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GNOSIS 1/2008
La Riforma dell'Intelligence



Chiudiamo lo spazio dedicato alle riflessioni ed agli approfondimenti sulla Riforma del nostro Comparto Intelligence con i preziosi contributi del Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri On. Enrico Micheli, Autorità delegata per la sicurezza della Repubblica e del Generale Carlo Jean.



IL RILANCIO DI UN SISTEMA COMPLESSO

di Enrico MICHELI


Parlare di Servizi Segreti ha sempre evocato situazioni avvolte da un particolare alone di mistero e per ciò stesso il solo pensiero è capace di iniettare nello spettatore un senso di prodigio.
In realtà, le funzioni e gli obiettivi di tali organismi - al netto delle suggestioni che hanno fatto la fortuna di larga parte della letteratura romanzesca e cinematografica - implicano un lavoro difficile e pericoloso, dove il mistero cede il passo alla riservatezza e il prodigio si ritrova unicamente nella professionalità, nella preparazione e nella dedizione di coloro che vi operano.
È evidente che, memorie fiabesche a parte, l'organizzazione e i limiti di tali funzioni abbisognano di una cornice normativa solida e trasparente, ma soprattutto sintonica con il sistema di principi e di valori che i costituenti hanno eretto a fondamenta della nostra Repubblica.
Prima di giungere ad una riflessione sul contenuto della riforma approvata nell'agosto dello scorso anno dal Parlamento italiano, mi sia permessa una brevissima digressione per ricordare, anche alla luce della mia personale esperienza in qualità di Autorità politica delegata dal Presidente del Consiglio dei ministri per il settore dei Servizi di informazione e sicurezza, quanti svolgono ed hanno svolto la loro attività lavorativa in questo delicato segmento operativo con passione ed assoluta dedizione, avendo come esclusivo riferimento la stella cometa della tutela e salvaguardia della sicurezza nazionale.
Il ruolo che i Servizi di informazione svolgono in uno Stato moderno è nevralgico: l'attività di prevenzione, basata sull'intelligence, diventa di vitale importanza per garantire l'esistenza stessa della nazione e delle istituzioni democratiche che la guidano e che sono espressione diretta o indiretta della sovranità popolare consacrata nel primo articolo della nostra Costituzione. Essi costituiscono un baluardo contro le insidie che intendono minarne la stabilità. Ma non è tutto. Un efficace sistema di informazione ha in sé tutte le potenzialità per costituire uno strumento quotidiano di inestimabile valore per il buon governo del Paese. Un'attività di intelligence veramente intelligente - concedetemi il gioco di parole.- garantisce, infatti, sempre un imprescindibile supporto nei processi decisionali dell'esecutivo, sia nel delicato e mutevole versante dei rapporti internazionali, sia nella definizione degli indirizzi strategici verso cui orientare le policy interne.
Forse anche queste considerazioni, unite alla consapevolezza della necessità di una riforma organica del settore, attesa da ormai troppi anni, hanno mosso la quasi totalità delle forze politiche presenti nel Parlamento, specialmente nelle due ultime legislature, verso il comune intendimento di liberare lo slancio con cui ha preso vita una delle più strutturate e delicate leggi in materia di sicurezza degli ultimi anni.
L'esito dei lavori parlamentari, in effetti, ha regalato una duplice soddisfazione: in primo luogo, infatti, è nata una riforma disegnata per essere "di sistema", per formare un'ossatura salda e durevole; in seconda analisi, il conseguimento dell'obiettivo politico di aver colto la sfida dei tempi maturi e di esserne usciti, col capo cinto di lauro, con la massima condivisione possibile, avendo visto coinvolta trasversalmente l'intera classe politica rappresentata nelle aule parlamentari della XV legislatura.
Quindi, forte di un consenso unanime, il legislatore ha puntato il fuoco della sua azione direttamente al cuore della questione e, neglettando ogni riluttanza, ha espresso con fermezza la volontà di rinforzare le prerogative degli operatori dell'intelligence, inserendo l'attribuzione dei nuovi strumenti in un ampio quadro riformatore: citando Bergson, "ci sono cose che l'intelligenza è capace di cercare, ma che, da sola, non troverà mai". Insomma, il lavoro indefesso ed intelligente degli uomini deve essere supportato da un quadro normativo capace di sostenerne l'azione quotidiana con strumenti adeguati ai tempi in cui viviamo.
Scendendo, ora, nel vivo del discorso, tentando di non sovrappormi ai molti interventi già ospitati da questa rivista, mi sembra di poter dire che i due pilastri portanti della riforma sorreggono un sistema sicuramente organico ma anche composito: si tratta, da un lato, delle cosiddette garanzie funzionali e del complesso di strumenti info - operativi previsti nella legge; dall'altro, della puntuale disciplina del segreto di Stato che, per tanti motivi, il legislatore del 1977 aveva dimenticato nella penna e nelle buone intenzioni. Le prime, in un'ottica di trasparenza e di garanzia, permettono, all'agente segreto, entro limiti precisi ed in funzione di obiettivi determinati, di fruire di una speciale causa di giustificazione che gli consente di porre in essere una condotta, preventi vamente autorizzata dal Presidente del Consiglio o dall'Autorità delegata, che altrimenti l'ordinamento avrebbe perseguito come reato.
Di pari passo, in modo proporzionale, è stato potenziato il potere di vigilanza sull'operato dei Servizi da parte dell' apposito Comitato parlamentare di controllo, il COPASIR. Il bilanciamento dei poteri ha trovato espressione in una composizione più ampia dell' organo ed in maggiori e più analitici poteri conoscitivi nei confronti delle agenzie: infatti, oltre alla possibilità di acquisire documentazione riservata, audire chiunque possa riferire informazioni utili all'esercizio del potere ispettivo, effettuare accessi nelle sedi riservate, una delle novità più significative della riforma è rappresentata dalla facoltà del Comitato di "esercitare il controllo diretto della documentazione di spesa relativa alle operazioni concluse, effettuando, a tale scopo, l'accesso presso l'archivio centrale del DIS".
