pone certo una serie di specifiche problematiche in materia di security ma non tali da rimanere sospese o irrisolte, come a volte sembra desumere dai media. Per certi versi, le vulnerabilità del settore petrolifero sono di gran lunga inferiori a quello del nucleare se solo si prefigurino tutti i possibili effetti di un eventuale attacco portato ad una centrale di questo tipo, una volta ammesso che si riesca a superare tutte le misure, le barriere ed i dispositivi di sicurezza attivi su un sito di questo genere. La questione piuttosto è da ricondurre all’uso di materiale nucleare e batteriologico da parte dei terroristi eventualmente in possesso di un dispositivo fissile o di materiale atto ad inquinare e provocare quindi distruzioni di massa(4).
Si deve, invece, riflettere sulla possibilità di atti di sabotaggio ed addirittura sulle conseguenze di eventi naturali che, anche recentemente, hanno avuto un inizio minimale ma effetti catastrofici come nel caso del collasso totale della rete elettrica negli Stati nordorientali USA e nel Nord - Italia. Come si ricorderà, un evento apparentemente innocuo (la caduta di un albero su un punto di una linea di trasporto elettrica) causò un lungo blackout con le conseguenze che tutti sappiamo. Lo stesso effetto si sarebbe avuto minando semplicemente un traliccio o recidendo un cavo ad alta tensione procedente dalla Confederazione Elvetica.
Il sistema tutto è dunque vulnerabile ed estremamente insicuro e ciò, come si è visto, indipendentemente dalla minaccia terroristica.

Gennaro Scala
Le questioni poste sono da tempo all’attenzione dei management al punto che presso ogni industria, azienda, impresa è implementata la funzione di security, una funzione di staff che serve trasversalmente tutte le altre funzioni aziendali perché è ormai convinzione diffusa che senza sicurezza non vi è business. Tale ruolo ha subìto ovviamente un’evoluzione piuttosto articolata a partire dal Secondo Dopoguerra e parallelamente all’insorgere di nuove minacce, cosicché si è passati dalla semplice tutela patrimoniale alla necessità di adottare, negli anni ‘70 e ‘80, una serie di misure in funzione antiterrorismo per arrivare all’odierna configurazione di una posizione manageriale cui sono devoluti compiti, piuttosto complessi, di natura preventiva e di intelligence.
In tale ambito, l’attività spazia dalla predisposizione di policy all’allestimento di architetture di sistemi integrati, previa analisi del rischio ed attraverso distinte fasi e ciò anche in ottemperanza a specifiche normative ONU e UE, recepite peraltro dall’ordinamento italiano, che attengono, ad esempio, alla sicurezza dei trasporti di merci pericolose ed altamente pericolose via mare, aerea, ferroviaria e terrestre come è il caso dell’ADR 2007 che, in due capitoli specifici, regolamenta una serie di attività in funzione antiterrorismo.
Orbene, le minacce che possono essere portate a siti, infrastrutture, sedi, impianti, depositi, sottostazioni, cabine, oleodotti, gasdotti, petroliere, gasiere, autobotti, cisterne, elettrodotti e quant’altro attiene al settore energetico in generale sono molteplici, anche se possono essenzialmente essere ricomprese in due macrocategorie: la prima, è quella che produce un danno di tipo industriale, che può immediatamente riflettersi sugli approvvigionamenti delle materie e/o sulla distribuzione dei prodotti; la seconda, certamente più perniciosa, è quella di utilizzare il know how, il complesso delle reti di comunicazione o semplicemente un mezzo per seminare morti e danni ingenti.
In tale ottica, è più preoccupante la sottrazione di una cisterna che trasporta fino a 47.000 lt di carburanti piuttosto che un attacco portato ad una raffineria che, per costruzione, non consente l’immediata e contestuale totale distruzione a meno che non si tratti di un bombardamento dall’alto. Né il danno che può essere inferto in termini di perdita di vite umane può costituire un obiettivo remunerativo per un’organizzazione, un gruppo terroristico atteso che una raffineria è altamente popolata quando è in stato di fermo e, quindi, in assenza di processi e di prodotti. Un’autobotte, invece, o una cisterna di gas liquefatto può essere condotta ovunque vi sia un assembramento o una concentrazione di attività umane e, se fatta esplodere, produrre vittime e danni incalcolabili.
Discorso analogo si può fare per un gasdotto (esplosione con danni nel raggio di 300 ml per un massimo di 60”), una pipeline (il greggio o il raffinato può incendiarsi e bruciare), un tubo sottomarino (perdite con conseguenti danni ambientali), una stazione di pompaggio (interruzione delle operazioni e possibilità di incendio) o anche semplicemente per un pozzo (incendio) da cui si estrae il greggio: in ogni caso, l’attacco portato con esplosivo o armamento ad alto potenziale produce un immediato allarme ed il blocco automatico dei flussi, a monte ed a valle, cosicché il danno è di tipo materiale e comunque circoscritto o circoscrivibile in tempi relativamente brevi.
Di fatto, tutte le infrastrutture - fisse e mobili - citate sono coperte da sistemi di sicurezza che vanno dalla telemetria all’antintrusione, dal controllo degli accessi - attivo e passivo - alla telesorveglianza fino ad arrivare all’aereovigilanza a mezzo tecnologia UAV – UNMANNED AERIAL VEHICLE (Predator) impiegata in ambienti ostili, aridi, isolati, estesi migliaia di chilometri come nel caso delle pipeline e dei gasdotti.
Il ruolo dell’Intelligence è fondamentale e viene svolto normalmente sul terreno ove insistono una serie di antenne e di occhi pronti a recepire ogni segnale, ogni avvisaglia dell’incombere di una minaccia o semplicemente dell’organizzazione di un’azione che possa mettere a repentaglio la vita degli addetti ed il regolare svolgimento delle operazioni.
Attività queste che portano anche a sapersi raccordare e ad interagire con le autorità e comunità locali ai fini informativi, di assistenza e di prevenzione generale.


