GNOSIS
Rivista italiana
diintelligence
Agenzia Informazioni
e Sicurezza Interna
» ABBONAMENTI

» CONTATTI

» DIREZIONE

» AISI





» INDICE AUTORI

Italiano Tutte le lingue Cerca i titoli o i testi con
GNOSIS 1/2008
Striscia di Gaza e Cisgiordania: le due realtà

Hamas e la nuova configurazione
del potere nei territori palestinesi


Diego BALIANI


foto Ansa
In un contesto geo-politico storicamente complesso, quale è quello israelo-palestinese, questo contributo si propone di analizzare l’attuale divisione della Palestina tra le principali forze politiche: Fatah, OLP e Hamas. E’ uno scenario questo divenuto sempre più controverso soprattutto dopo la vittoria di Hamas nelle elezioni del 2006.



La nascita dei due governi palestinesi

Il 14 giugno 2007 i miliziani di Hamas hanno conquistato l’ultima roccaforte di Fatah ed hanno dichiarato “vittoria” nella Striscia di Gaza. La vittoria del gruppo islamista sunnita ha posto fine
a 10 giorni di feroci scontri, nel corso dei quali i miliziani della Forza Esecutiva di Hamas hanno sopraffatto le forze di sicurezza fedeli a Fatah. Sami Abu Zuhri, portavoce di Hamas, ha annunciato la “seconda liberazione della Striscia di Gaza”, facendo intendere implicitamente che la prima liberazione sarebbe avvenuta in conseguenza del ritiro unilaterale israeliano dal territorio palestinese, avvenuto nel 2005. Nel corso della medesima giornata, l’ala militare di Hamas – le Brigate Izz al-Din al-Qassam – ha annunciato l’avvenuta esecuzione di Samih al-Madhun, all’epoca comandante di spicco delle Brigate dei martiri al-Aqsa e n.1 nella lista dei ricercati di Hamas. L’esecuzione di Madhun è stata registrata e, pochi giorni dopo, pubblicata online in YouTube, probabilmente da giornalisti della rete televisiva di Hamas, “al-Aqsa TV”. Il video mostrava il comandante di Fatah mentre veniva trascinato per strada e fucilato da uomini mascherati.
La vittoria militare di Hamas ha determinato la cessazione delle attività amministrative dell’organizzazione di Fatah nella Striscia di Gaza, e la divisione dei territori palestinesi in due entità politiche distinte, sottoposte a due strutture di potere distinte. La Striscia di Gaza è attualmente sottoposta al governo de facto di Hamas, guidato da Ismail Haniah, il quale si è riunito per la prima volta il 19 giugno 2007, ed è sostenuto dai miliziani della “Forza Esecutiva” e delle Brigate Izz al-Din al-Qassam.
La Cisgiordania è invece sottoposta al governo di Fatah, il quale mantiene parzialmente la struttura dell’Autorità Palestinese limitatamente al territorio cisgiordano ed ha goduto fin da giugno 2007 del sostegno di Stati Uniti, Unione Europea ed Israele. La differenza fondamentale tra i due “governi” è che il governo di Hamas rappresenta una struttura di potere nuova nata dalla vittoria armata di una fazione palestinese, mentre il governo cisgiordano rappresenta la continuazione della struttura di potere definita “Autorità Palestinese” nata in seguito agli accordi di Oslo del 1993 tra Israele e l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP), e storicamente dominata dal movimento Fatah.
Per valutare gli scenari nel corso del 2008 è necessario individuare e comparare intenzioni e capacità dei due contendenti, Fatah e Hamas. Per individuare le intenzioni dei due attori si valuteranno i comportamenti tenuti dalle due fazioni in seguito alla conquista di Gaza del giugno 2007, sulla base dei rispettivi statuti e dei rispettivi comportamenti tenuti tra il 1987 (anno dell’inizio della prima intifada e della nascita ufficiale di Hamas) e il 2007. Le capacità di governo delle due fazioni si possono valutare sulla base di due indicatori: il “grado di controllo dell’uso della forza” ottenuto sul rispettivo territorio e la “variazione delle risorse economiche” a disposizione della struttura di potere considerata nel periodo giugno-febbraio 2008.


Le intenzioni della dirigenza di Fatah

La strategia di Fatah precedente alla conquista di Gaza

La costituzione di Fatah del 1964, tuttora immutata, prevede la “completa liberazione della Palestina e lo sradicamento dell’entità sionista a livello economico, politico, militare e culturale” (art.12), nonché “l’istituzione di uno Stato democratico e indipendente con sovranità piena su tutto il territorio palestinese, con capitale a Gerusalemme ...” (art.13).
In pratica, la distruzione di Israele. Tuttavia, fu l’allora capo di Fatah e dell’OLP, Yasser Arafat, che nel 1993 riconobbe di fatto il diritto all’esistenza di Israele e partecipò ai negoziati di Oslo, dimostrando disponibilità a offrire la pace in cambio di concessioni territoriali e della soluzione del problema dei rifugiati palestinesi. Sulla stessa scia, il 14 dicembre 1998, il Consiglio Nazionale Palestinese, riunito a Gaza, confermò verbalmente l’annullamento delle clausole della Carta Nazionale Palestinese che prevedevano la distruzione di Israele, senza però modificare la Carta. Da quel momento in avanti, Fatah e l’OLP (che dal 1967 è di fatto dominata da Fatah nonostante comprenda altri 5 gruppi palestinesi, tra i quali non figura Hamas) non hanno più messo in discussione il diritto all’esistenza di Israele, nemmeno durante la seconda intifada (2000-2005).
Lo stesso Mahmud Abbas, attuale presidente dell’Autorità Palestinese, presidente dell’OLP e capo di Fatah, incarna l’anima del movimento disponibile al dialogo con Israele. Nato nel 1935 a Zefat (Palestina), entrò in Fatah nel 1965 e dopo pochi anni divenne una figura di spicco dell’OLP, mentre viveva all’estero (rientrò nei territori palestinesi nel 1995). Fu lui che nel settembre 1993 firmò gli accordi di Oslo I a Washington per conto dell’OLP, dei quali è considerato uno degli ideatori.
La direzione di Abbas e la sua politica di apertura verso Israele furono brevemente sfidati tra il 2004 e il 2006 da un altro capo di spicco di Fatah, Marwan Barghouti, detenuto dal 2002 in Israele e condannato nel 2004 a cinque ergastoli. Barghouti, ritenuto un capo delle milizie Tanzim e delle Brigate dei Martiri di al-Aqsa, affiliate a Fatah, ha avuto un ruolo di spicco nella prima intifada ed esprime quella che è definita “la nuova dirigenza” di Fatah, in opposizione alla “vecchia guardia” del defunto Arafat e di Mahmud Abbas.
La militanza di Barghouti, la sua intransigenza verso Israele, e la sua detenzione nelle carceri israeliane ne hanno aumentato la popolarità tra i palestinesi, tanto che nel 2004 Barghouti presentò la sua candidatura indipendente alle presidenziali del 2005, in opposizione ad Abbas. La sfida durò poco, in quanto Barghouti stesso decise, nel dicembre 2004, di ritirare la propria candidatura dal carcere favorendo la vittoria di Abbas. In seguito, nel dicembre 2005, fondò un nuovo partito, al-Mustaqbal (il futuro), composto dalla “nuova dirigenza” di Fatah e che comprendeva importanti comandanti delle forze di sicurezza come Jibril Rajub e Mohammed Dahlan.
Nonostante la divisione interna, Abbas appare attualmente la voce più autorevole all’interno di Fatah, e
la sua politica di dialogo con Israele tesa alla soluzione basata su due Stati sovrani e indipendenti, che si riconoscano reciprocamente, guida per il momento Fatah e l’OLP. La strategia di Fatah differiva nettamente da quella di Hamas, il quale continuava a negare il diritto all’esistenza di Israele.Tale incompatibilità si travasò nel governo palestinese formato in seguito alle elezioni del 2006, vinte da Hamas. All’interno della struttura dell’Autorità Palestinese, dominata in tutti i suoi gangli vitali da uomini di Fatah, s’innestarono a sorpresa un governo e un parlamento (il Consiglio Legislativo Palestinese) dominati da Hamas. La politica del nuovo governo palestinese provocò fin dall’inizio il boicottaggio di Israele, USA e UE, con ricadute pesanti anche su Fatah e sul suo capo, Mahmud Abbas.