Altro elemento portante della riforma, come ho detto, riguarda la disciplina del segreto di Stato, disegnata facendo leva, in una visione prospettica, sulla leale collaborazione fra il potere esecutivo e quello giurisdizionale, costantemente richiamata nelle proprie decisioni dal giudice delle leggi, che dovrà dirimere anche nel futuro, ovviamente, gli eventuali conflitti fra il Governo - titolare del potere di apposizione/conferma dell'opposizione del segreto - e la magistratura che indaga su violazioni di legge. Forse per la prima volta si è scelta la strada di disciplinare in maniera chiara la materia degli "arcana imperi" tenendo a mente un obiettivo: pur in un regime democratico ove vige il principio della divisione dei poteri, infatti, l'in sé degli attori istituzionali è di far convergere l'esercizio della propria funzione verso il fine della conservazione e del rafforzamento della democrazia.
Sotto altro aspetto, invece, il limite temporale di segretabilità fissato in quindici anni - prorogabile a trenta - restituisce alla collettività la conoscibilità di fatti, eventi e situazioni che imprescindibili esigenze di tutela della riservatezza avevano imposto di sottrarre alle legittime istanze degli interessati, blindando quegli avvenimenti in una gabbia eterna con resistenza massima ad ogni tentativo di pur legittima intrusione.
Anticipando di qualche riga le considerazioni sulle modalità di attuazione di questa riforma, mi preme ricordare che avendo ritenuto la scadenza del vincolo del segreto di Stato di grande interesse e di alto valore politico, ho inviato al COPASIR, per il previsto parere, primo tra tutti, proprio il decreto attuativo della disciplina del segreto. Il parere è stato già rilasciato e il provvedimento sarà emanato entro i previsti 180 giorni.
Torniamo a noi. Certo, visto il ruolo da me svolto nel Governo che si appresta a concludere le proprie attività, non posso che evidenziare con un tratto di biro la rilevante scelta di prevedere il conferimento di funzioni proprie del Presidente del Consiglio ad un membro del Governo, l'Autorità delegata, specificamente dedicato ad indirizzare l'attività di intelligence. Solo una lettura veloce può condurre a ritenere che poco sia cambiato rispetto alla disciplina recata dalla legge n. 400 del 1988, in materia di attività di Governo, che prevede, com'è noto, la possibilità di delegare compiti propri del Capo dell'esecutivo ad un Sottosegretario o ad un Ministro senza portafoglio: stavolta, infatti, v'è di più. C'è la chiara ed evidente volontà di avere sempre uno sguardo attento ed "esclusivo" sull'operato di questi organismi; la volontà di fondare una guida presente e attiva che segua costantemente le attività di ricerca informativa per trarne il miglior profitto per una efficiente governance del Paese.
Tanto basterebbe ad indicare la portata realmente innovativa della legge qui in commento, ma questa riforma ha riguardato anche l'assetto strutturale e le relazioni tra i diversi attori del sistema di informazioni per la sicurezza.
E' stata, infatti, operata una più razionale ripartizione delle competenze, basata su un modello geografico tendenzialmente puro con il rafforzamento del Servizio interno, finora spogliato di alcune delle sue attribuzioni naturali: il controspionaggio affidato all'AISI, infatti, oltre a rappresentare un miglior bilanciamento nella dinamica di assegnazione delle competenze, permette una migliore distribuzione logistica e, quindi, una più efficace ed economica gestione delle risorse Sigint e Techint. La riforma che verrà attuata a costo zero, in pieno ossequio a quanto previsto dalla legge 124/2007, non ha trascurato neppure la traiettoria di una pubblica amministrazione orientata verso economie di spesa.
Il risultato che consegue al riassetto riguarda da vicino anche l'ottimizzazione delle risorse umane, d'ora in poi gestite secondo procedure più in linea con il mondo pubblico: le attività Humint potranno fare ricorso a professionalità specifiche e ben individuate, selezionate attraverso procedure concorsuali trasparenti.
Per quanto concerne la direzione degli OO.II.S., intendo sia strategica sia funzionale, essa è stata affidata esclusivamente al Capo del Governo, superando l'attuale dicotomia Ministro dell'interno - Ministro della difesa ed è stato, inoltre, definito e significativamente potenziato il ruolo di coordinamento del DIS. Come si capisce, attraverso queste poche righe di riflessione, la riforma è profonda ed incisiva: essa appare solida; tradisce, forse, un retro pensiero unitario nella complessiva organizzazione dei Servizi d'informazione, ma ha, comunque, una proiezione futura.
Il lavoro, in ogni caso, non è completato: parte integrante di questo nuovo orizzonte sarà rappresentata dall'emanazione dei regolamenti attuativi della riforma. Non si tratta di un'attività di poco momento: è necessario tradurre in pratica dei principi nuovi e, come abbiamo visto, di primaria importanza e delicatezza. E’ propria di questi momenti la ricerca del calmiere necessario ad armonizzare la nuova legislazione con il complesso legislativo vigente e con la realtà organizzativa sedimentata.
Per questi motivi ringrazio, senza retorica, quanti in questi mesi hanno speso le loro energie fisiche ed intellettive per consentirmi di inviare nei tempi stabiliti dalla legge di riforma i regolamenti richiesti per la sua attuazione.
Nell'accingermi a concludere questo mio breve intervento, nel quale ho tentato di delineare alcuni fra gli aspetti fondamentali della nuova disciplina, vorrei provare a lanciare uno sguardo in avanti.
Come ogni riforma - e, in ultima analisi, ogni opera dell 'uomo - anche questa legge è perfettibile, ma è stata concepita per guardare un metro oltre l'orizzonte: per essere efficace oggi e migliore domani. Non c'è nulla, in effetti, che possa risolvere d'incanto le straordinarie difficoltà che appartengono a questo lavoro; sono gli uomini dell'intelligence che dovranno camminare con le loro gambe: ma ora, in ogni caso, hanno strumenti migliori. Quisque faber fortunae suae.