D. Quale dovrebbe essere il sistema di relazioni tra Intelligence pubblica e Intelligence privata?


Gennaro Scala
Per quanto riguarda la collaborazione tra Intelligence pubblica e Intelligence privata - funzione di staff, come si è appena visto, prevista nell’organigramma di tutte le compagnie del settore energetico - si pone una questione molto delicata che attiene ai compiti istituzionali propri delle rispettive parti, spesso confliggenti, atteso che, la seconda ha, tra gli altri, il compito di garantire in sicurezza (fisica) il business all’azienda e, quindi, in un mercato globalizzato, dividendi agli azionisti!
Pertanto, ipotizzare canali informativi privilegiati e circolazione di informazioni riservate, normalmente trattate addirittura fuori dagli stessi consigli di amministrazione, appare utopistico laddove si considerino le posizioni di partenza ed i fini di natura privatistica perseguiti da una società per azioni quotata in borsa, benché partecipata dallo Stato come in Italia.
Diverso ovviamente l’approccio laddove si tratti di compagnie statali.
Il “conflitto di interessi”, al di là del sistema di relazioni meramente formale, è dunque latente e riguarda, tra le altre, la questione spinosissima dei volumi delle riserve e delle scorte costituite a vario titolo (esigenze NATO, stato d’eccezione interno, interruzione dei flussi), attività specifiche coperte dal segreto di Stato o da brevetti particolari e le stesse operazioni di trading che possono sottendere manovre atte a recuperare perdite o incrementare valori in determinate circostanze quando non subentri autonomamente l’infedeltà di manager e/o funzionari.
Circa la produzione di energia da fonte nucleare, abbandonata dall’Italia a seguito del referendum abrogativo del 1987 (in Europa, la media della quota di mercato di tale fonte destinata alla produzione di energia elettrica è del 35%), qualora il programma dovesse essere effettivamente ripreso, il ruolo dell’Intelligence dovrà essere necessariamente di rilievo considerata la minaccia ed i rischi connessi alla commercializzazione delle materie prime, ai siti ed agli stoccaggi delle stesse e delle scorie radioattive, tenuto conto degli interessi che siffatte operazioni comportano e muovono di per sé.
Ruolo che dovrebbe affermarsi per tempo già nelle fasi propedeutiche alla progettazione per prevenire e, se del caso, contrastare le attività perniciose di una certa contro-informazione e disinformazione.

