GNOSIS 1/2008
Contenere e gestire le ingerenze dei Fondi Sovrani di investimento nell’economia nazionale Fondi Sovrani e sovranità nazionale |
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Questa attività di gestione patrimoniale “sovrana” pone interrogativi relativi sia all’interesse nazionale sia alla sicurezza nazionale degli Stati oggetto degli investimenti. L’incremento della partecipazione straniera in un settore dell’economia interna è sicuramente un problema di interesse nazionale. Ma vi è il rischio che i piani di investimento di un Fondo Sovrano possano anche “nascondere” progetti di controllo di tecnologie (di natura industriale, finanziaria o militare) del Paese ove il Fondo Sovrano investe, o di acquisizione di “posizioni dominanti” in imprese detentrici di brevetti, o di controllo “a fini ostili” di infrastrutture critiche (telecomunicazioni, energia o porti) o di accesso alle risorse naturali, considerate strategiche in quanto “leve di comando” dell’economia nazionale. Il problema che si intende evidenziare è che un’entità governativa che opera al di fuori dei suoi confini non è più “sovrana” e deve necessariamente considerare la ricerca di “soluzioni cooperative” con gli ambienti nei quali (e con cui) vuole operare. Il rapporto tra Fondi Sovrani e sovranità nazionale (e, dunque, interessi e sicurezza nazionale) si modifica in uno scenario di globalizzazione. In tal caso la “sovranità nazionale” deve essere “negoziata” e la libertà di manovra (anche in termini di scelte di portafoglio) dei “Fondi Sovrani” appartiene ai fattori da negoziare. E’ importante capire se, al di là di aspetti concorrenziali che richiedono una tutela dell’interesse nazionale, la gestione patrimoniale di uno Stato sovrano possa determinare una prospettiva di ingerenza nelle scelte future del Paese-obiettivo. Il problema sta, dunque, in una prospettiva di governance dell’ingerenza, a livello globale e nazionale. La ricerca di soluzioni cooperative al problema dell’ingerenza causata da investimenti sovrani è un processo in atto solo da parte dei Paesi industrializzati. La posizione dei Paesi emergenti è, invece, attendista e critica. Nel rapporto tra Fondi Sovrani e sovranità nazionale, le alternative per gestire l’ingerenza in una prospettiva di governance, globale e nazionale, sono state individuate in un insieme di “best practice” internazionali (soluzione “soft”) e nel miglioramento di regolamentazioni già esistenti o nell’introduzione di altre non presenti (soluzione “hard”). Delle due alternative, la soluzione “soft” richiederebbe una condivisione con i Paesi emergenti (nella loro adozione volontaria delle “best practice” definite in sede Fondo Monetario Internazionale e Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico). Viceversa, la soluzione “hard” sarebbe unilaterale e si concretizzerebbe in una attività interna di “calibrazione” delle regolamentazioni esistenti alle nuove dinamiche di globalizzazione finanziaria, adeguamento che nulla avrebbe a vedere con quelle misure di “protezionismo finanziario” tanto (giustamente) bandite. Il focus del presente articolo è stato posto sulle implicazioni dei meccanismi di “agenzia” tra agente (i fund manager esterni) e principale (gli amministratori dei Fondi Sovrani) nelle scelte di portafoglio per i patrimoni da investire. In particolare, ci si è soffermati sul rischio di conflitto di interessi laddove vi siano manager che curino contemporaneamente sia la gestione di asset dei Fondi Sovrani sia portafogli individuali o istituzionali (nazionali o esteri). In tal senso sono stati evidenziati i molteplici rischi legati all’outsourcing nella gestione patrimoniale (informazione nascosta, o “adverse selection”: azione nascosta o “moral hazard”; aumento dei costi di transazione causato da un’eccessiva frammentazione delle funzioni di consulenza; scarsità di esperti causata da una complessità operativa progressivamente maggiore; corruzione e “insider trading”). L’incidenza delle due alternative (“soft” e “hard”) sul potenziale conflitto di interessi è diversa in quanto diversi sono i rischi sui quali le due soluzioni si concentrano, trattando l’alternativa “soft” un rischio “esogeno” all’investimento (la volontà straniera di ingerire su settori sensibili dell’economia del Paese investitore) e l’alternativa “hard” un rischio “endogeno” all’investimento (il rischio di conflitto di interessi insito nel deterioramento del “meccanismo di agenzia”). La maggiore necessità di una alternativa “hard” è rappresentata dalla pericolosità del rischio “endogeno”, allorquando questo venga "accettato" dagli amministratori del Fondo
Un fenomeno nuovo Il 5 febbraio scorso, l’agenzia Reuters ha diffuso la notizia(1) dell’acquisizione, da parte di ING Real Estate (società del gruppo olandese ING) e Government of Singapore Investment Corporation Real Estate (business unit della Government of Singapore Investment Corporation -GIC-), del “Centro Commerciale ROMAEST” dal gruppo italiano di distribuzione alimentare PAM, con un investimento pari a 592,5 milioni di dollari. Questa transazione è la più importante tra quelle concluse in Italia relative ad una singolo bene (asset) immobiliare(2). ROMAEST, il più grande centro commerciale d’Italia, è stato inaugurato il 31 Marzo 2007, è situato a Lunghezza (14 km dal centro di Roma), e si sviluppa su un totale di circa 136.000 m2, con una galleria di 220 negozi, un ipermercato e un modernissimo complesso cinematografico multisala. Il bacino di clientela potenziale della nuova struttura è di oltre un milione di persone. L’11 marzo scorso, sempre dall’agenzia Reuters si è acquisita l’informazione(3) relativa all’accordo preliminare per l’acquisizione da parte di Government of Singapore Investment Corporation (GIC) del 14% del capitale di Sintonia Sa, holding lussemburghese controllata al 66,6% dalla famiglia Benetton e partecipata da Mediobanca e Goldman Sachs(4). L’accordo prevede due fasi (acquisizione del 3% del capitale attuale di Sintonia e sottoscrizione di un successivo aumento di capitale da parte di quest’ultima) che consentiranno al GIC di raggiungere il 14,3%, con un investimento complessivo pari ad 1,54 miliardi di dollari. Uno Stato (Singapore) investe, dunque, direttamente in un altro Stato (Italia). La Government of Singapore Investment Corporation (GIC) nasce, infatti, nel 1981 come uno dei primi fondi di investimento a finanziamento statale. La sua dotazione (stimata in 330 miliardi di dollari) è gestita su mandato del Governo nazionale. Queste due operazioni finanziarie sono rappresentative di un fenomeno nuovo rispetto a quello tradizionale dei flussi internazionali di investimento (sia di portafoglio sia diretti) originati da multinazionali (private o pubbliche).Oggi alcuni Governi, in particolare di Paesi emergenti, esercitano il ruolo di investitore sui mercati finanziari internazionali utilizzando propri patrimoni, costituiti nella forma di “Fondi Sovrani di Investimento” (FSI, di seguito noti come Sovereign Wealth Funds -SWFs-), amministrati in maniera separata dal bilancio statale, solitamente tramite management privati, e finanziati da entrate derivanti dalla gestione delle risorse naturali, da avanzi fiscali o da riserve internazionali. Questa attività di gestione patrimoniale “sovrana” pone interrogativi relativi sia all’interesse nazionale sia alla sicurezza nazionale degli Stati oggetto degli investimenti. L’incremento della partecipazione straniera in un settore dell’economia interna è sicuramente un problema di interesse nazionale. Ma vi è il rischio che i piani di investimento di un Fondo Sovrano possano anche “nascondere” progetti di controllo di tecnologie (di natura industriale, finanziaria o militare) del Paese ove il Fondo Sovrano investe, o di acquisizione di “posizioni dominanti” in imprese detentrici di brevetti, o di controllo “a fini ostili” di infrastrutture critiche (telecomunicazioni, energia o porti) o di accesso alle risorse naturali, considerate strategiche in quanto “leve di comando” dell’economia nazionale. Il problema che si intende evidenziare è che un’entità governativa che opera al di fuori dei suoi confini non è più “sovrana” e deve necessariamente considerare la ricerca di “soluzioni cooperative” con gli ambienti nei quali (e con cui) vuole operare(5). Il rapporto tra Fondi Sovrani e sovranità nazionale (e, dunque, interessi nazionali e sicurezza nazionale) si modifica in uno scenario di globalizzazione. In tal caso la “sovranità nazionale” dello Stato-investitore deve essere “negoziata” e la libertà di manovra (anche in termini di scelte di portafoglio) dei FSI appartiene ai fattori da negoziare. E’ importante capire se, al di là di aspetti concorrenziali che richiedono una tutela dell’interesse