I SERVIZI
DALL' "ORDINE DI YALTA" AL "DISORDINE DELLE NAZIONI"

di Carlo JEAN



da http:/wikimedia.org
Dall' "ordine di Yalta" al "disordine delle Nazioni"
Conseguenze per l'intelligence


Nel mondo bipolare, la dimensione militare dominava le problematiche della sicurezza. Le altre - economica, interna, comunicativa, ecc. - avevano minore importanza o erano subordinate alla prima. Interno ed esterno erano poi separati.
I confini - almeno quelli fra i due blocchi, ma anche con il Terzo Mondo - erano controllati e potevano essere chiusi in caso di necessità. I compiti principali dei Servizi di Sicurezza ed Intelligence erano quelli di dare per tempo il preavviso di un attacco, per permettere lo schieramento delle forze della difesa, e di valutare gli aspetti qualitativi, quantitativi e temporali della "minaccia".
Esisteva, quindi, una preminenza funzionale dei Servizi esterni su quelli interni. I primi erano collegati internazionalmente più dei secondi, che, all'interno dei singoli Stati, erano spesso in
concorrenza con gli organismi investigativi delle Forze di Polizia. Il controspionaggio militare e tecnologico, nonché il contrasto alle infiltrazioni e alla propaganda del Patto di Varsavia anche all'interno dei territori occidentali erano principalmente devoluti ai Servizi esterni che avevano una caratterizzazione prevalentemente militare.
La "caduta del muro" ha mutato radicalmente la situazione. Non solo sono cadute le più radicali contrapposizioni interne, rendendo l'Italia un paese più normale. Ma anche all'"Ordine di Yalta" è subentrato il "Disordine delle Nazioni".
Gli Stati hanno recuperato parti di sovranità che non erano in condizioni di esercitare durante la Guerra Fredda. Le minacce poi si sono diversificate.
Con la globalizzazione, i confini fra interno ed esterno sono diventati porosi. La politica estera è condizionata da quella interna, non viceversa, come avveniva prima. Alla scomparsa della probabilità di una nuova grande guerra è subentrata la realtà di tanti piccoli conflitti e di rischi minori che comunque minacciano se non la sicurezza dello Stato quella dei cittadini. La globalizzazione ha poi comportato una "deregolamentazione" e reso più difficili i controlli.
L'aumento dell'interdipendenza ha accresciuto le interazioni fra i "sistemi-paese". Gli attori internazionali sono aumentati di numero e si sono differenziati: non solo più Stati o istituzioni internazionali - di fatto intergovernative - ma anche ONG con forte appeal mediatico, terrorismi e criminalità transnazionali, proliferazione, contagio dell'instabilità proveniente anche da regioni lontane, rischi alla sicurezza energetica, volatilità dell'economia, aumento dell'importanza del soft rispetto all'hard power, rapida espansione dell'instabilità dei mercati soprattutto per l'accentuata finanziarizzazione dell'economia, e così via.
È il mondo del "turbocapitalismo" e dell'"ipercompetizione", in cui non sono più possibili difese statiche. La sicurezza è divenuta multidimensionale e dinamica. Da tale situazione, traggono vantaggi rilevanti coloro che sanno sfruttare il cambiamento. Non vi è alternativa fra crescita e declino. La sicurezza deve riferirsi ad entrambi, ai pericoli come alle opportunità. La globalizzazione, pur essendo complessivamente positiva, crea vincitori e vinti sia fra gli Stati che all'interno di essi. La politica e quindi l' intelligence- che ne costituisce strumento indispensabile - devono adeguarsi.
La sicurezza si deve estendere oltre le frontiere. Oggi deve riguardare non solo la prevenzione e la difesa dalle minacce, ma anche l'individuazione delle opportunità. Echelon ne rappresenta un esempio paradigmatico.
Nel mondo dell'intelligence si è verificata più che una necessità di trasformazione e di adeguamento strutturale, una vera e propria rivoluzione anche culturale. Essa ha trovato in Italia un'espressione normativa nella legge 124/2007.
Prendendo atto dell'aumento delle correlazioni fra interno ed esterno, ma anche dell'impraticabilità di dar vita ad un Servizio unitario, ha accresciuto le responsabilità del DIS e collegato le Agenzie direttamente con la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Ma una cosa sono le norme; tutt'altra è la loro applicazione pratica.
Va considerato che la tendenza di ogni corpo burocratico è di perpetuare le situazioni ed abitudini pre-esistenti, vanificando ogni processo innovativo. I burocrati sono dei geni per ampliare le nicchie di libertà d'azione esistenti per ricostituire la situazione quo ante e per approfittare di ogni occasione - ad esempio un cambio di Governo - per riconquistare competenze e potere perduti.
In Italia tale pericolo è grande. Influisce al riguardo la cultura istituzionale italiana, tanto influenzata dal diritto romano-germanico. In essa, i rapporti verticali dominano su quelli orizzontali. Nella legge 124/2007 sembra avvertirsi un'eccessiva complessità dei circuiti decisionali e relazionali.
Importante è la prescrizione che gli Organismi dei Servizi di informazione per la sicurezza debbano avere la collaborazione delle varie Amministrazioni operative, ma non esiste alcuna norma che dica che cosa succederebbe se non la fornissero.
Il coordinamento è sempre difficile. In Italia - forse più che in ogni altro paese - domina il cd. "paradosso del coordinamento": tutti vogliono essere coordinati, ma nessuno accetta di essere coordinato da qualcun’ altro. Beninteso, non è un fenomeno solo italiano. Ma da noi è particolarmente accentuato, forse anche per l'inesistenza - a differenza di quanto avviene in Gran Bretagna o in Francia - di una solida "casta" di "mandarini" o di grands commis de l'Etat. Da noi, i boards non hanno mai funzionato. L'informazione è potenza. Nessuno la cede senza contropartita, almeno di prestigio per la propria organizzazione o anche di vantaggio personale. E’ un fatto naturale. Ogni formula organizzativa deve tenerne conto.
Il coordinamento intersettoriale è quindi particolarmente difficile, soprattutto, quando esistono zone incerte di sovrapposizione, ad esempio nelle attività economiche e comunicative, che influiscono sulla possibilità di realizzare interessi nazionali (concorrenza illecita, violazione di diritti di proprietà intellettuale, OPA ostili, corruzione per facilitare le proprie imprese, campagne comunicative che ledono l'immagine e il prestigio del paese, notizie false o tendenziose utilizzate per trarre vantaggi concorrenziali, impiego della tecnica del sospetto, ecc.). Spesso difficile è distinguere dove finisca l'esterno ed incominci l'interno e viceversa.
Oggi, i rischi sono sempre più transnazionali. Esiste un'accentuata continuità fra esterno ed interno. La separazione dell'intelligence in due branche funzionali - necessaria per le strutture pre-esistenti alla riforma e anche per la diversità degli utenti istituzionali - determina sempre problemi. Essi sono stati messi in evidenza negli USA dalla Commissione parlamentare d'inchiesta sugli attentati dell'11 settembre 2001 e sul mancato coordinamento fra la CIA e l'FBI. E' sempre difficile trasferire orizzontalmente le informazioni.
Gli operativi ne devono disporre tempestivamente. In caso contrario, con la rapidità che caratterizza i mutamenti attuali, le informazioni divengono rapidamente obsolete, cioè inutili. Quando i flussi verticali prevalgono quindi su quelli orizzontali, il ciclo IDA (Informazione-Decisione-Azione) non può essere ottimizzato.
All'identità e alla gelosia istituzionali si aggiungono fenomeni come la "dissonanza cognitiva" o information bias. Tutti sono portati a credere solo a quanto conferma le proprie convinzioni.
L'organizzazione deve tener conto di tale tendenza del tutto naturale o comunque diffusa. Invece di ricercare una difficile ottimizzazione teorica del sistema, occorre tendere ad attenuarne gli inconvenienti.
È quanto si cerca - con alterne fortune - di fare in tutti i paesi. Nel caso della recente riorganizzazione dei Servizi d'informazione per la sicurezza, il mutamento dei campi di responsabilità comporta sicuramente difficoltà. L'AISE ha visto restringersi il proprio campo di attività sul territorio nazionale. All'interno, si è allargato quello dell'AISI.