Frank G. Madsen
Siamo al punto della catena delle forniture di energia che può essere chiamato “industriale.”
è certo che l’Intelligence, già a livello d’estrazione del petrolio, ha un ruolo importante da svolgere. Un esempio è dato dall’analisi delle realtà etniche, sociali, culturali ed economiche che creano instabilità nel Delta del Niger e gravi problemi di tipo terroristico - eversivo per l’estrazione degli idrocarburi in quella stessa zona.
Nella situazione odierna, e con l’occhio rivolto al futuro, è necessario considerare le fonti d’energia alternative. Ognuno è libero di pensare che l’attivismo ambientalista rappresenti un catastrofismo, però rimane un fatto che la tutela dell’ambiente ogni giorno diventa più importante per le popolazioni occidentali e che tale tutela gode del supporto di ceti e potentati della nostra società. E - come ha sottolineato il Presidente Bush - queste nuove fonti sono e saranno il risultato di sviluppi tecnologici.
Però, chi dice “sviluppo tecnologico” dice spionaggio industriale. Per custodire e garantire gli investimenti destinati alla ricerca ed allo sviluppo, lo Stato e, nel caso specifico l’Intelligence, devono entrare in azione preventivamente e non quando è troppo tardi.
Senza dubbio, i fondi investiti e da investire nella ricerca di nuove tecnologie nel campo dell’energia alternativa sono immensi. Insisto su questo punto perché nel mondo occidentale la ricerca e lo sviluppo sono di importanza capitale in questo momento storico, come altrettanto importante è l’ingegneria finanziaria, vale a dire la gestione di circa un miliardo di Euro per prodotto sviluppato in un periodo di dieci anni senza entrate: la sicurezza riguarda perciò tutto il processo, dalla fase ideativa e progettuale al brevetto, dal prototipo al prodotto commerciale.
Lo “spionaggio industriale” o “furto di tecnologia” ha una caratteristica: in generale, la sottrazione non è circoscritta all’oggetto in sé (piani, disegni, rapporti) o all’immagine dell’oggetto (una riproduzione fotografica o una fotocopia). Infatti, il titolare dei diritti della proprietà intellettuale scopre il furto soltanto quando la concorrenza immette sul mercato il prodotto seguendo la stessa sequenza di lancio, usando gli stessi argomenti di vendita, ecc..
Sono stato direttore della sicurezza di un’azienda americana elencata tra le famose “Fortune 100” ed ho seguito cinque casi di questo tipo che hanno poi permesso di stabilire:
• il coinvolgimento di Servizi stranieri. In tre dei cinque casi, il “colpevole” è stato identificato in un Servizio segreto straniero.
• La varietà dei dati desiderati. è sbagliato - e un errore costoso - credere che trattandosi di spionaggio industriale in settori ad alto know how e remuneratività, gli oggetti a rischio siano unicamente i disegni (la “ricetta”). Chi si adopera per venire in possesso di una scoperta necessita di tutto: dal piano di lancio previsto per il prodotto all’identificazione delle persone influenti in quello specifico settore industriale o merceologico, ovvero i c.d. opinion leaders. In un caso, nonostante il furto del disegno del prodotto, delle specifiche dei metodi e delle tecniche di fabbricazione (a quanti gradi, ai diversi stadi, ecc.), la “ditta-scippatrice”, resasi conto dell’impossibilità di produrre l’oggetto, fu costretta a “comperare”, ricorrendo ad atti di corruzione privata, addirittura lo studio d’ingegneria che aveva costruito il laboratorio originale ottenendo così anche le planimetrie dei luoghi in cui era stato concepito e prodotto originariamente l’oggetto per decidere alla fine di far
costruire, dallo stesso studio professionale, una copia esatta del laboratorio stesso!
• Il furto è interno. Nonostante la cinematografia e tanta bibliografia (agenti dal fisico e dall’intelligenza straordinari che ricorrono alle più sofisticate tecnologie e tecniche di spionaggio) il furto di tecnologia è quasi sempre ideato e/o organizzato dall’interno, da un impiegato di livello medio che ricorre all’uso dei normali strumenti di lavoro a disposizione anche se il mandante o l’ordinante è un Servizio segreto.
In questi casi la lotta è tra il privato che tenta di difendersi ed il pubblico - interno o straniero - che agisce per sopraffare!