nazionale, la gestione patrimoniale di uno Stato sovrano possa determinare una prospettiva di ingerenza nelle scelte future del Paese-obiettivo. Il problema sta, dunque, in una prospettiva di governance dell’ingerenza, a livello globale e nazionale. Molto è stato scritto finora sui FSI, tanto da comprendere cosa siano, come operino e dove possano insinuarsi i pericoli(6). In questo articolo si è scelto, invece, di proporre un ulteriore punto di vista, molto sensibile ma trattato marginalmente per la sua complessità. Usualmente, i FSI sono amministrati da fund manager esterni, a causa della poca “conoscenza” in tecnologie finanziarie possedute dalle economie emergenti. L’outsourcing nell’asset management dei FSI può generare un “conflitto di interessi”, laddove vi siano fund manager che curino contemporaneamente sia la gestione di asset dei Fondi Sovrani sia portafogli individuali o istituzionali (nazionali o esteri). Questo meccanismo di delega, a causa dell’asimmetria informativa che lo caratterizza, può nascondere rischi potenziali molto elevati sui quali ci soffermeremo. I mercati finanziari: quali rischi per il sistema? I FSI esistono almeno dagli anni ‘50(7) , ma la loro dimensione a livello mondiale si è notevolmente incrementata negli ultimi 10-15 anni. Molteplici sono i motivi alla base di questa accelerazione, spesso differenti per Paese. In linea generale, la crescita progressiva a livello mondiale dei tassi di interesse reali, la maggiore capacità di “assorbimento”(8) dei Paesi esportatori di petrolio e gas, e la minore capacità di controllo da parte delle Banche Centrali degli andamenti globali degli asset finanziari, hanno indotto i Governi dei Paesi emergenti a diversificare la natura degli stock patrimoniali detenuti, muovendo dai tradizionali titoli di Stato (ad elevata affidabilità ma a basso rendimento) verso una gestione con una aspettativa di rendimento superiore (anche se più rischiosa). In generale, è riduttivo interpretare il fenomeno dei Fondi Sovrani come “il ritorno dello Stato-padrone” o “la globalizzazione guidata dagli Stati” o “una nazionalizzazione transfrontaliera” in quanto simili rappresentazioni non colgono la reale novità dello stesso. Brad Setser (2008) ne ha offerto una spiegazione più adatta al nuovo contesto. L’emergere dei Fondi Sovrani rappresenta, secondo Setser, il risultato inevitabile del ruolo dominante dello Stato, nell’attuale processo di globalizzazione finanziaria, favorito da un insieme di eventi (tra i quali la crescita esplosiva della Cina e l’aumento dei prezzi dell’energia) e di politiche (la gestione dei cambi in Asia e gli avanzi fiscali dei Paesi esportatori di materie prime) scaturito in una concentrazione di
E’ possibile, comunque, una valutazione dei rischi sistemici per i mercati finanziari derivanti dalle loro attività, partendo dagli obiettivi di massima e dalle modalità operative tipiche di un FSI. Una prima impressione degli obiettivi generali può essere tratta dall’analisi delle fonti di finanziamento tipiche, dunque: - una gestione diversificata per una parte degli asset di riserva internazionale; - il bilanciamento intertemporale dei flussi di reddito di natura commerciale; - l’amministrazione finanziaria degli asset pensionistici; - il trasferimento intergenerazionale della ricchezza nazionale. Le modalità generiche di gestione di un investimento sovrano sono in termini di: 1. fondi bilanciati Investono in obbligazioni ed azioni, evitando partecipazioni dirette in governance aziendali. Esempi sono l’Abu Dhabi Investment Authority (ADIA), la Kuwait Investment Authority (KIA), il Government Pension Fund norvegese, la già citata Government Investment Corporation (GIC) di Singapore, la China Investment Corporation (CIC) ed il National Welfare Fund russo; 2. fondi azionari Sono “veicoli di investimento”, sul modello dei fondi di private equity, che acquistano partecipazioni basandosi sulla “leva finanziaria” (leverage) con obiettivi di elevato rendimento. Esempi sono il fondo di Singapore Temasek Holdings(14), il fondo gestito dalla Qatar Investment Authority(15), il fondo emiratino Mudabala Development Company ed i “veicoli di investimento” di Dubai, Istithmar(16), Investment Corporation of Dubai (ICD)(17) ,Dubai International Center (DIC)(18) e Dubai Group; 3. società controllate dallo Stato Esempi di “società a capitale pubblico” impegnate in attività di investimento (diretto e di portafoglio) all’estero sono la Abu Dhabi National Energy Company PJSC, la China National Off-shore Oil Corporation (CNOOC), la Gazprom e la Lukoil russe ed i gruppi aziendali dei Paesi del Golfo (ad esempio, Dubai World(19). Recentemente la presenza dei FSI si è posta in evidenza per i “salvataggi” operati sul mercato del credito internazionale a parziale copertura delle perdite delle grandi banche mondiali, in crisi a causa delle insolvenze nei mutui subprime statunitensi. Nella Tabella 2 si riportano i casi più eclatanti di banche e di società finanziarie internazionali che (ad eccezione della transazione relativa a Barclays(20)) hanno ceduto quote azionarie a finanziamento di per
I conflitti di interesse nell’asset management dei Fondi Sovrani La presenza di Stati sovrani come investitori sui mercati finanziari internazionali genera molteplici "fallimenti del mercato"(21): a. per la maggiore flessibilità del vincolo di bilancio statale rispetto a quello di un operatore privato; b. per la maggiore affidabilità dei FSI rispetto ad un’azienda. Un esempio della distorsione creata è l’attribuzione da parte dell’agenzia Moody's Investors Service di un rating “A1” a “Dubai Holding Commercial Operations Group”, motivando il giudizio con il suo stretto legame con il Governo di Dubai. In pratica, il rating non è sostenuto dalla capacità aziendale ma dalla garanzia della forza finanziaria e dall’affidabilità creditizia dell’Emirato; c. per la scarsa trasparenza in materia di governance, in materia di composizione del loro portafoglio e relativamente ai criteri di scelta degli obiettivi di investimento dei FSI. Le condizioni a. e b. hanno implicazioni in termini di “informazione nascosta” (adverse selection) e di “azione nascosta” (moral hazard). L’outsourcing nell’asset management di un FSI determina una “relazione di agenzia” (nota in economia come “problema agente/principale”) nella quale l’agente agisce per conto di un principale e si suppone che questa sua azione avvenga per promuovere l’interesse di quest’ultimo. Il problema sorge quando l’agente e il principale hanno interessi diversi, e quest’ultimo non è in grado di verificare l’efficienza nelle scelte operate. L’asimmetria informativa consente, allora, il verificarsi di comportamenti opportunistici di tipo precontrattuale (adverse selection) e postcontrattuale (moral hazard). A livello precontrattuale, i manager esterni del FSI possono comunicare solo alcune delle informazioni in proprio possesso, inducendo gli amministratori goverativi del FSI a scelte inefficienti. Nel corso dell’esecuzione del contratto, poi, la presenza dello Stato come “prestatore di ultima istanza” di un FSI può consentire ai manager esterni del FSI la riduzione degli accorgimenti cautelativi adottati per assicurare l’efficiente gestione patrimoniale, perseguendo il proprio interesse a spese della controparte. Ad esempio, i manager esterni, consapevoli del fatto che in caso di difficoltà potranno disporre di nuovi finanziamenti, si potrebbero impegnare in operazioni più rischiose prestando minore attenzione ai problemi di solvibilità, garantendosi, comunque, commissioni elevate a spese dello Stato-investitore. L’elusione degli obblighi contrattuali o etici, nel moral hazard, avviene, infatti, per mancanza di incentivi o di sanzioni. L’industria del “sovereign private equity management” è già un fenomeno di rilievo per le dimensioni assunte. I FSI si stanno trasformando in uno dei principali attori dell’industria mondiale dell’asset management, il cui valore è stato stimato da Merrill Lynch nel 2007 in 1,5 mila miliardi di dollari (con proiezioni a 3 mila miliardi di dollari nel breve periodo), generatore di commissioni tra 4 e 8 miliardi di dollari. Molte società di private equity si stanno rapportando direttamente ai FSI mediorientali ed asiatici anche per il forte periodo di crisi che l’industria del private equity sta fronteggiando. Attualmente almeno il 20% degli [asset dei Fondi Sovrani sono amministrati da team indipendenti di banche d’affari, da fund manager privati, o da consulenti di investimento. L’appetibilità delle commissioni offerte sta attirando anche i principali studi legali internazionali. Charlotte Edmond ed Emma Sadowski (2008) hanno evidenziato come “sia visibile un trend per il quale importanti studi legali internazionali stiano