Interessi nazionali , pianificazione
politico-strategica ed Intelligence


Intelligence e pianificazione

La conoscenza di sé stessi, del contesto in cui ci si muove, dei nemici e dei rischi da affrontare rappresenta la premessa di ogni successo. Il conoscere che cosa si vuole, le priorità e le proprie vulnerabilità e fattori di potenza costituisce il cuore ed il punto di partenza di qualsiasi processo di intelligence. E' la precondizione della sua efficacia, che è poi quella che conta. Il valore aggiunto riguarda non la conoscenza della situazione in quanto tale, ma quella del suo impatto sulle decisioni che si devono prendere.
L'informazione va sempre strettamente connessa alla decisione e all'azione. Il verticismo organizzativo crea sempre "carrozzoni" di scarsa utilità pratica. Ritarda i processi informativi e decisionali, anche se assicura una maggiore coerenza e coordinamento. Ottimo per situazioni sostanzialmente statiche o in lenta evoluzione, può divenire disastroso quando la realtà muta rapidamente.
La chiave di volta per conciliare tempestività e coerenza sta nella pianificazione della politica estera e nella definizione di ben precise priorità di quella interna. Senza di essa, non è possibile che l'intelligence - o, come in modo alquanto buffo, adottato sicuramente per soddisfare qualche pruderie politica contingente, "informazione per la sicurezza"- fornisca un prodotto veramente utile. Si limita allora ad assesments generici, reperibili, in forma spesso più comprensibile e diretta, nei vari annuari degli istituti di studi internazionalistici e strategici che circolano nel mondo.
L'Intelligence deve essere oltre che tempestiva anche professionale.
Un esempio al riguardo era rappresentato a fine XIX secolo dalle Società geografiche, costituite dagli Stati europei per sostenere la loro espansione coloniale, nonché dalle reti commerciali e oggi anche da quelle di ex frequentatori delle università e delle scuole di Business Administration. A differenza di altri paesi, tali reti non vengono utilizzate sistematicamente in Italia. Eppure, in esse transitano informazioni tempestive e rilevanti, molto più di quelle ottenibili consultando i vari web. Tra l'altro questi ultimi vengono utilizzati - spesso in modo più mirato - dagli utilizzatori anziché dagli Organismi di intelligence.
L'intelligence che si limiti a "macinare" quanto contenuto nelle fonti aperte è di scarsa utilità pratica e non viene presa sul serio dagli utilizzatori.
Essenziale al riguardo è la definizione delle esigenze di chi deve prendere le decisioni. Oltre all'esistenza di una "camera di compensazione", volta ad assiepare le richieste di informazioni, e all'associazione dei Servizi (l'averli denominati Agenzie contribuisce a mantenerli in una specie di limbo) alla gestione delle crisi, è essenziale che esista una pianificazione della politica, che abbia alla sua base la definizione degli interessi da conseguire e le rispettive priorità. Solo la comprensione di essi può "mirare" l'attività informativa e non renderla un esercizio sostanzialmente accademico.
Il concetto di interesse nazionale è perciò centrale anche per l'intelligence. Nel mondo attuale, essa non può riferirsi alle sole "informazioni per la sicurezza". Deve essere estesa alle "informazioni per l'individuazione delle opportunità", che, al limite, potrebbe contribuire a crearle.
La definizione prima, e la comprensione poi, di che cosa siano gli interessi nazionali rappresenta, quindi, un punto centrale per l'organizzazione dell'intelligence e per il valore aggiunto che essa potrebbe dare al processo decisionale.
I "Servizi" sono servizi. In quanto tali, devono servire alla configurazione delle possibili evoluzioni del contesto interno ed internazionale, elaborando possibili scenari; rispondere tempestivamente alla richiesta di informazioni che non possono essere ottenute tramite le fonti aperte ed i naturali canali diplomatici, economici, politici, ecc. e, quando possibile, anticipare le richieste con una valutazione autonoma delle presumibili esigenze informative, che si presenteranno nel futuro.
In altre parole, i Servizi non devono "girare a vuoto", né "macinare acqua fresca" delle fonti aperte, come sono inevitabilmente portati a fare in caso di organizzazione troppo verticistica. In essa, le esigenze di informazione - soprattutto in un mondo dell'imprevedibilità, complessità e rapidità di evoluzione, in cui viviamo - non possono essere scollate dalle decisioni.

