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GNOSIS 1/2008
La Riforma delle norme sugli stupefacenti

'Parificazione' delle sostanze vietate
e nuovi 'parametri indiziari'


Giuseppe AMATO


foto Ansa
Con la legge 21 febbraio 2006 n. 49 è cambiata la disciplina sanzionatoria penale e amministrativa delle sostanze stupefacenti. In realtà, l'intervento di modifica ha riguardato anche altri settori della disciplina: dal recupero del tossicodipendente (misure alternative alla detenzione, disciplina delle misure cautelari, ecc.) all'azione di contrasto dei traffici illeciti (attività sotto copertura). Qui si vogliono affrontare, tra le novità che hanno riguardato il sistema sanzionatorio penale, quelle che maggiormente interessano l'operatore pratico. Ci si vuole riferire, in primo luogo, all'introdotta" parificazione" tra tutte le sostanze stupefacenti vietate, in una unica tabella, che ha determinato un indubbio aggravamento sanzionatorio per le condotte riguardanti l'hashish e la marijuana. Si tratta di una novità non da
tutti condivisa, di cui però è necessario cogliere l'effettiva portata e, soprattutto, gli effetti giuridici che ne conseguono. Ci si vuole riferire, poi, alla cosiddetta "normativizzazione" dei parametri indiziari utilizzabili per dimostrare la destinazione illecita della droga in presenza di condotte "neutre" (in primo luogo, quella di detenzione), di per sé, cioè, non autoevidentemente dimostrative della finalità dell'agente. Questa, infatti, è la modifica che maggiormente interessa l'operatore di polizia che, nell'immediato, deve determinare se denunciare il trasgressore in sede amministrativa o, piuttosto, all'autorità giudiziaria penale.



La Riforma del 2006

Con il decreto legge 30 dicembre 2005 n. 272, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2006 n.49 è cambiata la disciplina sanzionatoria penale e amministrativa delle sostanze stupefacenti (v., rispettivamente, gli articoli 73 e 75 del d.p.r. 9 ottobre 1990 n. 309, comparati ora, da un lato, con il nuovo articolo 73, e, dall'altro, con i nuovi articoli 75 e 75 bis).
In realtà, la modifica, pur fortemente ridotta rispetto al contenuto del primigenio progetto governativo, ha riguardato anche altri settori della disciplina.
Innanzi tutto il settore del recupero, dove con una scelta totalmente innovativa, viene configurata una sostanziale parificazione delle strutture private a quelle pubbliche, attribuendosi alle prime finanche la competenza a certificare lo stato di tossicodipendenza (con effetti giuridicamente rilevanti, ad esempio, in materia di misure cautelari personali, di sospensione dell'esecuzione della pena e di affidamento in prova: cfr., rispettivamente, gli articoli 89, 90 e segg. e 94 del d.p.r. n. 309/90).
Basti pensare alle modifiche introdotte nella fase dell'esecuzione della pena detentiva nei confronti del detenuto tossicodipendente, con un significativo ampliamento dell'ambito di operatività degli istituti della sospensione dell'esecuzione della pena detentiva (articoli 90-93 del d.p.r. n. 309/90) e dell'affidamento in prova (articolo 94 del d.p.r. n. 309/90), ispirate ad accentuarne l'utilizzo per favorire e/o premiare il recupero e la riabilitazione.
Si pensi, ancora, alla innovativa previsione, in un apposito comma 5 bis del "nuovo" articolo 73 del d.p.r. n. 309/90, in forza della quale il giudice, nell'ipotesi in cui ritenga sussistente il "fatto di lieve entità", limitatamente ai reati di cui allo stesso articolo 73, può applicare, su richiesta dell'imputato, con la sentenza di condanna o di "patteggiamento", anziché le pene detentiva e pecuniaria, quella del lavoro di pubblica utilità prevista dall'articolo 54 del decreto legislativo 28 agosto 2000 n. 274. Trattasi anche in questo caso di una disposizione che soddisfa la finalità di ampliare le possibilità di recupero del tossicodipendente.
Infine, stavolta con finalità ampliativa degli strumenti utilizzabili per il contrasto dei traffici illeciti, alle incisive modifiche che caratterizzano anche la disciplina dei poteri investigativi attribuiti alla polizia giudiziaria: in particolare, con la previsione di una più adeguata e completa disciplina dell'"acquisto simulato" di sostanze stupefacenti (v. articolo 97 del d.p.r. n. 309/90).
Qui ci si vuole limitare alla ricostruzione delle modifiche che hanno specificamente riguardato l'intervenuta parificazione delle sostanze stupefacenti (tutte le sostanze vietate sono inserite nella tabella I ed hanno eguale trattamento sanzionatorio) e la prevista "normativizzazione" dei parametri indiziari (articolo 73, comma 1 bis, lettera a), del d.p.r. n. 309/90) utilizzabili per la dimostrazione della destinazione "illecita" della sostanza stupefacente in presenza di condotte (acquisto, ricezione, importazione, esportazione, detenzione) ex se non "autoevidentemente" dimostrative di tale destinazione.


La modifica sulla disciplina sanzionatoria

Come si è accennato, la riforma introdotta nel 2006 ha toccato, principalmente ed incisivamente, la disciplina sanzionatoria penale e amministrativa delle sostanze stupefacenti (v., rispettivamente, gli articoli 73 e 75 del d.p.r. n. 309/90, comparati ora, da un lato, con il nuovo articolo 73, e, dall'altro, con i nuovi articoli 75 e 75 bis).
Per cogliere appieno la portata e la finalità della riforma sarebbe necessario un adeguato apprezzamento della disciplina originariamente prevista nel d.p.r. n. 309/90 (nel testo, peraltro, già profondamente modificato a seguito degli esiti del referendum del 18/19 aprile 1993).
Per ovvie ragioni di sintesi, qui è sufficiente solo un sintetico richiamo alla disciplina del 1990, come originariamente costruita e come successiva


La disciplina del 1990

Il sistema sanzionatorio dettagliato nel d.p.r. n. 309/90, come si ricorderà, trovava il suo fondamento nel concetto di "dose media giornaliera" (individuata, per ogni sostanza, con il decreto ministeriale n. 186/90) e nella modulazione della risposta sanzionatoria attraverso la previsione di sanzioni amministrative (articoli 75 e 76) e di sanzioni penali (articolo 73).
Le condotte caratterizzate dalla destinazione a terzi della sostanza stupefacente avevano rilevanza penale a prescindere dal quantitativo della sostanza (anche se inferiore alla dose media giornaliera).
Rilevanza penale avevano, altresì, le condotte (importazione, acquisto, detenzione) pur non destinate ex se a terzi, qualora il quantitativo fosse stato superiore alla dose media giornaliera.
Rilevanza amministrativa avevano, quindi, residualmente, solo le condotte di importazione, acquisto e detenzione caratterizzate dall'uso personale e da un quantitativo non superiore alla dose media giornaliera.
La risposta sanzionatoria amministrativa era diversificata: in prima battuta, vi erano le sanzioni applicabili dal prefetto (articolo 75); in seconda battuta, erano previste sanzioni, sempre di natura amministrativa, ma più incisive, di competenza dell' autorità giudiziaria, irrogabili nei confronti dei recidivi e di coloro che avessero trasgredito i provvedimenti prefettizi.
Ne derivava, in sintesi, un sistema sanzionatorio che presentava l’indubbio vantaggio della certezza applicativa, proprio in quanto basato su un parametro rigorosamente oggettivo e facilmente accertabile, quale quello della dose media giornaliera.
Il referendum del 18/19 aprile 1993 ha radicalmente cambiato la prospettiva applicativa, avendo abrogato, per quanto interessa, vuoi il concetto giuridico di dose media giornaliera, vuoi, integralmente, le sanzioni amministrative di competenza dell'autorità giudiziaria (articolo 76).
Ne è scaturita una indubbia incertezza nell'applicazione della disciplina sanzionatoria nei casi non caratterizzati obiettivamente dalla destinazione a terzi della sostanza.
Ne è derivato, inoltre, un sistema sanzionatorio amministrativo carente, per l'inidoneità delle sole sanzioni prefettizie a contrastare le condotte recidivanti e più gravi, e non in grado da funzionare come indiretta pressione psicologica nei confronti del trasgressore per indurlo, proprio per evitare l'applicazione delle sanzioni, a sottoporsi ad un programma terapeutico di riabilitazione e di recupero.

Il funzionamento della disciplina degli stupefacenti dopo il referendum

In sintesi, il sistema normativo del 1990, dopo gli effetti abrogativi determinati dal referendum, ha finora funzionato attraverso l'interpretazione della giurisprudenza e sulla base dei seguenti principi:
a) quello del divieto penalmente sanzionato di qualsivoglia attività concernente gli stupefacenti non volta all'uso personale, ma di cui si fosse positivamente dimostrata la destinazione delle sostanze a terzi; e ciò a prescindere dal quantitativo della sostanza stupefacente (articolo 73 del d.p.r. n. 309/90);
b) quello del divieto amministrativamente sanzionato delle attività di importazione, di acquisto e comunque di detenzione di sostanze stupefacenti o psicotrope destinate all'uso esclusivamente personale; per queste, a prescindere dal quantitativo della sostanza stupefacente e nel difetto di una prova concreta della destinazione, anche solo parziale, della sostanza a terzi, trovava applicazione il disposto dell'articolo 75 del d.p.r. n. 309/90.
c) la previsione della sola competenza del prefetto nell'applicazione delle sanzioni amministrative (articolo 75 del d.p.r. n. 309/90), essendo stato eliminato l'originariamente previsto ulteriore intervento da parte dell'autorità giudiziaria, diretto a colpire più incisivamente il trasgressore recidivo (articolo 76 dello stesso d.p.r., abrogato in toto per effetto del referendum).

La destinazione della droga: natura giuridica e onere della prova

Il sistema come sopra costruito determinava che, per la configurabilità del delitto previsto e punito dall'articolo 73 del d.p.r. n. 309/90, occorreva la concreta dimostrazione della destinazione a terzi della sostanza stupefacente, costituendo tale destinazione uno degli "elementi costitutivi" del reato de quo.
In una tale ottica, secondo l'opinione prevalente e preferibile, il relativo onere probatorio doveva ritenersi posto a carico dell'accusa (in prima battuta, l'operatore di polizia, e, poi, il pubblico ministero), non essendo l'interessato a dover giustificare la destinazione all'uso personale(1).
E, nella medesima ottica, l'interessato aveva, semmai, semplicemente l'onere di fornire elementi di segno contrario rispetto all'impostazione accusatoria; quindi, elementi atti a dimostrare l'uso personale e, comunque, ad escludere la finalità di spaccio.

Le conseguenze pratiche

Ai fini della soddisfazione del menzionato onere probatorio in ordine alla destinazione a terzi della droga, secondo la giurisprudenza assolutamente costante, occorreva avere riguardo alle peculiari caratteristiche della fattispecie concreta, perchè da queste potevano e dovevano ricavarsi elementi indiziari utili ai fini della dimostrazione della finalità di spaccio.
Ovviamente un problema di concreta acquisizione della prova della destinazione a terzi si poteva porre solo per le situazioni non caratterizzate da un accertamento in flagranza dell'attività di spaccio, giacchè questo risolveva ab imis ogni problema probatorio e deponeva per la pacifica applicabilità delle sanzioni penali di cui all'articolo 73 del d.p.r. n. 309/90. In altri termini, la flagranza dello spaccio costituiva circostanza fattuale ex se ampiamente satisfattiva del richiamato onere probatorio, tale da potere fondare un giudizio positivo sulla sussistenza della responsabilità penale.
Invece, per le condotte in cui mancava la flagranza dello spaccio l'onere posto a carico dell'accusa di dimostrare che la sostanza non era detenuta per uso personale, ma per finalità di spaccio, doveva essere assolto ricercando, nel caso concreto, elementi indiziari o probatori di supporto. In altri termini, nel caso in cui difettava la sorpresa in flagranza, la valutazione prognostica della destinazione della sostanza stupefacente allo spaccio doveva essere effettuata dal giudice tenendo conto di tutte le circostanze soggettive ed oggettive del fatto incriminato.
Al riguardo, il più importante elemento probatorio di cui si poteva disporre era quello "quantitativo": la presenza di quantitativi esorbitanti di sostanza stupefacente dimostrava esaustivamente, o poteva concorrere a dimostrare, che questa non era certamente destinata all'uso personale esclusivo del detentore, ma, almeno in parte, era destinata anche a terzi: di tale che risultava possibile contestare idoneamente l'articolo 73.
In presenza di una quantità di sostanza stupefacente non elevata, il referente quantitativo, ovviamente, non poteva essere da solo idoneo a risolvere il problema della prova della destinazione a terzi della sostanza stupefacente: in tale ipotesi, dovevano soccorrere "altri eventuali elementi indiziari" ricavabili dalle specifiche modalità, oggettive e soggettive, della vicenda.
In primo luogo, erano utilizzabili parametri di riferimento di ordine "soggettivo", tra i quali particolarmente significativi quelli basati sulla "qualità soggettiva del detentore" (tossicodipendente o no) e sul "giudizio di compatibilità tra le condizioni economiche dello stesso e la detenzione della droga".
Per quanto concerne il primo, costituiva argomento probatoriamente importante la circostanza che la droga fosse stata trovata nella disponibilità di un soggetto non dedito all'assunzione della medesima, rappresentando tale dato fattuale un indizio decisivo per ritenerla destinata allo spaccio. Per quanto concerne il secondo, l'assenza di una dimostrata attività lavorativa e, comunque, di una sicura fonte di reddito poteva indurre fondatamente a ritenere che la droga, cioè il commercio di essa, costituisse la fonte (principale, se non esclusiva) di reddito del detentore, che proprio attraverso lo spaccio si procurava anche i mezzi di sussistenza. Altri elementi indiziari,di natura stavolta "oggettiva", a supporto della

destinazione della sostanza a terzi potevano poi ricavarsi, per esempio: dalle "modalità di custodia" e dal "frazionamento in dosi" della droga; dalle "modalità spazio-temporali del sequestro" della medesima; dal "ritrovamento di sostanze stupefacenti di diversa natura"; dal "ritrovamento di notevoli quantitativi di sostanza da taglio", ecc.

