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GNOSIS 2/2008
Palermo e la sua mafia

Cosa Nostra tramonta
Palermo risorge


Attilio BOLZONI

In questo articolo l’autore descrive, con un linguaggio stringato, efficace ed estremamente veritiero, la Palermo di oggi, una città ‘sdoganata, più bella e più brutta, più libera e più scontata’, ma certamente una ‘Palermo cambiata’. In poche righe, infatti, ne viene proposto al lettore il nuovo volto, ancora imprigionato dagli scheletri del passato, ma ormai permeato da una voglia incontenibile di cambiamento.



Sembrava immutabile, sospesa in fondo all’Italia. Esotica, lontana, arabeggiante con quelle sue cupole color arancio, le palme, il profumo dei gelsomini. Sembrava davvero lontana. Lentamente, invece, il tempo sta coprendo differenze e distanze. è meno oscura e impenetrabile, come se avesse perduto quel suo mistero che l’aveva fatta apparire sempre diversa. è più italiana, come se qualcosa o qualcuno l’avesse finalmente avvicinata al resto del Paese. In qualche modo "sdoganata".
Palermo non è più la Palermo che era diventata un "buco nero" della nostra democrazia. Dopo le stragi del 1992, si è incamminata verso una normalità mai conosciuta prima. è più bella e più brutta, più libera e più scontata.
Palermo è cambiata. È cambiata anche quella sua criminalità che ne ha segnato drammaticamente il destino per più di due secoli. A Palermo c’è meno "voglia di mafia" e c’è meno mafia.