Gli interessi nazionali

Sono gli obiettivi di carattere generale, perseguiti da un "sistema-paese", definiti in relazione a "scenari" quanto più a lungo termine possibili, elaborati dalle istituzioni responsabili dell'alterazione della politica nei vari settori. Se tali "scenari" vengono elaborati da organismi esterni, non vengono "presi sul serio". I "Servizi" divengono autoreferenziali. Sono i Servizi che lavorano per loro stessi e forniscono un prodotto generico che non viene utilizzato.
Il punto essenziale, insomma, è costituito dalla formulazione delle esigenze di intelligence da parte degli utilizzatori. Le strutture del sistema istituzionale esistente in ogni paese sono determinanti. In un sistema presidenziale o di "cancellierato" le esigenze sono formulate a livello capo dell'esecutivo. In uno decentrato - come è quello italiano - la massa delle esigenze (così come la formulazione di scenari e la definizione delle politiche) deriva necessariamente da un sistema bottom-up.
Il punto di partenza è rappresentato dalla comprensione di quali siano gli interessi nazionali. Essa è essenziale. Rappresenta l'auspicabile, che le politiche - sia generali che settoriali - devono poi adattare alle capacità disponibili o a quelle che possono essere rese tali nel tempo.
La "dottrina" prevede varie classificazioni degli interessi:
a) sulla base del loro contenuto, gli interessi nazionali possono essere economici, militari, territoriali, politici, ideologici, di prestigio, e così via. Questa prima categoria rinvia necessariamente allo scopo che i rispettivi interessi perseguono, che può essere il benessere piuttosto che il controllo delle risorse, l'affermazione della propria potenza piuttosto che della propria Weltanschauung. Tali interessi hanno a che vedere con il ruolo che lo Stato ritiene necessario o conveniente giocare, con la sua collocazione geopolitica, le sue percezioni di se stesso (ad esempio, il manifest destiny statunitense) e con le sue preferenze circa le strutture ritenute desiderabili o convenienti dell'ordine e del sistema internazionali. Essi implicano di conseguenza la definizione delle prospettive auspicate per il proprio "sistema-paese", beninteso entro i limiti intrinseci della libertà d'azione che può avere un paese ed i condizionamenti derivati dalle "grandi scelte del passato". Per l'Italia, queste ultime sono quella atlantica e quella europea. Per esse, il nostro Paese non può che limitarsi ad influire sulle decisioni prese in ambito europeo o atlantico, perché esse siano coerenti o, almeno, compatibili con i nostri interessi. Esistono poi interessi anche in aree non coinvolte nelle "grandi scelte", ma nelle quali il "sistema-paese" è comunque coinvolto.
b) Secondo la loro priorità, gli interessi vengono suddivisi in quelli di sopravvivenza, vitali o secondari (che in taluni paesi, come la Francia, vengono denominati "strategici"). Nei campi economico e tecnologico, gli interessi secondari hanno spesso un effetto cumulativo, che nel suo insieme può trasformarli in vitali.
c) In riferimento agli interessi degli altri Paesi, gli interessi nazionali possono essere comuni, complementari o conflittuali. La presa in considerazione di tali aspetti relazionali è necessaria per la progettazione della politica estera e per le decisioni concernenti la pace e la guerra, nonché per la cooperazione o la competizione economica. Queste ultime - contrariamente a quanto viene talvolta sostenuto - rappresentano un continuum, dato che in entrambe tutti gli Stati perseguono i propri interessi, ancorché con mezzi e modalità diversi. La classificazione dei propri interessi in relazione agli interessi degli altri viene utilizzata come riferimento per i negoziati e per gli accordi di cooperazione o di alleanza, i quali valorizzano la convergenza di interessi con una politica comune. Come si è ricordato, nei negoziati si scambia poi un interesse proprio con uno altrui. Nella definizione della convergenza, complementarietà o conflittualità degli interessi assume particolare importanza l'attività di intelligence e il completamento delle fonti aperte - spesso manipolate - con la penetrazione nei gangli decisionali di alleati e concorrenti.