puntando in maniera decisa al settore della consulenza a Fondi Sovrani”, assumendo iniziative di carattere strategico in Medio Oriente ed in Asia(22). E’ verosimile, dunque, in futuro l’aumento di funzioni di advising sempre più “strutturate”, ossia suddivise nelle competenze tra banche d’affari e studi legali con una ulteriore crescita nei costi di transazione. Un esempio di tale “strutturazione” è lo schema applicato allo start-up del nuovo fondo di private equity che si sta costituendo tra la China Investment Corporation (che ha apportato 4 miliardi di dollari) e la statunitense JC Flowers con sei studi legali coinvolti(23). Per quanto riguarda la condizione c., dietro la citata scarsa trasparenza nella gestione dei FSI, spesso, si nasconde un’elevata delega nella gestione operativa, in questo caso non al manager esterno del fondo, bensì al “general partner”(24), ossia all’azionista di maggioranza che opera le scelte. In questo caso il rischio di “azione nascosta”, ossia di non osservabilità di certe azioni, è insito nella governance dell’azienda. Frequentemente, infatti, i FSI scelgono di rinunciare a presiedere attivamente ai Consigli di Amministrazione o a detenere pacchetti azionari che diano poteri di comando o di controllo societario, per il motivo dichiarato di voler evitare le controversie che animano questi organi di direzione(25). Queste rappresentazioni sembrerebbero identificare maggiori rischi potenziali per l’investitore sovrano che per la controparte (gestori di fondi, aziende partecipate). In realtà l’assunzione di questi rischi da parte del FSI potrebbe essere motivata da obiettivi “occulti” per il perseguimento dei quali gli Stati investitori potrebbero usufruire anche di “complicità” da parte degli stessi fund manager esterni o da parte delle stesse aziende partecipate. Al riguardo, in occasione dell’audizione al Committee on Banking, Housing, and Urban Affairs del Senato statunitense, il professor Edwin M. Truman (Peterson Institute for International Economics di Washington)(26), oltre ai maggiori rischi di incertezza ed instabilità causati dalla gestione di asset internazionali da parte di Stati(27) e di perseguimento di obiettivi di acquisizione di potere economico o politico nei Paesi oggetto degli investimenti sovrani(28), ha posto l’enfasi sul conflitto di interessi nel fund management internazionale, laddove vi siano manager che curino contemporaneamente sia la gestione di asset dei Fondi Sovrani sia portafogli individuali o istituzionali (nazionali o esteri). I rischi evidenziati da Truman riguardano principalmente la corruzione(29), preoccupazione che ha trovato supporto nell’allarme lanciato dalla Security and Exchange Commission (SEC) statunitense relativo a possibilità di insider trading(30) legate al potenziale utilizzo illecito di informazioni sensibili alle quali i FSI potrebbero accedere tramite i business plan di importanti gruppi mondiali, da loro partecipati. Jeffrey Garten (professore alla Yale School of Management ed ex funzionario del Dipartimento del Commercio statunitense nell’Amministrazione Bill Clinton) ha affermato che, in futuro, i FSI rivolgeranno la loro offerta di finanziamento verso strumenti sempre più complessi che rendano difficoltoso sia il tracciamento degli investimenti sia la valutazione della loro pericolosità. Dall’altro lato, i FSI già trovano una crescente domanda di fondi da parte delle società di private equity, in presenza di restrizioni nell’offerta di credito da parte delle banche. Alla crescente richiesta di fondi si associa l’offerta di know-how nelle tecnologie finanziarie, di cui i FSI hanno particolare esigenza. La capacità disponibile di asset management skill tenderà a ridursi progressivamente con la commistione crescente tra investimenti di uno Stato sovrano, hedge funds e Sharia’a-complaint banking.(31) Competenze così specifiche favoriranno una forte concentrazione delle funzioni di consulenza ed ulteriori conflitti di interesse. Diventa importante, allora, ipotizzare i trend futuri nella composizione di portafogli sovrani data la ricerca di un rendimento negli investimenti, e considerata una certa avversione al rischio. Stephen Jen e Luca Bindelli, di Morgan Stanley, hanno formulato un’ipotesi, distinguendo ciascun asset in base alle prospettive di interesse futuro per i FSI: 1. risorse naturali Negli ultimi 20 anni il petrolio greggio ha generato rendimenti inferiori ai livelli attesi, mostrando un’elevata volatilità, anche e soprattutto in rapporto con i corsi azionari. E’ verosimile, dunque, che alcuni Paesi (in particolare, i Gulf Cooperation Countries - GCC) investiranno i propri redditi petroliferi nei mercati azionari con superiori aspettative di rendimento; 2. mercati azionari dei Paesi emergenti Negli ultimi 20 anni le azioni di Paesi emergenti hanno generato oltre 700 punti base di rendimento in più rispetto alle obbligazioni statali. Poiché molti dei principali FSI appartengono a Paesi emergenti, la propensione all’investimento verso i loro stessi mercati interni risulterà decisamente maggiore; 3. mercati azionari dei Paesi industrializzati L’ipotesi di un riequilibrio generalizzato dei portafogli verso le economie dei Paesi emergenti implicherà, in una prospettiva di lungo termine, un minor peso del Dollaro e dell’Euro nei panieri dei FSI, ed un maggiore rilievo per Yen giapponese e Yuan cinese; 4. rapporto rendimento/rischio La gestione di prodotti finanziaristrutturati richiede una forte specializzazione(32). La differenza nei costi di gestione varia in modo significativo in relazione alla tipologia di rendimento/rischio e all’atteggiamento assunto dal manager.
Nell’ambito di un periodo di gestioni alpha garantite da manager esterni (molto più competitivi), è verosimile che molti FSI accettino anche una maggiore componente beta nei loro portafogli pur di avviare una gestione autonoma dei loro patrimoni.(33) Un trend simile potrebbe anche essere favorito dall’esistenza di una diaspora di banchieri musulmani ed asiatici (con forti esperienze nelle principali piazze d’affari del mondo) pronti a rientrare nei loro Paesi di origine ad assumere ruoli importanti nella gestione dei Fondi Sovrani nazionali. In prospettiva, dunque, sempre più FSI preferiranno investire in Paesi emergenti. Il trend è già visibile in alcuni progetti quali, ad esempio, quelli: - di China Investment Corporation (CIC) e Government of Singapore Investment Corporation (GIC, quest’ultima, nel settore infrastrutturale e della ristrutturazione di imprese statali) a beneficio di attività economiche interne alla Cina; - dei Gulf Cooperation Countries, interessati ad investire una quota dei propri Fondi Sovrani in progetti di sviluppo in Asia (in particolare, Dubai International Capital ha pianificato investimenti per circa 5 miliardi di dollari in Cina, India e Giappone nei prossimi tre anni); - della joint venture “ADIC-UBS Infrastructure Fund - I” tra Abu Dhabi Investment Company e UBS, la quale ha destinato una aliquota della propria dotazione iniziale (500 milioni di dollari) ad investimenti focalizzati sulla regione del Medio Oriente e Nord Africa; - di Temasek Holding, il cui investment manager, Fullerton Fund Management, ha comunicato che saranno posti sul mercato asiatico fondi investiti in Medio Oriente e Nord Africa. Il collocamento dei fondi sarà realizzato da EFG-Hermes Asset Management. Restano, comunque, motivi di forte profittabilità degli investimenti sovrani negli Stati Uniti. Viktor Fleisher (2008) ha evidenziato, infatti, l’esistenza di esenzioni fiscali per gli investimenti di fondi (o entità controllate) di Stati esteri. La Sezione 892 dell’Internal Revenue Code esenta i Governi stranieri dall’imposta sul reddito da attività di investimento passivo, mentre impone ad individui ed aziende straniere il pagamento di aliquote entro il 30%, a seconda degli accordi bilaterali e della natura dell’investimento. In tal modo, il Code ha l’effetto implicito di “sussidiare” i capitali di Stati esteri, in particolare se fonte di finanziamento per le aziende interne, pur “spiazzando” l’investimento privato. Il fenomeno consente un margine di “arbitraggio fiscale” molto elevato. Secondo Fleischer, i FSI dovrebbero, invece, essere tassati allo stesso modo degli investitori privati così da ridurre il vantaggio comparato nell’arbitraggio effettuato da un FSI. Una tale misura sarebbe, però, percepita non come “misura di equità concorrenziale” (ponendo i FSI al livello di un qualsiasi investitore privato estero) bensì come “protezionista”, tesa a diminuire gli investimenti attuali, a scoraggiare quelli futuri e a sollevare critiche e proteste da parte delle diverse lobby finanziarie in quanto l’introduzione di un’imposta aumenterebbe il tasso di rendimento richiesto