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GNOSIS 2/2007
A colloquio con il Vice Presidente della Colombia

Coca e rapimenti
una guerra da vincere

a cura di Fabrizio Feo




Il sensibile calo nei consumi di cocaina registrato recentemente in aree come l’America del Nord è controbilanciato da un allarmante incremento in molti paesi dell’Europa, dove si sono raggiunti livelli tra i più elevati del mondo. Una valutazione corretta del fenomeno non può prescindere da una analisi del vorticoso mutamento degli scenari relativi sia alla produzione che alla commercializzazione di sostanze stupefacenti e alle conseguenti ripercussioni particolarmente sulla Colombia, uno tra i maggiori produttori di cocaina che è costantemente scossa anche da problemi di guerriglia, di sequestri di persona e da una travagliata ‘questione morale’. Tentiamo di fare un ‘punto di situazione’ attraverso le considerazioni fatte dal suo Vice Presidente, Francisco Santos Calderon, in una recente intervista rilasciata al Tg3*.



Francisco Santos Calderon

La lotta alla droga deve vedere protagonisti tutti i Paesi del mondo. Per questo il Governo italiano incoraggia la strategia colombiana della ”responsabilità condivisa”, secondo la quale la guerra contro il narcotraffico, che è linfa vitale per la criminalità organizzata in ogni angolo del globo e per il terrorismo internazionale, può procedere con risultati concreti e svilupparsi efficacemente solo se viene tenuto vivo un dialogo sistematico tra i Paesi produttori e quelli in cui si consumano sostanze stupefacenti. Una strategia che mira a contrastare contemporaneamente l’offerta e la domanda di droghe.
Educare gli Europei che comprano la droga prodotta nel suo paese, far comprendere di quale grande pericolo globale si tratti: questa, per Francisco Santos Vice Presidente della Repubblica della Colombia - ex direttore del giornale ‘El Tiempo’, sequestrato nel 90 e rimasto per mesi prigioniero di Pablo Escobar, capo del cartello di narcotrafficanti di Medellin -, è una vera e propria crociata.
Santos ha compiuto di recente una visita in Italia per stringere accordi di cooperazione ed ha chiesto al Governo italiano che l’Unione Europea sostenga lo sforzo colombiano. Poi appena rientrato nel suo Paese, come molti alti politici dell'amministrazione Uribe, è diventato bersaglio delle accuse di Salvatore Mancuso, il leader politico del movimento paramilitare Autodifese Unite della Colombia (AUC), consegnatosi qualche mese fa alle autorità dopo una lunga trattativa che mirava ad arrivare alla pacificazione di aree del Paese sudamericano.
Durante una lunga deposizione alla Procura della Repubblica di Bogotà, Mancuso (considerato responsabile di innumerevoli stragi e di colossali traffici di droga), ha raccontato che il Vice Presidente Francisco Santos gli aveva chiesto, tempo addietro, di creare anche a Bogotà un gruppo paramilitare per frenare in quella zona l’espansione della guerriglia di sinistra.
Un’accusa molto seria, in un momento che, nella storia drammatica della Colombia, appare anche più delicato di altri.
Che si tratti di accuse fondate o di un tentativo per alzare il prezzo dell’accordo di pace sottoscritto e della sua collaborazione, le parole di Mancuso creano un serio problema alla presidenza della Colombia, che tanto ha puntato sul processo di smobilitazione dei paramilitari, e sulla legge Giustizia e Pace, e indeboliscono fortemente la lotta al narcotraffico che l'amministrazione Uribe ha messo tra i primi punti del programma del suo secondo mandato.
Il Ministro della Difesa colombiano, anche lui chiamato in causa da Mancuso, ha commentato "Se questa è la verità che il signor Mancuso intende raccontare, il Paese rimarrà molto deluso".
Il Vice Presidente Francisco Santos ha ottenuto il sostegno dal Presidente della Repubblica colombiana, Alvaro Uribe, che ha dichiarato di avere "piena fiducia nella struttura morale del Vice Presidente e dei Membri del suo Governo....".
Proprio sulla posizione del Governo colombiano riguardo al futuro di Mancuso, Francisco Santos si è soffermato ampiamente nel corso dell’intervista che ci ha rilasciato solo qualche giorno prima delle accuse del leader paramilitare. La posizione dell’italo colombiano Salvatore Mancuso, finito sotto inchiesta negli Stati Uniti e in Italia, dove sono state trovate prove del suo coinvolgimento nei traffici di droga della ‘ndrangheta - per le indagini dirette dal sostituto procuratore della repubblica di Reggio Calabria Nicola Gratteri - è, per la Colombia, un grosso problema interno… ma anche un problema di carattere diplomatico, un caso molto delicato sul piano internazionale. Una richiesta di estradizione della magistratura degli Stati Uniti pende sul capo di Salvatore Mancuso da quattro anni.
"Mancuso -spiega il Vice Presidente - è in carcere ed ha smantellato l'apparato militare della sua formazione l'AUC, una organizzazione paramilitare che ha causato un’infinità di sciagure e di lutti. Eppure trascorrerà in carcere al massimo otto anni e verrà anche sospeso l'ordine di estradizione tanto verso l'Italia che verso gli Stati Uniti: tutto questo se davvero dimostrerà di ottemperare agli accordi di pace, se si atterrà alle condizioni del trattato che è stato firmato, cioè se consegnerà fino all'ultima arma, se racconterà non solo tutto quello che ha fatto ma anche quello che persone insospettabili hanno commesso insieme a lui e, poi ancora, se risarcirà le vittime, ….beh!, allora il risultato ottenuto sarà tale da rendere possibile l'interruzione delle procedure estradizionali che rimarranno sospese per sempre. Mancuso sa che altrimenti verrà estradato, indipendentemente da quello che potrà dire la Corte Suprema di giustizia.
Voglio anche sottolineare che la vicenda di Salvatore Mancuso dimostra in modo chiaro come i tentacoli del narcotraffico riescano a penetrare negli Stati Uniti, in Europa generando corruzione, persino a livello politico, e una catena di morti. Negoziare, trattare la resa di personaggi come Mancuso è stata una scelta difficile, portata avanti tra mille difficoltà e comunque per ora sta andando avanti…”.

