GNOSIS 2/2008
Tra sviluppo ed instabilità L'Africa e le sfide alla sicurezza l'azione della Comunità Internazionale |
Mario Rino ME |
Lo sconfinato Continente africano viene analizzato dall’autore, profondo conoscitore di questa realtà, nei suoi molteplici e complicati risvolti sia interni che internazionali. Ne emerge un mondo tanto antico quanto complesso e travagliato pronto, comunque, a raccogliere le nuove e imprevedibili sfide future. Google Earth I mass media dell’era della cosiddetta “nuova tecnologia dell’informazione e della comunicazione” raffigurano l’Africa con immagini riguardanti, per lo più, efferatezze e disgrazie di ogni sorta (povertà, carestie, epidemie etc.), che le sono valsi l’appellativo di “Continente disperato” (hopeless continent). Ciò anche in relazione alla perenne fragilità della situazione che, dopo gli interventi correttivi, non ha mai offerto garanzie di inversione di tendenza definitive. Ad esempio, nel caso dei conflitti che hanno insanguinato il Continente, si è visto che quelli mitigati tendono a ripresentarsi nel focolaio d’origine o altrove. Da non molto, però, si mettono in risalto anche i progressi. Nell’attuale contesto strategico l’Africa appare pertanto in chiaroscuro: successi, non sempre duraturi, si alternano a crisi, talvolta profonde. Ma, nonostante ciò, il Continente ha intrapreso il suo cammino: richiede stabilità e sicurezza per sprigionare il suo enorme potenziale, ha un ruolo di primo piano nella “geografia delle risorse”(uno dei punti di forza del Continente). In estrema sintesi ha problemi seri, ma non insormontabili. L’Europa, vuoi per vicissitudini storiche, vuoi per le connessioni geografiche dell’interfaccia mediterranea, è da lungo tempo legata alle vicende del “vicino della porta accanto” (1) . Lo sarà sempre più dal momento che la globalizzazione, in linea con la “parola d’ordine dell’interdipendenza” (2) , ha intrecciato i nostri destini e i poco confortanti scenari, presenti e futuri, del Continente fanno presagire frequenti interventi. Interventi, come si vedrà in seguito, sotto l’egida della cosiddetta Comunità Internazionale, e non ingerenze. Del resto, il presidente della Repubblica francese N. Sarkozy ha dichiarato recentemente che il Sud è il futuro dell’Europa (3) . Nella dimensione Sicurezza poi, in linea con la cultura dell’audiatur altera pars, le percezioni africane sono tenute nel debito conto. Esse risultano in fase con le attuali correnti di pensiero, secondo cui la nozione statica della sicurezza, imperniata su termini spaziali-militari dello stato (state-centric), deve evolvere per considerare le dinamiche incentrate sul sociale (socio-centric). Pur nell’attuale fase di dibattito sulla definizione del termine human security, si registra una generale convergenza sulla necessità di contemperare i diritti individuali, della comunità e degli Stati. Il concetto, si sa, è strettamente legato allo sviluppo, tanto che gli esperti parlano di “securisation of development”, nel senso che...”insicurezza e sottosviluppo creano le condizioni per guerre e conflitti. Dunque lo sviluppo è da trattare come issue di sicurezza” (4) . Aspetti salienti A differenza di altri Continenti, la geografia politica africana, ha risentito “in termini generalmente negativi del passato coloniale” (5) . Sul piano della struttura statuale, Dan Henk (6) descrive la situazione così: “da una parte i regimi si sono dovuti confrontare con il fatto che la “la maggior minaccia [alla loro esistenza] veniva dall’interno [e spesso era] di natura non militare” (7) ... ciò ha comportato l’impianto di agenzie coercitive per mettere a tacere l’opposizione interna. Dall’altro, i sistemi militari ereditati o istituiti ex novo, non sono stati assoggettati al controllo politico, con il conseguente risultato di creare “un monopolio della violenza da parte dei militari contro i propri concittadini, o di un regime oppressivo attaccato al suo potere “ (8) . Dal punto di vista geo-politico, in Africa si considerano due tipi di Stati: a) quelli per cui si può parlare della corrispondenza biunivoca Stato-Nazione e b) quelli che non rientrano in questa categoria (9) . Appartengono alla prima categoria gli Stati dell’Africa Settentrionale (Maghreb ed Egitto), le cui frontiere sono antecedenti alla colonizzazione. Eccetto l’Etiopia, considerata un caso intermedio, il resto, ovvero la maggioranza, viene tuttora visto da molti analisti come costituito da “Stati-non-ancora-nazione” (10) . Qui, i confini non sono stati definiti da processi di natura conflittuale tra le parti in causa; sono bensì il risultato della spartizione tra potenze coloniali, definita nel Congresso di Berlino del 1885, e successivi consessi al termine delle due Guerre Mondiali del ‘900 e del periodo post-coloniale. Ed è proprio questa malriuscita definizione delle frontiere, e conseguente porosità, la causa di tanti problemi. Premessa la difficoltà di generalizzare la “situazione africana”, il Continente mostra una realtà geo-politica complessa, che emerge, in particolare da : • presenza di 53 Stati, che, a fronte di una popolazione complessiva di circa 850 milioni, determina una sorta di “balcanizzazione” (11) ; • notevoli e diffusi contrasti etnico-sociali, economici e politici; • abbondanza di risorse cui si contrappone un generale stato di povertà delle popolazioni (all’incirca 750 mil. risultano sopravvivere con meno di un dollaro al giorno); • esiguo peso nella scena planetaria (circa 12,7% e 2% della popolazione e del commercio mondiale rispettivamente). Nello storico Millennium Summit dell’ONU del settembre 2000, la Comunità Internazionale si è prefissata obiettivi ambiziosi per lo sviluppo da raggiungere entro il 2015 (12) . Siamo ora a metà strada e sarebbe interessante conoscere lo stato dell’arte. Di fatto, gli impegni assunti hanno generato un incremento dell’aiuto pubblico allo sviluppo del Continente, già percettibile nel 2005 e condizione indispensabile per azioni durature. Proprio in questo quadro si sono inseriti il costante aumento delle interazioni della Comunità Internazionale con l’Unione Africana (UA) e con le organizzazioni sub-regionali, nonché la recente Strategia Congiunta Unione Europea (UE) – Unione Africana (UA), di cui si parlerà più avanti. L’UA (52 (13) membri , su cui pesano, talvolta, antiche rivalità) offre ora una cornice di riferimento per risolvere le tematiche continentali ed inizia ad assolvere ruoli di rilievo. Degni di nota sono ad esempio l’omogeneizzazione tra le legislazioni in materia di commercio e l’opera di mediazione nelle situazioni di crisi/conflitto del Continente dove, peraltro, ha registrato qualche successo l’impianto della “New partnership for Africa Development (NEPAD)” (14) . Queste iniziative sono state riprese nel testo della comunicazione “The EU and Africa: towards a strategic partnership” (15) , in cui si afferma che “nella scena internazionale riemerge un’Africa nuova e lungimirante. Il NEPAD dell’UA e le Organizzazioni Regionali hanno dato al Continente una visione (futura) ed indirizzi politici ed economici”. Questo stato delle cose trova eco, successivamente, nel board del Fondo Monetario Internazionale (FMI) che, alla luce dei cambiamenti nell’economia mondiale, inizia a proporre una maggior presenza dei Paesi africani (16) . Cinque Organizzazioni Sub-Regionali (SROs) (17) iniziano a sovrintendere alle tematiche di sicurezza nei territori in cui è stato suddiviso l’intero Continente. Nate per scopi economici hanno esteso, successivamente, la propria sfera di competenza alle dimensioni sicurezza e difesa. Un chiaro esempio di questa evoluzione (di fatto un nesso tra “regionalismo economico e facilitatore di mediazioni, nonché garante delle minoranze etno-sicurezza” (18) è fornito dal transito dell’ECOWAS (Economic Community of West-African States) nella complessa dimensione della sicurezza attraverso lo ECOWAS Cease-Fire Monitoring Group (ECOMOG), riconosciuto come arbitro tra le parti in lotta e, quindi, tribali. Sfortunatamente, la loro evoluzione non è stata sostenuta dalla disponibilità delle risorse, allargando in tal modo la forbice tra finalità e risultati conseguibili. Come si vedrà in seguito, l’architettura di sicurezza è già delineata a livello istituzionale e, in linea con l’approccio di “intervento antincendio” (fire-brigade), avrà il suo braccio operativo nella cosiddetta "stand-by force", ora in fase di sviluppo. Tuttavia, purtroppo, anche qui mancano le risorse per metterla in atto. Risorse che stentano a essere messe a disposizione dagli stessi leaders nazionali, apparentemente timorosi del rafforzamento di organizzazioni sovrastanti, della loro capacità di prendere posizioni nette (ma poco gradite ai governi nazionali), al fine di garantire il rispetto del diritto internazionale e dei diritti dell’uomo (19) . A livello statuale, il processo di democratizzazione ha fatto registrare una forte spinta nel periodo tra la caduta del muro di Berlino e una buona parte degli anni ‘90; questo fenomeno locale è stato analizzato anche alla luce dei grandi cambiamenti di quegli anni (20) . Dopo una fase di stasi, in questi ultimi anni ha ripreso abbrivio e procede gradualmente (21) . In un processo che ha riguardato oltre 30 dei 53 Stati, “riforme democratiche e liberalizzazioni hanno contribuito a migliorare la dimensione politica; lo Stato africano è (ora) significativamente meno autocratico anche se rimane, in gran parte, neo-patrimonial" (22) . Il Continente sembra registrare, pertanto, processi evolutivi democratici a diverse velocità che, nell’attuale contesto di globalizzazione, vedono favorite le Nazioni costiere. Negli ultimi lustri, l’attenzione della Comunità Internazionale si è concentrata, in gran parte, sulla “zona dei contatti (derivanti da confluenze varie) e dei conflitti” (23) : del Corno d’Africa, dei Grandi Laghi, di parte del Sahel (Etiopia, Sudan, Chad), dell’Africa Occidentale (Liberia, Sierra Leone) e del Golfo di Guinea. Si tratta di un’area colpita duramente dai mali del Continente (si parla di valori di denutrizione che affliggono un abitante su tre) ma di notevole importanza strategica. Malgoverno (caratterizzato da corruzione (24) e nepotismo), intolleranza, differenze etniche sono ancor oggi temi ricorrenti del quadro africano. Si tratta, come vedremo più in là, di elementi comuni nelle situazioni di crisi che, in un contesto di povertà, frustrazione e mancanza di prospettive, innescano serie conflagrazioni, grazie anche alla notevole disponibilità di armi di piccolo calibro e improvvisate. In definitiva, malgrado la ricchezza che potrebbe derivare dai proventi delle risorse di cui sopra, si