per poter considerare profittevole l’investimento. Gestire l'ingerenza Nella ricerca di una soluzione al problema del rapporto tra Fondi Sovrani e sovranità nazionale, le alternative per gestire l’ingerenza (come dato incontrovertibile di una presenza finanziaria statale straniera in settori pubblico e privato interni) in una prospettiva di governance globale e nazionale sono due: - un insieme dibest practices internazionali (soluzione soft, dove l’aggettivo corrisponde alla considerazione in sede multilaterale degli aspetti “minimi” di un investimento sovrano che possano collidere con gli interessi nazionali); - il miglioramento di regolamentazioni già esistenti o l’introduzione di altre non presenti (soluzione hard, dove l’aggettivo corrisponde alla difficoltà applicativa causata dai contrasti che diverse lobby creerebbero). La percezione che si può trarre dalle discussioni negli ambienti governativi riportate dalla stampa è una netta preferenza verso la soluzione soft, ossia verso un accordo internazionale su alcune best practice (ad adozione volontaria) da applicare agli investimenti sovrani tali da garantire un livello minimo di trasparenza informativa pur senza scoraggiare gli investimenti stessi. Viceversa la soluzione hard richiederebbe il miglioramento delle regolamentazioni nazionali, comunitarie ed internazionali, relative a fenomeni già esistenti, (come ad esempio, gli hedge funds(34)), calibrandole agli aspetti innovativi introdotti dai FSI. Soluzione soft (intergovernativa) Nella Dichiarazione finale del G7 di Heiligendamm (Germania) del giugno 2007 già si ritrovava l’impegno a minimizzare ogni restrizione nazionale agli investimenti esteri(35). All’interno del gruppo dei Paesi industrialilizzati si individuano due grandi assi lungo i quali si sta sviluppando il dibattito sui FSI: l’Europa (Regno Unito, Francia e Germania) e gli Stati Uniti, con il Canada e Giappone attori (per ora) residuali e l’Italia attore passivo. In Europa il dibattito è molto frammentato e forti differenze si registrano sia in sede comunitaria sia in sede nazionale. I due capisaldi dell’atteggiamento dell’Unione Europea nei confronti del FSI sono rappresentati dalle dichiarazioni del Presidente della Commissione Europea, il portoghese José Miguel Barroso, ad Oslo (25 febbraio 2008)(36) e dal documento "A common european approach to Sovereign Wealth Funds", discusso al Consiglio Europeo del 13- 14 marzo 2008(37). La principale preoccupazione della Commissione Europea è di evitare una “risposta non coordinata” ai FSI, agevolando ed incentivando, invece, la cooperazione dei Paesi membri nella formulazione di un “codice di condotta” che il Fondo Monetario Internazionale (FMI) e l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) stanno redigendo(38) Tale “codice” si sostanzia in un insieme di best practice, la cui adozione sia volontaria da parte dei FSI e tenga conto delle prerogative dei Paesi destinatari dell’investimento. Diverse sono le contraddizioni che emergono nella posizione comunitaria: - le vulnerabilità riconosciute dall’irlandese Charlie McCreevy, Commissario europeo al Mercato interno, relative alla presenza in Europa di "società" (più che patrimoni) controllate da Stati (tipo la Gazprom) (39) che non sembra saranno considerate nell’ambito del “codice di condotta” in redazione; - la spaccatura interna all’Unione Europea tra l’opzione di “risposta comunitaria diretta” ai FSI (auspicata da Parigi) e di “adeguamento” al codice di condotta multilaterale (soluzione ritenuta più opportuna da Londra); - la posizione di Berlino, che sembra stia predisponendo una riforma della propria legislazione interna (il "Foreign Business Act") a protezione delle società tedesche da acquisizioni da parte di Stati esteri attraverso investimenti sovrani(40); - le “palesi dichiarazioni” di interesse espresse nei confronti di un’ipotetica istituzione di un Fondo Sovrano nazionale dal Ministro dell’Economia francese, Christine Lagarde, la quale si sarebbe “mostrata” interessata da un’ipotesi di FSI con dotazione iniziale tratta dal fondo statale "Caisse des Dépôts et Consignations"(41); - l’auspicio, espresso a titolo personale, dall’Ambasciatore John Bruton, rappresentante dell’Unione Europea negli Stati Uniti della creazione in Europa di un meccanismo di verifica tipo "Committee on Foreign Investments in the United States" (CFIUS) statunitense. Negli Stati Uniti l’atteggiamento verso i FSI è di grande diffidenza e sostanzialmente uniforme sia a livello governativo, sia congressuale. Il Sottosegretario al Tesoro per gli Affari Internazionali statunitense, David McCormick, nella sua testimonianza del 5 marzo 2008 davanti al Sottocomitato sui Servizi Finanziari della House of Representatives statunitense ha spiegato come "(...) i sentimenti protezionisti derivano in gran parte dall’assenza di informazione e di comprensione relativamente ai Fondi Sovrani di Investimento (...) Una migliore informazione e comprensione da entrambi i lati dell’investimento è dunque necessaria." Negli Stati Uniti è già esistente un meccanismo di verifica degli investimenti esteri, approfondito e vincolante, rappresentato dal CFIUS(42). Nonostante questo, in seno al Congresso, il Senatore di New York, Charles Schumer, ha anticipato lo studio di un provvedimento di legge per migliorare la trasparenza dei FSI ed assicurare che, tramite questi, non si possano perseguire “motivazioni non economiche”. Contestualmente, è stata anche costituita una taskforce bipartisan (coordinata dall’House Financial Services Committee) per studiare gli effetti degli investimenti sovrani sull’economia statunitense e sulla sicurezza nazionale. La principale preoccupazione del Congresso è che il "first best" multilaterale (FMI/OCSE) possa fallire. In tal caso andrebbe ipotizzata una legislazione che possa rappresentare un "second best" bilaterale(43). Le preoccupazioni di raggiungere una posizione "agreed" da parte del G7 e la ricerca di un negoziato con i Governi controllori dei FSI ha creato una percezione di “ostilità” crescente anche nei Paesi emergenti verso Europa e Stati Uniti. Nel mondo arabo sono state rappresentative le dichiarazioni del Presidente di Dubai World, Sultan Ahmed Bin Sulayem, il quale ha ammonito l’Europa sui rischi di una diversione negli investimenti causata da un incremento della rigidità nelle regolamentazioni per i FSI(44). Sulayem ha anche negato che i FSI possano subire un’eccessiva interferenza politica da parte dei loro Governi(45). Per quanto riguarda Pechino, nell’ultimo report trimestrale, la Banca Centrale cinese ha affermato come "la maggiore intensità nel monitoraggio da parte degli Stati Uniti e dell’Europa degli investimenti di Fondi Sovrani di Paesi emergenti sarà causa di nuove frizioni commerciali e di effetti negativi sull’economia globale"(46). Analogamente il Ministro degli Esteri cinese, Yang Jiechi, ha aupicato che "tutti i principali attori del sistema internazionale possano avere una voce nella creazione di regole da applicare negli investimenti operati tramite Fondi Sovrani di Investimento"(47). A Mosca, Vladimir Putin ha più volte auspicato "una maggiore tutela degli interessi economici russi nel mondo"(48). In occasione dell’annuncio (1° febbraio 2008) del FSI russo, il National Welfare Fund (NWF), il Ministro delle Finanze ha parlato di iniziale “gestione prudente” del fondo, escludendo strategie aggressive(49). Al fine di mostrare trasparenza e chiarezza nella propria politica di investimento, sono stati anche resi pubblici i propri, prossimi, 15 obiettivi di investimento(50). Soluzione hard (nazionale) Questa alternativa ritiene che l’ingerenza “intrinseca” nell’investimento sovrano debba essere gestita a livello nazionale ed in maniera non differente da un qualsiasi altro “veicolo di investimento”. La posizione che le minacce poste alla sicurezza economica nazionale dai FSI siano state fortemente sopravvalutate, rispetto a quelle di altri strumenti di investimento, ha diversi sostenitori. Secondo questa impostazione, per guardare “l’albero” (i FSI) ci si è dimenticati del “bosco” (la parte non regolamentata dell’industria del fund management). Secondo l’ex Sottosegretario al Tesoro statunitense, Randal Quarles(51), i Fondi Sovrani rappresentano una “forza moderata” in termini di dimensioni (con i loro 3 milioni di miliardi di dollari) e di influenza, rispetto, ad esempio, ai Fondi Pensione statunitensi i cui asset ammontano complessivamente, secondo Quarles, a circa 53 milioni di miliardi di dollari(52). La critica di Quarles trova riscontro nel fatto che le commistioni tra Fondi Sovrani e Fondi Pensione sono sempre più forti: ad esempio, se si considerasse la California come un’economia nazionale, con i suoi Fondi Pensione presi