Le difficoltà operative

Il sistema, come sopra ricostruito, in ragione dell'effetto demolitorio indotto dal referendum, ha presentato fin da subito alcune evidenti insufficienze.
L' eliminazione di un parametro oggettivo e predeterminato (la dose media giornaliera) e la costruzione di un sistema in cui la prova della destinazione a terzi, in assenza di flagranza, andava ricavata sulla base di elementi indiziari frutto di mera interpretazione giurisprudenziale hanno determinato indiscutibili difficoltà operative per le forze dell'ordine, le quali, nell'immediato, dovevano scegliere se coltivare la strada amministrativa (segnalazione al prefetto) ovvero quella penale (denuncia all'autorità giudiziaria; scelta tra la denuncia a piede libero e l'arresto in flagranza, ecc.). Le stesse ragioni hanno favorito, anche nel prosieguo, il rischio di un ingiustificato margine di eccessiva discrezionalità in capo all'autorità giudiziaria chiamata a pronunciarsi sulla vicenda: da cui le non infrequenti polemiche indotte da sentenze di assoluzione argomentate sulla base di un preteso uso personale e ciò pur in ipotesi di detenzione di quantitativi di droga anche di una certa consistenza.
L'eliminazione delle sanzioni di cui all'articolo 76 del d.p.r. n. 309/90, inoltre, ha fatto sì che il sistema risultasse, sul versante sanzionatorio amministrativo, monco ed insufficiente, soprattutto in un'ottica preventiva: è venuta meno, infatti, la rappresentazione di uno strumentario sanzionatorio realmente idoneo a determinare il trasgressore, proprio per evitarne l'applicazione, a seguire un programma terapeutico di riabilitazione e di recupero.
E' per colmare queste lacune che si spiega l'intervento normativo del 2006, che ha operato sia sul versante dell'illecito penale, che su quello della risposta sanzionatoria amministrativa.


Il nuovo sistema sanzionatorio

Il sistema è stato ancora una volta costruito affiancando alle sanzioni penali (articolo 73) quelle amministrative (articoli 75 e 75 bis).
Rispetto alle prime, come vedremo, ci si è mossi con l'intenzione di conferire alle forze dell'ordine, in prima battuta, ed all'autorità giudiziaria, poi, uno spazio di intervento più oggettivo e sicuro, diverso da quello ampiamente discrezionale che ha caratterizzato l'applicazione del d.p.r. n. 309/90 dopo le modifiche referendarie.
In questa prospettiva, si è operato attraverso l'introduzione all'interno della norma dei criteri "indiziari" che, finora, solo attraverso l'interpretazione della giurisprudenza, sono stati utilizzati per fondare probatoriamente la dimostrazione della destinazione della sostanza ad un uso diverso da quello personale (cfr. articolo 73, comma 1 bis, lettera a)).
Il sistema amministrativo, invece, è stato costruito, con la duplice intenzione, da un lato, di rafforzare lo strumentario sanzionatorio, nella prospettiva di creare un meccanismo più efficace anche in chiave di recupero del tossicodipendente (sub specie, dell' indiretta pressione psicologica nei confronti del trasgressore per indurlo all'accettazione del programma terapeutico di riabilitazione e di recupero), e, dall'altro, di sanzionare efficacemente le condotte oggettivamente o soggettivamente più pericolose per la sicurezza pubblica (cfr. il "nuovo" articolo 75 bis).
Solo le sanzioni penali, per ovvie esigenze di spazio, saranno oggetto di disamina in questa sede.


L'assimilazione delle "droghe leggere"
a quelle "pesanti"


Prima di esaminare il concreto funzionamento del "nuovo" sistema sanzionatorio penale, va segnalata un’importante modifica che caratterizza le tabelle delle sostanze e il conseguente trattamento sanzionatorio delle stesse.
Fino alla riforma del 2006, come è noto, le sostanze soggette a controllo erano state ripartite in sei tabelle, approvate con il decreto ministeriale 23 agosto 1977, e successivamente, più volte, modificate ed integrate (cfr. il testo previgente degli articoli 13 e 14 del d.p.r. n. 309/90).
Nelle tabelle I e III, erano state ricomprese le "droghe pesanti", cioè quelle in grado di produrre effetti sul sistema nervoso centrale e di determinare dipendenza fisica o psichica nell'assuntore: tra queste, l'oppio e i suoi derivati; le foglie di coca e i suoi alcaloidi; le anfetamine ad azione eccitante sul sistema nervoso (tra le quali l'ecstasy o MDMA); il tetraidrocannabinolo (che è il principio attivo dell'hashish) e i suoi analoghi; i barbiturici ad alto effetto ipnotico e sedativo.
Nelle tabelle II e IV, erano state elencate, invece, le "droghe leggere", per le quali i pericoli di induzione di dipendenza fisica e psichica sono di intensità e gravità minori di quelli prodotti dalle sostanze elencate nelle tabelle I e III: tra queste, la cannabis indica e i suoi derivati (hashish, marijuana) e i prodotti di corrente impiego terapeutico che, presentando nella loro composizione talune delle sostanze indicate nelle tabelle I e III, potevano presentare problemi di dipendenza.
Nelle tabelle V e VI, infine, erano stati inseriti dei prodotti usati con finalità terapeutica, i quali, per il fatto di contenere talune delle sostanze di cui alle precedenti tabelle, potevano dare luogo al pericolo di abuso ed alla possibilità di dipendenza e che, comunque, era opportuno sottoporre a controllo da parte dell'autorità: tra questi, gli ansiolitici, gli antidepressivi e gli psicostimolanti.
Con la riforma del 2006, in vero, con un notevole mutamento di prospettiva, scompare la differenziazione tra "droghe pesanti" e "droghe leggere", le quali, quindi, sono parificate sono il profilo sanzionatorio (cfr. i "nuovi" articoli 13 e 14 del d.p.r. n. 309/90).
Tutte le sostanze vietate (che non trovano nessun impiego terapeutico e che, quindi, non possono essere prescritte) sono ricomprese in un'unica tabella (TABELLA I): nella stessa tabella, per intenderci, sono collocati indifferenziatamente l'oppio, le foglie di coca, la cannabis indica e le anfetamine.
In un'altra tabella (TABELLA II), suddivisa in cinque differenti sezioni: numerate dalla A alla E) sono invece inseriti i medicinali regolarmente registrati in Italia contenenti sostanze stupefacenti o psicotrope e che, come tali, pur avendo proprietà curative, possono diventare oggetto d'abuso. Tra questi, in particolare, sono ricompresi (sezione A della tabella II) i medicinali impiegati nella cosiddetta "terapia del dolore" (allegato III bis al d.p.r. n. 309/90) ed altre sostanze che spesso sono impiegate come sostanze di abuso, potendo per l'effetto indurre una dipendenza fisica e psichica sostanzialmente paragonabile a quella delle sostanze vietate di cui alla tabella I. Per questi medicinali, come vedremo, è prevista una sostanziale assimilazione alle sostanze vietate di cui alla tabella I, nel senso dell'assoggettabilità a sanzione penale, anziché a mera sanzione amministrativa, anche della mera condotta di detenzione in assenza della prescrizione medica o in quantitativo superiore a quello prescritto (cfr. articolo 73, comma 1 bis, lettera b), del d.p.r. n. 309/90).


Tabelle sintetiche "sostanze stupefacenti e psicotrope"

TABELLA I

Oppiacei ( morfina, eroina, metadone, ecc)

Cocaina

Amfetamina e derivati amfetaminici
(ecstasy, drugs designer )

Allucinogeni
(LSD, mescalina, psilocillina, fenciclidina, ketamina)

Tetraidrocannabinoli - THC

Cannabis indica




TABELLA II

Morfina ed oppiacei

Barbiturici

Benzodiazepine
( flunitrazepam, lorazepam, diazepam,ecc)

Amfetamine anoressizzanti
(amfepramone, benzamfetamina)

Medicinali cannabinoidi


www.ministerosalute.it



L'assimilazione tra "droghe pesanti" e "droghe leggere" è stata motivata, nella relazione di accompagnamento al progetto di legge governativo, dall'esigenza di aderire alle "più recenti ed accreditate conclusioni della scienza tossicologica" secondo cui il principio attivo presente in alcune sostanze stupefacenti è "incomparabilmente" maggiore che in passato: ciò è stato apprezzato soprattutto con riguardo alla cannabis, rispetto alla quale, normalmente a motivo di diversificate modalità di coltivazione, il principio attivo (tetraidrocannabinolo o THC) è passato dallo 0,5/1,5 per cento che caratterizzava i derivati della cannabis negli anni 70/80 a valori attuali pari al 20/25 per cento, con punte anche superiori.
Tale assimilazione è frutto di una scelta discrezionale del legislatore basata sull'adesione ad una determinata opinione scientifica, cui ovviamente può opporsi, in sede di analisi e di commento, l'opinione opposta basata sulla non assimilabilità delle sostanze sotto il profilo della gravità degli effetti che queste sono in grado di determinare.
Entrambe le opinioni non presentano, ovviamente, carattere risolutivo per smentire la fondatezza di quella opposta, onde ogni approfondimento in questa sede sarebbe del tutto sterile.
Piuttosto, preso atto della scelta fatta propria dal legislatore, va considerato che per compensare l'oggettivo aggravamento del trattamento che ne deriva per le ex "droghe leggere", sicuramente apprezzabile, nell'ottica della valutazione dell'equilibrio sanzionatorio complessivo, si presenta la scelta "compensativa" di ridurre i minimi edittali (francamente esorbitanti) dell'originaria formulazione dell'articolo 73, comma 1, tale da consentire al giudice la facoltà di applicare la sanzione in modo adeguato, e ciò con attenzione proprio anche alla "natura" della sostanza oggetto della condotta incriminata (la "riduzione" avvantaggia, come è ovvio, solo le ex "droghe pesanti", per il cui trattamento sanzionatorio il minimo edittale era fissato in otto anni di reclusione).
Nella medesima prospettiva, a compensare la scelta di rigore della "parificazione" tra le sostanze, si è intervenuti sulla circostanza attenuante del fatto di lieve entità, introducendo, con scelta di indiscutibile favore, la sopra ricordata possibilità di applicare, anziché le pene detentiva e pecuniaria, quella del lavoro di pubblica utilità (articolo 73, comma 5 bis, del d.p.r. n. 309/90).
A ciò dovendosi aggiungere una ulteriore considerazione, che riguarda il trattamento sanzionatorio da applicare a chi venga trovato in possesso di sostanze stupefacenti di tipo e natura diversa. In precedenza, poiché le fattispecie di cui agli originari commi 1 e 4 dell'articolo 73, dedicati rispettivamente alle droghe "pesanti" ed a quelle "leggere", configuravano due distinte figure di reato, chi veniva trovato in possesso di droghe "pesanti" e di droghe "leggere" rispondeva di due diversi reati, uniti sotto il vincolo della continuazione: ergo, con la pena prevista per la più grave fattispecie di cui al comma 1, aumentata "sino al triplo" per la violazione anche del comma 4. La modifica determina, ora, che una condotta di tal genere, sparita la distinzione sanzionatoria basata sul tipo di sostanza, integra un solo reato, dovendosi tenere conto della quantità complessiva delle sostanze detenute solo ai fini del computo dosimetrico della pena: ragionevolmente, ora, a parità di condizioni, il trattamento sanzionatorio può risultare più attenuato proprio perché non trova più applicazione l'istituto della continuazione, che, pur ispirato al favor rei, finisce pur sempre con il determinare, in ragione della pluralità dei reati in contestazione, un aumento della pena base prevista per quello più grave.


