GNOSIS
Rivista italiana
diintelligence
Agenzia Informazioni
e Sicurezza Interna
» ABBONAMENTI

» CONTATTI

» DIREZIONE

» AISI





» INDICE AUTORI

Italiano Tutte le lingue Cerca i titoli o i testi con
GNOSIS 2/2008
SAN LUCA
le donne di cosca


articolo redazionale


San luca(RC): Manifestazione contro la Giornata anti 'ndrangheta "Gerbera Gialla
(foto Ansa)


Le donne delle cosche di San Luca hanno lo sguardo stretto tra le montagne e il mare.
Gravide di sole e di segreti, hanno la pelle scura di scialli e di silenzi e sciamano per le vie quando l’aria profuma intensa di disgrazia.
Conoscono la furia della natura - terremoti, smottamenti - che le ha esiliate dalle macerie storiche di Potamìa all’attuale sito, pazientemente e parcamente costruito nel nome dell’evangelista.
Hanno segnato di lutto il loro volto, tra povertà, migrazioni, faide fratricide e arresti degli sbirri.
Hanno imparato a curare le ferite dei mariti e a preparare loro giacigli negli umidi labirinti del Paese sotterraneo, tane che ciascuna casa conserva segretamente in caso di bisogno.
Hanno pazienza, le donne delle cosche di San Luca, seguendo la processione di Polsi con le mani strette ai pargoli - devono imparare senza fretta - pregando per la pace, talvolta, per la vendetta, spesso.
Sanno offrire la mano muliebre per legare dinastie e stringere alleanze, lasciando che le forti radici s’annodino a fronde diverse, sopportando, in caso di rottura degli equilibri, il peso tragico dell’ibrido, dell’ostracizzato.
Inventano leggende e custodiscono per i figli i cunti dei loro cari, semi di memoria, di orgoglio e di vendetta.
è un’immagine che appartiene allo stereotipo del passato.
Sembra relegata nel profondo della memoria, sbiadita dall’incedere ineluttabile della civiltà, dalle strade che aprono le tane e scuotono il grembo dell’Aspromonte, dalla voglia di uscire dal borgo e di cogliere il senso di una vita nuova, non emigrando ma spalancando le finestre all’alterità complessa del futuro.
Oggi le donne di San Luca sono cambiate, vogliono prendere luce e affrancarsi dalla sindrome alvariana della “stranìa” che ha scavato nostalgie ed esclusione, nel tempo non lontano delle migrazioni, e vogliono confrontarsi oltre i limiti del paese, seguendo quegli orizzonti senza angoli che la globalità degli affari sembra offrire anche a un piccolo centro dell’entroterra calabrese.
In quest’aria di cambiamento San Luca sembra ancora pendolare tra passato e futuro, tra rigore della tradizione e ansia di rinnovamento.
In tale orbita emerge tutta la sua contraddizione - ottimisticamente la crasi che dissolve il vecchio nel nuovo.
San Luca ha un ruolo centrale e storico per essere l’ombelico della ‘ndrangheta reggina, e parimenti ha dimostrato una particolare vitalità nel proiettarsi nelle aree extraregionali e all’estero attraverso una filiera sempre più competitiva nei mercati transnazionali dell’illecito, soprattutto del narcotraffico.
Ha la responsabilità del “crimine” e delle riunioni mafiose al Santuario della Madonna di Polsi in occasione dei festeggiamenti di Settembre, dimostrando una leadership criminale legittimata per carisma e saggezza a sedare i conflitti all’interno delle cosche della provincia, eppure non è in grado di prevenire e fermare una faida interfamiliare esplosa proprio nel territorio sanlucota.
A San Luca molte donne sono state arrestate o hanno comunque avuto un ruolo importante nella faida, al fianco dei congiunti, perpetuando il grave sentimento di vendetta, e al contempo altre donne si sono ribellate allo stereotipo delle donne di mafia e si sono messe in gioco, attraverso progetti educativi, sociali, artistici e sinanche a sostegno della cultura antimafia.
Il 13 maggio 2008 può essere il giorno esemplare di questa contraddizione.
San Luca diventa la stazione dell’itinerante voglia di memoria dell’Associazione Riferimenti, creata da Antonino Caponnetto, capo di quel pool antimafia palermitano che ha segnato la storia del Paese. Dopo la sua morte, la fiaccola dell’Associazione Riferimenti non si è spenta e continua a illuminare strade e piazze che sono state teatro di tragedie mafiose. Nelle processioni, questi pellegrini della memoria stringono tra le dita le gerbere gialle che profumano di primavera e sembrano racchiudere il segreto del maggio odoroso che nel calendario nazionale ha troppe croci da ricordare.
Quest’anno, dunque, nel maggio memoriale, le fiumare di San Luca si colorano di giallo - distesa di gerbere dal desiderio appuntito di rinnovamento - e nel campo sportivo si mima un derby calcistico, la locale Folgore contro la Bovalinese. Il pallone come metafora di un agone senza scintillar di spade e con lo spirito decoubertiano dell’onore all’avversario. Finisce 3 a 0 per i padroni di casa.
Il Procuratore antimafia, intanto, ospite dell’iniziativa, raccoglie la speranza e semina una promessa. Lo Stato c’è, si vuole dire.
C’è anche San Luca, quella delle associazioni femminili che vogliono affrancarsi dal pregiudizio, in nome della bellezza delle rose che nei fini ricami sanno trasformare in arte, inaugurando un’abilità, una tradizione e un mercato.