D. Quale è oggi il rapporto esistente tra le Aziende che operano nel settore energetico e le Compagnie private di sicurezza?


Carlo Biffani
E' essenzialmente un rapporto di fornitura di servizi consolidatosi in oltre quindici anni di esperienze comuni.
In tale periodo, l’impiego di personale delle compagnie private di sicurezza si è dilatato enormemente specie laddove è venuto meno l’apporto delle forze armate in contesti ambientali di zone di crisi e di conflitto o quello della forza pubblica con riferimento all’ambiente interno.
Dal punto di vista più strettamente industriale, l’offerta - e la domanda - di servizi comprende un ventaglio molto articolato e complesso di azioni che vanno dalle attività di analisi del rischio alla difesa di siti, infrastrutture, impianti e reti di trasporto dei prodotti petroliferi.
Per dare l’idea del tipo di business indotto su scala mondiale, cito alcuni dati salienti pubblicati dal Center for Public Integrity in base ai quali il solo Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti ha stipulato, nell’ultima decade, più di tremila contratti con Compagnie Militari e di Sicurezza private, per un valore di circa 300 miliardi di dollari.
Per l’anno in corso, il budget statunitense è di circa 150 miliardi di USD che si divideranno una trentina di società anglo-americane.

Gennaro Scala
A proposito di budget, gli standard internazionali in materia di apprestamento di misure di sicurezza, attive e passive, arrivano a prevedere investimenti in grado di assorbire sino al 7-9% del fatturato di una società operante nel settore energetico ed in particolare in quello petrolifero, compresi i costi per polizze assicurative di trasferimento del rischio.
Si tratta di cifre enormi ma solo in teoria perché nessuna multinazionale del settore arriva ad impegnare siffatte percentuali.
In ogni modo, la fetta più consistente di tali impieghi di capitali è assorbita dal settore ICT.
Si pensi alle esigenze di una piattaforma marina o ad un campo petrolifero, esteso anche migliaia di kmq, in pieno deserto, steppa o foresta tropicale e le difficoltà da superare per garantire i collegamenti in voce, video e dati.


D. Quale tipo di supporto viene richiesto alle Compagnie di sicurezza private?


Carlo Biffani
In genere - e qui ci si riferisce essenzialmente al contesto estero sotto la doppia accezione di compagnie militari e compagnie di sicurezza private - si tratta di servizi che vanno dall’intelligence in funzione antisequestro ed antisabotaggio alle scorte; dal training a favore di eserciti all’espletamento di attività di protezione e supporto al personale ed alle strutture di ONG dislocate in territori martoriati dalle guerre; dalla fornitura di servizi di security e logistica alla vigilanza su obiettivi sensibili tra cui, ovviamente, vi sono i compounds dove vive il personale di nazionalità più disparata ed i siti di estrazione e processamento del greggio, nonché le stesse pipeline ed i gasdotti.
Per quanto appena detto, necessita operare dei distinguo in merito all’impiego di dette società.
Da un lato, infatti, si possono posizionare tutti quei servizi tesi ad implementare o a sostituire quel complesso di attività sin qui identificabili in capo agli eserciti regolari.
Dall’altro, si identificano quelle attività più propriamente di security, la cui domanda è aumentata di pari passo con la necessità di assicurare flussi costanti negli approvvigionamenti energetici procedenti da aree caratterizzate da instabilità ed insicurezza ascrivibili alla presenza di conflitti, di gruppi e movimenti terroristici, insurrezionali e/o criminali.
Ovviamente, laddove esistono funzioni e/o strutture dirigenziali di protezione aziendali, i contractors sono unicamente dei prestatori d’opera dovendo sottostare alle policy del committente oltre che alla legislazione ed alle autorità locali.