Il sistema tabellare

Le considerazioni appena svolte sulla parificazione delle sostanze stupefacenti vietate offrono l'occasione per ricordare che, nel nostro ordinamento, il sistema sanzionatorio degli stupefacenti si basa sul principio tabellare, in forza del quale sono punite (solo) le condotte illecite che riguardino le (sole) sostanze che sono inserite nelle tabelle di cui agli articoli 13 e 14 del d.p.r. n. 309/90.
Come si è visto, con la riforma del 2006, le sostanze soggette a controllo sono state suddivise in due sole tabelle (rispetto alle sei che caratterizzavano la disciplina originaria), attribuendosi al Ministero della salute il compito di formare, modificare, implementare tali tabelle (articolo 13 del d.p.r. n. 309/90).
L'avere rimesso al Ministro della salute, e cioè ad un'autorità amministrativa, la competenza circa la formazione e la modifica delle tabelle determina la costruzione delle fattispecie penali in materia di sostanze stupefacenti o psicotrope come "norme penali in bianco", nelle quali la sanzione è determinata con atto legislativo, mentre la condotta illecita è solo in parte descritta, dovendo essere specificata dal decreto ministeriale disciplinante le singole sostanze (e lo stesso vale, mutatis mutandis, per gli illeciti amministrativi).
Non ricorre, a nostro avviso, alcuna violazione del principio costituzionale della legalità della pena, stabilito dall'articolo 25, comma 2, della Costituzione, in quanto, secondo l'interpretazione fornita dalla Corte costituzionale(2), per il rispetto di questo è necessario che sia soltanto la legge (o un atto equiparato) dello Stato a stabilire con quale misura debba essere repressa la trasgressione dei precetti che vuole sanzionati penalmente ed è altresì necessario e sufficiente che sia una legge dello Stato (o un atto equiparato) - non importa se proprio la medesima legge che prevede la sanzione penale o un'altra legge - ad indicare con sufficiente specificazione i presupposti, i caratteri, il contenuto ed i limiti dei provvedimenti dell'autorità non legislativa, alla trasgressione dei quali deve seguire la pena.
Il che, senza dubbio alcuno, si verifica nel caso di specie, in quanto gli articoli 13 e 14 del d.p.r. n. 309/90 contengono un' analitica indicazione dei criteri cui il Ministro della salute deve fare riferimento per l'identificazione delle singole sostanze, prevedendo altresì un garantito modo di approvazione del decreto ministeriale, presupponente l'intervento consultivo di altri organi tecnico-amministrativi.
Qualsiasi altra più rigorosa disciplina appesantirebbe il sistema, rendendo tra l'altro impossibile quel tempestivo aggiornamento degli elenchi, in relazione alla rapida evoluzione delle acquisizioni scientifiche ed alle eventuali convenzioni internazionali, che è tenuto in particolare considerazione dalla legge (v. articolo 13, comma 2, del d.p.r. n. 309/90) per garantire una pronta ed uniforme risposta sanzionatoria al fenomeno degli stupefacenti (ciò che spiega l'opportuno snellimento della procedura di aggiornamento, attraverso la riduzione del numero degli organi coinvolti, che è stato realizzato con la legge di riforma).
L'adozione del sistema tabellare delle sostanze assoggettate a controllo determina, come è ovvio, che possono essere sanzionate, sia penalmente che amministrativamente, solo le condotte che riguardino sostanze inserite nelle tabelle.
Il sistema repressivo delle sostanze stupefacente, infatti, è qualificato dall'assenza di una nozione onnicomprensiva di "sostanza stupefacente", risultando piuttosto costruito sul principio delle "tabelle" delle sostanze vietate: di guisa che sono da considerare "sostanze stupefacenti", come tali sottoposte a controllo e, nel caso, vietate, solo quelle che risultano espressamente inserite nelle "tabelle" allegate alla legge, le quali assolvono alla funzione di "integrare" la norma incriminatrice nella parte relativa all'individuazione dell'oggetto materiale della condotta (e lo stesso vale, mutatis mutandis, per l'illecito amministrativo).
Da qui, giova ribadirlo, la necessità del completo e tempestivo aggiornamento di queste, per evitare l'effetto della punibilità delle condotte riguardanti sostanze che, pur pericolose, non siano state tabellarizzate. Conseguentemente, le problematiche insorte nella pratica giudiziaria in relazione a vicenda relative a sostanze stupefacenti non (ancora) tabellarizzate(3).
Il problema si pone in tutta la sua emergenza per le cosiddette nuove droghe (droghe sintetiche e droghe etniche) e per le smart drugs (sostanze per lo più naturali, ma anche sintetiche, in libera vendita negli smart shops o su internet, che tuttavia producono effetti stimolanti ed allucinogeni simili a quelli delle sostanze vietate). Di recente, opportunamente, il Ministero della salute si è attivato per inserire tra le sostanze vietate alcune piante contenenti LSA - amide di acido lisergico, finora in libera vendita, i cui semi masticati sono in grado di provocare allucinazioni simili a quelli dell'LSD: argyreia nervosa o rosa hawaiana, ipomea violacea e rivea corymbosa(4).


I fatti di rilievo penale

Per il discrimine tra fatti di mero rilievo amministrativo e fatti di rilievo penale sono stati introdotti parametri di riferimento, variamente combinati tra loro, correlati alla destinazione della sostanza, al quantitativo della stessa ed alle modalità complessive della condotta. Ciò per l'evidente scopo di evitare quelle incertezze operative determinate dal sistema previgente, come modificato a seguito del referendum del 1993, che, come si è accennato, ha funzionato attraverso il conferimento di un margine discrezionale di valutazione notevolmente ampio quando il fatto "attenzionato" non fosse stato caratterizzato oggettivamente dalla destinazione della sostanza a terzi accertata nella flagranza.
La norma di immediato riferimento è quella contenuta nell'articolo 73, dove trovano la loro disciplina sanzionatoria le condotte illecite riguardanti sia le sostanze stupefacenti tout court vietate, sia le sostanze medicinali suscettibili di abuso.
Si distingue, infatti, quanto al trattamento sanzionatorio, tra le sostanze vietate di cui alla tabella I (cfr., in particolare, articolo 73, commi 1 e 1 bis, lettera a)) e quelle medicinali incluse nella tabella II (cfr. articolo 73, commi 1 bis, lettera b), e 4).
Tra queste ultime, un regime di maggiore rigore è configurato solo per quelle di cui alle Sezioni A, B e C, maggiormente pericolose per gli effetti di abuso che ne possono derivare.
In particolare: per tutte queste sostanze medicinali, è configurata come reato la commissione di una condotta di spaccio o, comunque, di destinazione a terzi, così come per le sostanze tout court vietate di cui alla tabella I (la pena è comunque diminuita da un terzo alla metà) (articolo 73, comma 4); solo le sostanze di cui alla Sezione A sono poi sostanzialmente parificate al trattamento delle sostanze vietate di cui alla tabella I anche per quanto attiene la mera detenzione (e condotte assimilabili, perché non qualificate ex se dalla destinazione a terzi ovvero "ad un uso non esclusivamente personale": importazione, esportazione, acquisto, ricezione), nel caso in cui il quantitativo risulti esorbitante da quello legittimamente prescritto dal sanitario (articolo 73, comma 1 bis, lettera b)) (anche in questo caso, la pena è diminuita da un terzo alla metà).
Il novum sanzionatorio penale, quindi, è opportunamente diversificato a seconda che la condotta incriminata riguardi le sostanze vietate di cui alla tabella I ovvero i medicinali suscettibili di possibile abuso di cui alla tabella II, Sezioni A, B e C.


Le sanzioni penali: le sostanze vietate

Vale la pena di soffermare l'attenzione sulla disciplina delle "sostanze vietate di cui alla tabella I", che non trovano alcun impiego terapeutico e che, quindi, non possono essere prescritte: trattasi delle sostanze che monopolizzano il mercato illecito e sulle quali si esercitano gli sforzi delle forze dell'ordine e della magistratura.
Il combinato disposto di riferimento è costituito dai commi 1 e 1 bis, lettera a), del d.p.r. n. 309/90.


Le condotte caratterizzate "oggettivamente"
dalla destinazione a terzi


Nel comma 1 dell'articolo 73, viene, in primo luogo, ribadita, ovviamente, anche nel sistema introdotto con la legge di riforma del 2006 la rilevanza penale delle condotte che si caratterizzano per la destinazione a terzi, a prescindere dal quantitativo della sostanza che ne costituisce l'oggetto. Sotto questo profilo non vi sono novità rispetto al sistema previgente.
Solo per due condotte ricomprese nel comma 1 si impone qualche precisazione.
Intendiamo riferirci alle condotte di coltivazione e di trasporto, che ex se non sono autoevidentemente dimostrative della destinazione illecita (ad un uso non esclusivamente personale) della droga.