foto Ansa
Gli ultimi quindici anni sono stati decisivi per farla uscire da un recinto, la prigione dove era rinchiusa. Anni di poco "rumore", a prima vista sbiaditi, in realtà determinanti per l’inizio di quella che potrebbe rivelarsi una grande svolta. Anni di silenziosa ribellione dove si è risvegliata l’altra Palermo, dove quella Cosa Nostra che una volta era padrona assoluta ha perso nelle borgate il suo appeal, i suoi capi e molti dei suoi patrimoni.
Una Palermo che si sta trasformando e una mafia allo sbando, come non lo era stata neanche nel 1963 quando - dopo la terribile stagione delle Giuliette al tritolo, della guerra fra i Greco e i La Barbera - tanti suoi capi emigrarono nelle Americhe. Qualcuno di loro pensò pure di sciogliere le "famiglie". Per quelli che si chiamano uomini d’onore, oggi è anche peggio. Tutti i Padrini delle stragi sono in carcere sepolti dagli ergastoli (i corleonesi Totò Riina e Bernardo Provenzano, Pietro Aglieri della Guadagna, i fratelli Graviano di Brancaccio, i Madonia di Resuttana, l’unico ancora latitante è il trapanese Matteo Messina Denaro), Cosa Nostra è una tribù in disgregazione che - più che alla ricerca di una guida - sembra ormai alla ricerca di se stessa. Del suo futuro, della sua sopravvivenza.
Sono abbastanza nitidi gli indizi di un mondo che sta avviandosi inesorabilmente verso un disfacimento, ce li consegna ogni giorno la cronaca. Questa volta Cosa Nostra non sta cambiando solo pelle o vestito, è il suo Dna che si è alterato.
Dalla "presenza" e dalla potenza degli antichi Padrini dei "felicissimi" anni ‘60 che regnavano su una Sicilia soffocata dal silenzio, si è arrivati - dopo l’era dei Corleonesi - al "decalogo" dei Lo Piccolo di San Lorenzo, quelli che nel 2008 sono stati elevati al rango dei nuovi capi del grande crimine siciliano, padre e figlio che si portavano dietro nei covi della loro latitanza un manuale del perfetto mafioso. Una sorta di "bignamino", un elenco delle regole da osservare per gli uomini d’onore. Un salto generazionale e un salto nel vuoto. Un segno dei tempi, quello della decadenza, della loro rovina.
La Cosa Nostra è in grave crisi economica (una recente indagine su un traffico di stupefacenti gestito dalla ‘ndrangheta ha scoperto che gli uomini d’onore della "famiglia" di Porta Nuova, negli Anni Ottanta una delle più ricche e influenti di Palermo, non avevano nemmeno il denaro per acquistare un gommone per il trasporto di una piccola partita di droga) e soprattutto è in crisi di vocazioni. Non c’è più la fila per entrare lì dentro, Cosa Nostra non fa più status come un tempo. Se una volta occorrevano cinque, dieci e pure vent’anni di "osservazione" per scegliere un nuovo affiliato, oggi le porte dell’organizzazione sono aperte a spacciatori raccattati e reclutati allo Zen, fra i rapinatori di Brancaccio.
è da considerarsi - questa - la spia dell’inizio della fine di un’associazione segreta che è stata considerata l’organizzazione criminale più potente dell’Occidente? Gli esperti più attenti sostengono che Cosa Nostra è destinata a diventare una delle tante "mafie".
Il suo crollo è cominciato con il delirio di onnipotenza di Totò Riina e dei Corleonesi. Le stragi. L’attacco alle Istituzioni. L’idea folle di sottomettere lo Stato italiano al volere di un gruppo di "contadini" cresciuti all’ombra della Rocca Busambra. è stato Totò Riina l’uomo che ha accompagnato in un vicolo cieco i mafiosi siciliani.
"Il giocattolo si è rotto", si confessano fra loro i boss ricordando gli "errori" di dieci anni prima, la stagione delle bombe, l’uccisione di Giovanni Falcone, la morte di Paolo Borsellino. La strategia stragista ha annunciato la loro sconfitta. Violentissima la repressione poliziesca, per la prima volta non più sull’onda di un’ "emergenza", non più a corrente alternata come accadeva tanti anni prima quando lo Stato "scopriva" la mafia sempre e soltanto dopo un delitto eccellente di Palermo.
La mafia siciliana è gravemente malata dentro e fuori: fuori non ha più "presa" come dieci o vent’anni fa. Palermo vuole respirare.
Una mattina del giugno del 2004 si è risvegliata con tutti i suoi muri ricoperti da un manifesto: "Un popolo che paga il pizzo è un popolo senza dignità". A qualcuno era sembrato il "gesto provocatorio" di alcuni ragazzi, dopo quattro anni Addiopizzo - l’associazione che aveva tappezzato Palermo con quei manifesti - può contare sull’adesione di quasi trecento fra commercianti e imprenditori che hanno pubblicamente detto no all’Anonima Estorsioni. E sono quasi diecimila i palermitani che li sostengono come consumatori.
Non comprano il caffè nelle torrefazioni dei boss, i cannoli nelle pasticcerie dei boss, la carne nelle macellerie dei boss. Una rivoluzione per Palermo, città suddivisa in borgate e in mandamenti dove in ogni borgata e in ogni mandamento tutti erano "abituati" a pagare senza fiatare. "La messa a posto", la chiamano in Sicilia. Quando un commerciante apriva la sua bottega, e dopo qualche giorno non riceveva ancora la richiesta di pizzo, correva dal bottegaio vicino a chiedere: "Con chi mi posso mettere a posto?".
E dopo i ragazzi di Addiopizzo, ecco la ribellione di Sicindustria. La rivolta degli imprenditori dell’isola nell’estate 2007. Tutti insieme per cambiare le regole, per non subire più i ricatti. Nel novembre dell’anno scorso si sono incontrati tutti al Teatro Biondo di Palermo, erano in migliaia. Anche nel gennaio del 2005 avevano provato a contarsi, però il Teatro Biondo rimase vuoto. Sono passati quasi tre anni, a Palermo sono sembrati tre secoli.
è una "guerra" che ancora si combatte in Sicilia e in Italia e, finalmente, si intravede una fine. Se lo Stato continuerà come ha cominciato, la Cosa Nostra siciliana potrebbe trasformarsi - come è già avvenuto negli Stati Uniti nei decenni passati - in un’organizzazione criminale dedita ad attività illegali (e magari poi legali) ma senza un "progetto politico", senza l’aspirazione di governare territori. Forse i futuri boss faranno la fine dei "don" di Brooklyn, solo caricature di antichi Padrini.
I figli dei boss siciliani faticano già adesso a diventare anche loro boss. L’unico figlio maschio di Totò Riina sarà un "sorvegliato speciale" a vita, i figli maschi degli Inzerillo sono stati fermati ancora prima che potessero cominciare la loro scalata. Sono crollati i "miti". Quello della loro invincibilità primo fra tutti. Agli eredi degli uomini d’onore, negli anni a venire resteranno probabilmente solo paure e incertezze.




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