D. I recenti accadimenti in Iraq e Afghanistan, che hanno avuto come protagonisti negativi agenti di Compagnie militari e di sicurezza private, hanno sollevato polemiche ed hanno riproposto all’attenzione una serie di questioni giuridiche con riflessi anche in Italia a proposito di alcuni rinvii a giudizio relazionati ai tragici fatti del 2004. In sostanza, dette Compagnie sono dedite o no ad attività di arruolamento ed armamento di personale mercenario? E' possibile per una Compagnia italiana partecipare al tipo di Business in narrativa?


Carlo Biffani
Al fine di sgomberare subito il campo da qualsiasi possibilità di equivoco, devo affermare con chiarezza che le compagnie militari private in Italia non hanno alcun tipo di riconoscimento.
Anzi, sono del tutto illegali.
Certo se le compagnie angloamericane che stanno operando nei Paesi in conflitto appena indicati dovessero cadere per un qualche motivo sotto la giurisdizione penale italiana sarebbero inevitabilmente perseguite perché in base al nostro ordinamento, ed in particolare in relazione al dettame dell’art. 288 codice penale, verrebbero immediatamente classificate come società dedite al mercenarismo.
Di conseguenza, il business che si è sviluppato in questi ultimi anni è precluso alle società italiane o a cittadini italiani titolari o soci di compagnie registrate all’estero.
D’altra parte, nel nostro ordinamento sono previsti solo istituti di vigilanza privata ed agenzie di investigazioni private, recentemente estese alle investigazioni difensive, talché non vi è possibilità alcuna anche per effetto dei limiti territoriali imposti dalle autorizzazioni prefettizie.
Ed anche a proposito degli istituti e delle agenzie appena indicate si è dovuto attendere la liberalizzazione di fatto operata dalla recente sentenza della Corte di Giustizia Europea che ha cancellato la serie di restrizioni risalenti all’entrata in vigore del TULPS.
Sarebbe perciò auspicabile che la comunità internazionale emanasse norme univoche ed universalmente riconosciute al fine di veder regolamentato un settore di attività privata cui talune Potenze, con l’assenso dei governi locali, hanno delegato compiti e mansioni che prevedono addirittura regole d’ingaggio e la possibilità di far ricorso all’uso delle armi.
Attività che sono destinate ad aumentare e ad essere estese anche in altri contesti, come quelli delle missioni di pace, a supporto di enti, istituzioni ed ONG anche italiane.
Le sole norme contenute nel Diritto Internazionale, nel Diritto Umanitario Internazionale, nella Carta dei Diritti dell’Uomo e nelle Convenzioni di Ginevra non sono ormai più sufficienti a garantire un sostanziale e definitivo affrancamento dal mercenarismo al quale spesso si è soliti ricondurre le attività svolte dalle PMC/PSC.
Si tratta oggi di adottare un approccio diverso che non può prescindere dall’emanazione di regole che tengano conto dei mutati scenari nazionali ed extra-nazionali per dare soluzione a questa e a molte altre problematiche proprie del settore sicurezza e dell’intelligence privata, con il fine di permettere alle esistenti realtà di adeguarsi alla domanda crescente di servizi entrando in competizione con il monopolio anglosassone che, peraltro, si è sin qui assicurato anche commesse provenienti da un Paese come l’Italia.