d) Gli interessi nazionali possono essere a breve o lungo termine. La dimensione temporale è importante sia in politica che in strategia. Spesso esiste una contraddizione fra gli interessi a breve termine e quelli a lungo termine, per cui deve esercitarsi al riguardo una scelta politica. Essa è sempre difficile, poiché i "tempi" della politica sono diversi - generalmente molto più corti - di quelli degli interessi. Un contributo essenziale delle strutture istituzionali (dalla diplomazia, agli Stati Maggiori, ai Servizi di intelligence) è di considerare il lungo termine, rispetto alla preferenza della politica di privilegiare il breve periodo e gli approcci "tattici".
e) Gli interessi possono essere anche indiretti, cioè strumentali al perseguimento di interessi del tutto differenti. Sono tali quando, ad esempio, sono volti a consolidare l'immagine internazionale dello Stato e a rafforzarne il prestigio, la credibilità e l'affidabilità. Ad esempio, la spedizione in Crimea dell'Armata Sarda o l'intervento in Somalia, in Mozambico o in Iraq, trovano giustificazione nell'esigenza, rispettivamente, di sottoporre al "concerto" delle Potenze europee la questione nazionale italiana, e di sostenere l'ambizione dell'Italia di accrescere il proprio peso politico globale e nell'Occidente. Tale azione di consolidamento del prestigio nazionale viene spesso contrastata con sistemiche azioni di disinformazione, che talvolta consistono in semplici azioni diversive, volte ad indebolire la capacità di resistenza di un competitore nella difesa dei propri interessi in altri settori (ad esempio, "spazzatura di Napoli" o "mafia" per screditare all'estero imprese italiane concorrenti) oppure a sostenere manovre speculative ("crociate" anti-nucleari o anti-OGM). Il monitoraggio delle comunicazioni che riguardano il proprio Paese è un nuovo settore che si è aperto alla responsabilità della politica e, quindi, dei Servizi di intelligence.
f) Esistono infine interessi "storici", discutibili finché si vuole, ma che di fatto sono all'origine di molti degli attuali conflitti etnici e identitari. I "diritti storici", come quelli assunti dalla Serbia su parti della Bosnia e della Croazia, o dall'Iraq sul Kuwait, per quanto strumentali essi siano, hanno un'importanza determinante. La loro analisi permette di comprendere percezioni ed orientamenti e di anticipare decisioni ed eventi. Anche l'analisi e la comprensione della politica interna è importante, per riuscire ad anticipare le decisioni che possono essere prese.
Analoghi erano gli interessi che venivano individuati dalle varie scuole geopolitiche deterministiche del Novecento, come quelli di frontiera naturale, di spazio vitale, di manifest destiny, oppure dalle teorie mercantiliste del "sacro egoismo" o, ancora, dai vari fondamentalismi religiosi e ideologici, origine di tante guerre e crociate.
Importante è anche il monitoraggio e l'analisi delle tendenze che emergono dagli studi e ricerche dei principali istituti di relazioni internazionali. Anche esse consentono di anticipare le decisioni politiche.
L'insieme di tali conoscenze consente di elaborare le cd. "rappresentazioni geopolitiche", parti essenziali della cultura storico-politica di un popolo ed utili a prevederne reazioni, orientamenti e scelte.
La loro individuazione comporta un'approfondita comprensione delle culture e dei rapporti di potere locali e sono essenziali per l'attività informativa necessaria per la gestione degli interventi all'estero. Gli avvenimenti in Iraq, stanno sviluppandosi, dopo il mutamento della politica USA, dovuto al generale Petraeus e all'ambasciatore Crocker, in modo analogo alla grande rivolta irachena del 1918-21. Se i primi "proconsoli" americani in Iraq ne avessero tenuto conto, avrebbero evitato molti guai. In tale categoria rientra l'analisi e la valutazione delle decisioni prese dagli altri paesi, tenendo conto che la public diplomacy è spesso ben differente dalla politica realmente perseguita.
Un caso evidente è stata l'utilizzazione del NIE da parte della Casa Bianca, come strumento per segnalare a Teheran l'orientamento USA a non impiegare la forza e, al tempo stesso, come "pagamento" della collaborazione iraniana per la stabilizzazione dell'Iraq (tregue dichiarate da Moqtada al Sadr, ad esempio).
Con la pubblicazione del NIE, gli USA hanno rinunciato ad un'importante carta negoziale e strumento di pressione, fatto immediatamente sfruttato dalla brillante diplomazia iraniana.