foto Ansa


La reazione di Fatah alla presa di Gaza

In seguito alla perdita della Striscia di Gaza nel giugno 2007, il presidente palestinese Mahmud Abbas (chiamato anche Abu Mazen), ha approfittato della conquista di Gaza per interrompere le relazioni con lo scomodo compagno di governo (Hamas), per rivitalizzare l’OLP e per riavviare le relazioni con Israele, gli Stati Uniti e l’Unione Europea. Precedentemente alla presa di Gaza Mahmud Abbas non aveva giustificazioni per ripudiare il governo di Haniah, dato che quest’ultimo era stato formato sulla base della vittoria di Hamas delle elezioni politiche del 2006.
Tali elezioni erano state volute e sostenute con forza dagli Stati Uniti e dall’Unione Europea, ed erano state da questi presentate come un ulteriore esempio dell’avanzamento della democrazia in Medio Oriente (sulla scia delle elezioni libanesi del 2005, le prime nel Paese dal 1976). Per queste ragioni, l’inattesa vittoria elettorale di Hamas non poteva essere da loro ripudiata senza cadere in palese contraddizione. La sanguinosa faida di giugno 2007, terminata con la conquista di Gaza di Hamas ai danni di Fatah, ha reso possibile e giustificabile il licenziamento del governo di Hamas da parte del presidente Abbas.
A sostegno di questa valutazione delle intenzioni del presidente Abbas si possono citare le decisioni da lui adottate in Cisgiordania immediatamente dopo la conquista di Gaza.
Durante la notte del 14 giugno ha licenziato il governo d’unità nazionale guidato da Hamas (entrato in carica il 17 marzo 2007 in conseguenza dell’accordo della Mecca) ed ha dichiarato lo stato d’emergenza, una decisione prontamente sostenuta dall’amministrazione USA. Secondo il Financial Times, Condoleezza Rice ha telefonato al presidente Abbas poco dopo l’annuncio del licenziamento del governo palestinese. Rice ha in seguito dichiarato ai giornalisti presenti che Abbas aveva legittimamente esercitato la sua autorità. Il 17 giugno, Abbas ha istituito a Ramallah un nuovo governo provvisorio guidato da Salam Fayyad, già ministro delle Finanze nel precedente governo di Hamas, e composto da politici indipendenti.
Il 18 giugno ha sciolto il Consiglio di Sicurezza Nazionale, il quale era stato istituito durante il precedente governo di unità nazionale ed era incaricato di decidere quali parti della Striscia di Gaza e della Cisgiordania sarebbero state sottoposte rispettivamente al controllo dalle forze di Fatah e di Hamas (Ismail Haniah era il vice presidente del Consiglio di Sicurezza Nazionale). Il 20 giugno ha riunito il Consiglio Centrale dell’OLP (composto da 124 membri, non si riuniva dal 2003) con lo scopo di sostituirlo al parlamento palestinese dominato dalla maggioranza di Hamas.
Il 21 giugno, il Consiglio centrale dell’OLP ha raccomandato la dissoluzione delle milizie affiliate ad Hamas e Fatah, comprese la Forza Esecutiva e le Brigate dei Martiri al-Aqsa. Il 26 giugno, Abbas ha chiesto ad Israele il permesso di trasferire dalla Giordania alla Cisgiordania le Brigate Badr, le quali sarebbero composte da circa 1000-2000 combattenti ben addestrati e fedeli al presidente Abbas.
Infine, a partire dal 14 giugno bbas ha costantemente rifiutato sia di riconoscere la legittimità della conquista della Striscia di Gaza sia di dialogare con Hamas (sebbene in data 2 novembre abbia avuto luogo il primo incontro tra esponenti di spicco di Fatah e Hamas, in occasione del quale il presidente Abbas ha incontrato l’ex vice primo ministro Nasseredine al-Shaer, nella città di Ramallah).


Le capacità del governo palestinese cisgiordano

Evoluzione della struttura politica e di sicurezza

Con riferimento all’indicatore del “grado di controllo dell’uso della forza” nei territori palestinesi, la conquista della Striscia di Gaza da parte di Hamas ha causato una perdita territoriale per l’Autorità Palestinese dominata da Fatah e ne ha comportato una temporanea trasformazione della struttura istituzionale.
La perdita territoriale riguarda il territorio e la popolazione della Striscia di Gaza (circa 1-1,5 milioni di residenti), e la perdita dell’accesso al mare.
Dal punto di vista dell’architettura istituzionale, le modificazioni più rilevanti riguardano il governo, il parlamento e gli apparati di sicurezza.


La funzione esecutiva

Il nuovo governo provvisorio cisgiordano è composto da 16 ministri indipendenti (1) , tra cui spiccano Salam Fayyad, che ricopre contemporaneamente le cariche di primo ministro, ministro degli Esteri e ministro delle Finanze, e Abd al-Razzaq al-Yahya, ministro dell’Interno e degli Affari Civili. Fayyad, nato nel villaggio di Dair al-Ghusun (Tulkarem) nel 1952, è un politico indipendente aperto alla cultura occidentale, tanto che ha svolto la sua istruzione universitaria presso l’American University di Beirut e la Saint Andrews University di Austin (Texas, USA), ha ottenuto un dottorato negli Stati Uniti, ed in seguito ha lavorato per 14 anni presso la Banca Mondiale (dal 1987 al 2001).
Gradito a Stati Uniti ed Unione Europea, Fayyad guida un partito palestinese chiamato “Terza Via” che alle elezioni del 2006 ha ottenuto 2 seggi nel Consiglio Legislativo Palestinese. È apprezzato anche per la riforma del sistema fiscale palestinese da lui attuata a partire dal 2002, anno in cui Arafat lo nominò ministro delle Finanze palestinese (mantenne l’incarico fino al 2005). Il Maggior General al-Yahya è nato invece nel 1929, nel villaggio di Tantura, vicino Haifa. La sua carriera “militare” iniziò nel 1948, nell’Esercito di Salvazione (fino al 1949). In seguito si arruolò prima nell’Esercito siriano e poi, nel 1965, nell’Esercito di Liberazione Palestinese, del quale assunse anche il comando generale.
Al-Yahya partecipò ai negoziati di Oslo, in qualità di presidente del Comitato sulla Sicurezza, e divenne successivamente ministro dell’Interno nel 2002. Come si vede, i personaggi di spicco del governo, Fayyad ed al-Yahya, hanno già collaborato con i Paesi occidentali e hanno partecipato a vario titolo ai negoziati con Israele. Da questo punto di vista, consolidano la strategia del dialogo con Israele di Abbas e rappresentano una svolta evidente rispetto al precedente governo di Hamas.


La funzione legislativa

Il parlamento, chiamato Consiglio Legislativo Palestinese, è stato anch’esso messo da parte temporaneamente in quanto dominato da Hamas, che detiene 74 parlamentari contro i 45 di Fatah, su un totale di 133 seggi.
Il 13 gennaio 2008 il Consiglio Centrale dell’OLP ha annunciato l’intenzione di sciogliere il Consiglio Legislativo Palestinese e di restituire la funzione legislativa al Consiglio Nazionale Palestinese, che nel 2003 era composto da 669 membri, di cui 483 rappresentanti della diaspora palestinese, 88 membri del Consiglio Legislativo Palestinese e 98 rappresentanti delle popolazioni della Striscia di Gaza e della Cisgiordania. La risposta di Hamas è giunta il 19 febbraio 2008: Hamas ha riunito il Consiglio Legislativo Palestinese, il quale ha fornito sostegno unanime alla legge (adottata nel 2007) che proibisce l’abbandono della rivendicazione di Gerusalemme quale capitale della Palestina.
Il presidente del Consiglio Legislativo Palestinese, Ahmad Bahar, ha definito “illegittimo” il governo di Fayyad. In Cisgiordania, il parlamento è stato quindi sostituito temporaneamente dal Consiglio Centrale dell’OLP, composto da 124 membri, e la scelta non è casuale. In mancanza della dichiarazione di indipendenza palestinese (mai avvenuta), l’OLP, presieduta da Abbas, è la struttura politica che meglio rappresenta i palestinesi all’estero, dato che nel 1993 firmò gli accordi di Oslo per conto del popolo palestinese (mediante la mano di Abbas) e che attualmente intrattiene relazioni diplomatiche ufficiali con 94 Stati. Nel corso del vertice di Rabat del 1974, la Lega degli Stati Arabi definì l’OLP “l’unico rappresentante legittimo del popolo palestinese”. Anche l’OLP sembra quindi destinata a sostenere l’azione di Abbas.