insieme, CalPERS (259 miliardi di dollari in asset) e CalSTeRS (169 miliardi di dollari), avrebbe il secondo Fondo Sovrano al mondo. Le preoccupazioni aumentano con notizie tipo quella che il Canada Pension Plan Investment Board (CPPIB, il cui capitale, al 31.12.2007, era valutato in 120,4 miliardi di dollari) ha annunciato l’apertura di un ufficio ad Hong Kong per studiare opportunità di investimento in Asia (Cina, Hong Kong, Giappone, Corea del Sud e Taiwan) nei settori del private equity ed immobiliare(53). Ma il maggior rilievo è da attribuire al fatto che anche la Cina ha iniziato a considerare l’ambito dei Fondi Pensione nel senso sia di fornire una diversa “immagine” ai suoi investimenti sovrani(54), sia nel senso di “rifinanziare” il sistema pensionistico interno(55). L’orientamento di Pechino è di costituire un fondo simile al Government Pension Fund norvegese, con un capitale iniziale di 200 miliardi di dollari (tratti dalle riserve internazionali). A sostegno dell’idea di un approccio regolamentare generale (soluzione hard, invece di uno rivolto esplitamente ai FSI), Stephen Jen di Morgan Stanley ha illustrato in maniera diagrammatica le differenze esistenti tra Fondi Sovrani ed altri strumenti di investimento (come i Fondi Pensione pubblici e privati, le riserve ufficiali e gli hedge funds). Nell’identificazione degli elementi caratteristici di un FSI, Jen ha suggerito cinque componenti base: la sovranità, la parziale esposizione in valuta estera(56), la limitata presenza di passività esplicite connes-
Il Grafico 2 è riferito alla propensione al rischio e all’orizzonte di investimento. In questo contesto i FSI si caratterizzano per un orizzonte medio-lungo con una propensione media al rischio. L’orizzonte di investimento medio-lungo è una caratteristica positiva dei FSI, in quanto, privilegiando comportamenti non speculativi, questi realizzano una funzione stabilizzatrice dei mercati. La già discussa scelta di molti FSI di non partecipare attivamente alla governance di società partecipate è stata vista come un indicatore di comportamento di medio-lungo periodo. In realtà, l’acquisizione di partecipazioni con diritti limitati potrebbe celare altre considerazioni. Un esempio è costituito dall’acquisizione da parte di China Investment Corporation (CIC), nel giugno 2007, del 9,3% di Blackstone,
Finora gli unici investimenti di rilievo in Italia da parte di un Fondo Sovrano sono stati quelli del fondo emiratino Mubadala Development Company(59) che ha rilevato il 5% della Ferrari, ed ha acquisito il 35% della Piaggio Aero Industries. L’investimento in Ferrari del fondo Mubadala Investment Company rappresenta un esempio di valorizzazione del patrimonio nazionale e di sinergia con gli interessi di un partner sovrano. L’ingresso nel capitale della Ferrari è stato, infatti, propedeutico all’intenzione del Governo di Abu Dhabi di realizzare un circuito per competizioni di “Formula Uno” ad Abu Dhabi nel 2009, nel quale, ovviamente, la Ferrari potrà svolgere un ruolo di prestigio. Inoltre, la partnership italo-emiratina ha consentito (3 novembre 2007) l’inaugurazione di un Ferrari Store ad Abu Dhabi, nonché l’avvio dei lavori per la realizzazione del primo, supertecnologico Ferrari Park nella Yas Island (una delle maggiori isole naturali di Abu Dhabi), dove sarà costruito il circuito. Visto in questi termini, è difficile aver paura dei Fondi Sovrani. Il problema sorge quando gli investimenti sono realizzati all’interno del territorio nazionale e, magari, in settori tecnologicamente avanzati. Ad oggi, l’Italia non è stata ancora ritenuta tanto appetibile da avviare investimenti importanti, considerata anche la forte instabilità politica che ci caratterizza. Non c’è da rallegrarsi per certe considerazioni come quelle di Alessandro Daffina, di Rothschild Italia, che in un intervista al Sole 24 Ore, alla domanda "vedremo arrivare anche in Italia i Fondi Sovrani arabi?" ha risposto "Dubito. Così come non vedo significativi investimenti esteri in Italia. Il sistema-Paese, purtroppo, è sempre meno attrattivo. Pesano l’eccessiva burocrazia e la lentezza della giustizia. Ma soprattutto fa paura l’elevata tassazione. ...) Il risultato è che sempre più aziende estere si rifiutano di investire in Italia"(60). A parte gli ostacoli non-economici, l’Italia possiede capacità tecnologiche non indifferenti (nella creazione di brevetti e di soluzioni innovative) ed una rete logistica di grande valore (dal punto di vista non solo economico, ma anche militare) per ogni Paese straniero che necessiti di “nodi di trasporto” nel Bacino del Mediterraneo.
Una componente rilevante del patrimonio nazionale è anche rappresentata dal “capitale intangibile” composto dai suoi asset storici e culturali, dalla moda e dal design, dal valore del paesaggio e dell’ambiente per l’industria turistico-alberghiera, dalla tradizione agricola ed alimentare. In una recente intervista, Gianfranco Imperatori, banchiere e segretario generale di Civita(61) , ha quantificato il contributo in termini di PIL del patrimonio artistico, culturale e paesaggistico italiano in oltre 100 miliardi di Euro(62). Conclusioni In un mondo suddiviso tra Paesi industrializzati e Paesi emergenti, la ricerca di soluzioni cooperative al problema dell’ingerenza causata da investimenti sovrani è un processo in atto solo da parte dei Paesi industrializzati. La posizione dei Paesi emergenti è, invece, attendista e critica. Gli interrogativi sui rischi e sulle opportunità fornite dai FSI rappresentano motivo di discussione nei principali forum finanziari multilaterali (Fondo Monetario Internazionale, Banca Mondiale, Unione Europea, Organizzazione Mondiale del Commercio), nei circoli finanziari e governativi statunitensi ed europei, nonché tra le comunità degli azionisti o nei sindacati(63). Nel rapporto tra Fondi Sovrani e sovranità nazionale, le alternative per gestire l’ingerenza in una prospettiva di governance globale e nazionale sono state individuate in: - un insieme di best practice internazionali (soluzione soft); - nel miglioramento di regolamentazioni già esistenti o nell’introduzione di altre non presenti (soluzione hard). Delle due alternative, la soluzione soft richiede una condivisione con i Paesi emergenti (nella loro adozione volontaria delle best practice definite in sede FMI e OCSE). Viceversa, la soluzione hard è unilaterale e si concretizza in una attività interna di “calibrazione” delle regolamentazioni esistenti alle nuove dinamiche di globalizzazione finanziaria. La necessità di quest’ultimo adeguamento (soluzione “hard”) rappresenta un argomento di forte rilievo anche per i FSI. All’emersione del fenomeno degli investimenti sovrani è corrisposta, infatti, un’attualità di grave crisi sui mercati finanziari mondiali. Una crisi non solo di liquidità, ma soprattutto, di credito e di solvibilità. I “salvataggi” operati dai FSI sul mercato del credito internazionale a parziale copertura di perdite a causa delle insolvenze nei mutui subprime statunitensi, da un lato (come detto) hanno avviato una “dipendenza finanziaria” di tali aziende dai FSI (e di conseguenza dai Governi che li gestiscono), ma dall’altro hanno “contagiato” i portafogli dei Fondi Sovrani, aumentando i livelli di rischio nei loro investimenti. Le caratteristiche dell’attuale crisi finanziaria, infatti, risalgono all’esistenza nel mercato del credito internazionale di un considerevole “sistema finanziario ombra” (Roubini, 2008), composto da istituzioni finanziarie non bancarie (principalmente, banche di investimento, hedge funds, Special Investment Vehicles -SIVs-, money market funds). Questo sistema finanziario “ombra” presenta molte similitudini con il sistema bancario (elevato leverage, preferenza verso il prestito a breve e l’impiego a medio/lungo termine, rischio di credito e di mercato), ma, a differenza delle banche, le istituzioni che ne fanno parte non possono accedere -in caso di necessità contingente- ai rifinanziamenti del “prestatore di ultima istanza” (rappresentato dalla Banca Centrale) in quanto gli intermediari non bancari non seguono le precauzioni richieste al sistema creditizio ufficiale. Questo comporta che il rischio di liquidità (causato dalla potenziale incapacità di corrispondere, con lo stock di passività a breve mantenute nel portafoglio, ad una domanda di prelievo di tutti patrimoni affidati, formulata nel medesimo momento) può determinare situazioni di default che potrebbero riverberarsi in aziende e istituzioni, collegate agli intermediari non bancari a causa di transazioni di considerevole entità(64). In presenza di “conflitti di interesse”, causati da gestioni multiple di manager dedicate contemporaneamente ad asset di FSI e di portafogli individuali o istituzionali (nazionali