Il Vice Presidente colombiano ha lanciato spesso accuse molto dure a personaggi famosi che danno cattivi esempi, come quelli che vengono da appartenenti al mondo della politica e delle istituzioni, magistrati investigatori che in Colombia stringono accordi con i narcotrafficanti, con i paramilitari e, in Italia, con la ‘ndrangheta e con le altre organizzazioni mafiose…
“Qualsiasi persona che sia al potere,che abbia un ruolo istituzionale -spiega Francisco Santos - ha il dovere di dare il buon esempio…, gli esempi devono venire anche dai funzionari pubblici, soprattutto quelli che hanno un ruolo di alto livello... quindi, a mio giudizio, chi detiene un potere politico e giudiziario e si sporca va perseguito né più e né meno degli altri cittadini, anzi, forse, più degli altri... proprio perché siamo convinti di questo, in Colombia stiamo giudicando e punendo in particolare i politici che hanno avuto relazioni, fatto affari e accordi con le formazioni paramilitari, ricevuto finanziamenti e sono stati sostenuti dai cartelli del narcotraffico”.


foto Ansa

Alla domanda su cosa si possa fare per combattere questi patti scellerati, il Vice Presidente della Colombia risponde in modo secco:
“Io credo che per combattere questa piaga esista un solo modo e sia il modo migliore, far pagare i reati con il carcere..”.
In Italia, nel corso del 2005, sono stati complessivamente sequestrati 31.597 chili di sostanze stupefacenti, con un aumento del 21,8% rispetto al 2004.
I dati riferiti al primo semestre 2006, confrontati con l’analogo periodo precedente, segnalano un aumento del 35,2% Nel 2006, poi, è stata sequestrata la maggiore quantità di cocaina degli ultimi 25 anni. Da annotare un dato: nel 2005 il 16% delle 20 mila operazioni condotte in Italia contro il traffico di droga è stato effettuato nel napoletano.
Gli specialisti segnalano dati inquietanti: il numero dei consumatori giovanissimi è in continua crescita: 7 italiani su 100, tra i 14 e i 54 anni, ammettono di aver fatto uso di cocaina almeno una o piu' volte nella vita. Ma uno degli elementi più preoccupanti riguarda la percezione di questo fenomeno. La dipendenza da cocaina è, tutt’oggi, ”sottovalutata”. Ancora passa un messaggio che sembra attribuire una minore pericolosità alla cocaina e le stesse istituzioni in molti Paesi se non tendono, addirittura, a trascurare il problema manifestano, comunque, un’attenzione intermittente.
E del resto la cocaina dilaga. Un anno fa il sequestro di oltre 142 chili di tale droga nella provincia meridionale del Guangdong ha segnato l’arrivo anche sul mercato cinese delle organizzazioni di narcotrafficanti colombiani. In quell’occasione le investigazioni del Drug Enforcement Administration statunitense, partite in Sud America, hanno portato all’arresto di nove persone: due prese ad Hong Kong e sette a Shenzhen, nella Cina popolare.
La cocaina ha così fatto la sua comparsa in Cina (soprattutto nei party dei nuovi ricchi cinesi) a fianco delle droghe “tradizionali” per quel mercato, derivate dall'oppio, e di quelle sintetiche.
Francisco Santos arriva ad affermare che le celebrità come Kate Moss, che fanno uso di cocaina, contribuiscono ad alimentare la guerra civile in Colombia, … Non si rendono conto che quella cocaina è macchiata di sangue … o, se se ne accorgono, fanno fina di niente.
“E', a mio avviso, enormemente importante educare gli europei - dice il Vice Presidente colombiano - l'Europa sta vivendo adesso un'epidemia di consumo di cocaina ed è gravissimo che la cocaina venga vista come lo champagne e non come una cosa terribile, come ad esempio l'eroina, le droghe sintetiche...
Ho avuto modo di parlare anche con il Capo dell'antidroga francese ed ho avuto da lui la conferma che la cocaina è penetrata nella società europea in modo incredibile... è per questo che bisogna raccontare ai consumatori presenti e futuri,soprattutto ai giovani e ai giovanissimi, che questa droga è macchiata di sangue, che la cocaina finanzia il terrorismo in Colombia, l'uso delle mine antiuomo nel mio Paese e, in più, finanzia il disastro ambientale che, insieme alla Colombia, flagella l'intero Sud America.
La Colombia ha perduto più di 2 milioni di ettari di selva tropicale umida in Amazzonia... questa deforestazione è servita a moltiplicare le piantagioni di coca... devo notare che non mi è mai capitato di sentire, anche i più duri tra gli ambientalisti, parlare di quello che è accaduto, di citare questa devastazione come un disastro strettamente connesso al flagello della droga”.