Le Forze di Polizia e Sicurezza

Passando infine alle strutture di sicurezza, la sconfitta di giugno ha determinato la perdita delle basi e delle armi situate nella Striscia di Gaza. Si ritiene che fino a giugno 2007 le forze di polizia palestinesi erano articolate in 13 diverse agenzie riunite sotto il controllo della Direzione della Forza di Polizia Palestinese (nota anche come Servizio di Pubblica Sicurezza). Sebbene le informazioni da fonti aperte su di esse siano scarse e poco attendibili, si possono individuare indicativamente le seguenti agenzie: la Polizia Civile, la Forza di Sicurezza Nazionale, il Servizio di Sicurezza Preventiva, il Dipartimento Generale d’Intelligence, l’Intelligence militare, il Servizio di Sicurezza Presidenziale, la Forza Speciale di Sicurezza, la Polizia Militare, la Guardia Costiera, la Polizia locale, la Polizia dell’Aria, la Polizia Doganale e il Servizio di Sicurezza Universitaria. Sebbene l’attività e la stessa esistenza di alcune di queste agenzie siano da appurare, tra giugno e novembre 2007 si sono registrati dei mutamenti in tre di esse, vale a dire la Polizia Civile, la Forza di Sicurezza Nazionale e il Dipartimento Generale d’Intelligence.
La Polizia Civile, nota anche come “Polizia Blu”, svolge funzioni di polizia ordinaria nelle città palestinesi, quali il mantenimento dell’ordine pubblico, la gestione del traffico, la persecuzione di crimini non politici e funzioni anti-terrorismo, queste ultime affidate ad una squadra d’azione rapida di circa 700 uomini. Nel 2006, l’Unione Europea ha fornito alcuni dati relativi all’organico della Polizia Civile, la quale risultava composta da 18.700 unità, di cui 12.100 dispiegate nella Striscia di Gaza (3.000 delle quali destinati all’ordine pubblico) e 6.600 nella Cisgiordania (1.000 delle quali destinati all’ordine pubblico).
La Polizia Civile gode attualmente del sostegno e dell’addestramento forniti da EU COPPS (l’European Union Coordinating Office for Palestinian Police Support, istituito nell’aprile 2005 con sede a Ramallah) e della conseguente missione di polizia UE per i territori palestinesi (EUPOL-COPPS, avviata il 1° gennaio 2006) guidata da Colin Smith, rientranti nell’ambito della Politica Europea di Sicurezza e Difesa (PESD). Il 2 dicembre 2007 hanno concluso il corso di formazione un primo nucleo di 45 agenti di sesso femminile, che si uniranno alle circa 500 donne già presenti nella Polizia Civile. L’addestramento di agenti di sesso femminile può avere un rilevante impatto simbolico sulla popolazione, se si considera che la violenza maschile contro le donne palestinesi, in particolare il delitto d’onore di origine tribale, è un problema acuitosi in seguito alla conquista di Gaza del 2007 e al conseguente aumento del disordine sociale.
Il 2 novembre 2007, la Forza di Sicurezza Nazionale (NSF) comandata dal Brigadier Generale Diab al-Ali (Abu al-Fatah) ha dispiegato 308 uomini nella città di Nablus armati con fucili d’assalto AK-47, al fine di ristabilire ordine e sicurezza in una città considerata un terreno fertile per le milizie ribelli (nell’ottobre 2007 la forza ha ricevuto un carico di circa 800 AK-47 e decine di migliaia di caricatori provenienti da Russia ed Egitto).
La forza è composta di personale in uniforme con berretti verdi (tra i 14.000 e i 18.000 uomini, secondo stime pre-intifada del 2000) che svolge funzioni di sicurezza nelle aree all’esterno delle città, in particolare nei settori del mantenimento dell’ordine pubblico (all’interno la responsabilità è della Polizia Civile) e della lotta all’eversione, e di tutela dalle minacce esterne. Tra le attività della forza figurano la gestione di posti di blocco e delle pattuglie congiunte israelo-palestinesi all’esterno delle città e ai confini. Il 5 novembre 2007 gli uomini della NSF hanno circondato il campo profughi di Balata (situato nei pressi di Nablus) e intimato la resa ad una cellula di 15 persone appartenente alle Brigate dei Martiri di al-Aqsa, i cui membri avevano sfilato con le armi in pubblico sfidando così le autorità palestinesi.
Al termine del confronto, in cui 10 civili sono stati feriti da colpi d’arma da fuoco vaganti, 7 miliziani della cellula si sono arresi. Il successo ottenuto in questo caso dalle NSF, che dimostrerebbe il crescente controllo del territorio da parte delle forze di sicurezza palestinesi, sarebbe sminuito da due elementi. Il primo è che i 7 miliziani arresisi sarebbero dei soggetti turbolenti invisi agli stessi quadri delle Brigate al-Aqsa presenti nel campo profughi, le quali non si sarebbero sforzate nell’impedire la loro cattura; il secondo è che i 308 uomini della NSF a Nablus esplicano le loro funzioni dalle ore 6 del mattino alle ore 24.00, mentre dalle ore 24.00 alle ore 6 la responsabilità della sicurezza torna alle forze armate israeliane (IDF).
All’azione diurna delle NSF del 5 novembre è seguita l’incursione notturna delle IDF, alla ricerca di un miliziano delle Brigate al-Aqsa (il 23enne Hani al-Kabi), durante la quale i militari israeliani hanno distrutto la casa di Kabi e arrestato 11 persone. Le azioni delle IDF, e il loro ruolo notturno, rischiano di pregiudicare l’immagine e l’importanza delle NSF agli occhi dei palestinesi.
L’ultimo apparato di cui si sono avute notizie è il Dipartimento Generale d’Intelligence (GID), che da luglio è guidato dal Maggior Generale Tawfiq Tirawi. Il GID è il servizio d’intelligence principale dell’Autorità Palestinese, in passato guidato da Abu Rajab. Secondo il Jane’s Information Group, il GID svolge compiti di raccolta informativa all’esterno dei territori palestinesi, di contro-intelligence, di collegamento con i servizi d’intelligence stranieri e di anti-terrorismo. Secondo quanto riferito da Jane’s, Tirawi starebbe conducendo una riforma del GID intesa a ridurne il personale (attualmente circa 2.500 unità), potenziandone nel contempo la preparazione, anche grazie alla nuova Accademia Palestinese di Studi sulla Sicurezza di Gerico, che dovrebbe iniziare i corsi nell’ottobre 2008.
È ancora presto per valutare l’efficacia dei mutamenti menzionati relativi alla Polizia Civile, all’NSF e al GID.
La valutazione che si può fare a febbraio 2008 è che la sicurezza della Cisgiordania è ancora fortemente dipendente dalle IDF israeliane, le quali da luglio a febbraio 2008 hanno sostenuto una campagna di incursioni notturne ed eliminazione sistematica dei guerriglieri ribelli, in particolare dei quadri delle Brigate dei Martiri di al-Aqsa, milizia affiliata ma non subordinata a Fatah nata durante la seconda intifada (2000-2005) per combattere Israele. Il 16 ottobre 2007, ad esempio, le IDF hanno ucciso con un’incursione mattutina a Nablus il capo delle Brigate al-Aqsa, il 35enne Basil Abu Sirriyya (detto al-Gaddafi).
Il 28 febbraio 2008, forze israeliane hanno compiuto un’incursione nel campo profughi di Balata, uccidendo due militanti affiliati alle Brigate al-Aqsa, il 28enne Mahir Abu al-Reish e il 35enne Ahmad al-Nadi, e ferendone altri due, il 30enne Ahmad Anu ‘Isha e il 30enne Muhammad Abu Arab (quest’ultimo è stato arrestato).