ha a che fare con Stati sostanzialmente poveri e intrinsecamente deboli. In realtà alcuni Paesi africani quali Ghana, Mali, Niger, Senegal, Tanzania, Sudafrica, Namibia, Botswana e Mozambico, hanno conosciuto e continuano a vivere lunghi periodi di pace, sicurezza, stabilità economica e politica e partecipazione democratica. Altri continuano a sprofondare in conflitti interminabili. Non si può tuttavia affermare che gli acquis siano duraturi: anche in condizioni di relativa quiete, le tensioni, sempre latenti, possono determinare crisi repentine. Una prova lampante di ciò è fornita dalla grave situazione di crisi in cui è sprofondato recentemente il Kenya in esito alla contestazione del risultato elettorale. E che dire della “diplomazia silenziosa” Sudafricana (25) sulle tormentate vicende elettorali in Zimbabwe, governato da un padre padrone? Per certo uno scacco per la reputazione del Paese, costruita pazientemente nel tempo, di innovatore, paladino della democrazia e dei diritti umani. Fama vieppiù compromessa oggi dalle pulsioni etniche nelle bidonvilles, in quella che è stata definita “la guerra dei poveri” tra rifugiati e locali. Negli ultimi dieci anni, in Guinea, Liberia e Sierra Leone, Paesi ricchi di preziose risorse naturali (diamanti e legname), i conflitti hanno fatto precipitare la regione in una grave crisi che ha provocato un enorme flusso di rifugiati. Non si può non parlare della situazione precaria in Somalia (triste primato di “il più povero dei poveri”, senza governo da 7 anni, con oltre un milione di sfollati) e nello Zimbabwe, della crisi del Darfur che infuria nel Sudan dal febbraio 2003 e del suo spill over nel Chad, della "bush war "dimenticata, appena conclusa nel Nord dell’Uganda, della persistente insicurezza nelle regioni orientale e settentrionale della Repubblica Centrafricana, dell’instabilità del Congo (Brazzaville) e del Repubblica Democratica del Congo (26) . Ma occorre anche riconoscere i recenti sviluppi in Liberia sotto la presidenza di Ellen Johnson Sirleaf (27) , la grande ripresa del Ruanda, che non riguarda solo lo sviluppo economico-sociale, ma anche l’assunzione di ruoli di primo piano nella stabilizzazione della regione dei Grandi Laghi e nella regione orientale della Repubblica Democratica del Congo, nonché di membro attivo nei tentativi di risoluzione della crisi nel Darfur (dove è presente con un consistente numero di truppe nella Forza di peace keeping dell’Unione Africana). Nel continuo alternarsi di luci e ombre, non passa inosservato, però, il fatto che Kigali è divenuta l’hub di complesse reti di intermediazione sul mercato clandestino di minerali preziosi (coltan etc.), che parrebbe intrecciarsi, a sua volta, con il riciclaggio di denaro sporco. A tali fattori endogeni si deve, parallelamente, aggiungere ora l’intensificarsi della criminalità organizzata transnazionale che, con la diffusione dei mercati clandestini senza controlli (chiamati lawless bazars), rende sempre più incombente la minaccia del traffico e del consumo di stupefacenti, della tratta di esseri umani, del contrabbando di risorse naturali e del traffico di armi. Infine, non si può non fare riferimento all’ambiente. Il pannello ONU Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) ed altri studi mettono in risalto la vulnerabilità del Continente alle conseguenze della portata del prevedibile cambiamento climatico (lotta per le risorse a causa di siccità, desertificazione etc.) (28) . Ancora, iniziano a farsi sentire, intanto, le ripercussioni di quella che oggi viene definita “la crisi alimentare globale” che agita lo spettro della fame (29) , di cui le manifestazioni di guerriglia urbana a Mogadiscio e di protesta in Egitto, in Marocco ed in Kenia sono le prime avvisaglie. La “sicurezza alimentare” prevale, di fatto, nell’agenda del vertice della Food and Agriculture Organisation (FAO) di Roma del 3-5 giugno 2008 (30) . Gli indicatori della crescita Se quanto detto mette in evidenza i mali evidenti del Continente, non mancano però le premesse per lo sviluppo di fattori di crescita. Le iniziative avviate in ambito internazionale fanno ben sperare per il futuro (31) . Quanto al presente, i notevoli passi in avanti sono stati ricordati dall’allora Premier Tony Blair al World Economic Forum di Davos del 2007 (32) . Oggi, lo sfruttamento sostenibile delle risorse naturali, lo sviluppo agricolo e l’investimento nelle risorse umane creano un clima favorevole per attrarre flussi finanziari esterni; peraltro le risorse minerarie si stanno valorizzando a tal punto che un fondo di investimento USA risulta guadagnare, su base annua, oltre il 30% (33) . Numerosi Paesi africani sono ricchi di risorse naturali, che consentono un effettivo sviluppo sostenibile. Le economie africane che dipendono dai prodotti agricoli di base possono ridurre la propria vulnerabilità contrastando la tendenza al ribasso dei prezzi a lungo termine e le fluttuazioni dei prezzi mondiali. Ad esempio risulta che l’aumento in valore dei raccolti di caffé sugli altopiani dell’Africa Orientale sia dell’ordine del 13%. Un contesto affidabile e allettante per gli investimenti è essenziale per la crescita: fattori quali la stabilità e il livello di governance di un Paese, la trasparenza, il dialogo con il mondo imprenditoriale nazionale e internazionale, nonché l’integrazione regionale, contribuiscono allo sviluppo economico. In molte Nazioni, grazie alla maggiore stabilità politica, a un’ondata di liberalizzazioni e alla nascita di uno spirito imprenditoriale, si è entrati decisamente nella via dello sviluppo. Secondo le stime dell’FMI, questa nuova spinta porterà la crescita del PIL dal 5,7 % del 2006 allo stimato 6,7 del 2007, con proiezione al 6,8 per quest’anno (34) . Pur tuttavia resta sempre l’esigenza di porre rimedio al tradizionale handicap dell’Africa, rappresentato dalla lontananza delle risorse dai mercati; per sfruttarle occorrono investimenti e infrastrutture (35) . Nuovi interlocutori esterni sono sempre più attratti dal potenziale economico rappresentato dall’Africa: Cina, India e Brasile sono diventati importanti fonti di investimenti esteri, rappresentano nuovi mercati per le esportazioni di prodotti di base africani e si presentano come parti di eventuali joint ventures. Sfide e opportunità Sottosviluppo, pandemie, emigrazione costituiscono i sintomi delle difficoltà africane più conosciute. Il punto di forza del Continente appare costituito dalle capacità potenziali delle sue risorse (il 65% della popolazione ha un’età media inferiore a 25 anni, vastità del territorio da sfruttare, abbondanza di risorse energetiche e minerarie). Il punto di debolezza risiede nel cronico sottosviluppo, instabilità e carenze strutturali di gran parte degli Stati, corruzione, pressione demografica. Ad una demografia in piena espansione, la mancanza di prospettive rende le nuove generazioni le prime vittime dell’instabilità del Continente e, per certi versi, primi attori nelle crisi che lo attraversano. Una prova lampante è fornita dal fenomeno dei “bambini soldato”, che sarà trattato successivamente nell’ambito della morfologia dei conflitti. In breve, tra le sfide più significative si possono annoverare: a) la formazione di identità nazionali, basate su elementi culturali tradizionali e pratiche religiose, che comporta il superamento della dicotomia nazionalismo-tribalismo (loyal network and loyalties); b) il reperimento di fondi (36) per il funzionamento delle istituzioni locali/nazionali/sub-regionali; c) l’emergenza terrorismo, per cui le Agenzie di Intelligence dei Paesi occidentali monitorano con particolare attenzione nuove aree in cui potrebbero annidarsi cellule collegate ad Al Qaeda (37) , in particolare nelle zone in cui è a rischio il collasso istituzionale o laddove si stiano sviluppando forme di proselitismo del radicalismo islamico (vds. Algeria, Marocco, Somalia); d) l’adeguamento delle economie politiche nazionali a causa dell’attuale diffusa situazione di distorsione (difficoltà di accesso alle risorse ed alla loro distribuzione, arbitraria ripartizione dei proventi, abuso delle istituzioni/partiti/incarichi per fini personali); e) la gestione dell’emigrazione che assume aspetti sempre più drammatici (38) , nonché la risoluzione delle problematiche legate al fenomeno degli sfollati (39) (Internally Displaced Persons – IDP) e dei rifugiati, delle epidemie (in particolare HIV-AIDS), il cui impatto può comportare, per i Paesi interessati, il rischio di compromettere i servizi essenziali soprattutto in situazioni di conflitto/post-conflitto; f) l’impianto di un sistema di sicurezza nazionale di tipo multi-dimensionale, come evoluzione dell’attuale sistema, confinato alla sola difesa dell’apparato governativo; g) la percezione africana di diventare il terreno di confronto di una sorta di riedizione, in chiave moderna (geografia delle risorse), della competizione tra attori globali; di fatto, la rapida crescita economica del complesso sino-indiano e del Brasile fanno presagire un riassetto degli attuali equilibri, che molti esperti stimano spostarsi a oriente; h) l’adeguamento alle conseguenze del cambiamento climatico. Tra le opportunità, capaci di favorire inversioni di tendenza, possiamo considerare: a) l’impiego efficace dei proventi petroliferi e delle materie prime dei Paesi produttori (Nigeria, Angola, Guinea Equatoriale, Sudan); b) l’incremento della produttività agricola; c) il tasso di crescita dianzi citato che sembra destinato a consolidarsi nel prossimo futuro; d) la creazione di assi africani trainanti, come ad esempio l’attuale Pretoria-Abuja, nelle dimensioni economico-politico-diplomatiche; e) gli sviluppi scientifici nella lotta alle epidemie, favoriti dalle collaborazioni e sinergie avviate in équipe con scienziati africani; f) il consolidamento della UA e delle Organizzazioni Regionali. Carenze africane in materia di sicurezza a) I sintomi (morfologia dei conflitti) Come già detto, il Continente rimane sempre al centro dell’attenzione della Comunità Internazionale per la ricorrenza, la portata e la brutalità dei conflitti. I conflitti che insanguinano il Continente si attestano da una decina d’anni su numeri ragguardevoli (oltre 20) ed evidenziano il fallimento dei tentativi di uscita dalle crisi. Vediamo allora da vicino la morfologia delle situazioni conflittuali (40) . A fattor comune di tante analisi e fonti, tra cui il "Journal of Peace Research", le situazioni di crisi sono riconducibili, di solito, a un vuoto di potere al vertice, dove pescano nel torbido attori legati da complessi intrecci tribali e d’interesse. Nel contesto africano, le situazioni di crisi, che