Tuttavia, c’è anche quella San Luca di cartelli e magliette attraverso cui altre donne - intrise della stessa atavica storia del luogo - rivendicano l’innocenza di alcuni congiunti arrestati o latitanti a seguito delle numerose operazioni di polizia dell’ultimo anno, nell’ambito della ormai nota faida tra i Vottari-Pelle e i Nirta-Strangio.
è misurata protesta quella avanzata da parte degli Strangio, dalle lettere ufficiali ad alti rappresentanti istituzionali a contromanifestazione rispetto a quella della gerbera gialla perché l’occasione della memoria non dimentichi “l’altra parte”, quella della censurata “presunzione di colpevolezza”.
La vicenda presenta poliedrici aspetti.
Il primo e il più complesso attiene alle dinamiche che fanno da sfondo alla protesta e che riguardano la faida nel suo complesso e nella sua sanguinosa evoluzione che ha mietuto vittime in entrambi gli schieramenti.
I momenti topici dello scontro sono stati “la strage di Natale”, il 25 dicembre 2006, in cui è stata uccisa Maria Strangio e ferita la nipote di cinque anni nel corso di un agguato perpetrato nella sua abitazione e mirato a colpire il suocero, Giuseppe Nirta o il marito, Giovanni Luca; e la strage di “Duisburg” del 15 agosto 2007, in cui sono stati eliminati sei appartenenti alla cosca Pelle-Vottari all’uscita di un ristorante dopo una cena per festeggiare compleanno e affiliazione di una delle vittime.
Tali eventi sono stati tanto eclatanti da allarmare l’opinione pubblica nazionale e internazionale e da accelerare il corso delle indagini a carico degli schieramenti in lotta.
Gli interventi di polizia, infatti, si sono succeduti a ritmo serrato sino alla recente operazione Zeleuco del 9 maggio scorso che ha portato all’arresto di molti esponenti di spicco di entrambi gli schieramenti, tra cui Maria Pelle, moglie di Francesco Vottari, a capo dello schieramento familiare e alla cattura del latitante Giuseppe Nirta il 23 maggio, all’interno di un bunker a San Luca.
Parallelamente all’attività repressiva, risulta si sia mossa anche la “diplomazia” ‘ndranghetista per cercare di sedare eventuali ulteriori escalation di vendette.
Infatti sarebbero intervenuti sia il rappresentante del crimine, in concreto Antonio Pelle detto “Gambazza” (suocero del citato Francesco Vottari, implicato nella faida), già screditato dall’inerzia precedente ai fatti di Duisburg e desideroso di mettervi riparo, sia i maggiori rappresentanti delle cosche reggine che, come di consuetudine, pur in assenza di un potere sovraordinato, si sentono comunque investiti dell’onere di risolvere le questioni di carattere generale e strategico per l’intera organizzazione.
Una pacificazione non facile che ha coinvolto anche alcuni boss detenuti, prodighi di consigli e finemente orientati a fornire indicazioni ai rappresentanti liberi durante i colloqui parentali.
Il legame familiare, nota distintiva di tutta la ‘ndrangheta, se da una lato favorisce l’estendersi delle faide, per effetto della naturale solidarietà, dall’altro, a causa dei frequenti intrecci tra famiglie, consente al momento giusto di trovare qualcuno capace di mediare e trovare soluzioni di compromesso che accontentino i contendenti.
Appare suggestivo il richiamo di un vecchio capobastone, da tempo in carcere, che sollecita gli intermediari a individuare e attivare quegli affiliati che possano vantare comuni rapporti parentali agli ‘ndranghetisti in lotta.
è febbrile ricerca di canalizzare la pacificazione.
Lo sforzo impegna gli stessi boss coinvolti nella faida che possono trarre vantaggi e opportunità dalla concertazione e, soprattutto, sanno che non possono superare il limite della dovuta pazienza dei boss.
In alcuni casi il protrarsi della faida ha portato alla sospensione della “locale” struttura mafiosa territoriale di base e alla soppressione fisica dei più recalcitranti.
è questione di rispetto e anche gli intermediari si giocano la dignità e la “faccia”.
L’attentato di Duisburg ha ulteriormente accelerato i tentativi di sedare il conflitto.
L’ipertrofia delle modalità esecutive e il coinvolgimento del territorio tedesco hanno causato cospicui danni alla ‘ndrangheta, facendo emergere assetti e interessi calabresi in Germania come in molti altri Stati esteri, e vanificando la politica di basso profilo perseguita sinora.
Da decenni e silentemente le cosche si sono radicate in contesti internazionali, assicurando alle matrici d’origine, da una parte, opportunità di riciclaggio e di inserimento in ambito economico e, dall’altro, supporto logistico al traffico di droga e ai latitanti in transito.
Le associazioni mafiose, si sa, non gradiscono il clamore e da tempo hanno anteposto gli affari all’onore, soprattutto quando tensioni locali, inasprite da giovanili intemperanze, fuoriescono dal controllo dei più saggi anziani e si alimentano di cieco rancore, rischiando di estendersi e di alterare gli equilibri dell’intera organizzazione.
Gran parte di tali giovani è stata arrestata.
A San Luca le donne e i bambini, che un anno fa avevano difficoltà a frequentare la scuola per non esporsi ai colpi degli avversari, passeggiano tranquillamente.