Le risorse economiche del governo cisgiordano

Le risorse economiche interne

Un rapporto del Fondo Monetario Internazionale (FMI) (2) stima che nel 2006 gli introiti netti a disposizione dell’Autorità Palestinese sono passati dai 2,2 miliardi di dollari del 2005 agli 1,4 miliardi di dollari del 2006, con un conseguente deficit pubblico dell’Autorità Palestinese di circa 800 milioni di dollari, nonostante l’aiuto finanziario estero sia raddoppiato nel medesimo periodo, passando da 349 milioni di dollari USA nel 2005 a 747 milioni di dollari USA nel 2006.
Secondo l’FMI, il deficit sarebbe stato causato dall’effetto negativo di più fattori intervenuti durante il 2006, quali una diminuzione del PIL della Striscia di Gaza e della Cisgiordania pari all’8% in termini reali (3) , il peggioramento generale delle condizioni di sicurezza nei territori palestinesi, il rifiuto israeliano di trasferire le imposte indirette (IVA + dazi doganali) raccolte per conto dei palestinesi (pari a circa 460 milioni di dollari), le restrizioni ai movimenti delle merci e delle persone applicate dal governo israeliano in Cisgiordania (ove permangono oltre 500 ostacoli al movimento), il passaggio degli aiuti stranieri dall’aiuto pubblico all’aiuto umanitario e la crescita delle spese per gli stipendi pubblici (nel 2006, gli stipendi dei circa 165.000 dipendenti pubblici dell’Autorità Palestinese ammontavano a circa 1,2 miliardi di dollari, dei quali solo il 50-55% sono stati effettivamente pagati nel 2006). Le stime dell’FMI prevedevano che nel 2007 il deficit avrebbe raggiunto gli 1,1-1,3 miliardi di dollari (pari al 25-30% del PIL nominale, ossia quasi 4,4 miliardi di dollari nel 2006). Un dato rilevante è l’interscambio complessivo della Striscia di Gaza e della Cisgiordania nel 2006, il quale è diminuito e circa la metà di esso ha avuto Israele come Paese d’origine o di destinazione.
Le esportazioni sono diminuite dell’11,6% in termini reali (il che significa che è diminuita la quota di “denaro fresco” entrato nell’economia palestinese) e le importazioni da Israele sono diminuite del 2-3%, rispetto ad un declino complessivo delle importazioni dell’8% in termini reali. Ciò significa che è aumentata ulteriormente la dipendenza dell’economia palestinese dalle importazioni provenienti da Israele.
Sebbene il PIL pro-capite palestinese sia diminuito in generale dell’11% in termini reali, l’FMI sostiene che il tasso di disoccupazione riferito alla sola Cisgiordania è diminuito, passando dal 20,3% al 18,6%, indicando un trend economico opposto rispetto alla Striscia di Gaza.


I finanziamenti esterni

In virtù della strategia seguita e delle decisioni adottate dopo il giugno 2007, il presidente Abbas e la dirigenza di Fatah hanno perso, almeno temporaneamente, la Striscia di Gaza ma hanno guadagnato il sostegno della Comunità internazionale. Da un punto di vista politico, Stati Uniti, Unione Europea, Egitto, Arabia Saudita, Giordania e soprattutto Israele hanno condannato l’azione militare di Hamas ed hanno dimostrato sostegno al presidente Abbas ed al nuovo governo di Fayyad.
Tale strategia ha avuto conseguenze economiche favorevoli per Abbas e il governo cisgiordano. Tra il 24 e il 25 giugno il governo israeliano ha deciso di trasferire al presidente Abbas le imposte indirette, dovute fin dal marzo 2006: all’indomani delle elezioni, il governo israeliano aveva infatti deciso di punire il governo di Hamas (il primo nella storia palestinese) mediante il trattenimento delle imposte raccolte per conto dei palestinesi. La punizione israeliana era motivata con il rifiuto di Hamas di riconoscere il diritto all’esistenza di Israele.
Secondo le stime dell’FMI (4) , nel periodo compreso tra marzo e dicembre 2006 Israele avrebbe raccolto circa 730 milioni di dollari di imposte indirette, dei quali solo 270 milioni sarebbero stati direttamente o indirettamente disponibili per l’Autorità Palestinese. Ciò significa che Israele dovrebbe trasferire all’Autorità Palestinese circa 460 milioni di dollari di imposte indirette. Secondo l’agenzia stampa Reuters, il 1° luglio 2007 Israele avrebbe trasferito al presidente Abbas la prima di sei tranche di imposte indirette dovute dal 2006, pari a 120 milioni di dollari. Un funzionario dell’ufficio di Olmert ha inoltre dichiarato che il governo israeliano si accingeva a trasferire regolarmente le nuove imposte raccolte, pari a circa 50-60 milioni di dollari al mese. Allo stesso modo, l’Unione Europea ha annunciato la ripresa degli aiuti finanziari diretti al presidente Abbas, mentre il 16 giugno l’amministrazione Bush ha chiarito che l’embargo statunitense sarebbe terminato contestualmente alla nascita del nuovo governo di Fatah.
Il 17 dicembre 2007, la conferenza dei donatori riunitasi a Parigi ha promesso all’Autorità Palestinese aiuti economici pari a 7,4 miliardi di dollari a sostegno del piano di riforme economiche triennale (2008-2010) presentato dal primo ministro Fayyad. Di questi, 500 milioni di dollari sono stati promessi dagli Stati Uniti e 300 milioni di dollari dalla Francia. La cifra promessa ha superato le aspettative palestinesi, dato che il presidente Abbas aveva precedentemente chiesto 5,6 miliardi di dollari.


Il governo di Hamas nella Striscia di Gaza

La strategia di Hamas tra il 1987 e il 2007

La conquista della Striscia di Gaza contraddice, almeno per ora, le tesi secondo cui il movimento islamista – una volta al potere – avrebbe dimostrato il pragmatismo tipico di chi assume responsabilità di governo ed avrebbe alla fine riconosciuto il diritto all’esistenza di Israele. Tale ipotesi era stata formulata nel giugno 2006, quando sembrava possibile un riconoscimento de facto di Israele da parte dell’allora primo ministro palestinese, Ismail Haniah, dirigente di Hamas, in un incontro previsto per il 28 giugno 2006. Tale possibilità fu però immediatamente eliminata dal sequestro di Gilad Shalit (avvenuto il 25 giugno 2006), e dal conseguente inasprimento dei rapporti tra Israele ed Hamas. La conquista di Gaza conferma per ora la natura combattente del movimento, la quale si è espressa non tanto ai danni di Israele come previsto dal suo statuto, bensì ai danni della fazione rivale palestinese di Fatah.
A partire dalla sua fondazione nel 1987, Hamas – movimento di resistenza sunnita nato da una costola della Fratellanza Mussulmana – ha promosso un’agenda islamista radicale. I dati finora a disposizione portano per ora alla conclusione che le aperture al dialogo e i gesti distensivi che Hamas dirige periodicamente verso Israele vanno interpretati come mosse tattiche intese ad ottenere un ‘cessate il fuoco’ temporaneo o a consolidare una posizione guadagnata.
Tra il 1967 e il 1987, Israele aveva dedicato la sua attenzione al contrasto di Fatah, circostanza questa che favorì Hamas. In quegli anni Hamas era più debole di Fatah, e la minaccia immediata per Israele proveniva dall’OLP e da Fatah di Yasser Arafat. La presenza di Hamas contribuiva peraltro ad indebolire Fatah nei territori palestinesi in quanto creava una potenziale divisione interna.
Per queste ragioni, il governo israeliano non impedì alla costola palestinese della Fratellanza Mussulmana – che nel 1978 fu registrata dalle autorità israeliane come organizzazione religiosa senza fini di lucro sotto il nome di Al-Mujama al-Islami – di costruire la sua rete religiosa, economica, sociale e assistenziale e di diffondere la sua concezione islamista del mondo tra le istituzioni secolari palestinesi. Nel dicembre 2004, alla vigilia delle elezioni presidenziali palestinesi, le prime dal 1969, Hamas boicottò le votazioni e dichiarò che avrebbe invece partecipato alle elezioni comunali e parlamentari (le prime si svolsero il 23 dicembre 2004, mentre le seconde, inizialmente programmate per luglio 2005, furono posticipate al 25 gennaio 2006).
Una delle possibili interpretazioni è che Hamas decise di partecipare esclusivamente alle elezioni in cui era sicuro di battere i candidati di Fatah, vale a dire le elezioni municipali e parlamentari, e di boicottare quelle in cui i candidati di Fatah erano favoriti (le elezioni presidenziali). Questa interpretazione è coerente con l’ipotesi che la partecipazione di Hamas alle elezioni fu dovuta ad un accurato calcolo politico. Nel 2005, dopo cinque anni di “rivolta” armata contro Israele (la seconda intifada), Hamas decise di aderire ad un ‘cessate il fuoco’ temporaneo al fine di favorire l’attuazione del piano di ritiro unilaterale del primo ministro Sharon, che avrebbe portato – tra agosto e settembre 2005 – all’evacuazione delle truppe e delle colonie israeliane dall’intera Striscia di Gaza e da quattro città della Cisgiordania.
Un ulteriore esempio di questo comportamento si è avuto nel periodo immediatamente precedente le elezioni palestinesi del gennaio 2006, le prime elezioni democratiche nella storia dei territori palestinesi.
Hamas ordinò ai suoi miliziani di non attaccare obiettivi israeliani e i gruppi palestinesi rivali al fine di non turbare il normale svolgimento delle elezioni, nelle quali avrebbe sconfitto Fatah. La decisione di Hamas di partecipare alle elezioni fu ferocemente criticata dagli ideologi radicali salafiti, soprattutto dal dottor Ayman al-Zawahiri (n.2 di al-Qaida), il quale è convinto che “il combattimento sulla via di Dio” (il jihad violento) sia l’unica via per stabilire il Califfato islamico. Zawahiri cercò di trarre vantaggio dall’isolamento di Hamas per stabilire un contatto, e a tal fine attenuò il suo abituale atteggiamento critico nei confronti di quest’ultimo, testimoniando una volta di più il pragmatismo di al-Qaida e il carattere onnivoro della sua ideologia. Il 25 giugno 2007 circolò nei siti internet islamisti un messaggio registrato su audiocassetta, prodotto dalla casa di produzione al-Sahab (le nuvole) e intitolato “A quarant’anni dalla caduta di Gerusalemme”, in cui Zawahiri incitava i mussulmani nel mondo a sostenere Hamas.
Si tratta di una svolta importante nella retorica di Zawahiri, dato che egli ha sempre criticato ferocemente la decisione di Hamas di partecipare alle elezioni, considerandola “non islamica”. L’obiettivo è di stabilire una presenza qaidista nei territori palestinesi che possa avviare il jihad contro Israele, il “nemico sionista”, uno degli obiettivi principali della campagna armata internazionale di al-Qaida. Hamas ha comunque sempre pubblicamente rifiutato il sostegno di al-Qaida. Il 27 febbraio 2008, ad esempio, il ministro dell’Interno del governo di Hamas ha negato con una dichiarazione pubblica la presenza di al-Qaida nella Striscia di Gaza, smentendo le affermazioni espresse da Mahmoud Abbas in un’intervista ad al-Hayat (il quale ha sostenuto che Hamas starebbe agevolando la creazione di una cellula di al-Qaida nella Striscia di Gaza).