o esteri), anche per i Fondi Sovrani affiorano rischi di perdite, ed, in generale, rischi di deterioramento qualitativo dei propri portafogli (informazione nascosta, o" adverse selection"; azione nascosta, o "moral hazard"; aumento dei costi di transazione causato da un’eccessiva strutturazione delle funzioni di consulenza; scarsità di esperti causata da una complessità operativa progressivamente maggiore; corruzione e "insider trading). L’incidenza delle due alternative (soft e hard) sul potenziale conflitto di interessi è diversa in quanto diversi sono i rischi sui quali le due soluzioni si concentrano: - l’alternativa soft tratta un rischio “esogeno” all’investimento (la volontà straniera di ingerire su settori sensibili dell’economia del Paese investitore), molto difficile da concretizzare in maniera veramente “occulta” grazie a quei meccanismi “istituzionali” tipici di tutela dell’interesse e della sicurezza nazionale (soprattutto costituiti dall’intelligence); - l’alternativa hard considera un rischio “endogeno” all’investimento (il rischio di conflitto di interessi insito nel deterioramento del “meccanismo di agenzia”), mantenuto estremamente confidenziale tra le parti della transazione. Nella soluzione soft vi sarebbe un “mero impegno” (qualora previsto dal “codice di condotta” multilaterale) a comunicare notizie sull’intermediario di gestione, così da consentire alle diverse Autorità di Vigilanza nazionali di valutare l’opportunità di “monitorare” l’investimento. Con la soluzione hard l’impegno diventerebbe un obbligo imposto da una regolamentazione interna (nazionale, comunitaria o internazionale). La maggiore necessità di una alternativa hard è rappresentata dalla pericolosità del rischio “endogeno”, allorquando questo venga “accettato” dagli amministratori del FSI nel perseguimento di obiettivi “esogeni” all’investimento per i quali gli Stati-investitori potrebbero usufruire anche di “complicità” di intermediari coinvolti a vario titolo nelle transazioni. E’ opportuno che anche in Italia si proceda, scegliendo su quale delle due posizioni segnalate porsi, ad una valutazione ponderata sulle modalità tramite le quali “contenere” i rischi di ingerenza insiti negli investimenti sovrani, senza ricorrere a strumenti protezionisti. Ciò al fine di limitarsi a fronteggiare solo gli effetti a medio-lungo termine del fenomeno. Una quota significativa dei settori finanziari dei Paesi industrializzati sta, infatti, passando nelle mani di società e Governi di Paesi emergenti. A questo “trasferimento di potere economico” corrisponderà nei prossimi anni un “trasferimento di potere politico e diplomatico” con il quale dovremo, inevitabilmente, relazionarci. 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(1) GIC and ING in $593m Italian retail property buy, Reuters, 5.2.2008
(2) Relativamente all’acquisizione il Presidente del GIC, Seek Ngee Huat, ha affermato come: "investimenti immobiliari nell’ambito del segmento retail, come quello del Centro commerciale di Roma Est, sono difficili da trovare in Italia. Si tratta di un nuovo asset molto promettente con tutte le caratteristiche chiave, posizionamento, potenzialità operativa e management, che noi cerchiamo in una opportunità di investimento. Confidiamo nella sua crescita potenziale di lungo termine e crediamo che si tratti di un eccellente aggiunta al nostro portafoglio di investimenti nel campo del retail".<br (3) Singapore to buy stake in Sintonia holding, Reuters, 11.3.2008. (4) Sintonia ha partecipazioni in Atlantia, Adr, Sagat e Telco, quest’ultima detentrice del 24,5% di Telecom Italia. (5) Questa sensibilità nello Stato-investitore potrebbe non esserci. In tal caso, uno Stato-investitore potrebbe rilevare - tramite il suo Fondo Sovrano - la proprietà di un importante gruppo farmaceutico mondiale ed imporre un cambiamento dei programmi di investimento a detrimento degli interessi (occupazionali o di sviluppo) dello Stato-obiettivo. Oppure un Governo-investitore potrebbe chiedere clausole di favore per gli investimenti del proprio Fondo Sovrano come contropartita per sostenere un determinato processo di pace (Iraq, Territori Palestinesi o altre aree sensibili). (6) Un riferimento interessante è Robert M. Kimmitt "Public Footprints in Private Markets" in Foreign Affairs, vol. 87, n. 1, Gennaio-Febbraio 2008. (7) Il primo di tali fondi fu istituito nel 1956 per amministrare i redditi derivanti dai depositi di fosfati dalla Gran Bretagna nella colonia dell’arcipelago delle Gilbert and Ellice Islands, poi divenute nel 1979 lo Stato di Kiribati. (8) L’assorbimento è una grandezza pari alla spesa aggregata del settore pubblico e privato. (9) I dati della tabella sono tratti da Truman (2007), Lyons (2007) e Deutsche Bank (2007), oltre ad aggiornamenti dalla stampa. (10) L’ADIA amministra il fondo sovrano più importante del mondo. Presidente del Fondo è lo Sceicco Khalifa bin Zayed Al Nahyan, Presidente degli Emirati Arabi Uniti e Governatore di Abu Dhabi. La politica di gestione del fondo è affidata dai primi anni ’80 a Jean Paul Villain, proveniente da BNP Paribas. (11) Il Government Pension Fund norvegese è gestito da “Norges Bank Investment Management” (NBIM). Il Ministro delle Finanze è responsabile della gestione del Fondo, ed ha delegato la gestione operativa ad NBIM. Il capitale è investito in strumenti finanziari non-norvegesi, in 42 mercati azionari sviluppati ed emergenti ed in 31 valute per gli strumenti a reddito fisso. NBIM gestisce il Fondo anche con l’ausilio di manager esterni. (12) La Central Hujin Investment Corporation, che controlla le tre maggiori banche cinesi, è di proprietà della China Investment Corporation (CIC). (13) Cfr. Johnson (2007). (14) Al febbraio 2008, le partecipazioni note di Temasek erano il 19% in Standard Chartered Plc (banca d’affari di Londra particolarmente attiva in Asia), il 54% di SingTel, il 75% di Asia Mobile Holdings, il 100% di MediaCorp, il 49% di Shin telecommunications, il 2,1% of Barclays, il 9,9% of Merrill Lynch, il 68% di Neptune Orient Lines, il 27,8% di Basslink, il 42% di Australand. (15) Tra le maggiori partecipazioni della QIA vi è il 15% del London Stock Exchange, insieme a BorseDubai (controllata al 60% dalla Investment Corporation of Dubai), nonché il 7% della francese Lagardere, uno degli azionisti principali del consorzio europeo EADS. La QIA ha, inoltre, acquistato nel febbraio 2008 poco meno del 2% in Credit Suisse, consolidando un rapporto privilegiato con l’istituto di credito elvetico che prevede un investimento tra 10 e 15 miliardi di dollari nei prossimi due anni. Recentemente “rumours” finanziari hanno attribuito alla QIA anche l’acquisto di 50 milioni di azioni della Royal Bank of Scotland (RBS). (16) Istithmar, mediante la International Hotel Investment, controlla il “Metropole” di Londra, il 2,7% di Standard Chartered Plc (con un investimento pari ad un miliardo di dollari), nonché il 3% dell’hedge fund GLG Partners. (17) Il suo portafoglio comprende partecipazioni in Emirates Airlines, Dubai Aluminum, Emirates NBD, Borse Dubai, Shuaa Capital, Dubai Islamic Bank, Emaar, Dubai World Trade Centre e Jebel Ali Free Zone. (18) Dubai International Capital LLC (sussidiaria di Dubai Holding, dedicata all’investimento internazionale) detiene una quota non nota della Sony (inferiore al 5%, in quanto non ne è stata data comunicazione al Governo giapponese), il 9,9% del quinto hedge fund più importante del mondo, lo statunitense Och-Ziff Capital Management Group (investimento pari a 1,1 miliardi di dollari), il 2,87% in una delle maggiori banche indiane, la ICICI Bank Ltd. (investimento pari a 750 milioni di dollari), una quota non nota nel capitale della Hong Kong and Shanghai Banking Corporation (HSBC) Holdings Plc, ed il 3,12% di EADS (partecipazione acquisita dopo una mega commessa da parte del vettore Emirates per velivoli Airbus). (19) Dubai World detiene il 9,5% della statunitense MGM Mirage, la seconda società più importante al mondo nel settore dell’intrattenimento. Inoltre una sua sussidiaria, la Limitless, ha concluso un accordo di joint venture con la russa RDI Group per sviluppare una città da 12mila abitanti nei pressi di Mosca. (20) L’investimento azionario di China Development Bank (CDB, in parte controllata dalla China Investment Corporation) e di Temasek in Barclays rappresenta un’acquisizione di tipo strategico, data la presenza dominante della banca britannica sulla piazza di Londra, di New York e sulle piazze asiatiche. (21)Questa espressione si riferisce ai casi nei quali non sono soddisfatte le condizioni di ottimo paretiano. (22) L’80% degli asset del Fondo Sovrano più grande del mondo, l’emiratino ADIA, sono gestiti da manager esterni. Nell’estate del 2006 è stata creata una