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GNOSIS 2/2007
Il Forum



FORUM:
I patrimoni criminali
al servizio della società

a cura di Lucia REA



Da un anno almeno si assiste ad una vera e propria offensiva dei clan contro le cooperative impegnate nella riutilizzazione dei beni confiscati: un atto di sfida ed un messaggio rivolto anche allo Stato? Appare chiaro che, perchè la lotta alle organizzazioni mafiose sia davvero efficace, bisogna individuarne i patrimoni, portarglieli via e riutilizzarli. Anche perché sono talmente ingenti, innervano a tal punto il tessuto economico da essere in molte aree del paese una variabile decisiva dello sviluppo. Il Forum ha preso in esame, anche in modo puntiglioso, problemi, difficoltà e prospettive di questo capitolo dell'azione di contrasto al crimine organizzato.


Raffaele CANTONE
Francesco FORGIONE
Angela NAPOLI
Lucia REA


D. Le cosche, con attentati e scorrerie, aprono un nuovo fronte e dicono che quanto è di loro proprietà o resterà nelle loro mani o non produrrà. Quale riposta è possibile dare?

Francesco Forgione - Non è una novità: i mafiosi quando entrano nel circuito criminale mettono in conto il carcere, anche il rischio della vita, ma non possono tollerare che gli si sottraggano i beni, i patrimoni e le ricchezze. Siamo di fronte ad una recrudescenza della violenza tesa a bloccare il processo di confisca e la sua centralità nella lotta alla mafia. La motivazione profonda è che in alcuni territori il meccanismo del sequestro, della confisca e del riutilizzo comincia a funzionare veramente ed i mafiosi vedono da un lato svanire l'obiettivo di continuare a gestire i propri beni, dall'altro cominciano a percepire che può crescere la fiducia nell'utilità sociale dell'antimafia. La risposta che bisogna dare è duplice: da un lato garantire la sicurezza a chi lavora od utilizza un bene confiscato, dall'altro velocizzare e rendere efficiente il procedimento che dal sequestro porta al riutilizzo. Sul primo punto devono lavorare insieme gli enti locali e l'associazionismo, le Prefetture e le Forze di Polizia, che hanno ben compreso il valore strategico di queste esperienze. Sul secondo punto sono necessarie delle modifiche legislative per aggiornare la legge 109/96, individuare un percorso unitario per eliminare tempi morti nei passaggi da una gestione all'altra, ed evitare ogni forma di scaricabarile tra le varie amministrazioni che, attualmente, sono coinvolte nella gestione dei beni. Una cosa non è più tollerabile: che dal sequestro alla consegna, a fini sociali di un bene, passino da 10 a 15 anni. Anche simbolicamente, ciò rappresenta l'impotenza dello Stato.

Angela Napoli - Non v'è dubbio che lo Stato potrà vincere la sfida lanciata dalle cosche mafiose, sicuramente con la repressione, ma anche con la prevenzione e, quindi, continuando ad attaccare i patrimoni illeciti. L'aggressione ai patrimoni deve diventare un punto fondamentale del contrasto alle mafie: è la riutilizzazione dei beni confiscati che riesce ad intaccare l'arroganza ed il potere degli uomini delle cosche ed a dimostrare come questi non siano intoccabili. L'abbattimento del potere economico della criminalità e, quindi, la cosiddetta "onorabilità" della stessa, non solo preoccupa la mafia, ma incentiva, altresì, il cittadino comune a non nascondersi sotto la cappa dell'omertà ed a trovare il coraggio della ribellione. Naturalmente vanno incentivate e supportate tutte le cooperative, le quali, riutilizzando aziende e terreni confiscati, producono lavoro pulito, crescita sociale e visibile educazione alla legalità.