L'aumento dell'importanza dell'Intelligence
nel mondo post-bipolare


L'incertezza e l'imprevedibilità delle situazioni da un lato e l'aumento dell'autonomia nazionale dall'altro, impongono anche alle medie potenze regionali come l'Italia la necessità di disporre di strumenti adeguati. Essi sono di natura sia istituzionale (pianificazione a lungo termine della politica estera, gestione delle crisi), sia informativa (intelligence), sia operativa (militare, economica, ecc).
Quanto più grande sono l'incertezza e più difficile la previsione, tanto più è necessaria un'intelligence efficiente. Per decidere occorre conoscere e comprendere. Tutti gli Stati europei ne sono consapevoli. Infatti, stanno ristrutturando e potenziando i loro Servizi di intelligence ed adattandoli alle nuove esigenze.
Le dimensioni storiche, sociali, e culturali hanno acquisito maggiore importanza di quelle propriamente tecnologiche e materiali, tuttora essenziali allorquando vengono esaminati scenari di conflitto di tipo tradizionale o simmetrico. Si sono resi conto di quanto essi siano essenziali per l'autonomia dello Stato e, quindi, per il suo livello di democrazia reale (se manca un'intelligence nazionale, mancano i presupposti per far sì che le scelte siano veramente autonome e non etero-referenziali o etero-dirette).
L'informazione è potenza. Tutti gli Stati ne sono perciò gelosi custodi, anche per non compromettere le fonti.
L'informazione non può essere solo difensiva. Deve essere anche offensiva, sia per cogliere opportunità ad esempio in campo economico, sia perché, con un'accorta manipolazione si possono ottenere risultati politici notevoli, modificando le posizioni e quindi le decisioni non solo degli avversari, ma anche degli alleati. E' per questo che i Servizi costituiscono istituzioni in cui si esprime una completa sovranità degli Stati. Non possono essere integrati neppure in ambito NATO od europeo. Nessuna organizzazione internazionale ne può disporre.
I fabbisogni di intelligence sono profondamente mutati. Poiché la competizione è diventata globale, anche l'intelligence deve esserlo, estendendosi dal campo politico a quello economico, dal livello regionale a quello globale.