D. Quali sono le esigenze di sicurezza di una multinazionale del settore energetico?

Carlo Biffani
Le domande che più frequentemente il mondo dell’impresa impegnata in territori a rischio rivolge ad una società privata di sicurezza sono:
• Come posso muovermi per fare in modo che abbia sempre la consapevolezza di quello che sto rischiando?
• Come posso ridurre il coefficiente di rischio del mio personale che dovrà andare nel tal posto per il periodo x?
• Come posso rendere meno insicuri gli spostamenti e la permanenza in determinate aree lavorative?
• A chi posso affidare la sicurezza delle basi e dei cantieri dove il mio personale vive e lavora?
• Come e secondo quale metodologia debbo gestire i rapporti con le realtà locali e con quelle di rappresentanza nazionale?
• Cosa sono e come debbono essere realizzati i piani di contingenza e di evacuazione?
• Come posso formare il personale che invierò in teatro, in modo da renderlo consapevole dei modi e delle maniere più giuste per affrontare il problema sicurezza?
• Come posso capire se sono stato fatto oggetto di attenzioni criminose e come mi posso difendere?
• Se fossi fatto oggetto di un rapimento, come posso organizzare una difesa, una reazione ordinata alle sollecitazioni che riceverò?
• Mi è stato assegnato un servizio di protezione; come posso capire se sono in buone mani o meno?

Nell’elaborazione di una concreta ed adeguata risposta bisognerà tener conto dell’analisi delle fonti della minaccia, ovvero dell’identificazione dei soggetti da temere:
• Terroristi? Estremisti? Criminalità?
• Servizi di sicurezza ed Intelligence locali?
• La popolazione?

Va anche detto che queste realtà non sempre sono separate, differenziate ed identificabili per gruppi, ma anzi, frequentemente, si sovrappongono mutando e scambiandosi sia le modalità operative che le finalità.
Le attività di analisi, pertanto, sono svolte grazie alla raccolta ed all’elaborazione dei dati d’intelligence che si ottengono attraverso fonti aperte ed alle relazioni che si riesce ad intessere con altre realtà operanti in teatro.
Non trattandosi di forze regolari e non disponendo quindi di risorse quali satelliti, ricognitori ed altri supporti a tecnologia avanzata, il lavoro in tale segmento si basa sulla capacità di saper ottimizzare le risorse in ambito HUMINT.
Solo l’aiuto di operatori che abbiano negli anni saputo eccellere oltre che negli aspetti più prettamente combat anche in quelli di relazione in teatro, garantisce la possibilità di tessere rapporti proficui dal punto di vista dell’acquisizione e successivamente dell’elaborazione dei dati di intelligence.
Le metodologie di intelligence di cui normalmente si avvalgono le PSC/PMC in contesti extranazionali sono:
• Current intelligence (o informazioni di natura contestuale) focalizzata su quello che sta accadendo in una determinata area di operazioni nel preciso momento in cui viene richiesta l’informazione;
• Basic intelligence, che ci dà conto di una situazione pregressa in un contesto operativo;
• Intelligence culturale relativa al Paese dove può essere richiesto di operare;
• Ciclo informativo allargato al produttore-consumatore. Il ciclo descrive comunemente gli stadi del processo nel corso del quale un’informazione viene richiesta, raccolta, elaborata e disseminata.
Nel caso preso in esame, per soddisfare il bisogno di sapere, si fa riferimento alle classiche aree del ciclo informativo: esigenze, raccolta, analisi, produzione, disseminazione e decisione, talché si può essere cortocircuitati dall’eccesso di informazioni.
Può, infatti, accadere di ricevere contemporaneamente informazioni totalmente contrastanti sulla percorribilità di una strada o l’attraversamento di un ponte, ma arriva sempre, prima o poi, il momento in cui devono esser prese decisioni importanti.


(1) Hugh Pope, “Great Game II: Oil companies rush into the Caucasus to tap the Caspian,” The Wall Street Journal, 25 aprile 1997.
(2) Si veda l’interessante cartografia, “Le pipeline asiatiche,” che illustra l’articolo di Perto Sinatti, “Il triangolo energetico Russia-Europa-America,” Limes, 2002, No. 3 (2002): 194.
(3) Il Turkmenbashi: Il duce dei Turkmeni, (“colui che è a capo dei turkmeni”: dal turco “Türkmen” + “bas+ 1”, la lingua turkmena è una lingua “turkic”, n.d.c.).
(4) Georges Le Guelte, “Terrorisme nucléaire, mythes et réalités, Le Monde Diplomatique, Octobre 2003.

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