Raffaele Cantone - Non sono in grado di dare una risposta precisa perché non conosco i fatti se non per quanto apparso sui giornali. Mi sembra chiaro, però, che indipendentemente dalla considerazione se vi sia o meno un filo comune che unisce tutte le vicende, i clan, soprattutto mafiosi, intendono dimostrare che non tollerano in nessun modo che "qualcuno" possa gestire i loro beni. E' uno schiaffo fortissimo per il mafioso che un bene possa continuare ad essere utilizzato e, soprattutto, a produrre reddito senza di lui. L'attacco, quindi, alle cooperative impegnate nella riutilizzazione dei beni confiscati rappresenta certamente un modo per rendere evidente il ferreo controllo del territorio.

Lucia Rea - Vedersi togliere, ma soprattutto, vedere riutilizzati da cooperative sociali, da Forze dell'Ordine o da amministrazioni pubbliche, le loro magnifiche ville, terreni, aziende, denaro, diventa per i clan fonte inesauribile di umiliazione. Le esperienze di trasformazione di beni patrimoniali in attività legali, rappresentano gli unici casi tangibili di vera mortificazione inferta alle cosche. E' facile immaginarne il perché. Esistono - nonostante biechi tentativi di rinnovata sopraffazione teatrale, posti in atto dalle organizzazioni criminali contro attività di cooperative e associazioni - significative esperienze di riutilizzazione sociale sorte sui terreni o nei beni confiscati in quei territori ancora appartenenti a culture mafiose. L'accanimento contro queste magnifiche e simboliche esperienze, corrisponde, a parer mio, sì alla decisione da parte delle organizzazioni criminali di volere interrompere violentemente questa sorta di passaggio di mano dei loro patrimoni alla società civile, ma, allo stesso tempo, coincide anche con un clima di distrazione, soprattutto, ma non solo, degli anni scorsi, dell'impegno antimafia che ancora si avverte in alcuni settori. Fare anti-mafia è anche essere tempestivi nel migliorare strumenti normativi ed evidentemente dotare le realtà territoriali di strutture più idonee in materia di gestione e destinazione di beni confiscati. Rendere dunque più efficace la lotta ai patrimoni mafiosi e garantire una efficace applicazione della legge 109/96 sull'uso sociale dei beni confiscati.

D. Gli organismi investigativi incontrano sempre maggiori difficoltà nel lavoro teso ad individuare i beni dei mafiosi. Dalle 1.000 confische effettuate ogni anno del biennio 2000-2001, si è arrivati alle 374 confische del 2004 e alle 161 registrate fino ad ottobre 2005. Dipende solo dalla capacità del nemico di mimetizzarsi o c'è qualcosa da rivedere nelle strutture e nei metodi investigativi o, piuttosto, sulle norme di aggressione dei patrimoni mafiosi?

Forgione - Innanzitutto bisogna verificare quanto il lavoro su questi temi sia stato vissuto come centrale e gratificante negli ultimi anni. Io noto che in alcuni tribunali ed in alcuni uffici delle Forze di Polizia si lavora bene, si effettuano buone indagini, si realizzano dossier attenti ed approfonditi, si seguono bene le tracce dei capitali mafiosi: quello che manca è una prassi comune, il saper fare diffuso, una strutturazione omogenea in tutti i tribunali. Poi sicuramente bisogna aggiornare le leggi, anche pensando alla possibilità di indagini sovranazionali più semplici rispetto ad oggi. Penso che bisognerebbe giungere ad un automatismo tra le indagini personali e le indagini patrimoniali, ovviamente valutando il livello criminale del soggetto investito dall'attività giudiziaria.

