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GNOSIS 1/2008
CONDELLO
la fine di un Capo


articolo redazionale


foto Ansa

Dalle colline di Pellaro il verde dei giardini digrada a Sud, confondendosi con l'opale del cielo e l'intenso azzurro del mare. In questa cornice policroma, che profuma sin dall'antichità di mosto e di legno pregiato, si esaurisce la ventennale latitanza del boss Pasquale Condello, in vetta alla lista dei trenta ricercati più importanti del Ministero dell'Interno.
I Carabinieri lo scovano in una villa a più piani dall'intonaco rosso e dalla lunga balconata, mentre s'appresta alla cena insieme al genero Giovanni Barillà e al nipote Giandomenico Condello. Sono i familiari ad essere i più stretti depositari delle sorti e delle comunicazioni esterne del latitante calabrese. Confermano la stretta natura parentale del circuito logistico dei boss fuggiaschi e l'immunità dal pentitismo del vincolo di sangue.
Condello, "Il Supremo", appare appesantito e incanutito rispetto alla foto segnaletica che lo ritrae negli anni '80, giovane e urgente, come i gregari che hanno voglia di potere e hanno gli occhi oltre il presente.
Oggi, tra i suoi baffi curati che fissano uno sguardo profondo e neutro e nella sua calma misurata di stratega, s'intravede la maturità di boss che ha attraversato le diverse faglie critiche dell'evoluzione 'ndranghetista degli ultimi trent'anni, di cui lui è stato uno degli attori più determinanti.
Cresciuto nell'humus di una mafia in mutazione, egli costituisce il modello di 'ndranghetista rampante promosso nella prima guerra di mafia dai De Stefano. Questi, con il fattivo sostegno dei giovani capi della Piana e della Jonica, eliminano il vecchio stigma mafioso agro-pastorale e introverso degli 'Ntoni Macrì (1) e Mico Tripodo (2) , troppo legati alla tradizione e indisponibili a traghettare l'organizzazione dai sequestri di persona ai più redditizi traffici, tra cui quello di droga.
Si inaugura, così, una stagione mafiosa più direttamente collusiva e modernamente protesa a intercettare i bisogni e gli affari di una società che vuole uscire dall'isolamento economico, anche attraverso i cospicui interventi finanziari statali che fanno piovere una ricchezza insperata sulla Regione.
E' un'occasione per le cosche di fare il salto di qualità, di investire i proventi del narcotraffico o dei sequestri nel settore imprenditoriale così da governare la modernizzazione.
Condello è all'inizio accanto ai boss "don Paolino" De Stefano (3) , che ha preso le redini della cosca dopo la morte del fratello Giorgio, e Giovanni Fontana, suo primo mèntore, entrambi - non a caso - compari d'anello il giorno del suo matrimonio.
Se il Fontana, tuttavia, accetta che quel pupillo nervoso e determinato ne eroda progressivamente la leadership per le sue riconosciute capacità militari e organizzative, don Paolino, invece, teme che quel gregario cresca troppo e mini le sue ambizioni di dominio totale su Reggio. I suoi timori si rivelano fondati. Allo scoppio della seconda guerra di mafia, dopo l'attentato nel 1985 organizzato dai De Stefano con un'autobomba ai danni di Antonino Imerti (4) , il Condello si schiera apertamente con il cartello delle cosche Imerti (5) - Rosmini - Fontana - Saraceno, promuovendo una campagna sanguinaria di annientamento dello schieramento avversario dei De Stefano- Tegano- Libri- Martino.
Tra i numerosi omicidi, eclatanti sono quelli di don Paolino De Stefano, il 13 ottobre 1985, e di Ludovico Ligato, eminente politico reggino ed ex Presidente delle Ferrovie dello Stato, il 27 agosto 1989, reo - per il Condello - di sostenere i De Stefano, secondo la massima che gli amici dei miei nemici sono miei nemici.
Massima che tuttora si rinviene nell'esperienza 'ndranghetista.
Condello, quindi, avrebbe dato prova di coraggio, intelligenza e carisma, diventando presto il simbolo e l'elemento portante delle cosche a lui alleate.
Come solo un boss di superiore "razza" sa fare, alla fine del conflitto smette gli abiti guerrieri per indossare quelli di abile pacificatore e moderatore. Si convince presto che le guerre siano solo un mezzo e che il fine ultimo sia quello di godere delle rendite mafiose, possibilmente in modo condiviso, senza distrazioni e sfruttando le relazioni e le capacità di ciascun mafioso.
Tale visione chiude la lunga stagione di morte e sancisce anche l'esplosione transnazionale dei traffici illegali e la penetrazione sistematica negli affari regionali secondo criteri di massimizzazione della competitività.
Dalla sua roccaforte nel quartiere Archi il Condello diventa, così, il carismatico custode degli equilibri territoriali e si dimostra il catalizzatore di affari e di accordi interclanici. Proprio quando nella realtà provinciale si orientano cospicui finanziamenti e, dietro l'apparente inabissamento criminale, permangono latenti conflittualità pronte a riemergere al primo innesco.
D'altra parte, le occasioni di dissidi criminali interni appaiono fisiologici in Calabria. Hanno effetti centrifughi sia l'elevata concentrazione di cosche in un piccolo territorio - addirittura a livello di quartiere - sia l'impellenza di accaparrare le risorse pubbliche che spesso riguardano competenze di più gruppi, talvolta contrapposti.
In tale fitta trama di crisi il ruolo strategico del Condello ha contribuito a contenere le potenziali spirali violente, attraverso la gestione attenta di una personale e capillare rete di relazioni criminali.
I vecchi boss, soprattutto quelli reduci delle due guerre di mafia, avevano un profilo esperto e ben misuravano costi e benefici delle tensioni. Essi sapevano rinunciare ai rischi di conflitto per non compromettere gli avviati affari.
Di quel manipolo di leader, di cui molti sono in carcere e altri sono morti, non sempre per vecchiaia, il Condello rimane l'ultimo esemplare di spicco e questa solitudine deve aver avvelenato gli ultimi suoi anni liberi.
Anni, peraltro, angustiati dalla collaborazione alla giustizia di Paolo Iannò (6) , capo del "locale" di Gallico e suo braccio destro che ha spezzato la totale impermeabilità dello schieramento condelliano. Il pentito ha permesso di far luce sui complessi interessi della cosca e ha favorito una dura repressione (7) delle sue articolazioni.
Tuttavia, il Condello ha continuato con sottile opportunismo a mediare gli insorgenti contrasti tra le cosche reggine, prime tra tutte i De Stefano e i Tegano, un tempo alleate e oggi fortemente competitive, e tra gli Zito, i Bertuca e gli Imerti, nell'area di Villa San Giovanni.
Non sempre gli esiti di tale sforzo sono risultati risolutivi.
Le nuove generazioni sembrano meno inclini al compromesso e più orientate verso aggressive manifestazioni di potere, apportando allo scenario 'ndranghetista quelle spinte caotiche che ne aumentano le potenziali tensioni centrifughe.
L'arresto del Condello, quindi, potrebbe oggi indurre i contendenti ad ancora più accese rivendicazioni e ad una accelerazione dei processi degenerativi degli assetti cittadini (8) .
Sin dal momento della cattura gli analisti si sono impegnati nella ricerca del possibile successore, individuato da taluni nel cugino del boss, Domenico Condello, latitante dai primi anni '90.
Eppure si ritiene che nel capoluogo nessuno sia in condizione di succedere al "Supremo", almeno in quella funzione di mediazione (9) frutto sia di un portato esperenziale e relazionale maturato nel tempo sia del contestuale riconoscimento della necessità alla concertazione da parte delle altre cosche.
Il suo arresto, quindi, ha il significato ulteriore dell'esaurimento di una fase storica.
Come ogni momento di transizione, è destinato ad aprire lo scenario calabrese a inediti orizzonti evolutivi e a possibili tensioni innovative che possono rendere ancor più critica la minaccia 'ndranghetista.