Aver dimezzato gli ettari di terra utilizzati per la produzione di coca viene considerato dal Governo colombiano un successo decisivo nella lotta al narcotraffico nel Paese.
Un risultato raggiunto con enormi sforzi e vere e proprie “campagne” come quella nel parco naturale di La Macarena: 4.600 gli ettari coltivati, un quinto rispetto ai 20.000 totali della riserva che si trova nel dipartimento di Meta nella Colombia sud-orientale. Per proteggere le ricchezze del parco le piantagioni sono state distrutte lentamente e faticosamente, a colpi di machete, da schiere di contadini, un migliaio in tutto, pagati circa 25.000 pesos al giorno (poco più di nove euro).
Non è stato usato il metodo della fumigazione, l'irrorazione delle piantagioni con diserbanti lanciati da piccoli aerei scortati da formazioni di elicotteri, tecnica utilizzata in altre zone del Paese, che ha però sollevato perplessità e poi proteste per il grave impatto ambientale.
L’operazione Macarena è stata compiuta, non senza tensioni e scontri, con il contingente di 1.500 poliziotti dispiegati per garantire la sicurezza dell’operazione (la guerriglia è arrivata perfino ad ordinare ai contadini di evacuare la zona, pena il trattamento da ”collaboratori dell'esercito”) in un'area dove è forte la presenza delle Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia (FARC) che il Governo accusa di ‘narcoterrorismo’, e anche dei paramilitari delle Autodifese unite della Colombia. E del resto il Presidente Uribe l’ha decisa, puntando anche sul fatto che in un anno la tecnica di sradicamento manuale ha permesso di distruggere con successo 32.000 ettari di foglie di coca, proprio dopo che le FARC hanno ucciso 29 militari impegnati in una precedente operazione di distruzione di piantagioni in una zona vicina al parco.
Per Francisco Santos operazioni come la “Macarena”, la distruzione delle piantagioni eliminate fino ad ora, sono un successo importante ma non sufficiente.
“Cosa hanno fatto i trafficanti - spiega -, nella metà di queste terre sono riusciti ad arrivare al doppio della produzione con piante che riescono a dare quattro o cinque raccolti l'anno, aumentando anche il numero di piante per ettaro. Adesso restano ottantamila ettari di terra coltivati a coca …su queste terre l'azione per ridurre le coltivazione riuscirà ad essere più incisiva e soprattutto effettiva.
Il Governo colombiano
- spiega Santos - non sta ottenendo risultati solo su questo fronte. Ha ottenuto grandi successi su molti versanti nella lotta alla criminalita', registrando una drastica riduzione di reati quali il sequestro di persona e l'omicidio e sta superando il ritardo degli ultimi quindici anni, quando la mafia stava per sconfiggere lo Stato”.
La quantità dei sequestri di stupefacenti conferma la tendenza all’aumento della domanda di cocaina.
La droga arriva nei container da Spagna, Olanda e Portogallo e, per via aerea, in bagagli e plichi e continua ad essere prodotta interamente in Sud America, ma di recente il Ministro dell’Interno del nostro Paese, Giuliano Amato, ha richiamato l'attenzione sul ruolo dell'Africa. Il Vice Presidente colombiano batte molto su questo tasto: il baricentro degli affari e delle produzioni dei narcotrafficanti si sta spostando verso l'Africa.
Francisco Santos sostiene che sarebbe in corso una radicale mutazione delle rotte e delle strategie dei narcotrafficanti.
“Come non vedere le quantità enormi di cocaina che vengono sequestrate continuamente soprattutto nell'area ovest dell'Africa - spiega Santos - e la chiara direzione che hanno assunto le rotte del narcotraffico che dalla Colombia muovono verso il Venezuela, verso il Brasile e, poi, verso l'Africa e quindi da lì in Europa dove un chilo di coca costa cinquantamila dollari contro i trentamila degli Stati Uniti.