Napoli - Le attività di riciclaggio dei proventi illeciti da parte della criminalità organizzata sono ormai divenute "raffinate" e certamente difficili da individuare e contrastare. Le tecniche di mimetizzazione usate dalla malavita spesso non riescono ad essere scoperte, vuoi per mancanza di adeguate strutture e tecniche investigative, vuoi per inadeguatezza delle norme vigenti. La rivisitazione della normativa attuale è imposta proprio dalle nuove attività delle mafie e dalle strategie attraverso le quali vengono messe in atto. Poiché l'uso di prestanomi, quasi sempre individuabile in persone insospettabili, sta diventando predominante, occorrerebbe, innanzitutto, una legge capace di supportare l'inversione dell'onere della prova. Si potrebbe poi pensare alla creazione di un organismo governativo o para governativo nazionale, dotato di piena indipendenza e di autonomia, che svolga solo ed esclusivamente costante attività di monitoraggio e di indagine sui flussi di capitali investiti in Italia, spesso anche dopo il lavaggio del danaro sporco avvenuto all'estero, seguendo in modo specialistico tutto quanto può risultare prodomico ad attività di una certa rilevanza economica, col potere di entrare nel merito delle stesse, laddove si tratti di concessioni amministrative, erogazione di finanziamenti, permessi e licenze dal profumo illecito. Penso, quindi, ad una struttura formata da funzionari specializzati, formati appositamente per questo tipo di attività, non imbrigliati dal potere politico e che possano agire, più o meno, silenziosamente per l'espletamento di un'attività istruttoria, completa e soddisfacente, da sottoporre agli organi inquirenti. Magistratura e Guardia di Finanza svolgono anche questo tipo di attività, ma con sistemi e modalità che spesso si inceppano, perché non idonee, data l'endemica carenza di mezzi e risorse, a condurre indagini a tutto campo e "a ritroso", cioè finalizzate alla scoperta dell'effettiva provenienza dei capitali che prescinda dal dato meramente fiscale.

Cantone - La risposta a questa domanda non può non essere un minimo articolata; la riduzione numerica delle confische è certamente collegata, in primo luogo, alle capacità mimetiche dei clan. Le indagini effettuate in passato hanno fatto scuola e gli "errori" dei boss che hanno permesso di scoprire i reali titolari dei beni, soprattutto quelli produttivi, non vengono più ripetuti. Oggi è quasi impossibile individuare beni, non dico che siano intestati al mafioso ed ai suoi stretti familiari ma anche a parenti meno "prossimi". E' evidente che quanto più ci si allontana nei rapporti di tipo parentale fra il mafioso vero, titolare dei beni, e la "testa di legno", tanto più sarà difficile ricostruire gli elementi che possano dimostrare, nel corso di un procedimento anche di prevenzione, la reale titolarità. Le indagini richiedono un livello molto più elevato di professionalità e, quindi, sia una dotazione di uomini numericamente significativa nei gruppi che si occupano di attività di prevenzione patrimoniale (troppo spesso nella pratica le sezioni che sono specializzate in tale tipologia di indagini hanno dotazioni di personale assolutamente ridicole) sia la scelta di utilizzare elementi di qualità e tecnicamente molto preparati. Questa ultima indicazione rende necessario da parte delle Forze di Polizia anche un investimento significativo di risorse, destinato sia al potenziamento delle banche dati, che contengano elementi di conoscenza basilari per avviare le investigazioni, sia alla formazione dei soggetti che si dovranno occupare delle attività in discussione.