interessano per lo più Paesi dotati di risorse energetiche/minerarie, si manifestano sotto forma di dissidenze armate, in lotta per il potere, e/o controllo delle risorse. A questo riguardo, non si può non osservare che, per l’Africa, nella maggior parte dei casi, la disponibilità di risorse energetiche e di materie prime si è rivelata negativa in quanto ha scatenato una vera e propria lotta avida all’accaparramento. Nelle zone “di contatti e conflitti” già citate, si rileva ad esempio che parte delle popolazioni non si identifica con gli “Stati” che li governano e gruppi armati sono in conflitto con i governi centrali (41) . Molti di questi Stati sono stati, e in alcuni casi sono tuttora, interessati da guerre/conflitti, anche durevoli, di natura etnica, religiosa, spill-over regionale, nonché di classe. Di massima, l’innesco è fornito da colpi di stato, eliminazioni mirate, risultati elettorali controversi, fenomeni destabilizzanti di immigrazione di massa da Paesi vicini etc.. Lo stato di povertà e di emarginazione, inoltre, sembrano offrire l’humus ideale per l’innesco di scontri, anche violenti, che hanno per protagonisti signori della guerra, clan tribali e organizzazioni criminali. Il clima di sicurezza risente dell’eccessivo inurbamento, favorito anche dalla consuetudine secondo cui “il possesso della capitale più che il controllo del territorio sembra in molti casi sufficiente per la legittimazione del potere e per il riconoscimento internazionale (42) ; tendenza che, portando a lasciare vaste aree di territorio senza controllo, sottende seri rischi. A ciò viene ad aggiungersi la notevole disponibilità di armi da fuoco o improvvisate (per un fucile d’assalto AK47 si parla di prezzi dell’ordine di poche decine di dollari US). è ben vero che le armi, di per sé, non sono la causa, ma possono contribuire ad alimentare il regime di violenza. Infatti, in un clima di tensione e di odio radicato, è difficile resistere alla tentazione di ricorrere alle armi per risolvere le controversie. Il controllo dei flussi di armi e delle associate risorse finanziarie appare quindi essenziale per fermare la spiralizzazione delle crisi. Ciò anche in relazione ad un’altra anomalia africana: a differenza di quanto avviene in altre aree, il vicinato non sempre collabora al contenimento delle crisi; in molti casi alcuni Paesi hanno contribuito, difatti, a mantenere accesi i focolai di tensione, deflagrati in Paesi confinanti. Ancora, la presenza dei bambini soldato tende a complicare la missione dei peace-keepers, in quanto occorre tener conto dell’impatto giuridico delle legislazioni nazionali sulla condotta delle operazioni: in pratica, si pone la nota questione del loro status: sono da considerarsi bambini oppure soldati? A questo riguardo la terminologia francese, anche ai fini dei risvolti giuridici definisce forse meglio il fenomeno in termini di Enfants Associciés aux Forces et Groups Armés (EAFGA). Le linee di tendenza nel breve termine non sono confortanti. è infatti opinione diffusa che i conflitti continueranno a seguire le morfologie attuali: soldati poco addestrati; milizie/bambini soldato che terrorizzano le popolazioni locali. Sul terreno, peraltro, queste formazioni militari impongono atteggiamenti di estrema cautela, se non addirittura di inazione. Un problema ulteriore, in questo quadro è costituito dal rischio di miscele pericolose, che si creano allorquando le situazioni di “stato in via di dissoluzione” vengono a combinarsi con la criminalità organizzata e la minaccia del terrorismo integralista. Va detto però che, contrariamente a quanto ritenuto comunemente, le prospettive di attecchimento del fenomeno jihadista nell’area Sub-sahariana sono state valutate come modeste.Le motivazioni sono riconducibili alla specificità della regione (43) , in cui la pratica religiosa, ad esempio, è
Con Governi deboli e corrotti le crisi si trascinano nel tempo; per contro, se il governo è forte, sussistono maggiori probabilità di successo nella cooptazione dei riottosi. In ogni caso, la reciproca sfiducia tra le parti, appare, di massima, un ostacolo difficile da superare anche al termine delle ostilità. è la conseguenza diretta di odi secolari, la cui soluzione passa attraverso l’intervento di un arbitrato credibile (third party) per facilitare lo sbocco politico nei possibili scenari di end state (separazione territoriale su base entità nazionali, governi di unità nazionale etc.). E proprio qui, da qualche anno, si registra un’evoluzione positiva, in quanto molti degli accordi di pace vengono sottoscritti, senza ricorrere a intermediari esterni, sotto gli auspici dell’Unione Africana, riconosciuta come un "honest broker". Per di più, è bene tenere presente che gli impegni assunti non devono essere "open - ended", altrimenti si corre il rischio di alimentare la cultura della “dipendenza”, a discapito del principio della titolarità dei beneficiari (ownership). Alla luce di quanto sopra, nell’assunto che la componente militare, ancorché inserita in contesti multi-disciplinari, continui a ricoprire un ruolo primario, si consolida la linea d’indirizzo volta a rafforzare le istituzioni Africane per prevenire il manifestarsi delle crisi, fornendo alle loro forze quei sostegni che loro non hanno (in particolare sul mare o in aria, nonché standards operativi comuni e capacità di comando e controllo). In definitiva, si consolidano i principi di riappropriazione africana e di multi-lateralizzazione della gestione delle crisi, riassumibili nel detto (soluzioni africane per problemi africani). Il rafforzamento delle capacità di prevenzione appare dunque la via più opportuna in quanto capace di conciliare non solo gli obblighi di moral high ground, ma anche i calcoli di costo-efficacia-convenienza, rispetto a discutibili interventi esterni (legittimazione?, accettazione dalle parti in causa?) nel Consequence Management. La titolarità dei beneficiari (ownership) è, oramai, un concetto chiave per la risoluzione delle crisi. Questo perché all’esterno viene visto come pegno di legittimità e ripartizione degli oneri (burden share) e, all’interno, come assunzione di responsabilità da parte dell’Africa. Circa l’impiego dei giovani iniziano ora a profilarsi alcuni “buoni esempi” (45) . Il Madagascar, di concerto con le Forces Armées de l’Ocean Indien, ha sviluppato un progetto di "Service National Adapté au Developpement" (SNAD) che mira ad inserire, con corsi di 2 anni, giovani volontari nell’ambiente rurale/urbano per partecipare allo sviluppo del Paese. Simili esperienze risultano condotte, con successo, a Gibuti, con le autorità francesi, e nello Zambia, che ha impiantato un analogo Zambia National Service, sostenuto finanziariamente dalla African Capacity Building Foundation. Così facendo si educano e si dà un mestiere ai giovani. b) Cause di fondo e linee di tendenza L’Africa è stata penalizzata, fortemente, da quella che gli esperti hanno definito il consolidamento della “militarizzazione della politica” (46) . La grande sfida è rappresentata da una corretta impostazione istituzionale delle relazioni civili-militari. Si sa che molti impianti costituzionali non rispondono né alla volontà né ai desideri delle popolazioni. Le costituzioni, a volte sono state modificate per rispondere a obiettivi di lotta politica e/o ambizioni personali di presidenti "big man". Un’analisi sulle cause dei conflitti, difficilmente risolvibili con i normali mezzi delle relazioni internazionali, ci porta a considerare fattori interni ed esterni. Tra i fattori interni si evidenziano: a. le carenze strutturali del sistema Paese (responsabilità soggettiva dei vertici di Governo - accountability), inadeguatezza dei sistemi di pesi/contrappesi, assenza di società civile e media locali deboli (47) , mancanza di mezzi pacifici per il ricambio dei governi; b. ruolo anomalo dei militari nelle società nazionali. Quest’ultimo aspetto merita particolare attenzione perché è alla radice dei frequenti colpi di stato che hanno segnato la storia del Continente (63 in 30 anni). Nell’ambito di crisi a livello nazionale, sono altresì numerosi i casi di conflitti locali sfociati in secessioni. A differenza del modello ottimale, teorizzato da S. Huntington (subordinazione delle istituzioni militari, articolate su modello professionale, al potere politico (48) ), si ha a che fare con modelli "sui generis", coinvolti, in assenza di strutture, in varie funzioni statuali (controllo frontiere, funzioni primarie di protezione civile, sicurezza interna) e, come tali, auto-referenziati nel sistema politico. Le dirigenze politiche elette dal consenso popolare sono condizionate, talvolta, dalla paura di colpi di stato. In genere, sulla base di quanto riferito da autorevoli "officials" locali “i militari accettano, ma non amano le loro classi politiche”. Cronica scarsezza di risorse, condizioni di vita miserevoli (caserme a livello di baracche e salari bassissimi (49) ), sono alla base della limitata efficienza in generale e della emarginazione sociale e tendono a non dar seguito agli esempi di codici di condotta, redatti da alcuni Paesi a integrazione dei rispettivi quadri giuridici. Alcune Nazioni sono alle prese con programmi di riconciliazione nazionale, incentrati sul difficile tentativo di trovare il giusto compromesso tra fattori a volte antitetici come le responsabilità soggettive e il perdono/impunità. Peraltro è invalsa nel tempo, a livello pressoché generale, una visione limitativa della difesa che porta a secretare anche i bilanci. Si tratta, in genere, di budgets di entità modesta rispetto agli standards occidentali: la pratica diffusa di non integrarli nella struttura della spesa pubblica, crea enormi difficoltà di reperimento di fondi per la pianificazione e condotta di operazioni militari d’emergenza. Inizia però a farsi strada l’esigenza di una maggiore trasparenza anche per demistificare questa dimensione e, in questo quadro, alcune Nazioni d’avanguardia hanno adottato politiche di trasparenza (apertura al pubblico delle caserme in Mali, adozione dei citati codici di condotta per le Forze Armate). La questione è anche all’attenzione dell’Unione Africana (50) , che ha attivato gruppi di lavoro di esperti; visto l’impulso, si valuta che l’insieme delle azioni ai due livelli, continentale e nazionale, possa determinare un’inversione di tendenza. Tra i fattori esterni si evidenziano: a. l’affiliazione per etnia; b. la lotta per il potere e l’accaparramento delle risorse energetiche, minerarie con particolare riguardo ai minerali strategici (per scopi miliari ma anche dual use), e metalli preziosi], che costituiscono i fattori principali; c. la