La coltivazione

Quanto alla coltivazione è da rilevare che trattasi di condotta che, anche dopo il novum normativo del 2006, con scelta evidentemente consapevole del legislatore, non è richiamata né nell'articolo 73, comma 1 bis, né nell'articolo 75, comma 1, ma solo nel comma 1 dell'articolo 73.
In buona sostanza, il legislatore ha voluto attribuire scientemente a tale condotta comunque e sempre una rilevanza penale, quale che sia la dimensione della piantagione e quale che sia il quantitativo di principio attivo ricavabile dai fiori, dalle foglie, ecc. delle piante da stupefacenti. In tal senso, in effetti, possono trovarsi spunti anche nella disamina dei lavori preparatori.
Il legislatore ha finito con l'aderire, quindi, all'opinione giurisprudenziale prevalente(5), fatta propria anche dalla Corte costituzionale(6), secondo cui la condotta di coltivazione è intrinsecamente più grave rispetto a quella di mera detenzione, perché comunque aumenta il quantitativo di droga circolante, sì da meritare un trattamento sanzionatorio diverso e più grave (ergo, rilevanza sempre penale della relativa condotta ed esclusione di qualsivoglia spazio per un intervento sanzionatorio solo amministrativo ex articolo 75 del d.p.r. n. 309/90, pur in presenza di coltivazioni di modestissime dimensione, rispetto alle quali inconcepibile sarebbe una destinazione al mercato del ricavato). Trattasi di impostazione che, per vero, è stata ribadita ancora più di recente, essendosi (ri)affermato che l'attività di coltivazione, in base al comma 1 dell'articolo 73 del d.p.r. 9 ottobre 1990 n. 309, come modificato con il decreto legge 30 dicembre 2005 n.272, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2006 n.49 (e analogamente a quanto previsto prima di tale riforma in base al combinato disposto dei previgenti articoli 26, 73 e 75 del medesimo d.p.r.), è vietata e sanzionata penalmente anche qualora la finalità dell'agente sia di destinare il prodotto della coltivazione a consumo personale(7).
Questa prospettiva di rigore è parsa (già nella vigenza del testo originario del d.p.r. n. 309/90) e pare tuttora (anche dopo le modifiche del 2006) eccessiva almeno rispetto alle condotte di coltivazione "domestica" di poche piantine, destinate a consentire il ricavo di modestissimi quantitativi di principio attivo, giacchè il rischio di destinazione a terzi è pressochè nullo (anzi, non è proprio articolabile alcuna prova di "un uso non esclusivamente personale" del ricavato della coltivazione) e parimenti nullo è il rischio per la salute individuale del coltivatore-assuntore.
Da qui la necessità (per ragioni essenzialmente di equità e di ragionevolezza del trattamento sanzionatorio) di trovare, in via interpretativa, una soluzione equilibrata che, senza porsi in contrasto con la rilevata intenzione del legislatore e senza smentire l'autorevole fondamento dell'orientamento giurisprudenziale dominante cui il legislatore ha evidentemente fatto richiamo, possa consentire di escludere la sanzionabilità penale della condotta di "coltivazione" di pochissime piante da stupefacente, chiaramente finalizzata solo a soddisfare l'uso personale del coltivatore.
Una soluzione equilibrata poteva e può essere tuttora rinvenuta distinguendo la coltivazione intesa in senso "tecnico-agrario", quale espressamente presa in considerazione e disciplinata negli articoli 26-28 del d.p.r. n. 309/90, dalla modesta attività di coltivazione c.d. "domestica", che si sostanzia nella messa a dimora da parte di un tossicodipendente "in vasi detenuti nella propria abitazione di alcune piantine di sostanze stupefacenti o psicotrope".
In questo ultimo caso, infatti, si potrebbe fondatamente sostenere che si è al di fuori della nozione di coltivazione presa in considerazione negli articoli 26-28 del d.p.r. citato, di guisa che la condotta potrebbe essere inclusa "estensivamente" in un'ipotesi di detenzione colpita solo con sanzioni amministrative a norma dell'articolo 75 dello stesso d.p.r., se ed in quanto difettino elementi che possano far ritenere dimostrata una destinazione del ricavato della coltivazione "ad un uso non esclusivamente personale". Ergo, elementi che possano consentire all'accusa di soddisfare l'onere probatorio della destinazione illecita della sostanza stupefacente ai fini della idonea contestabilità del reato di cui all'articolo 73 del d.p.r. n. 309/90.
Questa tesi interpretativa ha di recente trovato un importante avallo nella giurisprudenza della Cassazione(8), laddove si è attribuita dignità alla richiamata nozione di "coltivazione domestica". Trattasi di interpretazione che, lungi dal risolversi in un vulnus alla impostazione di rigore della normativa sanzionatoria degli stupefacenti, ribadita con forza anche dal legislatore del 2006, evita il risultato irragionevole di punire sempre e comunque il modesto autocoltivatore di quantitativi irrisori, destinati appunto a soddisfare il proprio fabbisogno personale, anche in situazioni nelle quali pacifica sarebbe l'irrilevanza penale della condotta quando quel medesimo soggetto fosse - "esaurita" l'attività di coltivazione - sorpreso a detenere il ricavato di tale attività.
Resta da aggiungere che, per aversi "coltivazione domestica", non è certamente necessario che l'attività sia svolta all'interno di una abitazione o su un terrazzo limitrofo; nulla esclude, infatti, che la piantagione sia effettuata in un giardino o in un terreno agricolo, magari neppure contigui all'abitazione del prevenuto. E' però essenziale che si verta in ipotesi di piantagione oltremodo contenuta come dimensioni, tale da consentire il ricavato di quantitativi modesti di sostanza stupefacente, proprio perché solo in tal caso non sarebbe dimostrabile logicamente e giuridicamente la destinazione ad un uso non esclusivamente personale del coltivatore. Solo in tal caso, infatti, l'attività svolta sarebbe priva di quei caratteri che, invece, la sopra citata sentenza della Cassazione ritiene propri della coltivazione in senso tecnico, penalmente rilevante (la disponibilità del terreno, la sua preparazione, la semina, il governo dello sviluppo delle piante, la presenza di locali destinati alla raccolta dei prodotti). Caratteri che, in tutta evidenza, connotano di pericolosità la condotta e giustificano la sanzionabilità penale della medesima.

Il trasporto

Quanto alla condotta di trasporto, si sono formulate da parte di taluno delle perplessità sostenendosi che si tratterebbe di condotta rispetto alla quale non potrebbe escludersi concettualmente la destinazione della sostanza stupefacente ad un uso esclusivamente personale, con conseguente irragionevolezza della mancata previsione di tale condotta tra quelle di possibile rilievo solo amministrativo (articoli 75 e 75 bis del d.p.r. n. 309/90).
Trattasi, a nostro avviso, stavolta, di un falso problema, ove si consideri che la fattispecie incriminatrice

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di cui all'articolo 73 del d.p.r. n. 309/90 è costruita come norma a più fattispecie alternative, con conseguente assorbimento della o delle condotte "minori" quando più condotte siano commesse nello stesso contesto spazio-temporale e riguardino la stessa sostanza stupefacente. Nella stragrande maggioranza dei casi, quindi, la condotta di trasporto non ha una sua autonoma rilevanza sanzionatoria rispetto alla condotta di detenzione o a quella di cessione.
Quando invece non ricorrono i presupposti dell'assorbimento e, quindi, la condotta di trasporto conserva una sua autonomia ai fini sanzionatori, risulta empiricamente evidente che deve pur sempre trattarsi di condotta che - per differenziarsi da quella di detenzione, acquisto, importazione, ecc. - deve qualificarsi per avere ad oggetto un quantitativo [così]significativo di droga da implicare necessariamente l'utilizzo di un mezzo di trasporto
(risultando evidentemente impraticabile la movimentazione della droga custodendola sulla propria persona o in un bagaglio a mano): ma proprio la dimensione quantitativa della sostanza stupefacente è indice dimostrativo di una destinazione diversa da quella dell'uso esclusivamente personale. Ciò che esclude ab imis qualsivoglia sostanziale censura di irragionevolezza della disciplina normativa.

Le condotte non caratterizzate "oggettivamente"
dalla destinazione a terzi


Nel comma 1 bis, lettera a) dell'articolo 73, viene prevista, poi, la rilevanza penale delle condotte ex se non destinate obiettivamente a terzi (importazione, esportazione, acquisto, ricezione o, comunque, detenzione) che "appaiono", per le modalità oggettive e soggettive ("per quantità, in particolare se superiore ai limiti massimi indicati con decreto del Ministro della salute emanato di concerto con il Ministro della giustizia, sentita la Presidenza del Consiglio dei Ministri-Dipartimento nazionale per le politiche antidroga, modalità di presentazione, avuto riguardo al peso lordo complessivo o al confezionamento frazionato, ovvero per altre circostanze dell'azione"), destinate a terzi ovvero, più precisamente, "ad un uso non esclusivamente personale".

La "normativizzazione" dei criteri indiziari
e l'onere della prova dell'illecito penale


E' questa la vera novità della legge di riforma del 2006, che è stata perseguita attraverso la "normativizzazione" dei criteri indiziari attualmente utilizzati, in giurisprudenza, per fondare un giudizio positivo di sussistenza del reato di cui all'articolo 73 del d.p.r. n. 309/90 rispetto alle condotte (acquisto, importazione, detenzione, ecc.) ex se non qualificate oggettivamente dalla destinazione a terzi.
Non v’è dubbio che rimanga tuttora valido, anche nel nuovo sistema, il principio secondo cui la prova della sussistenza della destinazione della sostanza "ad un uso non esclusivamente personale" costituisce un "elemento costitutivo" del reato di cui all'articolo 73 e, come tale, è a carico dell'accusa (in prima battuta, l'operatore di polizia, e, poi, il pubblico ministero)(9).
L'accusa, peraltro, per soddisfare tale onere probatorio (allorquando la prova non è in re ipsa, siccome dimostrata dalla condotta, oggettivamente caratterizzata dalla destinazione a terzi della sostanza: cfr. il comma 1 dell'articolo 73), trova stavolta un supporto valutativo nei parametri "indiziari" indicati dalla norma: la "quantità" della sostanza (con attribuita rilevanza al superamento dei limiti di principio attivo indicati in apposito decreto ministeriale); le "modalità di presentazione" della sostanza (peso lordo e frazionamento in dosi commerciali); le "circostanze dell'azione" (circostanze oggettive del sequestro; rinvenimento di sostanza da taglio; rinvenimento di "contabilità" attestante il commercio illecito, ecc.) (cfr. il comma 1 bis, lettera a), dell'articolo 73).
Rispetto a tale onere probatorio, che l'accusa ritiene soddisfabile argomentando positivamente dai suddetti parametri la destinazione della sostanza "ad un uso non esclusivamente personale", l'interessato ha un "onere di allegazione" di segno contrario, nel senso che può controdedurre elementi probatori a proprio favore, dimostrativi della destinazione della sostanza all'uso esclusivo proprio, sì da poterne fare discendere, con l'insussistenza del fatto incriminato, solo l'applicabilità delle sanzioni amministrative (ora previste dagli articoli 75 e 75 bis del d.p.r. n. 309/90).
Ciò, va detto a chiare lettere, non equivale affatto ad invertire l'onere della prova della responsabilità penale, che incombe certamente all'accusa, ma a stabilire i "perimetri fattuali" entro i quali il giudice può esercitare la sua valutazione, una volta che il fatto portato dall'accusa sia stato provato. Vale, infatti, anche in sede penale quanto stabilito dall'articolo 2697 del codice civile: incombe all'attore (qui, il pubblico ministero, e, prima di lui, l'autorità di polizia) provare i fatti che costituiscono il fondamento della domanda (qui, la dimostrazione della destinazione della droga ad un uso "non esclusivamente personale"); incombe al convenuto (qui, l'indagato/ imputato) provare i dati della realtà che rendono inefficaci i fatti addotti dall'attore, ovvero, traducendo il precetto in termini penalistici, i fatti che impediscono la punibilità (qui, la dimostrazione della destinazione della droga ad un uso "esclusivamente personale").
E' ovvio che tale onere allegativo con finalità difensive risulterà tanto più difficile da soddisfare quanto più inequivocamente significativi della destinazione all'uso "non esclusivamente personale" risultino i parametri indiziari richiamati nella disposizione incriminatrice.
Per esempio, in presenza di quantitativi significativamente superiori ai limiti di principio attivo indicati nel decreto ministeriale, un soggetto che non sia tossicodipendente ben difficilmente potrebbe sostenere, con buon esito, che trattasi di droga detenuta con finalità di "riserva" e di "accumulo" per il proprio futuro uso personale; sarebbe facile opporre che, almeno per una parte, la droga non può che essere destinata al mercato (ovvero, più specificamente, "ad un uso non esclusivamente personale"), con la conseguente contestabilità del reato di cui all'articolo 73.
Mentre, in presenza di quantitativi inferiori o prossimi alla suddetta soglia, non potendo il referente quantitativo essere da solo idoneo a risolvere il problema della prova della destinazione "ad un uso non esclusivamente personale" della sostanza stupefacente, esso dovrà essere supportato dall'accusa con uno, o con più d'uno, degli altri eventuali elementi indiziari ricavabili dalle specifiche modalità, oggettive e soggettive, della vicenda: di guisa che, sempre esemplificando, laddove risultino un accertato frazionamento della droga in dosi commerciali e/o circostanze del sequestro inequivocamente dimostrative di un'attività di spaccio, ben difficilmente l'interessato potrebbe articolare, a propria difesa, un uso personale, che finirebbe con l'essere meramente apodittico ed indimostrato, nonostante un dato quantitativo della sostanza ex se non assorbentemente significativo.