Rea - "… molto, moltissimo denaro; di provenienza, diciamo, incerta… Come vede, abbiamo cercato non solo nelle agenzie del suo paese; ci siamo spinti sino a Palermo…Molto, moltissimo denaro: lei può spiegarne la provenienza?" "E lei?" domandò impassibile don Mariano. Tenterò: perché nel denaro che lei accumula così misteriosamente bisogna cercare le ragioni dei delitti sui quali sto indagando; e queste ragioni bisogna in qualche modo illuminare negli atti in cui la imputerò di mandato per omicidio… Tenterò…". Questo scriveva Leonardo Sciascia ne "Il giorno della civetta" nel 1961. Ritengo sia straordinario e perfettamente attuale. Il riciclaggio è il legamento essenziale, strategico, nell'impalcatura del sistema della criminalità organizzata. Questo perché la forza motrice di ogni associazione criminale è il profitto. La vera cerniera tra la criminalità organizzata e l'economia legale è sempre più il riciclaggio dei proventi illeciti. E fino a questo punto, nulla di nuovo. Ma è quando tutto si muove su un tappeto fatto di risposte, normative spesso incerte se non contraddittorie e di un tessuto sociale prevalentemente imperniato su altrettanta incertezza e su uno stato emotivo altalenante, circa la scelta del limite tra illegalità e legalità - che la criminalità mostra, o forse sarebbe meglio dire nasconde, le sue vere potenzialità e dimostra di scegliere proprio il piano economico come il suo palcoscenico "professionale". Un palcoscenico su cui operare in modo più scientifico, capillare e subdolo. Nonostante per più di venti anni l'impegno di attività investigative nazionali e internazionali si sia concentrato su questo obiettivo, far luce compiutamente, rimanendo al passo con la sfida, sul dedalo dei canali e delle attività di riciclaggio è ancora un'impresa ardua. Ciò è dovuto alla grande capacità di questa forma criminale di mimetizzarsi con facilità, che si nasconde, si fonde, ad attività completamente lecite. Il tanto citato "denaro sporco" in fondo è tale perché è stato colorato da un delitto, da un reato. Le innovazioni, anche tecnologiche, poi, hanno compiuto il miracolo della sofisticazione delle varie fasi del loro "lavaggio". Di certo questo è parte dello sfondo sul quale, con immensa difficoltà si muovono l'azione investigativa, le tecniche di indagine, nell'applicazione delle misure di prevenzione patrimoniale e il complesso tema della confisca. Appare, dunque, evidente che il dato che si evince dalla domanda, relativo a come negli anni scende vertiginosamente il numero delle confische, trova spiegazione tanto nelle continue capacità di crescita "economico-professionale" delle organizzazioni criminali, quanto nelle difficoltà delle scelte del legislatore. Di certo abbiamo complicato non poco la vita ai mafiosi con le nostre disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione patrimoniale. Questa convinzione cresce se si pensa che in molti altri ordinamenti di paesi europei, per esempio, si considera di origine illecita non tutto il patrimonio del reo, come avviene in base alle norme italiane, ma solo ciò che è stato ottenuto dal reo in un determinato lasso di tempo che va da prima di quel determinato reato all'inizio del procedimento volto all'applicazione della confisca. Il carattere ampio della forma di confisca italiana, legato all'utilizzo del dato legato alla sproporzione dei beni come indizio di illiceità dell'intero patrimonio, diventa, però, ad un certo punto si moltiplicano i problemi. Sono necessarie numerose e complesse verifiche, comparazioni e investigazioni; i tempi si allungano e le procedure talvolta si bloccano. Vale la pena citare il caso in cui rientrano, nel patrimonio del reo, beni aziendali o le quote di una società. In tal caso, ad esempio, non può essere colpito direttamente il patrimonio di una società commerciale con la confisca penale, in quanto si tratta di persona giuridica priva di responsabilità, ma potranno essere colpite solo le singole quote societarie di cui è in possesso il reo. Altro esempio: la giurisprudenza, nell'applicazione della legge 575/65 e sue modifiche, indica che possono essere confiscate le quote di una società sia quando il capitale è di provenienza illecita, sia quando le attività siano riconducibili a metodi illeciti, cosicché da colpire tutte le attività connesse alla principale che siano contaminate. Dunque, uno strumento straordinario. Ma una cosa va aggiunta: a patto che questi siano gli unici principi normativi applicabili possibili (e non spetta a me dirlo) per combattere le mafie attraverso il "mettergli le mani in tasca". E poi si aggiunge una domanda: ma quanto costa, in termini di tempo, tutto questo, viste le modalità sempre più sofisticate e veloci dei criminali di sfuggire proprio a ciò? Ritengo, conoscendo il numero esiguo di addetti ai lavori delle investigazioni, che sono scarse le possibilità per metterci in carreggiata con loro.