frequente ingerenza di elementi del vicinato, che fa sì che in Africa, ancor più che in altri Continenti, il rischio di spill-over sia alto e possa potenzialmente contagiare vaste aree. Nel nuovo cammino intrapreso dal Continente, si cerca di porre rimedio alla situazione descritta sopra. Il dibattito è ora incentrato sul ruolo dei militari e delle Forze di sicurezza, tra cui, ovviamente i militari, vis-a-vis la natura delle sfide e minacce”africane”. Nicole Ball e J. Kydode Fayemi (51) hanno proposto al riguardo un interessante “Manuale sul Controllo Politico del Settore di Sicurezza” con tanto di decalogo di "good practices". Ad oggi, grazie alle attività di cooperazione bi/multilaterale e agli sforzi dell’UA nell’ambito della riforma dei sistemi di sicurezza, si stanno ponendo le basi per innalzare gli standards di struttura delle Forze, di efficienza e comportamento. Si può allora sperare che tra non molto il vecchio dilemma africano, se preoccuparsi o tranquillizzarsi alla vista di uniformi militari, appartenga definitivamente al passato. Attori nazionali vecchi e nuovi Come detto in apertura, il Continente è oggetto di attenzione e di interesse da parte di vecchi e nuovi attori della scena internazionale. I partners di più lunga data dell’Africa, quali Stati Uniti, Europa, Russia dimostrano un rinnovato interesse per il Continente, timorosi di veder diminuito il loro ruolo e di essere eliminati nel breve periodo dai giganti asiatici, le cosiddette oil & protein-thirsty emerging powers. Il panorama degli attori può essere riassunto nel modo seguente: a.Francia. La politica estera di sicurezza e difesa della Francia riconosce il legame con l’Africa ma ne considera obsoleto il carattere d’esclusività e si manifesta aperta al multi-lateralismo dei rapporti continentali. Difatti, l’attuale evoluzione segna il passaggio dall’ingerenza al sostegno delle strutture locali e delle organizzazioni regionali. La Francia, dunque, vuole essere presente (52) insieme alla C. I. sostenendo e non sostituendosi alle iniziative africane. Una scelta che aumenta le potenzialità di Parigi e, lungi dal ridurne il peso politico-militare, ne accresce la massa critica d’ogni decisione, presa su scala “multilaterale”, suggerita per via diretta o indiretta da Parigi. Ciò rappresenta un’evoluzione tesa ad adeguare gli obiettivi francesi al nuovo equilibrio europeo di cui cerca di sfruttare le potenzialità. Si tratta di una scelta che consente alla Francia di preservare il suo standing nel Continente africano; ne preserva il ruolo attivo di promotrice (nei due sensi UE-UA ed UA-UE) e la colloca accanto agli organismi regionali e continentali africani. Nel contempo, la Francia con l’iniziativa Reinforcement des Capacités Africaines de Maintien de la Paix (RECAMP) agisce sulla cooperazione e continua a contribuire alla costituzione di una capacità africana sul terreno, aperta alla partecipazione UE nel 2005, imponendosi come Nazione quadro (framework nation) nelle attività addestrative, utilizzando i materiali RECAMP (53) ceduti ai vari Paesi e mantenendo un ruolo attivo di promozione nei confronti di ONU, UA UE ed Organizzazioni Regionali (ECOWAS etc.). La cooperazione assume, pertanto, una connotazione internazionale indicando una scelta necessaria e non solo virtuosa. L’idea di “europeizzare” il problema Africa nasce dal bisogno concreto di mutare i rapporti privilegiati sul piano bilaterale, a causa della non sostenibilità del modello attuale circa l’immigrazione (54) . In questo quadro essa ha promosso le operazioni a guida UE, come l’OP. Artemis offrendosi come framework nation, e in quella in Repubblica Democratica del Congo per lo svolgimento delle elezioni legislative e presidenziali. b.Regno Unito. Sostiene, quale linea generale di intervento nel Continente africano, che il supporto delle proprie FFAA debba avvenire attraverso le strutture istituzionali internazionali della regione, in particolare lUnione Africana (UA) e la African Peace and Security Architecture. è presente nell’Africa Sub-sahariana con Military advisor Teams per un totale di circa 150 unità, in posizioni che consentono di influenzare i processi in Ghana, Kenya e Sierra Leone (80 unità, il maggior impegno britannico). è presente, altresì, nel Kofi Annan Training Centre di Accra (Ghana), per assistenza alle attività di addestramento nelle PSO-CIMIC. c.Portogallo. La sua politica è mirata a intensificare la cooperazione tecnico militare con i Paesi di Lingua Ufficiale Portoghese (PALOP) e, in particolare, con i Paesi africani della Comunità dei Paesi di Lingua Portoghese (CPLP). La collaborazione è rivolta, in particolare, ai settori dell’addestramento e della formazione dei militari, nella considerazione che tale aspetto è ritenuto un obiettivo strategico dal Governo portoghese anche in termini di prospettive future. d.Cina. In Occidente, la penetrazione cinese in Africa è “oggetto d’interesse” non solo sotto il profilo geo-strategico (55) . Ben Yahmed, in linea con le dichiarazioni del Presidente Hu Jintao per cui “la Cina sarà un amico, un partner, un fratello dell’Africa”, sostiene che “la diplomazia cinese seduce il Continente grazie a un’offensiva di charme che fa ricorso a un linguaggio consensuale, al rispetto del diritto di non ingerenza negli affari interni, all’uguaglianza politica, alla cooperazione economica gagnant-gagnant e agli scambi culturali”. Nel frattempo, gli scambi commerciali, da una stima di 3 miliardi di dollari nel 1995, si sono portati a 40 miliardi nel 2005 e sono in continua crescita. Sembra però che la presenza cinese sia ben lungi dall’essere considerata “universally popular” (56) . Per cui resta da vedere cosa accadrà nel lungo termine. e.India. è divenuta anch’essa una “puissance africaine” (57) . Il suo consistente impegno in Africa nelle missioni di peace keeping - oltre 8000 truppe in campo - mira, sul piano politico, ad accrescere la sua influenza negli affari internazionali e ad acquisire il sostegno dei Paesi africani nella riforma del Consiglio di Sicurezza, dove ambisce a un posto permanente. Prima cliente del Senegal e secondo investitore in Ghana, l’India concentra i suoi investimenti nel settore energetico. Essa pratica con le controparti africane un partenariato bilanciato e favorisce il trasferimento tecnologico. La presenza di una forte comunità indiana nell’area africana orientale anglofona, ha facilitato la cooperazione bilaterale soprattutto nel settore tessile, farmaceutico, alimentare, medico e delle telecomunicazioni. Per quanto riguarda la regione occidentale francofona, è stata coinvolta nel varo di un ambizioso progetto nel marzo 2004: il Techno-economic approach for Africa India Programme ha previsto crediti, aiuti e trasferimenti tecnologici a 8 Paesi della regione (Burkina Faso, Costa d’Avorio, Ghana, Guinea Bissau, Guinea Equatoriale, Mali, Senegal, Chad). è membro, con il Brasile e il Sudafrica, del forum tripartito designato con le iniziali dei suoi membri, I.B.S.A., volto a rafforzare la cooperazione tra i Paesi dell’emisfero sud. Si ha ragione di ritenere che nel medio-lungo termine la strategia indiana possa assicurare più dividendi rispetto all’approccio cinese. f.America Latina. Si pone come una promettente interlocutrice dell’Africa. Brasile e Venezuela sono i partners trainanti di tale collaborazione, come confermato da legami commerciali e diplomatici in costante crescita. Grande impulso per l’istituzionalizzazione dei rapporti tra America Latina e Africa, è stato dato dagli Esecutivi di Brasilia e Caracas. Entrambi hanno stimolato la creazione del forum ASACOF (Africa-South America Cooperative Forum) in occasione del primo Summit Africa - Sud America che si è svolto ad Abuja (30 novembre - 1 dicembre 2006). Numerosi i temi in agenda: l’educazione, la lotta alla povertà, la tecnologia, lo sviluppo delle infrastrutture, la promozione industriale e la tutela dell’agricoltura. L’organizzazione del Summit (58) ha avuto un successo notevole in termine di presenze (vi hanno partecipato oltre 60 Capi di Stato e di Governo e oltre 900 delegati) e di contenuti; è stato un momento utile per esplorare future convergenze e alleanze nel settore politico e commerciale. L’asse latino/americano-africano è certamente promettente, anche se di misura inferiore a quello afro-asiatico: minori sono i rischi di una nuova forma di colonizzazione, maggiori le chances per un partenariato tra soggetti di uguale statura politica. Leaders come Lula, Chavez e Castro sembrano mirare ad una cooperazione Sud-Sud rafforzata per bilanciare le posizioni USA e UE e per svincolarsi da un legame assistenzialistico Nord-Sud. g.Brasile. Sta molto a cuore ad una buona parte della popolazione angolana, soprattutto grazie alle affinità linguistiche e culturali con una rilevante parte della popolazione brasiliana, quella di origine africana, angolana in particolare. Brasilia, facilitata anche dalla mancanza del passato coloniale, sfrutta astutamente tale terreno fertile e conclude ingenti affari, in nome della fratellanza luso-africana e della cooperazione Sud-Sud. L’interscambio tra Brasile e Africa è passato da 5 miliardi di dollari nel 2002 a 15 miliardi nel 2006; il Venezuela ha duplicato il numero delle missioni diplomatiche nel Continente negli ultimi anni e oggi ha 47 rappresentanze diplomatiche nei 53 Paesi africani. h.USA. Dopo aver affermato, in un rapporto del Pentagono del 1995, che il Continente era di scarso interesse strategico, a partire dagli attentati del 1998 in Tanzania e Kenya hanno cambiato atteggiamento. Ora sponsorizzano l’Africa Crisis Response Initiative (ACRI), nella sostanza una serie di iniziative bilaterali tra gli USA e 9 Paesi africani volte alla messa in opera di capacità di peace-keeping locali. Ancor più, lotta al terrorismo e sicurezza energetica sono all’origine del progetto AfriCom, lanciato dall’ex segretario alla Difesa D. Rumsfeld e volto alla costituzione di uno specifico combatant commander per il Continente (Egitto escluso in quanto rientrante nella sfera del Central Commmand (59) ). La proposta ha ricevuto una fredda accoglienza in Nord-Africa (60) e da parte di alcuni Stati del peso della Nigeria e del Sudafrica, nonché delle organizzazioni Regionali/sub-regionali, che lo vedono come sfida al loro potere o come “militarizzazione” dei loro rapporti con gli USA. Per questo motivo i relativi piani sono stati, almeno per il momento, accantonati ed il Quartier Generale provvisorio resterà sul suolo europeo. Peraltro nel corso del suo recente tour africano, il Presidente Bush, nel confermare il ragguardevole impegno USA nella lotta all’AIDS/HIV, ha escluso progetti di