La presunzione (solo) relativa desumibile
dai parametri indiziari


E' comunque da ritenere, senza ombra di dubbio, che i criteri indiziari contenuti nell'articolo 73 comma 1 bis, lettera a), possano fondare una presunzione solo relativa (iuris tantum) della destinazione della droga ad un uso non esclusivamente personale.
Che si tratti di una presunzione solo relativa (e non certo assoluta, tale da non ammettere prova contraria da parte della difesa) lo si desume in primo luogo dalla formulazione letterale della norma, laddove l'utilizzo del verbo "apparire" ("appaiono") dimostra che alla base della ritenuta sussistenza del reato vi deve essere pur sempre un apprezzamento del giudice, il quale, proprio utilizzando (anche, ma non solo: v. infra sul carattere "non esaustivo" dei parametri indiziari) i criteri indiziari, potrà condannare l'imputato se (e solo se) ritenga dimostrata con certezza la destinazione della droga "ad un uso non esclusivamente personale", potendo motivare al riguardo "al di là di ogni ragionevole dubbio" (cfr. articolo 533, comma 1, del c.p.p.).
Lo si desume dalla corretta interpretazione logico-sistematica dei diversi criteri: anche a non voler considerare il criterio indiziario basato sul quantitativo della sostanza (per il quale, in astratto, potrebbe ipotizzarsi una valenza presuntiva assoluta), tutti gli altri non possono che essere valorizzati ai fini indiziari dal necessario apprezzamento giudiziale, non avendo di per sé una significatività autoevidente ed insuscettibile di interpretazioni alternative.
Lo si desume ancora dall'iter legislativo, ove si consideri che il disegno di legge governativo, portato all'attenzione degli operatori del settore alla IV^ Conferenza nazionale sui problemi connessi alla diffusione delle sostanze stupefacenti e psicotrope (Palermo, 5-7 dicembre 2005), era in origine caratterizzato da una sorta di presunzione assoluta di sussistenza del reato basata sul superamento di una determinata soglia quantitativa. Veniva prevista, infatti, la rilevanza penale anche delle condotte ex se non destinate obiettivamente a terzi (importazione, esportazione, acquisto, ricezione o, comunque, detenzione) quando la sostanza avesse superato una determinata soglia quantitativa: cosicchè il fatto integrava tout court la fattispecie incriminatrice, senza che dovesse dimostrarsi in concreto la destinazione possibile della sostanza allo spaccio e senza che il trasgressore potesse, in contrario, articolare alcuna prova liberatoria tale da consentirgli di eludere l'applicazione delle sanzioni penali. Trattavasi, in effetti, di una sorta di presunzione iuris et de iure che si basava sulla ritenuta pericolosità della condotta, in ragione del quantitativo che ne costituiva l'oggetto materiale, sia per la salute individuale del soggetto, sia per l'ordine pubblico e la salute collettiva. Il testo definitivo è stato però espressamente modificato, proprio attraverso l'eliminazione di tale presunzione assoluta e l'attribuzione di una valenza presuntiva solo relativa (anche, tra gli altri) al parametro indiziario basato sul quantitativo della sostanza stupefacente.
Lo si desume, poi, dall'apprezzamento della diversa formulazione del comma 1 bis, lettera b), dello stesso articolo 73, dedicato ai medicinali suscettibili di abuso contenenti sostanze stupefacenti o psicotrope, rispetto ai quali il reato è tout court integrato in caso di superamento del quantitativo prescritto, senza che vi sia spazio per una prova liberatoria da parte dell'interessato che possa "giustificare" la detenzione "oltre il prescritto" (a ben vedere, qui l'unica allegazione difensiva in grado di vincere la presunzione potrebbe articolarsi sul difetto del dolo, argomentando e dimostrando un errore in cui sia incorso il detentore vuoi sul contenuto della "prescrizione", vuoi sul quantitativo materialmente detenuto).
Giova ribadire che, poiché la presunzione ex articolo 73, comma 1 bis, lettera a), è solo relativa, vi può essere spazio per un'allegazione difensiva atta a dimostrare l'inidoneità e la non concludenza della valenza indiziante prospettata dall'accusa, in coerente applicazione dell'articolo 2697 del codice civile.
Non vi è, quindi, alcuna inversione dell'onere della prova, ma rispetto alle tesi prospettate dall'accusa (basate sulla riconosciuta valenza indiziante dei parametri) compete all'imputato articolare elementi atti a neutralizzare tale valenza: come già evidenziato, incombe all'imputato (convenuto) provare i fatti che rendono inefficaci (non concludenti) i fatti addotti dal pubblico ministero (attore).

La posizione del giudice e la regola
dell'"al di là di ogni ragionevole dubbio"


Per cogliere il portato della presunzione relativa, occorre però soffermare l'attenzione sulla posizione che, rispetto ad essa, assume il giudice.
La valenza della presunzione relativa va in proposito inevitabilmente apprezzata alla luce del principio dell'"al di là di ogni ragionevole dubbio" richiesto ai fini della condanna (articolo 533, comma 1, del c.p.p., nel testo da ultimo modificato dalla legge n. 46 del 2006: "il giudice pronuncia sentenza di condanna se l'imputato risulta colpevole del reato contestatogli al di là di ogni ragionevole dubbio").
Ciò significa che la valenza presuntivamente indiziante dei criteri legittima senz'altro la polizia giudiziaria e il pubblico ministero a contestare il reato e può legittimare anche la condanna, purchè però il giudice ritenga che la valenza indiziante superi il vaglio dell'"oltre ogni ragionevole dubbio", dovendo a tal fine apprezzare i criteri indizianti alla luce dell'evidenza disponibile e delle eventuali allegazioni difensive.
Così, per intenderci, il giudice potrà condannare in presenza di una condotta di detenzione di un quantitativo di sostanza stupefacente il cui principio attivo risulti superiore al quantitativo massimo indicato in tabella se (e solo se) ritenga di poter motivare, alla luce delle complessive risultanze del caso concreto, "al di là di ogni ragionevole dubbio", che si tratti di droga che "appaia" destinata "ad un uso non esclusivamente personale". Con una motivazione che sarà tanto più approfondita ed analitica quanto più il quantitativo sia prossimo alla soglia indicata in tabella.
E' ovvio che, a fronte di una valenza oggettivamente indiziaria dei parametri posti a fondamento dell'accusa, l' eventuale decisione liberatoria del giudice dovrà essere argomentata e motivata adeguatamente, per evitare inaccettabili arbitrii decisori: il giudice, cioè, dovrà giustificare ("in modo rafforzato", proprio a fronte della presenza del compendio indiziario fondato sui parametri normativizzati nell'articolo 73 comma 1 bis, lettera a)) sulla base di quali specifiche ragioni ritenga non raggiunta la prova della colpevolezza e, quindi, dovrà dare contezza degli elementi in forza dei quali consideri neutralizzata e non concludente la valenza indiziaria dei parametri.
Sotto questo profilo la "normativizzazione" dei criteri indiziari evita (in ipotesi) tali possibili arbitrii decisori perché vincola la discrezionalità valutativa del giudice.
Ciò autorizza a ritenere che tale compendio indiziario, laddove sussistente, può senz'altro essere ritenuto ex se sicuramente satisfattivo ai fini de libertate, ossia ai fini dei "gravi indizi" di cui all'articolo 273 del c.p.p., siccome fondante la qualificata probabilità della colpevolezza, pur consentendo anche spiegazione alternative dei fatti (della detenzione e/o delle altre condotte assimilate) attraverso eventuali allegazioni difensive in grado di smentire la valenza accusatoria e di dimostrare positivamente quella destinazione "ad uso esclusivamente personale" della sostanza stupefacente che, prima facie, è smentita proprio dalla presenza di uno o più degli elementi indiziari individuati dalla norma.
Mentre, ai fini della condanna, occorre pur sempre applicare la regola di giudizio ex articolo 533, comma 1, del c.p.p., onde il giudice può e deve supportare la propria decisione sul compendio indiziario a carico, dando però contezza delle ragioni in forza delle quali questo, alla luce delle emergenze complessive, sia in grado di dimostrare, al di là di ogni ragionevole dubbio, la destinazione della sostanza stupefacente "ad un uso non esclusivamente personale".

L'assenza di "automatismi" decisori e
il rispetto del principio del libero convincimento


Per l'effetto, deve escludersi qualsivoglia automatismo tra sussistenza del compendio indiziario e condanna.
Il compendio indiziario può certo essere ritenuto dal giudice satisfattivo ai fini della condanna purchè però soddisfi la regola dell'"oltre ogni ragionevole dubbio".
Per esempio, il superamento della soglia - parametro indiziario inequivoco - può essere ritenuto satisfattivo a fini di condanna se e laddove il giudice lo ritenga con certezza dimostrativo della destinazione all'uso non esclusivamente personale, alla luce delle complessive emergenze disponibili.
Ciò che consente di evitare ingiustificate automatiche condanne, ad esempio, per sforamenti modesti del limite quantitativo in situazioni non qualificate negativamente dagli altri parametri indiziari, ma anzi giustificate dalla qualità di tossicodipendente del prevenuto, tale da dimostrare l'uso esclusivamente personale della droga (si pensi, all'ipotesi del tossicodipendente necessitante di assunzioni ravvicinate e quantitativamente consistenti).
Alla costruzione proposta (della "presunzione relativa" basata sull'apprezzamento dei parametri indiziari) ci sembra non si possa obiettare che tale nozione finirebbe con il pregiudicare il principio del libero convincimento (articolo 101, comma 2, della Costituzione) e il diritto di difesa (articolo 24 della Costituzione).
Infatti, la "presunzione relativa" basata sui parametri indiziari va inevitabilmente apprezzata alla luce del principio dell'"al di là di ogni ragionevole dubbio" richiesto ai fini della condanna (articolo 533, comma 1, del c.p.p., nel testo da ultimo modificato dalla legge n. 46 del 2006). Ciò significa, ponendosi nell'ottica del giudicante, che questi può e deve tenere conto della valenza presuntivamente indiziante dei criteri, e può fondarvi anche la condanna, purchè però ritenga che tale valenza superi il vaglio dell'"oltre ogni ragionevole dubbio", dovendo a tal fine apprezzare i criteri indizianti alla luce dell'evidenza disponibile e delle eventuali allegazioni difensive. Nessun pregiudizio deriva, quindi, per il principio del libero convincimento: il giudice, infatti, è tenuto a pronunciare la sua sentenza dovendo necessariamente valorizzare, senza limiti preconcetti, tutti gli elementi, oggettivi e soggettivi, ricavabili dalla fattispecie concreta. I parametri indiziari, piuttosto, evitano soluzioni liberatorie arbitrarie, nel senso che, in loro presenza, il giudice dovrà motivare "rafforzatamente", dando contezza delle ragioni che lo inducano a ritenerne "neutralizzata" o non decisivamente significativa la valenza accusatoria. Nessun pregiudizio, poi, deriva per il diritto di difesa, giacchè, come si è argomentato sopra, l'onere della prova del reato è pur sempre a carico dell'accusa e l'onere di allegazione che ha la difesa per smentire la valenza indiziante degli elementi "portati" dall'accusa non si risolve in un'inversione dell'onere della prova, risultando solo coerente applicazione della regola di giudizio di cui all'articolo 2697 del codice civile, pacificamente applicabile anche in materia penale. Va poi soggiunto che, diversamente opinando, cioè volendo escludere che i parametri indiziari tratteggiati dall'articolo 73, comma 1 bis, lettera a), fondino una presunzione relativa nei termini e con i limiti di cui si è detto, si arriverebbe alla conclusione francamente inaccoglibile che si tratterebbe di una disposizione normativa inutiliter data.
Del resto, non va neppure dimenticato che l'istituto delle "presunzioni" non è ignoto nel diritto penale, essendovi costruite anche varie fattispecie incriminatrici: basti pensare, solo a titolo esemplificativo, alla contravvenzione di cui all'articolo 707 del c.p., laddove il legislatore, in ragione della personalità del prevenuto (condannato per delitti determinati da motivi di lucro o per contravvenzioni concernenti la prevenzione di delitti contro il patrimonio), dalla disponibilità diretta ed immediata degli strumenti atti allo scasso fonda "la presunzione" di una probabile utilizzazione illecita di questi, in tal modo non incriminando un mero status, bensì una condotta costituita dal possesso attuale di determinate cose che, quoad personam, inducono al sospetto.

Parametri indiziari e attività della
polizia giudiziaria


Va soggiunto che i "parametri indiziari" rivestono particolare rilievo anche per l'attività della polizia giudiziaria, la quale dai medesimi può trarre elementi sintomatici della destinazione della sostanza stupefacente all'uso non esclusivamente personale, tali da potervi fondare un eventuale provvedimento di arresto in flagranza del trasgressore che regga al vaglio del giudice della convalida. Non va del resto dimenticato di considerare che la valutazione del giudice sulla legittimità dell'arresto, infatti, pur non potendo estendersi all'accertamento dell'esistenza dei gravi indizi di colpevolezza, deve tuttavia essere intesa alla verifica della sussistenza delle condizioni legittimanti la privazione della libertà personale, condizioni tra le quali deve ritenersi inclusa la configurabilità (non solo astratta) del reato per cui si è proceduto all'arresto e la sua attribuibilità alla persona arresta; con la conseguenza che la semplice detenzione di sostanza stupefacente non legittimerebbe l'arresto in flagranza quando non emergano (non già gravi indizi, bensì) elementi sintomatici della destinazione della sostanza all'uso di terzi.

Il conforto della Cassazione

Anche la Cassazione si è espressa di recente in termini coerenti con la richiamata costruzione della "presunzione relativa", con una decisione(10) nella quale, infatti, si è espressamente affermato che i parametri indiziari di cui all'articolo 73, comma 1 bis, lettera a), sono spendibili per la positiva dimostrazione della destinazione illecita (ad un uso non esclusivamente personale) della sostanza stupefacente detenuta, "valendo questi parametri indiziari come una sorta di presunzione relativa di tale destinazione illecita che assume particolare rilievo soprattutto per l'attività della polizia giudiziaria, la quale dai medesimi può trarre elementi sintomatici della destinazione della sostanza stupefacente all'uso non esclusivamente personale, tali da potervi fondare un eventuale provvedimento di arresto in flagranza del trasgressore che regga al vaglio del giudice della convalida".