è il segnale di una pace, che molti sono orientati a considerare una tregua.
La protesta, quindi, del 13 ha tutto il sapore di una rivendicazione “erga omnes”, una legittimazione locale e un invito a non dimenticare le offese ricevute dagli Strangio, con l’omicidio di una donna perpetrato nella sua casa, il dolore di un marito - anche lui arrestato - e di piccoli orfani ora privi della presenza genitoriale.
Nel sentimento tradizionale quell’atto non può che essere vendicato e nemmeno Duisburg riesce a cancellare l’aspro e virile rancore dei parenti.
Le donne degli Strangio-Nirta, quindi, con i bizantinismi del codice sanlucota, danno respiro strategico alla loro rabbia e al loro lutto, da una parte rasserenando chi della pace si è fatto garante e dall’altra prestando attenzione che al danno non si aggiunga la beffa e che non valga Duisburg più della loro Maria.
Questo linguaggio criptico ha un valore elevato nell’area, perché in loco ogni abitante ha gli strumenti per cogliere i messaggi carsici e il fine che si vuole raggiungere.
In sintesi, perchè il disvalore assunto dalla strage di Duisburg e assegnato alla responsabilità degli Strangio non faccia dimenticare “la ragione” della vendetta che si vuole giustificata dalla morte innocente di Maria Strangio.
Alle donne e alle persone che portavano seco magliette con stampigliata l’effigie dei parenti latitanti o detenuti non resta, come dice il Procuratore Nazionale Antimafia e come riportato dalla stampa nazionale, suggerire ai cari di consegnarsi o affidarsi alla giustizia per difendersi secondo le regole dello Stato e non con iniziative personalistiche, magari fuoriuscendo dalla corte sanlucota e dalle sue derive come altre componenti sociali cercano di fare.
In gioco, però, è lo spazio vitale che le cosche devono condividere nella circoscritta geografia di San Luca.
Ogni posizione di favore acquisita dall’avversario finisce per essere vissuta quale propria sconfitta.
In questa stressante condizione di equilibri precari e fluidamente circolari anche le donne delle cosche di San Luca devono mobilitarsi, segno dei tempi, della forzosa pace ancora non assorbita e del clima post-bellico che si presta a ogni tipo di strumentalizzazione.
Altro aspetto da valutare riguarda l’emancipazione femminile che, se ha investito la comunità civile con mille auspici di rinnovamento, ha, tuttavia, anche riguardato il microcosmo ‘ndranghetista.
Un tempo, come felici studi hanno messo bene in evidenza, le donne avevano una funzione “domestica” o “logistica”, sempre all’ombra dei rispettivi congiunti cui sono demandati ruoli e funzioni dirigenziali e della prassi operativa.
Tale vicinanza è diventata con il tempo una collaudata e solida forma di consulenza strategica e, all’occorrenza, operativa, sempre più essenziale alla competitività delle cosche.
In tale quadro, il femminile è custode della tradizione che, interpretata nello stretto senso etimologico, riguarda la trasmissione dei valori della famiglia, del rispetto delle discipline endogamiche e della “memoria” familiare - in molti casi vincolo alla vendetta e presupposto della permanenza dello stato di faida.
Oggi, invece, le donne escono allo scoperto, tramano, s’interessano degli affari e delle ragioni della propria cosca, finendo anche per rivendicare apertis verbis una posizione di riguardo nelle logiche complesse del contesto mafioso e di quello esterno.
Non si tratta solo di una necessità dettata dalla latitanza e dalla detenzione dei congiunti che, aprendo spazi inediti, hanno imposto una più diretta e attiva partecipazione agli affari di famiglia da parte di tutti i familiari, a prescindere dal sesso.
Rimane sempre il riguardo - in verità strategico - per le madri che devono assistere bambini piccoli, per evitare un coinvolgimento eccessivo che aumenti il rischio di un arresto. In questo caso, ritorna il crisma materno di medium intergenerazionale e di sentinella della formazione dei figli, destinati presto a sperimentare le logiche dell’onorata società e di dar conto del proprio valore.
Ben oltre le visioni agiografiche, dalle sentenze e dalle operazioni di polizia ci si rende conto di quanto ormai le donne assistano i mariti nei momenti di difficoltà, garantendo sempre l’alta tenuta dell’etica interna e della memoria familiare.
La morte di Maria Strangio induce il marito Giovanni Luca Nirta a riparare immediatamente i figli e ad attivare la reazione della propria cosca/famiglia.
Sarebbe il latitante Sebastiano Strangio, ben noto per la sua determinazione, a gestire la vendetta, anche se risulta ipertrofica.
I familiari si stringono a coorte, l’immagine del latitante levita sulle magliette dei parenti che protestano.
Anche questo è segno dei tempi mutati, tempi massmediali in cui la comunicazione ha un ampio spettro di operatività.
Tale ambito sembra diventare appannaggio del femminile, cui è demandato l’onere di perdonare e di invitare alla pace oppure di ricordare le ragioni della tradizione, il rispetto di verità che si confondono nella polvere di San Luca.