impianto di basi militari. Per ora gli USA si limitano pertanto ad una presenza navale (partnership station) in crociera nel Golfo di Guinea (da Camerun, Guinea Equatoriale, al Senegal) che svolge attività di addestramento anti-pirateria/terrorismo a favore dei Paesi dell’area. Linee di indirizzo della Comunità Internazionale L’Occidente è presente in tutto il Continente sia a livello governativo sia con organizzazioni NGO/PVO. Dalla fine dell’epoca coloniale, l’intero Continente ha registrato la riconfigurazione dei ruoli delle Nazioni ex-colonizzatrici. Nel frattempo anche gli Stati Uniti hanno via via incrementato il loro footprint passando, con alti e bassi, da un appoggio iniziale di carattere selettivo verso alcune Nazioni (es. Nigeria) ad uno più generale rivolto all’architettura di sicurezza regionale/sub-regionale, con iniziative “erga omnes” (es. finanziamento del Centro di Eccellenza per le Stability Police Units (COESPU) di Vicenza, nell’ambito del G8/Africa Action Plan). Ora, come accennato, si devono contare anche i nuovi arrivati: Cina, India e Brasile, oramai inseriti nel quadro economico e politico africano. La Comunità Internazionale, cosiddetta, sembra orientata a perseguire strategie incardinate nei seguenti pilastri: a. rafforzamento delle istituzioni e stato di diritto; b. aiuti a contrastare la diffusione di epidemie (HIV/AIDS); c. espansione degli scambi commerciali/investimenti; d. contributi, con fondi fiduciari, alla formazione di capacità locali nella risoluzione dei conflitti, (Crisis Response, Peace-keeping); e. promozione dell’integrazione regionale. In questo quadro, in linea con il mainstream del “più multilateralismo”, la linea di indirizzo del nostro Paese sul ruolo di NATO e UE, vede questi due riferimenti della sua politica estera di difesa e sicurezza come: a. fori politici di consultazione tra Alleati e parti coinvolte; b. sorgenti di pressione politica nei confronti dei contendenti; c. facilitators e capacity builders per le organizzazioni regionali/subregionali che, di fatto, dovranno mantenere l’ownership; le attività potrebbero includere contributi al Security Sector Reform (Defense e Police, sistema giudiziario) e fornitura di servizi pratici (trasporto strategico, formazione/addestramento, contributo alla pianificazione); d. fonte di contributo al training della African stand-by force. Nel contesto geo-politico post-Guerra Fredda la cooperazione è diventata uno dei compiti fondamentali di ogni progetto di grand strategy; come lo testimoniano il Concetto Strategico della NATO e la Strategia di Sicurezza dell’Unione Europea. In questo campo, nei confronti dell’Africa, riconosciuta come estero vicino, l’UE si proietta all’avanguardia per slancio, altruismo e contenuti (61) . A testimonianza del rilievo rivestito dal Continente nelle politiche di sostegno (aiuti) dell’UE, si riconosce difatti che “Africa ed Europa hanno un profondo legame storico, culturale e geografico e condividono valori comuni: rispetto dei diritti umani, libertà, uguaglianza, solidarietà, giustizia, stato di diritto e democrazia”. A partire dalla I Convenzione di Lomé, del 1975, primo accordo quadro con i Paesi dell’Africa Sub-sahariana, la Comunità Europea e i suoi Stati membri hanno concluso, negli ultimi decenni, sempre più accordi con l’Africa. Le attenzioni che l’Unione Europea dedica all’Africa sono, inoltre, evidenziate nella European Security Strategy(ESS), documento approvato dal Consiglio nel dicembre 2003, dove lo stesso Segretario Generale/Alto Rappresentante afferma che “senza Sicurezza non vi può essere sviluppo” (62) . Sulla base dei contenuti dell’ESS, le Presidenze si sono adoperate, già dal primo semestre 2004 per realizzare concretamente tali concetti. L’UE ha inteso impegnarsi a 360° nello sviluppo del Continente africano. Una serie di documenti adottati in ambito UE (Posizione Comune della UE sulla prevenzione, ge
7, che ha interessato, oltre ai canali più propriamente istituzionali, anche la società civile nell’obiettivo di coinvolgerla, non solo nell’elaborazione, ma soprattutto nell’esecuzione della Strategia stessa. In linea con il disegno strategico congiunto, gli obiettivi individuati appaiono di notevole respiro (66) e contribuiscono a superare la percezione di una UE interessata esclusivamente alla sua sicurezza. Per conseguire tali obiettivi, le tradizionali nozioni di ownership e partnership sono state completate dai principi della co-gestione e della co-responsabilità, della solidarietà, della fiducia, dell’eguaglianza, della giustizia e della sicurezza comune. In definitiva, l’impegno europeo mira ad acquisire security gains reciproci, creando un contesto vantaggioso (win-win) per donatori e beneficiari. La nuova Architettura di Pace e Sicurezza Africana (APSA) Nonostante il bilancio negativo dei conflitti, qualcosa inizia a muoversi, però, in progressione costante e, come afferma N. Oppenheimer (67) “...non malgrado l’apatia mondiale, ma proprio a causa di essa (questa situazione) li ha forzati ad assumersi la responsabilità dei propri processi”. Sulla tela di fondo dalle grandi crisi, irrisolte (Darfur, Corno d’Africa) o latenti, si assiste a un altrettanto progressivo sviluppo delle capacità indigene digestione delle crisi. Difatti, le Nazioni del Continente africano partecipano anche alle missioni di Peace Keeping sotto l’egida ONU, con un contributo globale di circa 19.500 truppe, di cui circa 1.300 al di fuori del Continente. Nel quadro della “Strategia Congiunta” UE-UA, l’UE si è offerta, tra l’altro, di contribuire al sostegno, alla messa in opera e al funzionamento dell’APSA, nonché allo sviluppo delle capacità locali di gestione di tutte le fasi dei conflitti (prevenzione, gestione e risoluzione). Per rispondere alle sfide della sicurezza, l’aggregato degli Stati africani ha definito un impianto istituzionale su base continentale, l’Unione Africana, imperniata sul Peace and Security Council (PSC) (68) , sistema di sicurezza collettiva e allerta rapida, ovvero l’effettivo strumento d’azione per la composizione pacifica dei conflitti. Nell’atto costitutivo dell’UA l’approccio globale alla pace e sicurezza trova riscontro nel protocollo sul PSC, nel “Patto di non Aggressione e Difesa Comune”e nell’adozione della già citata human security doctrin”. In questo quadro l’APSA ha il compito di provvedere con mezzi e capacità di hard security, che si fondano sull’impianto del braccio operativo costituito dal complesso dell’African Stand-by force (ASF). La road map approvata e adottata dai Capi di Stato africani prevede non solo la realizzazione progressiva dell’impianto entro il 2010, ma anche che, a regime, vi sia, oltre alla capacità d’impiego di una forza permanente di 15.000 unità, una brigata in allarme, affiancata da una componente di Polizia Civile (CivPol). Nell’assunto della maggiore credibilità e legittimità delle organizzazioni multinazionali, la visione delle ASFs, nell’ambito dell’APSA, presuppone: a.un Continente unito nell’azione di prevenzione e intervento, l’UA dotata delle strutture operative necessarie, capace di proiettare e intervenire in zona di crisi con una forza militare, b. requisiti multi-dimensionali comprensivi di capacità di early warning, gestione civile delle crisi (stato di diritto, polizia) e ricostruzione post-conflittuale; c. il ruolo chiave del PSC dal mounting al terminating; d. la messa a disposizione da parte di ogni organizzazione sub-regionale di una brigata di stand-by, addestrata ed equipaggiata a standards comuni, e. l’adozione del principio della multinazionalità per forze e quartier generali in modo da garantire il marchio AU ad ogni operazione. Il sistema ASF sarà costituito dunque da contingenti multi-disciplinari con componenti civili e militari, dislocati nei rispettivi Paesi d’origine e pronti, con opportuna pre-allerta (69) all’impiego, in Africa ma anche altrove. Di massima, ogni brigata si articola sulla tradizionale struttura della fanteria leggera (4 battaglioni, quartier generale, unità comando etc.) con l’aggiunta di 350 osservatori militari, 240 unità di polizia civile e un numero imprecisato di esperti civili (70) . La consistenza complessiva oscilla da 3500 a circa 6000 unità. La struttura così delineata deriva dall’analisi delle missioni di riferimento (71) , che spaziano dalle semplici operazioni di osservazione/interposizione agli interventi multi-dimensionali in situazioni di emergenza. Lo svolgimento delle missioni richiede adeguate capacità di comando e controllo per collegare le unità dislocate con i loro comandi, con le regioni di appartenenza e con i planning elements dell’AU. In definitiva, un sistema integrato di Comando - Controllo - Comunicazioni - Computer & Intelligence (C4I), cui occorre aggiungere anche una capacità di dispiegamento tempestivo. Come prevedibile, l’ostacolo più rilevante all’implementazione dell’ASF è di natura finanziaria (72) in quanto senza aiuti finanziari esterni è difficile che i Paesi africani possano raggiungere gli obiettivi prefissati. Ciò anche in relazione all’asimmetria attualmente esistente tra il fondo ONU per le operazioni di PK nel Continente africano (1,3 miliardi di $) e le corrispondenti disponibilità dell’UA (10 milioni di $) (73) . Per questo motivo il G8 ha proposto nel 2003 a Evian un piano di aiuti per l’impianto delle capacità africane di mantenimento della pace. A questo piano, relativo all’approntamento di una sola brigata entro il 2010, e quindi al di sotto delle aspettative africane, si è affiancato un’analoga iniziativa dell’UE che, quest’anno, risulta aver stanziato, per gli stessi scopi e per il programma RECAMP “europeizzato”, circa 440 milioni di euro (74) . Alle problematiche finanziarie, che hanno un impatto sulle tempistiche di approntamento, si vengono ad aggiungere le difficoltà di svolgere insieme, nello spazio e nel tempo, le attività richieste. Nel gergo militare tale capacità è definita interoperabilità. Si tratta di una sfida di non poco conto, dal momento che essa riguarda varie dimensioni, dalla velocità di ristrutturazione e compatibilità dei vari strumenti militari, all’adozione di canoni addestrativi e operativi comuni, da implementare sul campo, e si ha a che fare con parchi materiali di diversa provenienza e culture disparate. In particolare, procedure operative e dottrine d’impiego rappresentano il software di sistema, funzionale, in ambito multilaterale, all’efficienza ed efficacia dello strumento militare. Peraltro, non si può non considerare il divario capacitivo che si è determinato nel tempo tra i Paesi della riva mediterranea, molti dei quali hanno partecipato ad operazioni militari nella