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La valenza probatoria dei criteri indiziari

Per cogliere appieno la valenza dei criteri indiziari, anche e soprattutto nella prospettiva della decisione del giudice, è importante notare come questi debbano essere intesi come alternativi, complementari e, senz'altro, non esaustivi.
Hanno valenza "alternativa", nel senso che anche la presenza di uno solo consente di ipotizzare presuntivamente il reato.
L'utilizzo delle disgiuntive "o" e "ovvero" nell'articolo 73, comma 1 bis, lettera a), è in tal senso inequivoco.
La valenza alternativa dei parametri è importante soprattutto per correttamente valutare quello della "quantità" della sostanza stupefacente: nel senso che, anche se non si supera il quantitativo di principio attivo indicato nella tabella ministeriale (decreto del Ministro della salute(11 aprile 2006), è pur sempre possibile contestare e ritenere il reato, sulla base della utilizzazione degli altri criteri (ad esempio, sembra indubitabile la possibilità di contestare il reato di cui all'articolo 73 in caso di detenzione di quantitativi "sotto soglia", ma in un contesto oggettivo inequivoco della destinazione ad un uso non esclusivamente personale: sostanza stupefacente frazionata in dosi commerciali, sequestro in un contesto deponente inequivocamente nel senso dello svolgimento di un'attività di spaccio, ecc.).
Hanno valenza "complementare", nel senso che, tanto più sono presenti elementi indiziari convergenti, quanto più sarà difficile l'articolazione dell'onere di allegazione difensiva e quanto più potrà ritenersi tale compendio idoneo a giungere alla condanna al di là di ogni ragionevole dubbio.
E' conclusione imposta dalla logica e, del resto, perfettamente in linea vuoi con la natura presuntiva riconosciuta dalla norma ai criteri de quibus, vuoi con l'apprezzato rapporto tra la valenza presuntiva dei criteri e la regola di giudizio richiesta ai fini della condanna.
Hanno poi valenza "non esaustiva", nel senso che possono e debbono considerarsi anche altri criteri di valutazione (specie di natura soggettiva) emergenti dalla fattispecie, utilizzabili per corroborare o smentire la valenza indiziante a carico.
Si pensi al criterio soggettivo della qualità di tossicodipendente o no del trasgressore ovvero al criterio parimenti soggettivo basato sull'apprezzamento delle condizioni economiche del reo e sulla compatibilità di queste con l'acquisto e il possesso di droga, che possono decisivamente guidare l'apprezzamento del giudice ai fini della decisione, corroborando o, per converso, smentendo la valenza indiziaria dei parametri cui la norma fa esplicito riferimento.
Anche questa è una conclusione imposta dal già rilevato rapporto tra la valenza presuntiva dei criteri e la regola di giudizio richiesta ai fini della condanna, la quale ultima, come è ovvio, non ammette limitazioni relativamente agli elementi utilizzabili dal giudice ai fini della formazione del suo convincimento, giusta l'assenza di prove legali in materia penale e il principio del libero convincimento che regola la materia della valutazione della prova.
Per converso, pur nella rilevata "non esaustività" dei criteri indiziari, è da escludere che possano rivestire alcun rilievo "indiziante" (neppure ad colorandum) i precedenti penali pur specifici dell'interessato: questi, semmai, potrebbero valere, se specifici, solo a supportare il giudizio negativo sulla concedibilità dell'attenuante del fatto di lieve entità (articolo 73, comma 5, del d.p.r. n.309/ 90), nella misura in cui la recidiva specifica possa consentire di qualificare come di non lieve offensività una condotta che, per essere stata posta in essere da un pregiudicato specifico, venga ritenuta in concreto sintomatica di un' attività delinquenziale professionale nello spaccio della droga(11).
Analogamente, è parimenti da escludere che possa avere rilievo, stavolta nell'ottica di una pronuncia liberatoria, lo stato di incensuratezza dell'interessato, il quale, ex se considerato, non potrebbe certamente valere per neutralizzare la significatività indiziante desumibile aliunde dalle emergenze fattuali della vicenda.


I singoli criteri indiziari

Qualche considerazione si impone in ordine ai singoli criteri indiziari dettati dall'articolo 73, comma 1 bis, lettera a), costruiti nella norma attraverso il riferimento alla "quantità" della sostanza (con attribuita rilevanza al superamento dei limiti di principio attivo indicati in apposito decreto ministeriale), alle "modalità di presentazione" della sostanza (peso lordo complessivo e frazionamento in dosi commerciali) ed alle "circostanze dell'azione" (circostanze oggettive del sequestro; rinvenimento di sostanza da taglio; rinvenimento di "contabilità" attestante il commercio illecito, ecc.).

La quantità della droga

Il criterio della "quantità" è commisurato, in tutta evidenza, al principio attivo rinvenuto nella sostanza. E' affermazione che non può essere messa in dubbio: se è vero infatti che il convincimento della natura stupefacente della sostanza ben può essere tratto anche da elementi diversi dalla perizia o dal narcotest, quali le ammissioni degli imputati, il contenuto delle intercettazioni, gli accertamenti di polizia o qualsiasi altro elemento di significato univoco(12), ciò non toglie, peraltro, che per formalizzare una contestazione basata proprio sul parametro indiziario del superamento della soglia quantitativa indicata in tabella, l'accertamento tecnico è ineludibile, non essendo surrogabile con altri mezzi di prova in grado di dimostrare con precisione la percentuale di "principio attivo" contenuta nella sostanza.
Relativamente alla valenza da attribuire al criterio della "quantità", è da sottolineare l'importanza dell'utilizzo nella norma dell'espressione "in particolare" correlata al dato fattuale rappresentato dall'essere la sostanza "superiore" ai limiti massimi stabiliti nell'apposito decreto ministeriale ("per quantità, in particolare se superiore ai limiti massimi…").
Tale formulazione, unita al rilievo che la norma incriminatrice, come si è visto, non è costruita come fondante una presunzione assoluta di sussistenza dell'illecito pur in presenza di quantitativi esorbitanti i valori soglia, autorizza la ricostruzione del sistema nei termini che seguono:
a) la circostanza che la sostanza risulti "superiore" ai limiti massimi indicati nel decreto ministeriale integra elemento indiziario positivamente "spendibile" dall'accusa per ritenere dimostrata la destinazione ad un uso non esclusivamente personale;
b) conseguentemente, tanto più viene superata la soglia indicata nel decreto, quanto più diventa oneroso lo sforzo che dovrà sostenere l'interessato per l'allegazione di elementi a difesa che possano vincere la valenza indiziaria del parametro quantitativo;
c) la formulazione della norma, proprio per il rilevato utilizzo del termine "in particolare", non esclude, tuttavia, la rilevanza penale anche di quantitativi inferiori alla soglia, laddove gli altri parametri indiziari militino inequivocamente per una destinazione "non esclusivamente personale";
d) il superamento dei valori soglia non sempre e comunque è elemento bastevole a sostenere la sussistenza del reato, laddove l'interessato sia in grado di assolvere l'onere difensivo nei termini di cui supra sub b). Cosicchè, per intenderci, specie se il superamento dei valori massimi è superato di poco, dovranno e potranno utilmente soccorrere gli altri parametri di riferimento utilizzati dalla norma e le complessive emergenze della fattispecie concreta, i quali ben potranno concorrentemente fondare la positiva dimostrazione della destinazione illecita ("ad un uso non esclusivamente personale") della sostanza; mentre nulla esclude, per converso, che il superamento di poco dei valori massimi, nell'assenza di altri elementi indiziari "a carico" e a fronte di un'adeguata "giustificazione difensiva" (principalmente basata sulla qualità soggettiva di tossicodipendente e sulla necessità di assunzione di quantitativi particolarmente elevati di sostanza stupefacente), possa portare ad una decisione liberatoria in sede penale (e alla rilevanza solo amministrativa della condotta). In altri termini, per esemplificare, le particolari condizioni soggettive del trasgressore (legittimanti, per lo stato di tossicodipendenza, una detenzione di quantitativi superiori ai valori soglia per la soddisfazione di peculiari esigenze di assunzione) potranno rilevare nell'ambito dell'onere di allegazione difensiva di cui si è detto, per vincere la presunzione (iuris tantum) di sussistenza dell'illecito penale articolabile dall'accusa sul dato quantitativo esorbitante i valori soglia.

Il decreto ministeriale

Va a questo punto soffermata l'attenzione sul decreto che ha determinato i limiti massimi di principio attivo detenibile ai fini e per gli effetti del disposto dell'articolo 73, comma 1 bis, lettera a): ovvero che ha determinato quella che, nello stesso decreto, viene definita come la "quantità massima detenibile" (Q.M.D.) superata la quale può ritenersi sussistente, nei termini e con i limiti di cui supra, la presunzione che trattasi di sostanza "destinata ad un uso non esclusivamente personale".
Trattasi del decreto dell'11 aprile 2006, adottato dal Ministro della salute, di concerto con il Ministro della giustizia, contenente l'indicazione dei limiti quantitativi massimi delle sostanze stupefacenti e psicotrope, riferibili ad un uso esclusivamente personale delle sostanze elencate nella tabella I del d.p.r. n. 309/90.
Intanto, pregiudizialmente, è da condividere la scelta del legislatore di avere rimesso tale compito all'autorità amministrativa, per la eccessiva rigidità che sarebbe conseguita ad una previsione introdotta direttamente dalla legge. Si è in presenza, infatti, di una materia in cui preminenti sono le esigenze di garantire un sollecito adeguamento alle evenienze del mercato illecito: ad esempio, in caso di "nuove" sostanze stupefacenti ovvero in caso di un significativo mutamento delle percentuali di principio attivo che, nel tempo, caratterizzassero talune delle sostanze già tabellarizzate. Solo l'avere rimesso la competenza all'autorità amministrativa può consentire rapidi interventi correttivi o integrativi.
In proposito, non sembra che si possa prospettare alcuna violazione del principio di legalità stabilito dall'articolo 25 della Costituzione, per l'assorbente rilievo che all'autorità amministrativa è devoluta semplicemente l'individuazione (rectius, la concretizzazione) di uno dei parametri di riferimento utilizzabili per potere dimostrare la sussistenza del reato, e non certo la ricostruzione della condotta integrante il reato.
Sempre in via pregiudiziale, è parimenti da condividere la scelta operata di non prevedere l'individuazione dei limiti massimi dei quantitativi detenibili per tutte le sostanze vietate, essendosi legittimamente e non irragionevolmente limitata la determinazione di tali limiti solo relativamente alle sostanze di maggiore abuso, per le quali solo, a ben vedere, questa risultava praticabile ed utile (cocaina, eroina, hashish, marijuana, ecc.).
Per le altre sostanze, in realtà, un'operazione di determinazione sarebbe risultata arbitraria, almeno allo stato, mancando dati scientifici e statistici degni di reale attendibilità.
Del resto, legittima questa soluzione limitativa il fatto che il quantitativo di principio attivo non costituisce altro che uno dei parametri di riferimento utilizzabili per dimostrare la destinazione illecita della droga. Ovviamente, per le sostanze rispetto alle quali è mancata la determinazione della "quantità massima detenibile", potrà e dovrà farsi utilizzo (solo) degli altri parametri indiziari indicati nell'articolo 73, comma 1, lettera a).
Venendo al contenuto del decreto ministeriale de quo.
Base di partenza della determinazione dei limiti massimi di principio attivo (ossia, come si è accennato, della "quantità massima detenibile": Q.M.D.) di cui alla lettera a) del comma 1 bis dell'articolo 73, superati i quali si configura la presunzione relativa della sussistenza dell'uso non esclusivamente personale della droga (e, quindi, del reato di cui allo stesso articolo 73), è rappresentata dall'unico dato certo, dal punto di vista scientifico, che la Commissione di studio all'uopo istituita presso il Ministero della salute è stata in grado di fornire: quello della "dose media singola" (D.M.S.), intesa come "la quantità di principio attivo per singola assunzione idonea a produrre in un soggetto tollerante e dipendente un effetto stupefacente e psicotropo".
Il dato quantitativo della "dose media singola" è stato poi convenzionalmente "moltiplicato" avendo riguardo ad un "moltiplicatore variabile" calibrato "in relazione alle caratteristiche di ciascuna sostanza, con particolare riferimento al potere di indurre alterazioni comportamentali e scadimento delle capacità psicomotorie": in una parola, avendo riguardo alla maggiore o minore pericolosità riconosciuta alla sostanza.
A tal riguardo, va infatti segnalato che il moltiplicatore è stato opportunamente diversificato a seconda del tipo di sostanza stupefacente: cosicchè, per esempio, per le ex "droghe leggere"(i derivati della can-
nabis: hashish e marijuana) è stato calcolato in termini decisamente più ampi (moltiplicatore 20) (in considerazione della evidentemente riconosciuta minore pericolosità di tali sostanze) rispetto a quanto è stato previsto per gli stimolanti, i narcotici e gli allucinogeni. Ciò che dimostra come la "parificazione" delle sostanze stupefacenti perseguita dal legislatore del 2006 non esclude che si sia conservato uno spazio per un trattamento più favorevole per le ex "droghe leggere", che attenua l'aggravamento del trattamento sanzionatorio complessivo determinato dall'anzidetta parificazione.
Esemplificando: per la cannabis (hashish e marijuana), la dose media singola è stata fissata in mg. 25, il moltiplicatore variabile in 20, conseguendone una quantità massima detenibile pari a mg. 500 (corrispondenti a circa 15/20 spinelli); per l'eroina, la dose media singola è stata fissata in mg. 25, il moltilicatore