E' molto frequente che due o tre tonnellate di cocaina vengano intercettate in Paesi come il Kenia, la Nigeria, il Benin e il Togo. In questi Paesi i narcotrafficanti colombiani hanno messo su vere e proprie centrali di distribuzione…
Ma il dato più preoccupante a mio giudizio - continua il Vice Presidente colombiano - è che Paesi dell'Africa equatoriale, nella quale esistono grandi debolezze istituzionali in materia di giustizia e di sicurezza di organizzazione delle Forze di Polizia, hanno un clima identico a quello della Colombia.
I narcotrafficanti si stanno accorgendo che la Colombia è diventata un Paese in cui, per loro, è difficile fare affari, così sono sicuro che inizieremo a vedere produzioni di coca in Africa.
Una scelta legata all’esigenza di non avere le continue difficoltà che stanno avendo da noi e anche di risparmiare, di abbattere i costi, tutte cose per cui l'Africa è il luogo ideale…”.

A proposito delle iniziative necessarie per rintracciare e prosciugare le immense quantità di denaro che vengono raccolte dai narcotrafficanti, per interdire le incredibili opportunità di reinvestimento offerte dall'economia globalizzata, Francisco Santos chiama in causa gli organismi finanziari internazionali e chiede cooperazione…
“Credo - dice - che questo sia il fronte: il grande compito su cui devono essere impegnati sforzi e risorse. Serve, innanzitutto, la collaborazione della Banca Mondiale…. è necessario fare accordi sui paradisi fiscali, i luoghi dove viene gestito il riciclaggio di denaro sporco del traffico di droga, zone franche…. questo comunque non è un compito che spetta ai Paesi produttori”.
Pochi dati recenti per capire di cosa stiamo parlando e, soprattutto, legati a quello che è, anche su questo versante, un caso significativo: l’italo colombiano Salvatore Mancuso.
Il leader paramilitare ha consegnato alla Procura della Repubblica di Bogotà beni per un ammontare di oltre 11.000 milioni di pesos, pari a quattro milioni di euro. Ma l'ammontare dei beni di Mancuso è molto, ma molto superiore a questa cifra.
E’ stato definito come “un primo indennizzo per i danni subiti da migliaia di contadini”.
Mancuso ha ammesso chiaramente di aver fatto affari con l'imprenditore italiano Giorgio Sale, accusato di narcotraffico dalla magistratura prima di Reggio Calabria poi di Roma (che ha ricevuto per competenza il fascicolo dalla Procura calabrese) arrestato insieme ai figli nel dicembre scorso, nell’ambito dell’operazione di polizia in Colombia ed Italia denominata “Tiburon Galloway”.
Sale, con i figli Christian e Stefano, pure arrestati, gestiva una rete di 53 negozi di abbigliamento della marca 'Gino Pascalli' e un altra serie di negozi (Made in Italy) con prodotti italiani a basso costo.
La magistratura colombiana lo sospetta di aver partecipato con Mancuso all'esportazione di oltre otto tonnellate di cocaina.
In una lettera di sette pagine al Procuratore Generale Mario Iguaran, Mancuso ha descritto i beni consegnati, intestati ad un suo prestanome ora detenuto.
Tra l’altro ci sono ben sei fattorie dai nomi pittoreschi (El Bongo, El Carare, Villa Amalia, El Chimborazo, San Josè e Las Palmas) con 2.800 ettari di terra nel dipartimento di Bolivar.
Tra gli altri beni consegnati compaiono anche un famoso ristorante colombiano (L’Enoteca Atlantico) e una società dalle molteplici attività, da quella finanziaria - prestava denaro - alla vendita di libri.