cornice euro-atlantica, ed il resto del Continente. Il diverso grado e ritmo di approntamento delle componenti della ASF potrebbe inoltre essere riconducibile alla riluttanza di diverse Nazioni, di certo capaci, ad impegnarsi a fondo nel timore di impegolarsi nelle problematiche del Continente nero. La struttura ha iniziato ad operare in Sudan, pur in presenza delle difficoltà di cui sopra, e l’esperienza sul campo costituirà una fonte preziosa di lessons learned. D’altro canto, la decisione di assumere la responsabilità della missione U.A. in Darfur (AMIS) è stata un atto di coraggio per il battesimo del fuoco in operazioni irte di difficoltà a causa della limitata consistenza (7.000 persone per un territorio di superficie pari alla Francia e per il mandato, limitato al monitoraggio e all’autodifesa). Energia e snodi marittimi Nell’attuale fase di evoluzione del contesto strategico verso nuovi equilibri nei rapporti internazionali, è oramai acquisito il legame, ad un senso: sviluppo-sicurezza. Il tema della sicurezza e sostenibilità energetica è sempre presente nelle agende nazionali ad internazionali, anche perché strettamente connesso con la stabilità dei sistemi politico-socio-economici. Del resto, gli attuali e futuri scenari mettono in rilievo il peso della geografia delle risorse; ne consegue che, nei Paesi di trasformazione”, la sicurezza degli approvvigionamenti (energetici e di materie prime) è un interesse primario e quindi al centro delle loro strategie internazionali (75) . è noto che la gran parte del commercio mondiale viene movimentata per mare per cui, la sicurezza delle “grandi autostrade mercantili (76) ” è inscritta nelle mappe della “geografia delle risorse”. A sud del Continente europeo queste “autostrade marittime” attraversano l’area trans-Mediterranea, definita “Mediterraneo Allargato (77) ” e gli snodi extra -Stretti di Bab el Mandeb (Mar Rosso, Oceano Indiano) e del Golfo di Guinea. La garanzia della sicurezza delle “autostrade del Mar Mediterraneo”, dove tutte le statistiche confermano il transito di circa 2/3 del fabbisogno energetico europeo, si configura, anche istintivamente come esigenza vitale (78) per le Nazioni rivierasche. Ma, nelle interdipendenze della globalizzazione, non possiamo limitarci al Mare Nostrum. Non vi è dubbio, difatti che “la globalizzazione, informatizzazione e proliferazione dei rischi tecno-scientifici abbiano trasformato il carattere dimensionale e territoriale della sicurezza” (79) . Se, come accaduto nel settembre 2001, le barriere geografiche non proteggono come prima, considerato che nessuno ha più il monopolio della sicurezza, occorre contribuire agli sforzi collettivi nel nostro near abroad. In un’ottica geo-strategica, la prossimità geografica è una realtà da cui non si può prescindere, che, in un contesto globalizzato, rafforzi l’interdipendenza reciproca. In linea con le politiche di proiezione delle aree di stabilità e per esigenze strategiche di diversificazione/ridondanza occorre considerare pertanto anche l’integrità degli snodi africani. Difatti: a. il Corno d’Africa, già teatro nodale all’epoca della Guerra Fredda, è sempre, nell’ottica geo-strategica, la prosecuzione della penisola Arabica. Con l’eccezione di Gibuti, l’intera area rischia di precipitare in un conflitto regionale a causa dell’intensificarsi della disputa sui confini tra Eritrea ed Etiopia, del perdurare della situazione di precarietà in Somalia, che sta diventando un pantano per l’Etiopia. Il che potrebbe comportare un disastro umanitario e la chiusura del passaggio (80) ; da rilevare peraltro che nessuna organizzazione della Comunità internazionale (ONU, UE, UA, etc.) ha proposto una strategia regionale per l’area. b. Le attività delle milizie nel Delta del Niger (81) destano grandi incertezze. Molte Nazioni europee (tra cui l’Italia) hanno interessi in quest’area; a conferma della crescente importanza dell’area e nel quadro degli indirizzi di diversificazio-ne/avvicinamento alle sorgenti, le previsioni USA indicano che entro il 2015 l’Africa Occidentale assicurerà il 25% dei loro approvvigionamenti energetici (82) . è oramai riconosciuto che la governance degli spazi marittimi richiede un contesto di collaborazione multilaterale, per il carattere transnazionale dei rischi e minacce, e di natura multi-disciplinare per il conglomerato e interdipendenza dei fattori in gioco. Ciò in quanto nell’ambiente marittimo contemporaneo e, in particolare, nell’azione di contrasto alle nuove minacce (83) , si viene a determinare una sovrapposizione tra gli aspetti di difesa e sicurezza. Per definizione, la maritime security si basa sul coordinamento delle attività in mare e sullo scambio delle informazioni sulla situazione. Nel contesto multilaterale e multidisciplinare di cui sopra, essa si prefigura come base comune di intesa per il coordinamento delle varie attività operative, a livello nazionale (unified actions) e internazionale (84) , e per il raccordo alle Organizzazioni Internazionali [ONU, UA, UE, NATO, International Maritime Organisation (IMO) etc.]. Il safety & security grid che deriva da queste interconnessioni, trova nella sorveglianza marittima la soluzione operativa alle esigenze di sicurezza quotidiane degli Stati e delle popolazioni. In linea con gli attuali indirizzi tesi a contribuire allo sviluppo di competenze locali per il contrasto delle minacce, è sempre più sentita, sul piano operativo, l’esigenza di fornire alle forze locali quei sostegni che loro non hanno, in particolare sul mare o in aria, nonché standards operativi comuni e capacità di comando e controllo. Nell’immediato, il deficit di sicurezza degli snodi marittimi può essere colmato con il concorso alla postura strategica, nazionale e internazionale di monitoraggio e di contenimento, nell’ambito di una sorta di transnational naval consortium (85) , adattato ai tempi d’oggi per il contenimento delle minacce al global free trade e allo sviluppo. Osservazioni conclusive Sotto il profilo della geografia politica, il Continente africano presenta regimi, profili sociali, esperienze storiche, contesti culturali, religiosi, economici e geografici molto diversi. Inoltre, aree di insicurezza coesistono con centri di stabilità. In un contesto globale in continuo mutamento, l’Africa di oggi continua ad “avere bisogno di realismo più che di idealismo (86) ”. Il che significa tradurre in strategie coerenti e, soprattutto, fatti concreti le tante dichiarazioni d’intenti formulate da leaders e Organizzazioni Internazionali (87) della scena mondiale. I processi democratici, dopo l’impulso degli anni ‘90 e la successiva stasi, a cavallo del nuovo secolo, iniziano a diffondersi; il cammino intrapreso porta ad osservare che “senza dubbio, il Continente non è quello che si conosceva prima e non sarà più lo stesso” (88) . Il Continente ha ancora bisogno di “leaderhips locali con capacità di visione politica e senso pratico; è questo l’attributo principale che ha contraddistinto gli Stati performanti dal resto” (89) . Nel chiaro-scuro del proscenio africano, non tutto è scontato: i progressi sono talvolta fragili e non duraturi e richiedono, da un lato, continuità di leadership locale e, dall’altro, sostegno esterno. Peraltro, nella dimensione sicurezza, i successi restano talvolta adombrati dal riaccendersi di focolai che, spenti da una parte, tendono a ripresentarsi da un’altra. Il Continente africano continua a richiamare l’attenzione della Comunità Internazionale per le sue disgrazie, per la brutalità e portata dei conflitti che lo hanno funestato e per il numero, ancora considerevole, dei focolai di crisi ancora irrisolti. Ma anche l’interesse per il suo enorme bacino di risorse. È verosimilmente l’unico Continente del pianeta in cui l’enorme disponibilità di risorse si è rivelata una vera iattura, ma non è più “il Continente perduto” di qualche lustro. Difatti, nonostante il bilancio negativo dei conflitti intestini, qualcosa inizia a muoversi in progressione costante: sulla tela di fondo dalle grandi crisi, irrisolte (Darfur, Corno d’Africa) o latenti, si nota una crescita economica dell’ordine del 6% annuo, e un altrettanto progressivo sviluppo delle capacità locali di gestione delle crisi. Nello scenario internazionale, sono aumentate le interazioni su scala continentale con l’Unione Africana e con le Organizzazioni Sub-Regionali. L’UA offre una cornice di riferimento per risolvere le tematiche continentali ed inizia ad assolvere ruoli di rilievo; riconosciuta come un “honest broker”, ha avuto successo in alcune attività regionali/sub-regionali di mediazione, dove molti degli accordi di pace sono stati sottoscritti, senza ricorrere a intermediari esterni. Nel Millennium Summit onusiano la Comunità Internazionale si è prefissata obiettivi ambiziosi per lo sviluppo da raggiungere entro il 2015. Di fatto, gli impegni assunti hanno generato un incremento dell’aiuto pubblico allo sviluppo del Continente, già percettibile nel 2005 e condizione indispensabile per azioni durature. Proprio in questo quadro si inserisce la Strategia Congiunta Unione Europea - Unione Africana. L’Architettura di Sicurezza Africana (APSA) è già delineata; nel piano operativo si concretizza nella cosiddetta “force en attente”, attualmente in fase di crescita; mancano tuttavia le risorse per farla funzionare a regime. In materia di sicurezza, le politiche di cooperazione, adottate a livello nazionale e dalle Organizzazioni Internazionali, tendono a convergere verso il concorso allo sviluppo delle capacità locali e alla padronanza locale dei processi (ownership). A sua volta, il cammino africano segue le vicissitudini del commitment esterno. L’assistenza deve essere commisurata agli impegni e agli obiettivi. Negli attuali scenari di sfide, rischi e minacce di natura e portata globale, è avvertita l’esigenza di contribuire alla postura strategica di monitoraggio e di contenimento e, nell’immediato, di fornire alle forze locali quei sostegni che loro non hanno. In materia di orientamenti nazionali, l’attenzione europea e lo standing internazionale del nostro Paese, richiedono, in vista di probabili futuri impegni, una presenza nelle strutture che contano e una visibilità sui processi di interesse, regionali e locali. Si potrebbero altresì ipotizzare forme di networking tra enti ed istituti omologhi di Nazioni di interesse nei campi dello studio (ad esempio sul terrorismo), della formazione e dell’addestramento. foto Ansa
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(1) «Voisin de palier», termine virgolettato, ripreso da J. Bonningues «Une spirale vertueuse pour l’Afrique?», Défense Nationale jan. 2007, pag.10.