in 10, conseguendone una quantità massima detenibile pari a mg. 250 (corrispondenti a circa 10 assunzioni); per la cocaina, la dose media singola è stata fissata in mg. 150, il moltiplicatore in 5, conseguendone una quantità massima detenibile pari a mg. 750 (corrispondenti a circa 5 assunzioni); per l'ecstasy (MDMA), la dose media singola è stata fissata in mg. 150, il moltiplicatore in 5, conseguendone una quantità massima detenibile pari a mg. 750 (corrispondenti a 5 compresse/ assunzioni); per l'anfetamina, la dose media singola è stata fissata in mg. 100, il moltiplicatore in 5, conseguendone una quantità massima detenibile pari a mg. 500 (corrispondenti a circa 5 assunzioni); per l'LSD, la dose media singola è stata fissata in mg. 0,05, il moltiplicatore in 3, conseguendone una quantità massima detenibile pari a mg. 0,150 (corrispondenti a circa 3 francobolli/assunzioni).
Il criterio della "quantità", come sviluppato dalla norma, potrà essere utilizzabile anche ai fini dell'applicazione della circostanza attenuante del "fatto di lieve entità" (articolo 73, comma 5, del d.p.r. n. 309/90), per dare concretezza ai parametri della "quantità" e della "qualità" della sostanza stupefacente ivi indicati.
Sotto il primo profilo, è da prevedere che la giurisprudenza si orienterà a prendere in considerazione le soglie indicate in tabella per "parametrare" anche il quantitativo che possa consentire di concedere l'attenuante de qua (pur se, ovviamente, sempre nell'ambito dell'apprezzamento "complessivo" dei diversi parametri di riferimento che è alla base della corretta lettura interpretativa del "fatto di lieve entità"(13)).
Sotto l'altro profilo, poiché con il "moltiplicatore" si è attribuita una diversa valenza "qualitativa" alle diverse sostanze stupefacenti, potrà utilizzarsi tale argomento per attribuire un rilievo (anche) alla "natura" della sostanza ai fini e per gli effetti dell'attenuante del fatto di lieve entità, superando così quell'orientamento, finora consolidato [nella vigenza della disciplina ante riforma del 2006], in forza del quale per il parametro della "qualità" richiesto dal comma 5 dell'articolo 73 poteva attribuirsi spazio solo alla maggiore o minore "purezza" della sostanza stupefacente, restando invece indifferente la natura della stessa(14).
Cosicché, per intenderci, per i derivati della cannabis, cui si è riconosciuta una minore pericolosità, tanto da utilizzarsi il moltiplicatore "20", potrà riconoscersi un più ampio spazio per la concedibilità del "fatto di lieve entità" (purchè ovviamente non risultino ostativi gli altri parametri indicati nel comma 5 dell'articolo 73).

Parametro quantitativo e attività della polizia giudiziaria

Va comunque osservato che il criterio indiziario della "quantità", proprio in quanto correlato alla percentuale di principio attivo, appare di scarsa utilità per le forze dell'ordine, le quali, nell'immediato, potendosi avvalere solo del narcotest o di altre metodiche analoghe, possono esclusivamente avere contezza che il reperto sequestrato contiene sostanza stupefacente, ma non possono calcolare, "su strada", la percentuale di principio attivo. Inevitabile sarà quindi, da parte degli operatori di polizia, il ricorso agli altri criteri indiziari indicati nell'articolo 73, comma 1 bis, lettera a), mentre il criterio "quantitativo" risulterà concretamente utilizzabile solo per l'autorità giudiziaria, la quale può comunque avvalersi del supporto di un accertamento tecnico tossicologico in grado di fornire il quantum di principio attivo effettivamente contenuto nella sostanza sequestrata.

L'aumento (bocciato) dei quantitativi della "cannabis"

Per debito di informazione va ricordato che con il decreto del Ministero della salute del 4 agosto 2006 si era intervenuti a modificare il decreto dell'11 aprile 2006, indicante i limiti quantitativi massimi riferibili ad un uso esclusivamente personale delle sostanze stupefacenti, provvedendosi a rideterminare "in alto" la "quantità massima detenibile" della cannabis.
Per perseguire lo scopo di innalzare il quantitativo della cannabis, come si ricorderà, si era intervenuti sul "moltiplicatore variabile" della "dose media singola" (passato da "20" a "40"), sicchè il quantitativo massimo detenibile della sostanza, superato il quale poteva ritenersi sussistente la presunzione che si trattava di sostanza "destinata ad un uso non esclusivamente personale" (cfr. articolo 73, comma 1, bis, lettera a)), era stato determinato in mg. 1000, mentre nel testo originario del decreto ministeriale dell'11 aprile 2006 era fissato in mg. 500.
Il Tar Lazio ha dapprima sospeso(15) e poi annullato(16) il decreto di modifica sul parametro moltiplicatore relativo alla cannabis, sul rilievo che la motivazione dell'atto non spiegava le ragioni delle scelte operate, né appariva giustificata sulla base di approfondimenti specifici sugli effetti delle sostanze stupefacenti in questione.
Il Tar, in sostanza, ha qualificato l'intervento di modifica sui limiti della cannabis come frutto di una scelta di natura solo politica, affatto supportata da una giustificazione di natura tecnica quale quella che ha caratterizzato la stesura del testo originario del decreto. La decisione caducatoria appare fondata sulla ritenuta sussistenza del vizio dell'eccesso di potere, sintomaticamente dimostrato dall'assoluta carenza dell' attività istruttoria che avrebbe potuto (rectius, dovuto) caratterizzare la determinazione discrezionale dell'amministrazione.
Come emerge con chiarezza dal dispositivo della sentenza, il Tar non ha in alcun modo intaccato il decreto ministeriale dell'11 aprile 2006, che è tuttora vigente, nel testo evidentemente anteriore alle modifiche "cassate" dal giudice amministrativo. E' a tale decreto che, a tutt'oggi, occorre avere integrale riguardo per la determinazione dei limiti quantitativi massimi riferibili ad un uso esclusivamente personale delle sostanze stupefacenti.

Il peso lordo

Scarsamente utile, sia in generale che in particolare per le determinazioni immediate delle forze dell'ordine, ci pare anche il criterio del "peso lordo" della sostanza.
E' un criterio che andrebbe in effetti sviluppato in concreto con apposite direttive e circolari che prendano a base il dato statistico dei sequestri di droga e delle percentuali di principio attivo ivi rinvenuto, sì da potersene desumere una valenza indiziante comparando dette risultanze con i dati ricavabili dalla tabella dei quantitativi massimi detenibili (in tal senso, mancando finora una circolare ministeriale con effetti su tutto il territorio nazionale, si vanno muovendo talune forze di polizia su base territoriale(17)).
È però criterio necessariamente residuale perché è e sarà sempre troppo empirico: partendo infatti dal dato fattuale che la sostanza non è mai allo stato puro, il quantitativo di principio attivo è sempre molto variabile, non foss'altro perché fortemente condizionato dalle modalità di confezionamento (dosi da strada, ovuli destinati ad ulteriore parcellizzazione, ecc.); anzi, le sostanze vegetali (marijuana e hashish) sono ancora più insuscettibili di una classificazione "statistica", giacchè subiscono ulteriori condizionamenti a seconda del luogo di produzione e di conservazione. Ciò che concettualmente impedisce di poter attribuire a tale criterio, ex se solo considerato, una valenza indiziaria veramente attendibile.
Trattasi, a ben vedere, di un criterio (inevitabilmente) "di contorno", utile per corroborare la valenza indiziaria aliunde apprezzabile in ragione delle complessive emergenze della fattispecie.
In attesa del sopra evidenziato eventuale prontuario operativo, l'applicazione del criterio de quo è comunque rimessa, nei limiti del possibile, all'esperienza dell'operatore di polizia, il quale deve basarsi empiricamente sul rilievo che un quantitativo di una certa consistenza, specie se accompagnato dal rinvenimento di sostanza da taglio, è normalmente destinato ad essere "tagliato" per la successiva suddivisioni in dosi (il cui numero, più o meno elevato, può essere indicativo della destinazione ad un uso non esclusivamente personale).
Inevitabilmente, inoltre, laddove si volesse procedere a "contestare" il reato di cui all'articolo 73 solo sulla base del criterio indiziante del "peso lordo", dovrà attribuirsi rilievo solo a quantitativi lordi non minimali, ma tali da far logicamente desumere (pur con l'approssimazione data dal necessario ricorso al criterio prognostico) la possibilità di ricavare quantitativi di principio attivo della sostanza stupefacente senz'altro superiori alla soglia presuntiva indicata nel decreto dell'11 aprile 2006.
Va comunque osservato che l'introduzione del parametro di riferimento basato sul peso lordo della sostanza e, a fortiori, l'introduzione di quello basato sul principio attivo della sostanza (sul quale v. supra), al di là dell'immediata utilità per l'operatore di polizia, presentano comunque un indiscutibile vantaggio pratico: infatti sono in grado di contribuire a provocare una contrazione della domanda, laddove possono costringere indirettamente il consumatore ad approvvigionarsi, onde evitare il rischio della sanzione penale, di quantitativi più esigui di quelli cui finora, per comodità o per garantirsi una "scorta", è stato abituato.

Il frazionamento della sostanza stupefacente

Molto più utile è il criterio basato sulle "modalità di presentazione [della sostanza], avuto riguardo… al confezionamento frazionato": non ne è dubitabile la rilevanza indiziaria e l'ausilio soprattutto per le immediate determinazioni delle forze dell'ordine, giacchè detto frazionamento può far fondatamente ritenere che trattasi di sostanza stupefacente destinata ad essere venduta al dettaglio sul mercato illecito. Trattasi del resto di uno dei criteri che, tradizionalmente, finora, la giurisprudenza ha utilizzato per la dimostrazione della destinazione illecita della droga.

Le circostanze dell'azione

Quanto poi alle "altre circostanze dell'azione", nella relativa nozione (estremamente ampia) rientrano tutte le circostanze "oggettive" diverse da quelle espressamente codificate (quantitativo di principio attivo, peso lordo, frazionamento della sostanza) idonee a supportare logicamente la destinazione della sostanza ad un uso non esclusivamente personale: per esempio, vi rientrano le modalità di custodia della droga, le modalità spazio-temporali in cui è stato eseguito il sequestro della medesima; il ritrovamento di notevoli quantitativi di sostanza da taglio, ecc.(18).
L'utilità di tali circostanze ai fini della ricostruzione della destinazione della droga è talmente evidente da rendere superflui specifici commenti.
Piuttosto, va qui evidenziato che la circostanza della detenzione di sostanze stupefacenti di diversa natura, che non infrequentemente, viene utilizzata come elemento dimostrativo della destinazione allo spaccio (ciò argomentando sul ritenuto dato di comune esperienza che il tossicodipendente, come il tossicofilo, normalmente fa uso di una sola specie di stupefacente)(19), è in realtà equivoco e non può essere utilizzato sempre nella sua assolutezza. In effetti, nel caso della detenzione di sostanze di diversa qualità, si è in presenza di un dato che (solo unitamente agli altri) può effettivamente supportare il ragionamento probatorio della destinazione al mercato; mentre, ex se considerato, e cioè da solo, non è a tal fine sufficiente, essendo logicamente compatibile anche con una destinazione all'uso personale non foss'altro perché è usuale, per il tossicodipendente, il passaggio, nel tempo, dall'uso di sostanze meno dannose verso quelle più pesanti, stante l'effetto dell'assuefazione(20). In una tale prospettiva, la attribuzione di rilevanza al dato della diversa tipologia delle sostanze deve passare attraverso l'analisi delle complessive circostanze della vicenda, con particolare rilievo da attribuire ai quantitativi delle stesse.