(1) Ucciso nel 1975
(2) Ucciso nel 1975 in carcere da detenuti cutoliani della NCO, su mandato dei De Stefano.
(3) Fratello di Giorgio De Stefano, a capo dell'omonima cosca durante la prima guerra di mafia e uno dei più accesi fautori del cambiamento. Giorgio fu ucciso il 9 novembre 1977, in Aspromonte, mentre si recava a un summit, perché considerato animato da eccessive mire egemoniche. Sarà sostituito proprio da Paolo.
(4) Il boss rimane illeso.
(5) Una cugina di Condello sposa il boss Antonino Imerti.
(6) Arrestato nel 2000 e pentitosi nel 2002.
(7) Tra cui si segnala l'operazione Bless del 26 luglio 2007 (57 persone iscritte nel registro degli indagati e 32 mandati di cattura a carico di boss reggini).
(8) La centralità di Reggio nella storia 'ndranghetista rende le locali cosche "strategiche" rispetto a quelle delle altre province che, pur conservando la loro autonomia, tuttavia risentono dei cambiamenti reggini.
(9) Solo in questo caso vale il paragone della funzione del Condello con quella del boss siciliano "Binnu" Provenzano, entrambi ottimi mediatori rispetto alle esigenze strategiche delle rispettive organizzazioni. La struttura verticistica e unitaria di Cosa Nostra ha reso il ruolo di Provenzano più pregnante, perché valido per l'intero scenario siciliano. Invece, il carattere orizzontale, ramificato e autonomo della 'ndrangheta ha comunque parcellizzato il ruolo condelliano nella sola area reggina.

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