La strategia di Hamas dopo la conquista di Gaza

Subito dopo la conquista di Gaza, Hamas ha adottato decisioni caratterizzate da moderazione e disponibilità al dialogo verso il presidente Mahmud Abbas e la sua fazione, Fatah. Il 14 giugno Hamas ha assicurato che non imporrà la legge islamica (sharia) nella Striscia di Gaza. Il 15 giugno Hamas ha concesso l’amnistia ai dirigenti delle forze di sicurezza fedeli a Fatah, rilasciando dieci di loro, ed ha ordinato a tutti i residenti nella Striscia di Gaza di consegnare le armi da fuoco in loro possesso entro il 21 giugno. Nel corso della medesima giornata, Hamas ha promesso la liberazione del giornalista della BBC Alan Johnston (rapito il 12 marzo 2007 dall’Esercito dell’Islam, un gruppo armato formato da esponenti del clan Dughmush) facendo intendere che la liberazione di Johnston era divenuta possibile grazie alla sconfitta dei miliziani di Fatah e alla conseguente conquista della Striscia di Gaza (Johnston è stato liberato il 4 luglio 2007).
Infine, a partire dal giorno della conquista di Gaza, la dirigenza di Hamas ha rivolto al presidente Abbas e alla dirigenza di Fatah diverse richieste di dialogo, le quali sono rimaste finora inascoltate.
Non deve sorprendere la dimostrazione di moderazione e clemenza di Hamas nei confronti del nemico sconfitto (Fatah), nonostante la sanguinosa faida tra “fratelli” palestinesi delle due settimane precedenti in cui Hamas ha sempre mantenuto la supremazia: dopo la conquista violenta di Gaza, Hamas ha bisogno di consolidare il suo potere, ottenere il riconoscimento politico internazionale del suo nuovo governo de facto, far terminare il boicottaggio politico e finanziario internazionale, e far ripartire l’economia della Striscia di Gaza.
Il primo passo verso il consolidamento del potere richiede l’imposizione della legge e dell’ordine nella Striscia di Gaza, nella quale sono presenti potenti clan familiari, confederazioni tribali e gruppi militanti armati. Il raggiungimento dell’ultimo obiettivo, la ripresa economica, dipende dal raggiungimento degli obiettivi precedenti, ossia il consolidamento del potere e la fine del boicottaggio internazionale: la ripresa economica palestinese richiede infatti sicurezza interna e stabilità politica, ed è fortemente dipendente dall’atteggiamento israeliano e degli aiuti esterni.


La capacità di governo di Hamas

La nuova struttura politica e di sicurezza nella Striscia di Gaza

Il primo indicatore riguarda “il grado di controllo dell’uso della forza” di Hamas nella Striscia di Gaza.
I territori palestinesi sono stati per decenni il teatro della lotta per il potere tra Fatah e Hamas (per non citare gli altri gruppi e clan palestinesi). Nei fatti, tra il 1987 e il 2007 è esistito un duopolio nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania. La prima struttura di potere gravitava attorno a Fatah e all’OLP, che Israele e la Comunità internazionale identificano con l’anima legittima dell’Autorità Palestinese.
L’Autorità Palestinese ha funzionato come una sorta di amministrazione pubblica incompleta con il suo sistema fiscale (sebbene le imposte fossero raccolte da Israele), le sue forze di polizia e sicurezza, e le sue pseudo-forze armate (le milizie Tanzim e, dal 2000, le Brigate dei Martiri al-Aqsa).
La seconda struttura di potere gravitava intorno ad Hamas, che negli anni ’80 iniziò a costruire la sua rete militare, scolastica, sociale, assistenziale e politica. Hamas, nato formalmente nel 1987, ha funzionato nel tempo come uno Stato parallelo all’interno dei territori palestinesi, con la sua milizia (le Brigate Izz al-Din al-Qassam, formalmente istituite nel 1992), la sua forza di polizia (la Forza Esecutiva, dispiegata nel 2006) ed il suo sistema di raccolta delle tasse, la zaqat (l’elemosina legale raccolta a sostegno delle cause e delle fondazioni islamiche, che costituisce uno dei cinque pilastri dell’Islam).
Dopo la conquista di Gaza da parte di Hamas, il duopolio ha trovato espressione geografica, con la Striscia di Gaza governata da Hamas e la Cisgiordania da Fatah. Hamas ha sopraffatto le forze di sicurezza di Fatah, diventando la principale struttura politica e militare della Striscia di Gaza, e questo è un primo indizio della capacità di governare di Hamas.
La prima sfida che Hamas deve affrontare è domare i clan familiari (5) e le confederazioni tribali palestinesi (6) , le quali possiedono milizie private armate e controllano diversi traffici. Il sequestro Johnston rivendicato dall’Esercito dell’Islam, un gruppo armato guidato da Mumtaz Dugmush, ha permesso di osservare più da vicino la dimensione clanica di Gaza. Hamas sostiene di aver costretto il clan Dugmush a liberare Johnston, e questo sarebbe un secondo indizio dell’elevato grado di controllo raggiunto da Hamas a Gaza.
Su questo punto sussistono comunque dei dubbi. L’International Crisis Group riferisce che, in cambio della liberazione di Johnston, Hamas abbia concesso al gruppo di conservare il proprio arsenale. L’episodio apre uno squarcio su una realtà più ampia e radicata.
A partire dal 2000, tre processi concomitanti hanno progressivamente demolito le strutture di governo dell’Autorità Palestinese della Striscia di Gaza, ossia: lo scontro con Israele durante la seconda intifada, tra il 2000 e il 2005, durante il quale le IDF hanno praticamente demolito le strutture dell’Autorità Palestinese dell’allora presidente Yasser Arafat (morto l’11 novembre 2004); la seguente faida tra Hamas e Fatah, iniziata nel 2005 e tuttora in corso; infine, la corruzione, il nepotismo e la divisione delle forze di sicurezza occupate da Fatah.
Il risultato è stato un ritorno ad una situazione di quasi-anarchia nella Striscia di Gaza, in cui le istituzioni tradizionali, e in particolare i clan familiari, hanno colmato il vuoto di potere lasciato dalle istituzioni palestinesi. Tali clan contano migliaia di membri, e dispongono di milizie armate non solo di fucili d’assalto AK-47, ma anche di lanciarazzi a spalla (RPG). I clan gestiscono traffici di armi e continuano a svolgere la tradizionale funzione arbitrale nella risoluzione dei conflitti tra famiglie, esercitata dal capo famiglia (mukhtar), basata sulle consuetudini tribali, nonostante l’esistenza di un sistema giudiziario istituito da Hamas.
Il secondo banco di prova della capacità di governo di Hamas consiste nel grado di controllo delle armi da fuoco private nella Striscia di Gaza, e su questo punto gli indizi sono sfavorevoli all’organizzazione islamista. L’Associated Press riferisce che ci sarebbero circa 400.000 armi da fuoco in circolazione nella Striscia di Gaza, una ogni 2-3 residenti.
Il rapporto cambia secondo le statistiche demografiche di riferimento, ma è in ogni caso molto elevato: secondo le stime dell’ufficio statistico palestinese (Palestinian Central Bureau of Statistics, o PCBS) ci sarebbero 1,4 milioni di residenti nella Striscia di Gaza (7) , mentre una ricerca del Begin-Sadat Center for Strategic Studies israeliano, pubblicata nel 2006, conclude che il numero dei residenti sarebbe inferiore, pari a circa 1 milione di persone (8) . Secondo il resoconto dell’Associated Press, si stima che nel periodo successivo alla conquista di Gaza Hamas sia riuscito a sequestrare circa 15.000 armi da fuoco dai depositi delle forze di sicurezza di Fatah (una piccola quota delle circa 400.000 armi da fuoco che secondo le stime circolerebbero attualmente nella Striscia di Gaza) (9) . La scadenza del 21 giugno 2007, imposta da Hamas per la consegna delle armi da fuoco private, non è stata rispettata dai clan e dalle famiglie palestinesi, i quali mantengono ingenti arsenali di armi, compresi gli RPG.
Il terzo banco di prova è la trasformazione delle proprie milizie in vere e proprie forze di polizia e sicurezza permanenti, riconosciute in quanto tali dai residenti di Gaza. Su questo fronte Hamas è solo all’inizio. Intelligence Online riferisce che il gruppo islamista sarebbe riuscito ad espandere la Forza Esecutiva, guidata da Jamal al-Jazzah, da 5.600 a circa 10.000 membri (10) , e la starebbe ora convertendo in una vera forza di polizia e sicurezza.
Hamas starebbe inoltre creando un nuovo servizio d’intelligence, chiamato “Circolo di Sicurezza Interna”, composto da un centinaio di agenti e che sarebbe guidato da Sami Abu Zuhri, e diverse unità speciali nell’ambito della Forza Esecutiva. Infine, Hamas starebbe cercando di formare una piccola unità navale sotto il comando di Jamil al-Dahchane (11) .
Il quarto banco di prova è la costituzione di un’amministrazione pubblica autonoma, capace di esercitare la funzione legislativa, esecutiva e giudiziaria. Dal punto di vista politico, il 19 febbraio 2008 Hamas ha riunito – per la prima volta nel 2008 – il Consiglio Legislativo Palestinese, che dovrebbe rappresentare il parlamento della Striscia di Gaza (anche se la sua funzionalità è da appurare).
Sul fronte “fiscale”, Hamas starebbe cercando di imporre un “prelievo fiscale” sulle merci introdotte a Gaza raggirando il blocco israeliano: il Christian Sciente Monitor riferiva a gennaio 2008 che i militanti di Hamas comprerebbero sigarette in Egitto e le rivenderebbero ad un prezzo maggiorato nella Striscia di Gaza (il quotidiano stima che una scatola contente 500 pacchetti di sigarette può essere acquistata in Egitto a 700 dollari e rivenduta a Gaza a 2000 dollari).
Sul fronte giudiziario, in seguito alla conquista di Gaza Hamas avrebbe istituito un proprio sistema giudiziario, separato dall’Autorità Giudiziaria Palestinese, che ha già adottato delle sentenze: il 24 gennaio 2008, un tribunale militare ha condannato a morte per omicidio il palestinese Yasser Zabun, mentre altri due palestinesi, Sami Hammuda e Hani Musa, sono stati condannati all’ergastolo per complicità con Zabun; il 10 febbraio 2008, un tribunale di Hamas ha bandito uno dei principali quotidiani palestinesi vicino a Fatah, al-Ayyam (i giorni), a partire dal 12 febbraio, ed ha condannato a tre anni di carcere il suo direttore, Akhram Hanieh, per aver pubblicato una vignetta ironica nei confronti del Consiglio Legislativo Palestinese. Il vignettista, al-Bukhari, è stato condannato a sei mesi di carcere.
Il 2 febbraio 2008, l’agenzia stampa Ma’an ha riferito i contenuti di un rapporto del ministero dell’Interno del governo di Hamas, secondo il quale nel periodo compreso tra giugno 2007 e febbraio 2008 “siamo riusciti ad imporre controllo, sicurezza e ordine nella Striscia di Gaza, senza usare la violenza”: il ministero sostiene che Hamas ha posto fine al caos del periodo precedente alla conquista di Gaza, alle lotte tra famiglie e ai sequestri di giornalisti, ed ha ridotto il traffico di droga.