Le circostanze soggettive

Come si è accennato, deve escludersi l'esaustività dei criteri indiziari, sì da ammettere la rilevanza solo di quelli espressamente elencati nella norma.
Al contrario, una più attenta riflessione consente di riconoscere rilievo anche ai criteri di natura soggettiva basati sulla qualità del trasgressore (tossicodipendente o no) e sulle condizioni di reddito del medesimo (compatibilità o no delle condizioni di reddito con l'acquisto per soddisfare un proprio uso personale).
Questa conclusione, lo si è più ampiamente argomentato supra, è imposta dal principio del libero convincimento e da quello dell'assenza di prove legali che caratterizzano la materia penale.
Anzi, proprio tali criteri soggettivi, se attentamente intesi, possono sciogliere gli eventuali dubbi interpretativi e condurre ad un sicuro apprezzamento sulla finalità della condotta (ergo, sulla destinazione della sostanza stupefacente).


L' "uso di gruppo"

Per completare il quadro della disciplina sanzionatoria, resta da spendere qualche considerazione sul cosiddetto "uso di gruppo" di sostanze stupefacenti.

La disciplina "ante" 2006

In effetti, prima del novum normativo del 2006, una questione di estremo interesse interpretativo, specie dopo gli esiti del referendum del 18-19 aprile 1993, era costituita dal trattamento sanzionatorio da riservare al c.d. "uso di gruppo" di sostanze stupefacenti, con particolare riguardo all'ipotesi in cui un soggetto avesse proceduto all'acquisto ed alla successiva cessione della sostanza per farne "uso di gruppo" unitamente ai terzi mandanti, che previamente gliene avevano affidato l'incarico.
Come si ricorderà, a comporre un significativo contrasto interpretativo [su cui è francamente inutile soffermare l'attenzione], erano intervenute le Sezioni unite, con una nota sentenza(21), dove, affrontando la questione controversa del trattamento sanzionatorio da riservare all'appartenente al gruppo che assuma l'incarico di procedere materialmente all'acquisto della droga da destinare all'uso comune, la Corte aveva aderito all'orientamento favorevole a considerare il fatto di mera rilevanza amministrativa.
Secondo le Sezioni unite, in sostanza, doveva ritenersi l'illecito amministrativo di cui all'articolo 75 del d.p.r. n. 309/90, e non il reato previsto dall'articolo 73 dello stesso d.p.r., non solo nel caso di "acquisto contestuale" di sostanza stupefacente per uso personale da parte di tutti gli appartenenti ad un gruppo, ma anche in quello in cui solo alcuni dei componenti del gruppo avevano proceduto all'acquisto della sostanza per conto (su "mandato") degli altri e poi avevano proceduto alla materiale suddivisione della stessa.
In estrema sintesi, per le Sezioni unite anche nell'ipotesi del "mandato ad acquistare" il fatto doveva considerarsi solo amministrativamente rilevante dovendosi applicare agli acquirenti in nome e per conto degli altri appartenenti al gruppo la disciplina civilistica del "mandato" e i relativi effetti quanto all'acquisto ed alla disponibilità della sostanza (articoli 1388 e 1706 del codice civile): tutti gli appartenenti al gruppo, in definitiva, fin da subito, proprio in ragione del mandato conferito acquisterebbero la disponibilità pro quota della sostanza, con l'effetto che la successiva ripartizione per l'uso in comune doveva considerarsi penalmente non significativa.

La "nuova" disciplina dell'"uso di gruppo"

La questione del trattamento sanzionatorio dell'"uso di gruppo" sembra però ormai definitivamente risolta a seguito del novum normativo introdotto nel 2006.
Basta porre attenzione alla nuova formulazione della fattispecie incriminatrice (cfr. articolo 73, comma 1 bis, lettera a), del d.p.r. n. 309/90), laddove questa è configurata come sussistente, tra l'altro, quando la condotta (per il quantitativo della sostanza e/o per gli altri parametri di riferimento ivi indicati), si palesi dimostrativa di "un uso non esclusivamente personale" della sostanza stupefacente.
Ne discende, in buona sostanza, il superamento dell'orientamento giurisprudenziale espresso dalle Sezioni unite (e poi seguito costantemente dalla giurisprudenza(22)), che, appunto, voleva confinare l'"uso di gruppo" in ambito esclusivamente amministrativo.
Dalla norma incriminatrice si ricava, infatti, in termini sufficientemente chiari, la riconosciuta rilevanza penale dell'uso personale che non sia esclusivamente "personale", avendo il legislatore preso una netta posizione negativa nei confronti della rilevanza solo amministrativa delle condotte in genere riconducibili all'"uso di gruppo".
Con il che, per il futuro, dovrebbe ammettersi ormai la rilevanza penale, non solo dell'uso di gruppo qualificato dal conferimento, esplicito o implicito, da parte degli appartenenti al gruppo, del "mandato ad acquistare" la droga solo ad uno o ad alcuni degli appartenenti al gruppo, ma anche dell'"uso di gruppo collettivo", qualificato dall'acquisto in comune della droga da parte di tutti gli appartenenti al gruppo per l'assunzione in comune. Nell'uno come nell'altro caso, infatti, l'uso non sarebbe esclusivamente "personale", e, per l'effetto, comunque di rilevanza penale.
Una conferma di tale inequivoca opzione ermeneutica la si ricava anche dal disposto del "nuovo" articolo 75, comma 1, del d.p.r. n. 309/90, laddove il fatto amministrativo, per quanto interessa, è costruito eccettuando le ipotesi "di cui all'articolo 73, comma 1 bis", quindi anche le ipotesi di detenzione che si palesino destinate "ad un uso non esclusivamente personale".
La scelta merita senz'altro condivisione ove si consideri che l'"uso di gruppo", almeno quando si caratterizza nella forma del cosiddetto "mandato ad acquistare", costituisce una condotta potenzialmente pericolosa della diffusione di sostanze stupefacenti: trattasi, a ben vedere, della condotta di "procurare ad altri", espressamente prevista e sanzionata penalmente nell'articolo 73, comma 1, del d.p.r. n. 309/90. Condotta per nulla meno pericolosa delle altre sanzionate dallo stesso articolo 73, ove si consideri che anch'essa finisce con il realizzare un'illecita diffusione (a terzi) della sostanza stupefacente non foss'altro perché, ove non vi sia chi si assuma l'incarico di procurare la droga, gli altri appartenenti al gruppo non ne potrebbero ottenere la disponibilità e/o, comunque, per soddisfare il proprio bisogno personale, dovrebbero organizzarsi diversamente (accettando, ad esempio, il rischio di un acquisto effettuato in prima persona).
La presa di posizione del legislatore del 2006 è, in tutta probabilità, eccessivamente rigorosa per quanto attiene l'"uso di gruppo" caratterizzato dall'acquisto in comune della droga da parte degli assuntori: trattasi, infatti, di una condotta che non realizza un'indebita diffusione della sostanza stupefacente da chi materialmente acquista la droga a chi si limita solo ad assumerla, giacché all'operazione procedono congiuntamente tutti i soggetti.
Peraltro, la formulazione letterale della norma, con l'inequivoco riferimento alla rilevanza penale di qualsivoglia usa "non esclusivamente personale", non consente interpretazioni correttive tali da consentire una rilevanza solo amministrativa dell'uso personale non meramente individuale, ma in forma collettiva.
Piuttosto, tale situazione potrà essere considerata, per l'evidente minore gravità, nella ricorrenza delle condizioni di legge, per la possibilità applicabilità della circostanza attenuante del "fatto di lieve entità" di cui all'articolo 73, comma 5, del d.p.r. n. 309/90.


Considerazioni conclusive

Quanto sopra esposto in ordine alla funzionalità del nuovo sistema sanzionatorio degli stupefacenti trova un conforto nella esperienza operativa. In effetti, pur con le riserve parziali di cui si è detto (soprattutto in ordine alla immediata, satisfattiva utilità dei - o di alcuni dei - parametri per l'attività della polizia giudiziaria), può ben dirsi che le prime applicazioni giurisprudenziali paiono sufficientemente univoche sul significato di tali parametri e, soprattutto, che, proprio grazie ai parametri indiziari, non solo si evitano irragionevoli disparità di giudizio tra quanto apprezzato dalla polizia giudiziaria e quanto poi ritenuto dal giudice, ma si attribuisce anche una maggiore certezza operativa in una materia oltre modo delicata: ciò che consente di perseguire meglio lo "spacciatore", senza fare finire nel circuito penale il mero assuntore, sorpreso a detenere la sostanza stupefacente.
Mentre le riserve sulla parificazione delle sostanze stupefacenti (ma supra si è visto come tale parificazione non sia in effetti assoluta, ma anzi risulti tuttora consentito distinguere tra le diverse sostanze vietate) trovano una risposta nel rilievo che si tratta pur sempre di una parificazione che riguarda il trattamento di condotte illecite, siccome "destinate ad un uso non esclusivamente personale".


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(1) Tra le altre, Cassazione, Sezione VI, 29 aprile 2003, Pezzella; Sezione VI, 2 novembre 2004, Sandri.
(2) Cfr. sentenza 23 marzo 1996 n. 26.
(3) V., in passato, per la pianta della catha edulis, solo di recente inserita nella tabella I delle sostanze vietate, così come il principio attivo della catina da essa estraibile: cfr. Cassazione, Sezione VI, 23 giugno 2003, Hassan Osman, e Sezione IV, 18 aprile 2005, Hassan ed altro; di recente, per i semi della rosa hawaiana: cfr. Cassazione, Sezione I, 16 febbraio 2007, Barbieri.
(4) Cfr. il decreto del Ministro della salute del 25 settembre 2007.
(5) Tra le tante, di recente, Cassazione, Sezione IV, 15 novembre 2005, D'Ambrosio; Sezione IV, 19 gennaio 2006, Colantoni.
(6) Sentenza 24 luglio 1995 n. 360.
(7) Cassazione, Sezione VI, 15 febbraio 2007, Casciano, in una fattispecie nella quale la Corte ha quindi rigettato il ricorso avverso la sentenza di condanna pronunciata in una vicenda in cui si contestava all'imputato, tra l'altro, la coltivazione di 14 piante di marijuana.
(8) Sezione VI, 18 gennaio 2007, Notaro; in termini, v. anche Sezione VI, 20 giugno 2007, Proc. Rep. min. Sassari in proc. Satta.
(9) Tra le tante, Cassazione, Sezione VI, 2 novembre 2004, Sandri; Sezione IV; 4 giugno 2004, Vidonis.
(10) Sezione IV, 4 maggio 2007, Proc. Rep. Trib. S. Maria Capua Vetere in proc. Torres.
(11) Cfr., per utili spunti, Cassazione, Sezione IV, 8 febbraio 2005, Proc. gen. App. Firenze in proc. Ramsi.
(12) In tal senso, di recente, Cassazione, Sezione IV, 30 novembre 2005, Garuccio; nonché, Sezione IV, 28 ottobre 2005, Secchi.
(13) Cfr., tra le tante, Cassazione, Sezione IV, 29 settembre 2005, Frank Williams.
(14) Cfr. Cassazione, Sezione IV, 20 giugno 1996, Miranda.
(15) Ordinanza 14-15 marzo 2007 n. 1155.
(16) Sentenza 14-21 marzo 2007 n. 2487.
(17) Cfr., esemplificando, le "tabelle" in proposito redatte dai Comandi provinciali dei Carabinieri di Palermo e di Bolzano.
(18) Per utili riferimenti, di recente, Cassazione, Sezione IV, 8 luglio 2005, Orlando.
(19) Cfr. Cassazione, Sezione IV, 6 giugno 2000, Proc. gen. App. Bologna ed altro in proc. Scarpellini.
(20) Cfr., di recente, efficacemente, Tribunale Napoli, 29 maggio 2006, Coladangelo ed altro; ma v. Cassazione, Sezione VI, 14 maggio 2003, Isacchi.
(21) Sentenza 28 maggio 1997, Proc. Rep. Trib. Modena in proc. Iacolare.
(22) Tra le tante, Cassazione, Sezione IV, 5 maggio 2005, Rossi; Sezione IV, 13 luglio 2005, Ciotola.

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