Divisione interna che cura strategie di "stock selection" simili a quelle praticate dai principali hedge funds e delle principali società di asset management più orientate verso un maggiore livello di leverage (per incrementare la dimensione e l’influenza). Il portafoglio del fondo ADIA include tra l’altro partecipazioni in Citigroup, Toll Brothers, EFG Hermes (una delle maggiori banche di investimento arabe) e la tunisina Banque de Tunisie et des Emirates. (23) Le law firm di New York, Barrie Covit, John Walker e Thomas Bell, guideranno il "Simspon Thacher team" che si occuperà della consulenza a favore di JC Flowers, mentre le law firm di New York, Christine Spillane, Rodgin Cohen e Chun Wei, guideranno il "Sullivan & Cromwell team" nel fornire consulenza al CIC. (24) Una forma societaria partecipativa che prevede una responsabilità personale limitata in relazione ai debiti aziendali è definita "limited partnership". Questa corrisponde solitamente all’atteggiamento assunto da investitori passivi. Ad essa si contrappone una forma di responsabilità personale illimitata, definita "general partnership". (25) Esempi possono essere l’assenza del Government of Singapore Investment Corporation (GIC) nel Consiglio di Amministrazione (CdA) di UBS, di Temasek Holdings nel CdA di Standard Chartered, della Abu Dhabi Investment Authoritynel CdA di Citigroup, di Gazprom nel CdA di European Aeronautics Defense & Space (EADS) e così via. (26) Oggetto della stessa, svoltasi nel novembre 2007, è stato "Sovereign Wealth Fund Acquisitions and Other Foreign Government Investments in the United States: Assessing the Economic and National Security Implications". (27) "(...) the risk that governments will mismanage their international investments to their own economic and financial detriment and with negative consequences for the global economic and financial systems". (28) "(...) the risk that governments will manage those investments in pursuit of political or economic power objectives - for example, promoting state-owned or state-controlled national champions to global champions." e "(...) the risk of an outbreak of financial protectionism in host countries, in anticipation of the pursuit of political or economic objectives by the owners of the investments or in response to the actual actions of those governments." (29) "(...) the risk that in their management of their international assets, governments will contribute to market turmoil and uncertainty" e "(...) the risk of conflicts of interest for government owners of the international assets and the domestic or foreign institutional or individual managers of those assets with an associated potential for corruption". (30) Cfr. Scheer (2008). (31) Gli investimenti in strumenti finanziari Sharia’a compliant sono strutturati esclusivamente nel rispetto della Legge islamica. La correttezza delle transazioni viene certificata da appositi Sharia’a Board, creati all’interno sia delle istituzioni finanziarie islamiche sia delle istituzioni finanziarie occidentali che intendono operare nella finanza islamica. (32) Il China Investment Corp. (CIC) ha assunto manager specializzati nel mercato obbligazionario per la gestione di capitali in prodotti a reddito fisso. Tra le esperienze richieste, almeno sei anni nella gestione di asset a reddito fisso, ed un portafoglio almeno pari a 15 miliardi di dollari. (33) Pochi FSI hanno proprie branche di gestione patrimoniale in private equity. Due esempi sono il Government of Singapore Investment Corp. (GIC) e Dubai Holdings i quali, mediante rispettivamente GIC Special Investments e Dubai International Capital, effettuano direttamente le proprie scelte di investimento evitando la fase di intermediazione e, dunque, le pesanti commissioni esistenti. (34) Felix Salmon (www.portfolio.com) ha proposto un esempio dell’inefficacia di legislazioni destinate ai soli Fondi Sovrani: se io apro un hedge fund a Londra o in Connecticut, questo è un fondo privato e sono obbligato a rendere pubbliche poche informazioni sulla base delle legislazioni vigenti. Se vendo il 95% del mio capitale ad un Fondo Sovrano, e tramite me questo investe 50 miliardi di Dollari, a quel punto l’hedge fund è un Fondo Sovrano a tutti gli effetti tranne che nel nome, e rientra nelle limitate legislazioni proposte per glihedge. (35) Al paragrafo 11 si legge che "....tali restrizioni dovrebbero essere applicate ad un numero di casi molto limitato riferiti, principalmente, alla tutela della sicureza nazionale. I principi generali da seguire in questi casi riguardano la non discriminazione, la trasparenza e la prevedibilità. In ogni caso, le misure restrittive non dovrebbero eccedere lo scopo, l’intensità e la durata necessari." (36) Nel suo intervento ad Oslo, Barroso ha proposto un “approccio comune” a livello comunitario, evitando distorsioni nel mercato unico con risposte “nazionali” al fenomeno dei FSI. Non sono previsti emendamenti alla legislazione vigente nell’Unione, in quanto la richiesta di trasparenza è su base volontaria, ma non sarà neanche consentito ai Fondi non europei di agire con modalità opache o di condurre strategie geopolitiche a danno dell’Europa. Lo “sforzo di cooperazione” dovrà essere realizzato tra Paesi beneficiari, Fondi Sovrani e loro Paesi sponsor per stabilire un insieme di principi di trasparenza, affidabilità e regolarità. Barroso si è soffermato sull’esempio del Fondo Sovrano della Norvegia, indicato come esempio di trasparenza, governance e affidabilità. (37) La posizione comunitaria rifiuta un meccanismo di screening tipo quello del "Committee on Foreign Investments in the United States" (CFIUS) statunitense, o l’introduzione di golden shares a protezione di aziende importanti da scalate ostili. L’approccio comunitario, così come emerso dal Consiglio Europeo, riguarda: a) l’impegno a mantenere un ambiente di investimento aperto sia nell’UE sia altrove, inclusi Paesi terzi in cui operano i FSI; b) sostegno all’attività multilaterale in ambito internazionale (FMI, OCSE) ed utilizzo a livello comunitario e nazionale degli strumenti esistenti; c) rispetto delle obbligazioni derivanti dal Trattato UE e da accordi internazionali (come ad esempio, il WTO); d) reciprocità e trasparenza. Tra gli standard di governance richiesti vi sono chiarezza nella distribuzione delle responsabilità, definizione della policy di investimento e di assunzione dei rischi del Fondo Sovrano, trasparenza nella relazione tra il FSI e le Autorità di Governo dello Stato-investitore, e nei principi di governance interna al FSI. (38) Una bozza preliminare delle "best practice" dovrebbe essere pronta per marzo 2008 e la formulazione finale dovrebbe essere presentata alla fine del 2008. (39) Alla domanda "What’s the difference between a state-owned enterprise and a sovereign wealth fund?", da lui stesso formulata con riferimento all)a dipendenza dell’Unione Europea dalla Russia nel comparto degli approvvigionamenti energetici, McCreevy ha lasciato aperta la riflessione. A questa domanda ne possiamo aggiungere un’altra: come cambia la situazione nel caso di società a controllo statale con la presenza di partecipazioni private rilevanti, ma comunque di minoranza? (40) La nuova legge in elaborazione consentirebbe alle società estere di acquisire una quota massima del 25% in società tedesche di rilievo per la sicurezza nazionale o attive nelle infrastrutture strategiche. (41) Cfr. Fortson (2008). In modo da chiarire il ruolo dei FSI nei mercati finanziari e quali strategie governative adottare, lo stesso Ministro Lagarde ha incaricato Alain Demarolle, consulente economico del precedente Primo Ministro Dominique de Villepin, di effettuare uno studio sull’argomento. La consegna della prima bozza del report dovrebbe avvenire il 1° aprile prossimo, mentre la versione finale dovrebbe essere consegnata il 1° maggio prossimo. (42) Dal 1988 il processo di revisione degli investimenti esteri si è basato sull’Exon-Florio Amendment (EFA) del Defence Production Act del 1950, che autorizza il Presidente degli Stati Uniti a proibire o sospendere acquisizioni straniere di aziende statunitensi se considerate minacce credibili alla sicurezza nazionale.Dal 2007 è in vigore Foreign Investment and National Security Act (FINSA) che prevede un meccanismo di verifica da parte del CFIUS secondo il quale il Comitato, presieduto dal Segretario al Tesoro, una volta elaborate le sue raccomandazioni, le presenta al Presidente per le determinazioni in materia. (43) Di rilievo l’accordo del 20 marzo scorso tra Tesoro statunitense ed i Governi di Singapore e di Abu Dhabi su un insieme di principi relativi agli investimenti sovrani, enfatizzando le caratteristiche di trasparenza informativa, non-politicizzazione e concorrenzialità. Cfr. Dennis