La capacità di resistenza all’assedio israeliano

Fin dal 2006, e ancor più in seguito alla conquista di Gaza, Israele ha attuato un boicottaggio economico contro Hamas, minacciando anche l’interruzione delle forniture elettriche e di combustibile alla striscia di Gaza.
Il 23 gennaio Hamas ha però sfondato la barriera con l’Egitto, permettendo l’afflusso di oltre 350.000 palestinesi in territorio egiziano al fine di rifornirsi di carburante, generi alimentari, a altri beni scarseggianti a causa del blocco israeliano.
L’azione di Hamas ha avuto conseguenze politiche, economiche e militari: dal punto di vista politico, ha dimostrato l’incapacità israeliana di attuare un blocco economico duraturo sulla Striscia di Gaza ed ha riscosso il consenso della popolazione della striscia di Gaza, ottenendo così una doppia vittoria in termini di pubbliche relazioni; dal punto di vista economico, ha attenuato gli effetti del blocco israeliano nei

foto Ansa
confronti della popolazione palestinese ed ha probabilmente favorito l’ingresso di capitali in contanti diretti alla propria organizzazione; in termini militari, ha probabilmente permesso l’esecuzione dell’attentato esplosivo suicida presso un centro commerciale di Dimona del 4 febbraio 2008 (una donna e due attentatori uccisi, 16 persone ferite), il primo compiuto in Israele dall’attentato suicida di Eilat del gennaio 2007.
L’attentato è stato rivendicato da tre gruppi militanti – le Brigate dei Martiri di al-Aqsa, le Brigate Ali Mustafa (l’ala militare del Fronte Popolare di Liberazione della Palestina) e lo sconosciuto Brigate della Resistenza Unita – mentre Hamas, con un comunicato del 5 febbraio, si è limitato ad elogiare l’attentato ed ha esortatoa continuare la lotta contro Israele
in rappresaglia all’uccisione del capo dei Comitati di Resistenza Popolare, Amir Qarmut Abu al-Said, avvenuta il 4 febbraio in seguito ad un attacco aereo israeliano.
Oltre a ciò, continuano i lanci di razzi in territorio israeliano dalla Striscia di Gaza.