D. La normativa che colpisce i patrimoni della criminalità organizzata afferma principi e stabilisce misure che concretamente colpiscono le organizzazioni mafiose. Proprio per questo i clan hanno imparato a difendersi, non solo cambiando metodi di riciclaggio del denaro sporco ma soprattutto mettendo al riparo beni, imprese e affari con strumenti sempre più sofisticati, che molte volte rallentano se non neutralizzano l'azione che ha consentito di individuarli. E' arrivato il momento di adeguare le norme, muovendosi in quale direzione?

Forgione - Una delle esigenze avvertite in maniera più pressante riguarda la separazione tra misure di prevenzione personali e misure patrimoniali. Attualmente, il riconoscimento della pericolosità del soggetto e l'applicazione di una misura di prevenzione patrimoniale costituiscono presupposto imprescindibile ai fini dell'applicazione di una misura di prevenzione patrimoniale. L'effetto che ne deriva è che se, nel corso del procedimento, viene meno la misura personale, tale evento trascina con sé anche la confisca dei beni al medesimo soggetto. In caso di morte di un indagato per mafia a cui siano stati sequestrati dei beni, ad esempio, la misura di prevenzione personale viene meno e ciò pone gli eredi in condizione di chiedere la restituzione dei beni già confiscati, ma non in via definitiva; per citare un caso accaduto di recente, la morte del boss di Cinisi, Tano Badalamenti, morto in carcere negli Stati Uniti, ha dato la possibilità ai suoi eredi di presentare al tribunale l'istanza per la restituzione dei beni che erano stati sottoposti a confisca, in un procedimento che non aveva mai visto la sua definitiva conclusione. La soluzione di situazioni così paradossali, in cui un bene realizzato grazie ai traffici illeciti di un mafioso può continuare ad esercitare effetti gravemente distorsivi sull'economia lecita dopo la morte del mafioso, può essere ricercata nel riconoscimento di una autonoma pericolosità sociale dei beni di cui sia dimostrata la provenienza illecita e nella recisione del nesso di pregiudizialità tra le misure personali e le misure patrimoniali. Una soluzione in tal senso, allevierebbe anche i rischi che possono derivare dalla recente sentenza delle sezioni unite della Corte di cassazione, che hanno ammesso la revocabilità della confisca definitiva e che sono stati messi in luce anche dal Procuratore Nazionale Antimafia, nel corso delle audizioni dinanzi alla Commissione parlamentare antimafia.

Napoli - Di fronte alla mimetica capacità delle mafie, vanno sicuramente raffinati i metodi investigativi, i quali dovranno essere supportati dalle modifiche alle norme vigenti in materia. Occorrerebbe, innanzitutto, rendere obbligatoria l'azione di prevenzione, al pari dell'obbligatorietà dell'azione penale, in modo da non lasciare spazio al Pubblico Ministero per scelte discrezionali nell'intervento di prevenzione, sia personale che patrimoniale. Le misure di prevenzione dovrebbero essere estese ad altre figure di reato. E' indispensabile accelerare la fase intermedia tra il sequestro e la confisca del bene. Si dovrebbe prevedere un'unica Agenzia Nazionale, operante presso il Ministero dell'Interno, per la gestione e destinazione dei beni sequestrati e confiscati. A livello periferico, attraverso ruoli fondamentali ai Prefetti, si potrebbero prevedere Agenzie provinciali per la gestione e la destinazione dei beni. Assoluta impossibilità di vendita di qualsiasi bene confiscato, per evitare il rientro del bene all'iniziale illecito proprietario, nel qual caso si disperderebbe anche il valore simbolico della confisca del bene stesso. Potenziamento dei poteri della Procura Nazionale e delle Procure Distrettuali Antimafia. Quanto elencato rappresenta, a mio avviso, solo parte delle modifiche indispensabili alle leggi vigenti in materia.