(2) Kenneth N. Waltz “Theory of International Politics”, Mc Graw-Hill Boston, 1978, pag. 139. (3) Vedi discorso tenuto a Tangeri il 23 ottobre 2007, in occasione della visita di stato in Marocco. (4) Luk Van Langenhove direttore dell’United Nations University- Comparative Regional Integration Studies (UNU-CRIS) Occasional Papers 0-2004/8,”The problem of human Security in Africa”, “Regionalising Human Security in Africa”, march 2004, pag. 3. (5) George Klay Kieh “Democratisation and Peace in Africa” su “Democracy and Democratisation in Africa: Towards the 21.st Century”, a cura di, E. Udogu, New York E.J.Brill 1997, pag. 103-105. (6) “Security: A new African Paradigm”, Occasional Paper n. 1 del Centre for Defence Studies, University of Zimbabwe (2001). (7) Sunday Abogonye Ochoche “The Military and National Security in Africa”, pag 114. (8) Samuel Decalo, “Civil-Military Relations in Africa”, Florida Academic Press, Gainesville FL, 1998, pag. 3-16. (9) «Dictionnaire de Geopolitique», sous la direction de Yves Lacoste, ed Flammarion, Paris 1995, pag. 60-61. (10) Ibid. (11) «Dictionnaire de Geopolitique», sous la direction de Yves Lacoste, ed Flammarion, Paris 1995, pag. 57. (12) Gli 8 Millennium Goals approvati dall’Assemblea Generale, riguardano: sradicamento povertà estrema e fame, raggiungimento educazione primaria universale, promozione eguaglianza tra i sessi, riduzione mortalità infantile, miglioramento salute, lotta a HIV/AIDS, sostenibilità ambientale, avvio di partnership globale per lo sviluppo. Essi sono anche quantizzati in termini di obiettivi (targets). (13) Il Regno del Marocco è l’unico Paese che non ha aderito all’Unione, a causa delle divergenze sul Sahara Occidentale. Tema delicato per il Regno, che considera l’attuale stato delle cose come “amputazione del suo territorio”. (14) Piano economico molto ambizioso adottato nel 2001 dall’allora Organisation of African Unity (OAU), come fusione di vari piani, tra cui il Millennium African Plan. Si basa sull’aderenza a norme di buon governo con meccanismi di controllo del tipo peer review. Herbst Jeffrey e Greg Mills ,”The Future of Africa: A New Order in Sight”, Adelphi Papers 361 (2003), lo ritengono strumentale al miglioramento delle condizioni di pace e sicurezza, pag. 21-27 e 70-76. (15) Adottato dal Consiglio dell’UE a seguito dell’incontro UE-UA del 15-16 dic 2005, comunicato stampa 367 del 19-12-2005. (16) Leslie Crawford & Chris Giles, Financial Times “World News: IMF plans on giving Africa a bigger voice” del 24.6.06. (17) Nella terminolgia inglese sono chiamate: Arab Maghreb Union (AMU), Southern African Development Community (SADC), Intergovernmental Authority for Development (IGAD), Economic Community of West-African States (ECOWAS), Community of Center African States (ECCAS). (18) Cfr. già citato Luk Van Langenhove direttore UNU-CRIS, Occasional Papers 0-2004/8, “Regional Integration and Human Security”, “Regionalising Human Security in Africa”, pag 7-13. (19) Vedi ruolo ECOWAS in occasione dell’assunzione del potere incostituzionale in Togo da parte di Farure Gnassingbe Eyadema nel febbraio-aprile 2005 e mediazione ECOWAS durante la crisi della Costa d’Avorio settembre 2002-marzo 2007. (20) Vds. Claude Ake “Rethinking African Democracy”, “The Global Resurgence of Democracy” (2.nd ed.) a cura di Larry Diamond and Marc F Plattner, Baltimore MD, The Johns Hopkins University Press, 1996, pag. 63-75. (21) Cfr. Julius O. Ihonvbere “A Blance Sheet of Africa’s Transition to Democratic Governance”, “The Transition to Democratic Governance in Africa: The Continuing Struggle” a cura di John M. Mbaku e Julius O. Ihonvbere,Westport CT, Praeger, 2003, pag .33-55. (22) E. Gyimach-Boady ,”Africa: The Quality of Political Reforms”, Democratic Reform in Africa: The continuing struggle, ed. E. Gyimah-Boadi & Lynne Rienner Publishers, Boulder CO,2004, pag 5-27. (23) Termine utilizzato da Yves Lacoste nel citato «Dictionnaire de Geopolitique», alle voci “Afrique Blanche, Afrique Noire” e “Afrique Arabe, Afrique non Arabe”, pag. 59. (24) A detta di molti locali, il “40% del denaro liquido è nelle tasche delle classi dirigenti”. Qualcosa inizia a muoversi anche in questo settore; una campagna avviata dalla società civile, publish what you pay a cura di una ONG, mira a costringere le società petrolifere e minerarie a dichiarare le somme versate agli Stati interessati. (25) Graham Bowley, “Mugabe casts Zimbabwe crisis as a fight against colonization”, New York Times del 18 Apr 08. (26) La più che decennale guerra intestina ha coinvolto, nel suo spill-over, ben 9 Nazioni del vicinato. (27) Economista di fama e ora primo presidente donna del Continente. (28) Per il Seg. Gen. Alto Rappresentante X. SOLANA, La Repubblica 21.03.08, “l’AFRICA è il Continente più esposto ai cambiamenti climatici a causa delle numerose tensioni e delle scarse capacità di adattamento”. (29) Federico Rampini, “FAME Perché l’incubo sta crescendo”, La Repubblica, 27-5-2008. (30) Elizabeth Rosenthal & Andrew Martin “UN Says Solving Food Crisis Could Cost $30 Billion”, International Herald Tribune 4-6-2008. Tra le varie proposte volte a superare il paradosso “fame per chi è senza potere d’acquisto, spreco all’opposto”, si segnala quella originale italiana “last minute market” mirata alla ridistribuzione delle merci in fase di ritiro dal ciclo distributivo per l’approssimarsi delle scadenze temporali o accantonate nei cicli di controllo qualità. (31) Vedi Rapporto “Commission For Africa: Our Common Interest”. Bob Geldolf, testimonial della Commissione (composta da 17 membri di spicco tra politici, scienziati, funzionari pubblici, uomini dello spettacolo), nominata dall’ex Premier Tony Blair nella primavera 2004 per formulare proposte in vista del G8 di Gleeneagles 2005, ha affermato che “If our plan is adopted, this should be the decade when Africa’s fortune turns”). La Commissione ha riconosciuto che le condizioni di vita della maggioranza della popolazione del Continente sono intollerabili e costituiscono un’offesa per il genere umano. Vds. siti web www.commissionforafrica.org e http://cgi.ebay.co.uk/Africa-Commission-For-Africa-An-Argument-gELDOLF_woaq. (32) 100 miliardi di debito cancellati, 50 elezioni in 5 anni, 6 guerre terminate, oltre 46 mila malati di AIDS curati, CorSera 28 gennaio 2007 pag. 3. (33) Eugenio Occorsio,”Fabbriche , strade, petrolio. La primavera africana”, La Repubblica, 17 Dic. 2007. (34) Ibid. (35) Ibid. A questo riguardo, si fa risaltare che UE e Banca Mondiale finanziano con 10 Miliardi di dollari il corridoio nord-sud tra Il Cairo e Gaborone (Botswana). (36) Gli aiuti militari, perseguiti in passato, si sono rivelati, talvolta, controproducenti, in quanto utilizzati per puntellare e rafforzare i governi “autoritari”. (37) Cfr. Bruce Hoffman “Does Our Counter-Terrorism Strategy Match the Threat?” testimonianza alla House International Relations Committee, SubCommittee on International Terrorism and Nonproliferation del 29 set 2005, pub. RAND Corporation, Santa Monica CA, 2005, pag. 2-21. (38) Secondo le stime della Divisione “Population” del Quartier Generale ONU di New York, la consistenza del fenomeno è dell’ordine delle 400.000 persone. L’immigrazione irregolare in Mediterraneo risulterebbe dell’ordine delle 100.000 (fonte “Strategic Survey, The Annual Review of World Affairs, 2007”, IISS, Routlegde, London, pag. 276). (39) È stata segnalata la generale tendenza dei rifugiati a consolidare la permanenza nei campi di raccolta. (40) Vedi anche pamphlet autore “I Conflitti Moderni”, allegato a Rivista Marittima Dic. 07. (41) Carlene J. Edie “State Responses to Challenges of the 1990s: Protracted Wars, Fragmentation, Disintegration and State Collapse”, “Politics in Africa: A New Beginning?, ed. Thomson Learning, Belmont CA, 2003, pag. 141-158. (42) Jeffrey Herbst and Gregg Mills, “Assessing Africa’s Insecurities, “The Future of Africa: A New Order in Sight?”, Adelphi Papers 2003, pag. 21-27. (43) “Zone eccezionalmente anarchiche. Al Qaeda ha sfruttato la regione (Africa Centrale e Occidentale n.d.r.) per proteggere ed espandere le sue finanze più che per fomentare il terrorismo”, Cfr. Princeton N. Liman and Stephen Morrison “The Terrorist Threat in Africa”, Foreign Affairs, Vol.83 N°1 (Jan/Feb 2004) pag. 75-86. Vedi anche Michael Scheuer “Al-Qaeda ‘s Next Generation.Less Visible and More Lethal”, Terrorism Focus Vol.2. N° 18 Ott. 2005, http://jamestown.org/terrorism/news/article. (44) J. Bonningues, Une spirale vertueuse pour l’Afrique, in: Défense Nationale, Paris, Gennaio 2007. (45) J. Bonningues «Une spirale vertueuse pour l’Afrique?», Défense Nationale jan. 2007, pag. 11. (46) “The militarisation of politics”, vds. Eboe Hutchful “Demilitarising the Political Process in Africa: Some Basic Issues”, African Security Review, A working paper series, Vol. 6, No. 2(<BR>1997), ISSN N°1024-6029. (47) Sono considerati da loro stessi “senza muscoli” (emasculated). (48) Cfr. S. P. Huntington, “Power, Professionalism, and Ideology: Civil-Military Relations in Theory” in: The Soldier and the State: The Theory and Politics of Civil-Military Relations, Cambridge (MA), The Belnap Press of Harvard University Press, 1957, pag. 96. (49) In Chad, il governo ha provveduto ad aumentare gli stipendi quando i ribelli hanno minacciato la Capitale. (50) Cfr. A. Ebo “Towards a Code of Conduct for Armed