Le risorse economiche di Hamas


Secondo le stime dell’FMI e della Banca Mondiale, la crisi economica generale palestinese si è manifestata in forma più acuta nella Striscia di Gaza, tanto che nel 2006 il tasso di disoccupazione sarebbe aumentato dal 30,4% al 34,8% (da 181.000 a 174.000 residenti occupati, contrariamente alla Cisgiordania, in cui nello stesso periodo la disoccupazione è diminuita). In base ai pochi dati economici attendibili a disposizione, la conclusione è che l’economia di Gaza è fortemente dipendente dall’aiuto finanziario pubblico estero e dai flussi di denaro privati in ingresso (compresi gli aiuti umanitari e le rimesse degli emigrati).
Ciò significa che, rebus sic stantibus, nel 2007 la risorse economiche interne a disposizione di Hamas sono diminuite e ciò avrò aumentato ulteriormente la sua dipendenza dai finanziamenti stranieri. L’eventuale incapacità di Hamas di pagare gli stipendi dei dipendenti pubblici presenti nella Striscia di Gaza avrà un effetto particolarmente negativo per l’immagine pubblica del movimento, dato che la maggior parte di loro è legata in qualche modo alla precedente amministrazione di Fatah.
Secondo Globalsecurity.org, “con riferimento al 2003, le fonti dell’intelligence USA hanno stimato che il gruppo militante palestinese Hamas aveva un bilancio annuale di 50 milioni di dollari, raccolti per la maggior parte grazie alla sua reputazione e alle sue opere assistenziali” nei territori palestinesi e all’estero.
Per quanto riguarda il livello del sostegno finanziario estero di cui godrà nel futuro prossimo la nuova struttura di potere di Hamas nella Striscia di Gaza, va fatta una precisazione. Il sostegno finanziario non va associato a priori con il riconoscimento politico, per due motivi: primo, la struttura di Hamas potrà sopravvivere senza il riconoscimento politico degli altri Stati (la sua esistenza de facto è un dato oggettivo, e non dipende dal riconoscimento altrui), ma non potrà sopravvivere senza finanziamenti esterni date la recessione economica in corso nel suo territorio. Secondo, il riconoscimento politico e il sostegno finanziario non sono necessariamente legati da rapporto diretto: uno Stato terzo può formalmente riconoscere il governo de facto di Hamas e non fornire finanziamenti, così come può non riconoscerlo ma finanziarlo.
Tenendo a mente questa premessa, dal punto di vista quantitativo possiamo concludere che se il sostegno finanziario ad Hamas seguisse di pari passi il riconoscimento politico concesso al suo governo, le fonti di finanziamento sarebbero attualmente ridotte a due Paesi, Siria ed Iran. Ciò significherebbe che, dal punto di vista qualitativo, il governo di Hamas sarebbe pesantemente esposto all’influenza dei suoi sostenitori esterni. Funzionari israeliani hanno sostenuto che Hamas sarebbe in grado di eludere l’embargo e introdurre ogni mese milioni di dollari nella Striscia di Gaza, mediante aziende compiacenti, tunnel sotterranei che attraversano la frontiera con l’Egitto e via mare.
Lo sfondamento della barriera con l’Egitto, attuato da Hamas il 23 gennaio 2008, potrebbe essere stata un’ulteriore occasione per introdurre denaro contante nella Striscia di Gaza. Israele sta reagendo mediante l’inasprimento del suo boicottaggio finanziario della Striscia di Gaza. A fine settembre 2007 Bank Hapoalim, la principale banca commerciale in Israele, ha interrotto le relazioni con i territori palestinesi dopo che il governo israeliano ha dichiarato Gaza “entità nemica”. Agli inizi di ottobre 2007, il governo israeliano ha inviato un sollecito verbale alla Palestine Islamic Bank a non trasferire denaro a favore di Hamas e della sua Forza Esecutiva.
Come anticipato, il governo de facto di Hamas è stato finora riconosciuto solo da Iran e Siria. Il governo israeliano ha dichiarato la Striscia di Gaza “entità nemica” in data 19 settembre 2007 e sta attuando, insieme agli Stati Uniti e all’Unione Europea, un boicottaggio politico ed economico contro il governo di Hamas. Anche il presidente russo, Vladimir Putin, che all’indomani delle elezioni palestinesi del 2006 aveva instaurato contatti di alto livello con la dirigenza di Hamas, ha infine espresso sostegno al governo fedele al presidente Abbas e sminuito il valore delle relazioni con Hamas (12) .
Egitto e Giordania hanno offerto sostegno al presidente Abbas e riconosciuto legittimità al governo di Salam Fayyad, esprimendo contestualmente la loro condanna contro la conquista di Gaza da parte di Hamas; ciononostante, il Presidente egiziano Hosni Mubarak ha dichiarato nel corso di un’intervista che l’Egitto era comunque disponibile a mediare tra le fazioni palestinesi rivali (13) .
Anche il governo saudita avrebbe offerto sostegno al presidente Abbas ed al movimento Fatah, anche se in misura più contenuta rispetto ad Egitto e Giordania. Senza condannare Hamas, il ministro degli Esteri saudita, il principe Saud al-Faisal, ha sottolineato la necessità di rispettare gli impegni assunti sia da Hamas sia da Fatah con l’accordo della Mecca (14) .
Le diverse posizioni degli Stati arabi si sono manifestate in seno alla Lega degli Stati Arabi (LAS (15) ). Il 16 giugno 2007, i ministri degli esteri arabi si sono riuniti in sessione d’emergenza al Cairo per discutere della conquista di Gaza: se da una parte essi hanno espresso il loro sostegno al presidente Abbas e approvato la sua decisione di nominare Salam Fayyad alla carica di primo ministro, dall’altra non hanno condannato la conquista di Gaza da parte di Hamas. Al contrario, essi hanno espresso il loro sostegno anche al Consiglio Legislativo Palestinese (composto in maggioranza da parlamentari di Hamas), limitando la loro condanna ai “recenti atti criminali commessi a Gaza” nell’evidente tentativo di non precludere le possibilità di un eventuale dialogo con Hamas (16) .
L’attuale isolamento internazionale spingerà probabilmente Hamas ad avvicinarsi ancor più ad Iran e Siria, gli unici disposti a fornire sostegno politico. Il portavoce del ministero degli Esteri iraniano, Mohammad Hosseini, ha dichiarato che il governo iraniano sostiene Hamas “a livello politico e spirituale”, ma ha respinto le accuse mosse dal ministro degli Esteri egiziano, Ahmed Abul Gheit, e dal capo dell’intelligence palestinese in Cisgiordania, Tawfiq al-Tirawi (già collaboratore di Arafat e attualmente fedele al presidente Abbas), secondo i quali l’Iran ha contribuito militarmente alla conquista di Gaza (17) .
Secondo quanto riferito da al-Jazeera, al-Tirawy ha sostenuto che l’Iran ha giocato un “ruolo importante” nella conquista di Gaza mediante l’addestramento di decine di miliziani di Hamas in territorio iraniano, e la fornitura via tunnel di armi ed attrezzature militari ai miliziani di Hamas “dirette non tanto alla lotta contro Israele, quanto alla lotta contro l’Autorità Palestinese” (18) . È stata la prima volta in cui un funzionario palestinese ha palesemente accusato l’Iran di ingerenza negli affari palestinesi.
Una relazione più stretta con Iran e Siria, in cui Hamas risulti fortemente dipendente dall’aiuto finanziario dei primi, potrebbe essere percepita come troppo vincolante da quest’ultimo. Per questo motivo, si prevede che nel breve termine Hamas cercherà la riconciliazione con Fatah e con la Comunità internazionale, senza però interrompere la costruzione del suo Stato nella Striscia di Gaza e senza rinunciare allo scontro con Israele ogniqualvolta se ne presenterà l’occasione.