foto Ansa

Secondo il Vice Presidente, in Colombia il sequestro dei beni, provento delle attività illecite, ha avuto molto successo anche se ammette che restano difficoltà serie riguardo la riutilizzazione e sono le stesse che si incontrano in Italia, dove spesso restano in stato di totale abbandono o, peggio, quando vengono riutilizzati sono presi di mira dalle organizzazioni criminali che li hanno dovuti cedere: la ‘ndrangheta e la mafia si vendicano e distruggono tutto…
“Sì - ammette Santos - sfortunatamente succede esattamente quello che accade in Italia -spiega il Vice Presidente-. Adesso comunque da noi esiste una norma che consente di mettere in vendita i beni tolti ai narcotrafficanti ai cartelli. Lo Stato non amministra direttamente beni sottratti ai mafiosi. Oggi è in atto una guerra senza quartiere contro i narcotrafficanti. Per combatterli ci siamo ispirati al giudice Giovanni Falcone. Stiamo togliendo loro le ricchezze, i palazzi, le ville. Con i soldi dei mafiosi stiamo costruendo le carceri per mettere dentro proprio loro, i mafiosi…”.
Per combattere gli affari della 'ndrangheta e dei narcotrafficanti colombiani Italia e Colombia, secondo Santos,devono percorrere insieme una strada obbligata. Per questo, spiega, è venuto in Italia, per questo , aggiunge, solleciterà scambi continui di esperienze. Un lavoro indispensabile se è vero che le indagini dimostrano quanto sia tentacolare ed inestricabile la rete di interessi e di relazioni che gravitano intorno al narcotraffico. Inchieste hanno dimostrato che la cocaina colombiana veniva ceduta all’Eta basca che, a sua volta, la passava alla camorra napoletana e che questa pagava le partite con armi ed esplosivo procurati nei Paesi balcanici.
Insospettabili i legami tra narcotraffico e terrorismo internazionale, ma quello appena citato non è l’unico caso. C’è, ad esempio, quello di un narcotrafficante marocchino, arrestato e rilasciato per insufficienza di prove in Italia: quel narcotrafficante fu coinvolto nelle indagini sulla strage di Madrid dell'11 marzo 2004.
“L'Italia - afferma Francisco Santos - dopo l'Inghilterra e la Spagna è il Paese europeo dove si consuma più cocaina: dunque i consumatori italiani devono capire che ogni volta che comprano droga stanno uccidendo un bambino colombiano, stanno finanziando il terrorismo…e poi… le alleanze tra ‘ndrangheta e trafficanti di cocaina colombiani non possono sorprendere e, se è vero che le collaborazioni, gli accordi tra gruppi mafiosi sono agili e solidali, allora anche la collaborazione tra Stati tra le Forze di Polizia e gli Organismi giudiziari degli Stati devono esserlo altrettanto anzi, preferibilmente, di più… siamo obbligati a lavorare congiuntamente, sviluppando iniziative comuni e sempre più incisive nelle attività di interdizione, strumenti per facilitare l'estradizione dei criminali…”.


* Si ringrazia la Direzione della testata giornalistica per la gentile concessione.

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