foto Ansa

L'intelligence non può fondarsi solo su fonti aperte, che sono sempre controllate e sottoposte a censura ed a manipolazione. Occorre penetrare nei segreti altrui - industriali, commerciali e tecnologici - e proteggere quelli propri.
Un altro aspetto fondamentale che contraddistingue i sistemi d'intelligence attuali - rispetto a quelli del passato - è l' enorme compressione dei tempi. Se non si riescono a prevedere tempestivamente le crisi - ricordando che ogni crisi è sempre sia un pericolo che un'opportunità - prevale il pericolo e non si possono sfruttare le opportunità.
Si viene travolti dall'incalzare degli avvenimenti senza poter influire sulla loro evoluzione. Con l'aumento della complessità e delle interdipendenze, le previsioni a lungo termine sono sempre meno affidabili.
Occorrono capacità di intelligence tempestive al limite in tempo reale, molto più specializzate di quelle del passato, per cogliere le correlazioni fra i vari aspetti e fonderle in valutazioni globali, da aggiornare in continuazione. Ciò pone problemi nuovi a quello che costituisce lo snodo fondamentale fra i Servizi di intelligence e i loro "clienti" politici, militari ed economici: la loro capacità di esprimere le rispettive esigenze. La loro formulazione è più facile durante le crisi che prima del loro scoppio.
Occorre un dialogo continuo fra i fornitori di intelligence e i suoi utilizzatori. Beninteso, questo comporta un rischio. Quello della politicizzazione dei Servizi, della loro tendenza a fornire notizie gradite perché rientrano nelle convinzioni e interessi di chi deve decidere.
Comporta anche il sorgere di rilevanti moral hazards, che conduce gli operatori dell'intelligence ad analisi poco compromettenti e impegnate o ad eccedere negli allarmi, per scaricarsi dal rischio di essere accusati di non aver previsto.
Quindi, i fenomeni della "dissonanza cognitiva", dell'information bias e del moral hazard vanno ben conosciuti nella loro natura e manifestazioni e neutralizzati, per quanto possibile, adeguando le strutture interne dei Servizi, sottoponendo a verifiche indipendenti le conclusioni degli analisti.
Certamente, a base di tutto, è l'esistenza di un forte senso dello Stato, di un corretto rapporto con gli organismi politici sia di governo che con quelli parlamentari di controllo. Presuppone anche l'abbandono di taluni approcci "irrituali", quali quello della "discontinuità" in politica estera, che recentemente tanto stupore e sarcasmo ha suscitato all'estero nei riguardi del nostro Paese.
Un altro rischio deriva dai legami, talvolta troppo stretti, esistenti fra i vertici dei Servizi con i politici al governo in un particolare momento. Ma esiste anche il rischio opposto: che tali vertici non godano della fiducia dei loro utilizzatori politici. Tutti i sistemi sperimentati in altri Paesi presentano limitazioni ed inconvenienti. Sono problemi difficili da risolvere.
Non esistono soluzioni ottimali sotto tutti i punti di vista. Dipendono dalla situazione contingente ed anche dalla qualità del personale disponibile. Derivano anche dalle contrapposizioni esistenti all'interno della classe politica. Esse possono "politicizzare" le strutture e i prodotti dell'intelligence. La condivisione degli interessi nazionali e l'esistenza di una pianificazione della politica estera e di quella della sicurezza interna sono indispensabili per attenuare gli inconvenienti sopra ricordati.


Considerazioni conclusive

Tutti i mutamenti organizzativi sono difficili e richiedono tempo e un'energica direzione per essere attuati. Generalmente, in campo imprenditoriale, quando un'impresa deve cambiare prodotto, mercato e organizzazione è preferibile farla fallire e ricominciare con un'altra nuova. La "distruzione creativa" è la base dell'innovazione e della crescita. Per le Istituzioni è però praticamente impossibile fare procedere in tale modo.
Occorre quindi affrontare un periodo di transizione, che è sempre difficile e laborioso. Questo aspetto sembra molto rilevante nella fase di transizione attuale. Ci si riferisce in particolare alla modifica dei campi d'azione fra l'AISE e l'AISI, nonché alle funzioni attribuite al DIS, che sono molto più robuste di quelle precedentemente svolte dal CeSIS.
I problemi che vede un "esterno" - senza diretta esperienza dei Servizi - dalla semplice lettura della legge 124/2007, è che dalla preminenza che aveva il SISMi rispetto al SISDe si passa ad un pari livello d'importanza. Facile da dirsi, ma difficile da realizzarsi, date le difficoltà che incontra ogni coordinamento, la continuità fra l'esterno e l'interno, dovuta alla transnazionalità dei rischi e l'esistenza di abitudini consolidate, difficili da modificare.



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