Moore, US Treasury, Singapore, Abu Dhabi agree on sovereign wealth fund policies, Thomson Financial News, 20.3.2008 (44) If somebody comes with regulations that make it difficult for someone from certain geographical locations to invest in Europe or the west, people will take their investment somewhere else". (45) If you put a politician in charge of an investment, believe me, that investment fund will not last for a very long time. (46) Il recente mancato accordo di cessione di 3Com a Bain Capital Partners e Huawei Technologies (saltato a causa del ruolo di 3Com di fornitore di tecnologie informatiche all’esercito statunitense) ha acuito lo scontro tra Pechino e Washington. In seguito a rumours negativi percepiti presso il CFIUS, 3Com ha preferito ritirare la domanda di approvazione al Comitato piuttosto che farsela formalmente respingere. Nell’accordo originale, Bain avrebbe acquisito 3Com e poi ceduto il 16,3% a Huawei Technologies. (47) Jiechi ha anche aggiunto "It's in everyone's interest to make good use of sovereign funds in line with international financial rules. But of course, the rules of games should be set up by all involved". Cfr. An Lu, "Rules of games for sovereign wealth fund should be made by all", 12.3.08 http://news.xinhuanet.com/english/2008-03/12/content_7772637.htm. (48) Pur a fronte di propositi di amministrazione cauta, le affermazioni di Dmitri Medvedev al Congresso annuale degli industriali e degli imprenditori russi (31 gennaio 2008) non sono passate sottotono ("Dovete acquisire il controllo delle aziende all’estero, come attualmente fanno molti Paesi del mondo, in primo luogo la Cina"). Cfr. Vladimir Sapozhnikov, Medvedev agli imprenditori russi: "Investite all’estero come i cinesi", Il Sole 24 Ore, 1 febbraio 2008. (49) Il 31 gennaio scorso lo "Stabilization Fund" russo è stato diviso in due nuovi fondi, il Reserve Fund ed il National Welfare Fund(NWF), confermando l’intenzione di Mosca di incrementare l’attività di investimento sui mercati finanziari. La dotazione iniziale del nuovo Reserve Fund è pari a 125,4 miliardi di dollari, mentre il nuovo NWF ha una dotazione iniziale di 32 miliardi. Alcune deleghe in materia di asset management" del NWF saranno trasferite alla Banca Centrale russa, in particolare relative al mercato azionario ed agli strumenti derivati. Il periodo di "outsourcing" in materia di "sovereign asset management" è ritenuto fondamentale nella creazione di una "capacità di gestione del rischio" interna senza dover ricorrere a manager esterni. (50) La lista diffusa dal Ministro delle Finanze russo (responsabile del fondo) comprende la britannica "Network Rail MTN Finance Plc", la tedesca "Kreditanstalt fur Wiederaufbau Bankengruppe" e "Landwirtschaftliche Rentenbank", l’iberico "Instituto de Credito Oficial" (ICO), le austriache "Autobahnen und Schnellstrassen Finanzierungs AG" (ASFINAG) e "Oesterreichische Kontrollbank Aktiengesellschaft" (OGK), la canadese "Export Development Canada"(EDC), l’olandese "Bank Nederlandse Gemeenten" (BNG), le statunitensi "Federal Home Loan Banks" (FHLBanks) e "Federal Farm Credit Banks" (FFCB), le francesi "Dexia Group", "Caisse d'Amortissement de la Dette Sociale" (CADES), "Credit Foncier de France" (CFF). Cfr. Russian confirms list for Wealth Funds investment, agenzia Reuters rilanciata su www.guardian.co.uk del 21.2.2008. (51) Cfr. Rummell (2008) (52) Un disegno di legge, in esame in California (AB 1967), ha l’obiettivo di bloccare le attività di investimento del "California Public Employees’ Retirement System" (CalPERS) e del "California State Teachers’ Retirement System" (CalSTeRS) in società di private-equity detenute completamente o parzialmente da Fondi Sovrani di Investimento. Il CalSTeRS ha stimato che i mancati guadagni derivanti dall’approvazione di questo provvedimento potrebbero essere pari a 1,5 miliardi di dollari nei prossimi cinque anni. (53) Dopo l’audizione del 5 marzo scorso a due sottocomitati del Congresso, David Denison, Presidente ed Amministratore del Canada Pension Plan Investment Board (CPPIB) ha invitato i politici statunitensi ad esaminare le caratteristiche strutturali ed il modello di governance che distingue il CPPIB da un Fondo Sovrano. Denison ha affermato che il CPPIB non è un Fondo Sovrano in quanto non gestisce asset governativi e non è controllato da un Governo. Il CPPIB ha anche elevati standard di trasparenza informativa simile alle società pubbliche. (54) Secondo un esponente dell’Accademia cinese delle Scienze Sociali di Pechino (citato in Zhu e Lin, 2008), l’esigenza di costituire un Fondo Pensione Sovrano risiede soprattutto nel contenere le critiche sul suo Fondo Sovrano ("le persone nei Paesi occidentali guardano i Fondi Sovrani di Investimento come un alieno o un mostro. Ma se lo facesse un fondo pensione, sarebbe visto come un angelo"). (55) Alla fine del 2007 l’esistente "China National Social Security Fund" (NSSF), "prestatore di ultima istanza" per gli schemi pensionistici cinesi, ha avuto asset di 72,53 miliardi di dollari, inclusi investimenti azionari oltreoceano pari a 1,66 miliardi di dollari. (56) Al contrario delle riserve internazionali (che sono, per definizione, al 100% in valuta estera, e non hanno passività esplicitamente connesse), i FSI non è necessario siano al 100% in valuta estera, anche se lo devono essere per la maggior parte. (57) Il lock up della partecipazione (ossia il periodo in cui non si può richiedere il rimborso delle quote detenute) è stato fissato in quattro anni, ma il management di Blackstone ha dichiarato che manterrà le quote investite per 5-7 anni. (58) Cfr. Savona (2007). (59) Mubadala Development Company è una società interamente controllata dal Governo di Abu Dhabi. (60) Alessandro Graziani, La sfida di Intesa e Generali - 4.1.2008 - (61) Civita (www.civita.it) è un’organizzazione no profit fondata da un gruppo di imprese, enti pubblici di ricerca e università, unitesi originariamente per far fronte al degrado di Civita di Bagnoregio, antico borgo dell'Alto Lazio. Oggi Civita, con 160 aziende associate, è fortemente impegnata a livello nazionale nella "promozione della cultura" attraverso ricerche, convegni, pubblicazioni e progetti. (62) Cfr. Anna Di Martino, 101 miliardi (e non sappiamo di averli), Il Mondo - 7.3.2008 - . Secondo l’articolo, l’industria-Museo Italia conta 470 mila occupati (2,1% della forza lavoro totale) che, nel 2006, ha prodotto direttamente circa 41 miliardi di PIL. Vi è poi il PIL generato dalla valorizzazione del patrimonio, a cominciare dal turismo culturale: secondo l’ENIT l’obiettivo artistico interessa l’85% dei turisti giapponesi, l’80% dei turisti statunitensi, spagnoli e portoghesi, il 70% degli indiani, il 60% dei turisti olandesi e scandinavi, il 52% degli svizzeri e dei francesi. Il fatturato del turismo culturale nel 2006 è stato pari a 28 miliardi di PIL. Il totale, 69 miliardi di Euro, rappresenta un’incidenza del 4,8% sul PIL totale. Secondo le stime di Civita, nel giro di pochi anni il dispiegarsi di un’azione a 360° potrebbe far aumentare il contributo (diretto e indiretto) di PIL fino a 67 miliardi di Euro e il contributo legato al turismo culturale fino a 34 miliardi per un totale di 101 miliardi di Euro e un incidenza sul PIL del 6,5%. (63) Episodio di rilievo è stato la protesta di uno dei principali sindacati statunitensi, il Service Employees International Union, contro la cessione da parte della società di consulenza internazionale Booz Allen&Hamilton dell’unità dedicata alla funzione di "government advisory" al Carlyle Group. Il sindacato, ritenendo la trattativa come una minaccia alla sicurezza nazionale statunitense per la presenza nel capitale di Carlyle del fondo emiratino Mubadala (la divisione di Booz Allen ha avuto circa 1,2 miliardi di dollari in contratti con il Dipartimento della Difesa statunitense nel 2007), ha preteso un intervento politico per sospendere la transazione. (64) Nel caso recente dei mutui subprime statunitensi, la crisi si è trasmessa alle banche europee a causa di alcune banche coinvolte nella concessione di credito a clientela subprime in maniera indiretta (ossia, mediante gli strumenti del sistema finanziario "ombra"). Le perdite registrate da queste banche sono state proporzionali all’aumento dei tassi di default della suddetta categoria di debitori. Un ulteriore gruppo di intermediari non bancari, che avevano sottoscritto titoli strutturati il cui sottostante includeva anche prestiti subprime, ha dovuto procedere a svalutazioni dei propri attivi. In generale, le tensioni determinatesi sui mercati monetari a causa dell’incertezza circa l’effettivo ammontare delle perdite e la loro distribuzione hanno comportato scarsità di fondi e aumento del relativo costo. |