and Security Forces in Africa: Opportunities and Challenges”, Geneva Center for Democratic Control of Armed Forces (DCAF), Policy Paper, Geneva March 2005. I lavori degli esperti, workshop di Sao Tomé del 27-29 Magg 2002, sono stati pubblicati sul sito www.unrec.org/eng/workshop.htm. (51) «Key Principles of Democratic Governance in the Security Sector», “Security Sector Governance in Africa: A Handbook”, (a cura di Nicole Ball - Kydode Fayemi - Funmi, Olonisakin - Roklin Williams), ed. Nicole Ball e J. Kydode Fayemi, 2004. (52) Sul terreno, dispone delle forze pre-posizionate in 5 poli (Dakar, Libreville, Abidjan, Djibouti e N’djamena) affiancate dalla presenza navale permanente nel Golfo di Guinea (Operazione Corymbe) e della forza navale dell’Oceano Indiano (La Reunion). Tutte le missioni continentali fanno riferimento ai 5 poli, assicurando elevata prontezza operativa. (53) Alcune Nazioni iniziano a lamentarsi della loro vetustà/scarsa efficienza. (54) Ciò in quanto le buone relazioni bilaterali non hanno prodotto i benefici attesi, e per questo che Parigi ha iniziato a spingere verso la europeizzazione del problema offrendo nel contempo un’accoglienza compatibile con le potenzialità garantite dallo sviluppo di concerto con l’UE. (55) Fonti varie in materia riconoscono che l’Africa è divenuta uno dei «fornitori «principali di prodotti energetici (circa 1/3 dell’import), e di risorse naturali/materie prime, dai minerali di base al legname/cotone. A loro volta, le compagnie cinesi investono nei settori energetico, telecomunicazioni e costruzioni. (56) Sono insorte controversie e malumori per il ricorso a manodopera cinese, anziché locale nei settori tessile e minerario (Cfr.”Assisting Africa: the G8 and China China’s evolving role”, Strategic Survey2007, Annual Review of World Affairs, IISS Routledge, London, Sett.2007, pag. 281. (57) François Lafargue «L’Inde. Une Puissance Africaine», Défense Nationale, janv. 2007. Sulla base dei dati del Ministero del Commercio Indiano, gli scambi commerciali con l’Africa Sub-sahariana sono passati da 3,3Mil di $ nel 2000 a 7,3 Mil di $ nel 2004. (58) Al termine dei lavori è stato stabilito che il 2° Summit si svolgerà in Venezuela nel 2009 ed il 3° Vertice in Libia. (59) Nella Struttura dei Comandi USA, il Central Command (CentCom) ha la responsabilità delle operazioni militari nel Vicino e Medio Oriente e nell’Asia Centrale. (60) Molti esponenti di rilievo hanno confidato di non accettare l’approccio di fare di tutta l’erba un fascio. L’area maghrebina rivendica la propria specificità, rappresentata dalle identità nazionali e dalla connotazione mediterranea. (61) Vedi X. SOLANA “Se l’ordine del mondo è minacciato dal clima”, La Repubblica 21.03.08, “...spetta all’Europa fare da guida nella risposta internazionale”. (62) Sullo sfondo di una maggiore multilateralismo nella prevenzione e gestione delle crisi e di una logica consensuale all’azione, viene definita, tra l’altro, una gerarchia delle minacce e dei rischi (terrorismo, armi di distruzione di massa, conflitti regionali, Stati in dissoluzione, criminalità organizzata) non dissimile da quanto indicato nella ESS. (63) In occasione del Consiglio Europeo del 16 dicembre 2005, l’UE si è dotata di una “Strategia per l’Africa: verso un patto euro-africano per accelerare lo sviluppo in Africa”, documento (n°15961/05) programmatico di ampia portata e cornice concettuale dell’azione europea a sostegno della pacificazione e dello sviluppo del Continente africano. Tale Strategia prevede il perseguimento di una sempre più stretta e più estesa collaborazione tra l’UE e le istituzioni regionali e sub-regionali africane che, attraverso un approccio integrato alle questioni relative a pace e sicurezza, diritti umani e good governance, integrazione regionale e sviluppo, conduca al raggiungimento, nel medio periodo, dei Millennium Development Goals (MDGs). (64) Il concetto, elaborato in ambito Segretariato Generale del Consiglio, http://www.consilium.europa.eu/ueDocs/cms_Data/docs/pressData/fr/gena/91620.pdf. (65) Ad esempio si annovera il già citato programma francese RECAMP di assistenza alle ex colonie. (66) Essi contemplano tra l’altro: •promozione di pace, sicurezza, sviluppo, diritti umani ed integrazione regionale e continentale in Africa; •rafforzamento del partenariato UE-Africa e sua estensione a questioni di interesse comune; •gestione congiunta delle sfide globali. (67) “International Herald Tribune” 2-3 giugno 2007. (68) L’art.5.2 del Protocollo la rende “mirata a mettere in atto una reazione rapida ed efficace alle situazioni di conflitto e di crisi in Africa”. (69) Per le prime cinque missioni, il dispiegamento è previsto entro 30 gg. dall’adozione della risoluzione. Si riduce a 14 gg. per la sesta. (70) La componente aggiuntiva è accentrata presso l’UA. (71) Le prime 4 (advice militare a missione politica, missioni di osservatori autonome/in supporto, forza di interposizione per cap. 6 Carta ONU) possono essere svolte da una singola brigata; le missioni 5 e 6 (forza di PK per missioni complesse multi-dimensionali, intervento d’urgenza, per es. genocidio), di certo le più impegnative, richiedono un coinvolgimento a livello continentale. (72) Cfr. anche “Assisting Africa”, “ Strategic Survey, The Annual Review of World Affairs, 2007”, IISS, Routlegde, London, pag. 278-282. (73) Fonte riservata dell’ONU, con sede a New York, che ha richiesto anonimato. (74) Fonte: Stato Maggiore della Difesa Italiano, 2008. (75) Il Presidente Chirac, nella sua allocuzione alle Forze Strategiche del 19 genn. 2007, ha ribadito che “La percezione degli interessi evolve di pari passo alla crescita mondiale. La garanzia degli approvvigionamenti strategici ovvero la difesa dei Paesi alleati sono interessi che bisogna proteggere”. (76) Termine usato da A. T. Mahan, “The Influence of Sea Power Upon History”, Chapter I. Discussion on the elements of Sea Power, ed. Sampson Low, London 1889, pag 32. (77) Cfr. allocuzione del Capo di Stato Maggiore della Difesa, Generale Vincenzo Camporini , alla presenza del Presidente della Repubblica, in occasione della festa della Marina, Venezia 10-6-2008. (78) Pietro Silva “Il Mediterraneo. Dall’unità di Roma all’Impero italiano”, Istituto per gli Studi di Politica Internazionale, Milano 9 Dic.1937. (79) Colin S. Gray and Geoffrey Sloan (a cura di) “GEOPOLITICS. Geography and Strategy”, Gearoid O Tuathail “Understanding Critical Geopolitcs: Geopolitics and Risk Society”, Frank Kass, London 1999, pag. 119. (80) Nei primi anni ’90 la disputa Eritrea-Yemen per il possesso di alcune isole dell’Arcipelago delle isole Hanish (Mar Rosso Meridionale, determinò un confronto militare tra le due Nazioni con rischi sul transito. La questione fu risolta con la mediazione francese. In precedenza, il possesso dell’arcipelago determinò contenzioso tra l’Italia ed il Regno Unito, tanto da essere “volutamente” omesso nel Trattato di Losanna del 1923). (81) Al riguardo si rileva che “negli attacchi alle forze governative e alle installazioni petrolifere, le milizie del Movimento di Emancipazione del Niger Delta mostrano di possedere armi e tattiche sempre più sofisticate” e che “decine di migliaia di barili sono spillati illegalmente, su base giornaliera, dalla rete di distribuzione”, “Nigeria’s Failed Test”,” Strategic Survey, The Annual Review of World Affairs, 2007”, IISS, Routlegde, London, pag. 270. (82) Princeton N. Lyman and J. Stephen Morrison “The Terrorist Threat in Africa”, Foreign Affairs, New York , Jan-Feb 2004. (83) Terrorismo, traffico di materiali utilizzabili come armi di effetto di massa, droghe, esseri umani, pirateria. In tema di pirateria, la recente Risoluzione “1816” del Consiglio di Sicurezza ONU autorizzando gli Stati che cooperano con il Governo di Transizione Somalo, a penetrare nelle sue acque territoriali, under chapter 7, è stata vista come “una forma di prima ingerenza in materia”, Le Monde 5-6.08, www.lemonde.fr. (84) Ad esempio nel quadro di cooperazioni bi/multi-laterali. (85) Colin S. Gray and Geoffrey Sloan (a cura di) “GEOPOLITICS. Geography and Strategy”, Jon Sumida “Alfred Thayer Mahan, Geopolitician”, Frank Kass, London 1999, pag. 59. (86) Herbst Jeffrey e Greg Mills ,”The Future of Africa: A New Order in Sight”, Adelphi Papers 361(2003) pag. 75. (87) La stessa “European Security Strategy”, promossa dal Seg.Gen./Alto Rappresentante X. Solana è da considerare, sul piano tecnico come documento di indirizzo, una via di mezzo tra “vision politica” e lineamenti di “policy”, in quanto, come strategia, dovendo risolvere l’equazione mezzi-fini-modalità, dovrebbe indicare le priorità. (88) Jhonvbere, Julius O. (a cura di John M. Mbaku) “A Balance Sheet of Africa’s Transition to Democratic Governance” “The Transition to Democratic Governance in Africa:The Continuous Struggle”, ed. Greenwood Group Inc., Weasport CT, 2003, pag. 51. (89) Herbst Jeffrey e Greg Mills ,”The Future of Africa: A New Order in Sight”, Adelphi Papers 361 (2003) pag. 75-76. Gli autori fanno esplicitamente riferimento a personaggi di notevole stazza della vecchia generazione, quali Sir Seretse Khama dello Botswana e, ovviamente, a Nelson Mandela; oggi, a seguito del regime change, si può annoverare anche Ellen Johnson Shirleaf della Liberia. Tra i leaders delle nuove generazioni sono citati John Kufour del Ghana e Joaquim Chissano del Mozambico. |