Principali eventi nella faida di S. Luca (RC) e Africo (RC)
tra lo schieramento dei “Pelle Vankeju - Vottari” e i “Nirta - Strangio”
DATA
LUOGO
NOME
06.01.2005
Casignana (RC)
Omicidio di Salvatore FAVASULI
31.10.2005
Africo (RC)
Omicidio d: Antonio GIORGI
31.07.2006
Africo (RC)
Tentato Omicidio di Francesco PELLE
25.12.2006
San Luca (RC)
Omicidio di Maria STRANGIO
Tentato Omicidio di:
Francesco NIRTA
Domenico STRANGIO (cl.2001)
Giovanni Luca NIRTA (rimasto illeso)
Francesco COLORISI
04.01.2007
San Luca (RC)
Omicidio di Bruno PIZZATA
17.05.2007
Bovalino (RC)
Tentato Omicidio di Emanuele BIVIERA
21.05.2007
Bovalino (RC)
Omicidio di Rocco ALOISI
03.08.2007
San Luca (RC)
Omicidio di Antonio GIORGI
12.07.2007
Bianco (RC)
Omicidio di Giuseppe CAMPISI
15.08.2007
Duisburg (Germania)
Omicidio di:
Marco MARMO
SebastianoSTRANGIO
Francesco GIORGI
Marco PERGOLA
Francesco PERGOLA
Tommaso Francesco VENTURI



© AGENZIA INFORMAZIONI E SICUREZZA INTERNA