Scenari futuri

Se le valutazioni espresse si dimostreranno corrette, la prima conclusione è che la conquista della Striscia di Gaza e la nascita di due governi palestinesi (uno a Gaza, l’altro in Cisgiordania) allontana nel medio periodo la nascita dello Stato palestinese, almeno nella forma pensata fino ad oggi. Dal punto di vista del governo israeliano, la divisione politica e geografica dei territori palestinesi, che ora riflette la divisione tra Hamas e Fatah, permetterà un migliore controllo sulle fazioni palestinesi.
Il governo israeliano, quello statunitense e l’UE stanno già collaborando con Fatah e l’OLP, e le incursioni notturne che i soldati israeliani compiono con cadenza quotidiana nella Cisgiordania sono riuscite per ora a prevenire la minaccia di attacchi suicidi contro la popolazione israeliana. Inoltre, le IDF stanno colpendo le Brigate dei Martiri di al-Aqsa all’interno della Cisgiordania, senza subire condanna alcuna dal presidente Abbas o dal governo Fayyad.
Israele, USA e UE continueranno ad isolare e a boicottare Hamas allo scopo di indurlo a rinunciare all’obiettivo della distruzione di Israele, e quindi alla lotta armata contro quest’ultimo. Se Hamas insisterà nell’attaccare Israele, concederà a quest’ultimo spazio e giustificazione per la rappresaglia nei confronti del gruppo islamista palestinese (agevolato dal fatto che ora la minaccia di Hamas sarà limitata alla Striscia di Gaza).
Per quanto riguarda il presidente Abbas, Fatah e l’OLP, la perdita di Gaza ha fatto guadagnare loro il pieno sostegno politico e finanziario di Israele, sebbene si tratti di un sostegno interessato che implicherà dei costi per i palestinesi. Abbas e l’OLP si concentreranno nel consolidamento delle istituzioni dell’autorità Palestinese in Cisgiordania, ed attenderanno la soluzione del “problema Hamas” – ossia che Hamas sia indebolito a tal punto da accettare il riassorbimento del governo di Fatah – per poter poi estendere finalmente il proprio governo anche alla Striscia di Gaza.
Hamas si trova ora senza reali possibilità di movimento, ma la sua vitalità potrebbe favorire il prolungarsi della divisione dei palestinesi. Nella Striscia di Gaza, gli indicatori macro-economici stanno peggiorando e la povertà dilaga: il rapporto IMF-WB sostiene che “alla fine del 2006, oltre il 75% delle famiglie di Gaza sono da considerate povere”.
Hamas dovrà quindi far fronte a risorse economiche interne decrescenti (ossia meno risorse per sostenere la sua agenda politica) e ad un tasso di disoccupazione crescente (ossia ad un’insoddisfazione crescente dei residenti della Striscia di Gaza). Se continuerà il boicottaggio politico e finanziario internazionale, il che è probabile, Hamas sarà presto costretto ad una scelta difficile. Potrà cercare la riconciliazione con Fatah, l’OLP, Israele e la Comunità internazionale mediante l’accettazione dell’autorità di Fatah e dell’OLP e del diritto all’esistenza di Israele, e la rinuncia alla lotta armata.
Tale decisione gli costerà probabilmente l’alienazione dei sostenitori palestinesi più estremisti. Inoltre, il governo israeliano e Fatah/OLP non sono interessati a negoziare con Hamas, almeno per ora, dato che il gruppo islamista è ancora troppo forte all’interno dei territori palestinesi. Essi aspetteranno probabilmente che Hamas si sia indebolito a sufficienza – da un punto di vista politico, economico e militare – da accettare il governo di Fatah e dell’OLP prima di iniziare le trattative. L’attesa potrebbe però protrarsi a lungo, o addirittura risultare vana, data la vitalità dimostrata da Hamas in occasione dello sfondamento della barriera sul confine con l’Egitto.
Hamas continua a costruire le sue strutture burocratiche e i suoi apparati di sicurezza, e le sue milizie mantengono la capacità di colpire Israele, come dimostrano i continui attacchi con razzi contro il territorio israeliano.
La posizione di forza israeliana si è manifestata anche nei negoziati sulla conferenza sul Medio Oriente svoltasi ad Annapolis (USA) il 27 novembre 2007. Nel corso delle trattative israelo-palestinesi che hanno preceduto il vertice, Olmert ed Abbas non sono riusciti a conciliare le loro posizioni divergenti, tanto che la “intesa comune” finale è stata scritta nei 30 minuti precedenti alla lettura della stessa da parte del presidente George W. Bush.
Il presidente Abbas insisteva per un impegno israeliano scritto preciso, assunto precedentemente al vertice, che prevedesse la soluzione di tutti e sei i punti di disaccordo principali del conflitto arabo-israeliano (Gerusalemme, rifugiati, confini, colonie, acqua e sicurezza) e la nascita di uno Stato palestinese indipendente nei confini del 1967; Olmert, invece,voleva che il vertice di Annapolis si concludesse con dichiarazioni di intenzioni generiche, senza risolvere nel merito nessuna delle questioni fondamentali suddette.
L’obiettivo delle parti era chiaro. Abbas voleva discutere i nodi del conflitto in sede multilaterale al fine di sfruttare a suo favore la volontà statunitense di ottenere risultati positivi immediati, e il favore internazionale per le richieste palestinesi.
Olmert, per contro, voleva condurre negoziati bilaterali con i palestinesi, data la sua posizione di forza, evitando così che le pressioni internazionali lo portassero a concedere più di quanto voluto. Gli esiti della conferenza hanno sancito la posizione di forza israeliana. La “intesa comune” prevede l’impegno delle parti ad avviare subito trattative periodiche che dovranno concludersi con la firma di un trattato di pace entro il 2008 e rivitalizza la Road Map del 2003.
La firma del trattato di pace sarà infatti subordinata alla preventiva attuazione della Road Map da entrambe le parti, e il presidente statunitense sarà l’unico supervisore dell’attuazione della stessa. Va notato che il ruolo attribuito agli Stati Uniti esclude gli altri tre promotori della Road Map, ossia Unione Europea, Russia e Nazioni Unite, e che tale situazione corrisponde esattamente ad una delle 14 condizioni imposte nel 2003 dall’allora primo ministro israeliano Sharon per l’accettazione israeliana della Road Map stessa, come fatto notare dal Financial Times. Inoltre, l’impegno a sostenere negoziati periodici non introduce nessun elemento di novità, se si considera che Olmert e Abbas avevano già avviato consultazioni quindicinali.
Data la situazione di partenza, vi sono diversi scenari possibili: il primo scenario prevede che Hamas sarà riassorbito dall’Autorità Palestinese entro il 2008, e quest’ultima firmerà e ratificherà il trattato di pace dopo aver dichiarato la nascita dello Stato palestinese (dato che i trattati internazionali si stipulano solo tra Stati sovrani); il secondo prevede che Hamas manterrà il suo dominio a Gaza nel corso del 2008, e che di conseguenza l’autorità palestinese firmerà il trattato riservandosi di ratificarlo solo in seguito al riassorbimento di Hamas al suo interno (e comunque dopo la scadenza del 2008); il terzo scenario prevede che, a causa del permanere della divisione dei territori palestinesi, non si giungerà alla firma del trattato di pace entro la scadenza prevista, cioè la fine del 2008.
Alla fine di febbraio 2008, almeno quattro elementi indicano il terzo scenario come il più probabile, ossia alla fine del 2008 non vi sarà né l’accordo di pace né lo Stato palestinese – almeno così come concepito ad Oslo nel 1994. Tali elementi sono la debolezza del governo Olmert (il quale nel gennaio 2008 ha perso il sostegno del partito Yisrael Beiteinu, contrario ai negoziati sulle questioni fondamentali, e potrebbe perdere il sostegno del partito ultraortodosso sefardita Shas nel momento in cui si comincerà a trattare sul destino di Gerusalemme), la lentezza complessiva dei negoziati avviati ad Annapolis (che non sono praticamente iniziati), l’indisponibilità del presidente Abbas e di Fatah di legittimare la conquista e il governo di Gaza da parte di Hamas, e la vitalità dimostrata da Hamas nel controllare Gaza e nel resistere al boicottaggio israeliano.



(1) Il 26 febbraio, il quotidiano al-Quds al-Arabi ha riferito che a marzo 2008 il governo Fayyad dovrebbe subire delle modifiche, aumentando il numero dei ministri da 16 a 24.
(2) IMF, West Bank and Gaza: Fiscal Performance in 2006, marzo 2007.
(3) IMF-WB, West Bank and Gaza: Economic Developments in 2006 – A First Assessment, marzo 2007, disponibile all’indirizzo http://www.imf.org/external/np/wbg/2007/eng/032607ed.pdf.
(4) International Monetary Fund, West Bank and Gaza: Fiscal Performance in 2006, marzo 2007, disponibile all’indirizzo http://www.imf.org/external/np/wbg/2007/eng/032607fp.pdf.
(5) I principali clan (hamulaat) della Striscia di Gaza: Dughmush, Masri, Hillis, Bakr, Abu Taha, Kafarna, Abu Hassanein, Abu Naja, Abu Samhadana e Abu Sharikh. V. International Crisis Group, “Inside Gaza: The Challenge of Clans and Families”, Middle East Report N°71, 20 dicembre 2007.
(6) Le sei confederazioni tribali beduine palestinesi (sufuuf) sono: Azazma, Hayawat, Ijbara, Jahalin, Tarabin, Tayaha. V. ICG, 2007, cit.
(7) Si tratta di un valore frutto di previsioni basate sul censimento del 1997, e sarà probabilmente diminuito nel dicembre 2007. V. il censimento del 1997 del Palestinian Central Bureau of Statistics, disponibile all’indirizzo www.pcbs.gov.ps/Portals/_pcbs/PressRelease/pop_06e.pdf.http://www.biu.ac.il/Besa/MSPS65.pdf.
(8) Bennet Zimmerman, Roberta Seid e Michael L. Wise, The Million Person Gap: The Arab Population in the West Bank and Gaza, The Begin-Sadat Center for Strategic Studies, febbraio 2006, disponibile all’indirizzo http://www.biu.ac.il/Besa/MSPS65.pdf.
(9) “Hamas arms roundup still leaves plenty of guns in Gaza”, International Herald Tribune, 21 giugno 2007.
(10) V. Mohammed Najib, “Hamas-led PA expands Executive Force”, Jane’s Defence Weekly, 12 gennaio 2007, nonché “Hamas’ New Security Set-Up”, Intelligence Online, 6 settembre 2007.
(11) V. “Hamas’ New Security Set-Up”, Intelligence Online, 6 settembre 2007.
(12) “Russia downgrades ties with Palestine’s Hamas”, Reuters, 31 luglio 2007.
(13) “Mubarak predicts Fatah, Hamas will be reconciled”, Reuters, 26 giugno 2007.
(14) “Arab League states split on support for Abbas over Hamas”, Haaretz, 17 giugno 2007.
(15) In inglese, League of Arab States. V. il sito internet ufficiale all’indirizzo http://www.arableagueonline. org/las/index.jsp.
(16) See “Arab League states split on support for Abbas over Hamas”, Haaretz, 17 giugno 2007. V. inoltre “Abbas wins Arab states’ backing”, Al Jazeera, 16 giugno 2007.
(17) “Iran hand in Gaza power grab alleged”, Gulf Times, 25 giugno 2007.
(18) “Iran ‘played role’ in Gaza takeover”, Al Jazeera, 24 giugno 2007.

© AGENZIA INFORMAZIONI E SICUREZZA INTERNA