Cantone - Sono assolutamente convinto che vi sia la necessità di un aggiornamento legislativo e che tale carenza della normativa sia una delle cause dei numeri ormai insoddisfacenti di sequestri, prima, e di confische, poi. E' un dato ormai generalmente riconosciuto che la normativa antimafia sia troppo farraginosa; basta vedere quante volte la legge principale, in tema di misure di prevenzione - e cioè la l. 575/65 - sia stata interpolata e quanti articoli siano stati aggiunti, spesso in modo non del tutto coordinato. Esistono, poi, delle clamorose falle; basta che il proposto per le misure di prevenzione muoia prima del passaggio in giudicato della decisione per far decadere - almeno secondo un orientamento della giurisprudenza - tutte le misure disposte e far ritornare i beni agli eredi. Inoltre, troppo spesso, nella pratica si accavallano misure patrimoniali emesse nel corso dei processi penali e nel corso dei procedimenti di prevenzione senza che vi sia nemmeno un minimo di coordinamento. E' necessario ed ineludibile, quindi, l'emanazione di un testo unico - troppe volte promesso dai rappresentanti politici che via via si sono alternati alla guida del Governo - che non si limiti, però, a recepire soltanto l'esistente ma che innovi nelle parti in cui la normativa ha dimostrato clamorose ‘defaillance’.

Rea - "…E' inutile tentare di incastrare nel penale un uomo come costui: non ci saranno mai prove sufficienti, il silenzio degli onesti e dei disonesti lo proteggerà sempre. Ed è inutile, oltre che pericoloso, vagheggiare una sospensione di diritti costituzionali… bisogna sospendere la gente nel covo dell'inadempienza fiscale…bisognerebbe, di colpo, piombare sulle banche, mettere mani esperte nella contabilità, generalmente a doppio fondo, …revisionare i catasti. …soltanto così ad uomini come don Mariano comincerebbe a mancare il terreno sotto i piedi. " Ancora un passo da: "Il giorno della civetta" di Sciascia. Oggi, dopo quarantasei anni, anche questo passo non appare superato. Nonostante l'ampliamento degli orizzonti conoscitivi e di adeguamento delle strutture investigative, che da tempo interessa tutte le Forze di Polizia che, proprio nella lotta al crimine organizzato, hanno sviluppato una comune cultura di investigazione, ancora lo Stato rincorre agguerrite condotte del crimine organizzato senza disporre di strutture e mezzi adeguati per far fronte a quella ipertrofia di opportunità prodotta non tanto grazie alla coesione di unità elementari come famiglie, clan, affiliati, ma soprattutto ad una schiera di interessi coesivi con attori esterni a tale semplice struttura. Il crimine organizzato non si dedica solo ad attività illegali convenzionali, come droga, racket della protezione e della estorsione, traffico di materiale radioattivo ecc, questi rappresentano solo proventi per opportunità di investimento, la sua principale capacità sta nello stabilire connessioni con burocrati, imprenditori, politici "legittimi". Nascono o crescono imprese quasi perfette, con affiliati professionisti, tutte caratterizzate dalla capacità di offrire beni e servizi e di creare opportunità occupazionali. Una economia del crimine, insomma, alla base della criminalità organizzata, ispirata dalle stesse motivazioni del nostro sistema della libera impresa e, dunque, del meraviglioso mondo degli affari. Un sistema di impresa capace di superare, senza alcuno sforzo, tutte le barriere normative ed arrivare, attraverso formazione di cartelli e di alleanze, a controllare e monopolizzare il mercato. Ma è chiaro che i mercati illeciti mostrano che la criminalità organizzata ha bisogno di un grado di disorganizzazione affinché il proprio sistema imprenditoriale funzioni. Ed è proprio in quella disorganizzazione che evidentemente vanno ricercati i punti deboli di un sistema cosi complesso, un sistema che oramai da tempo tende a far transitare i propri capitali, beni, fuori dall'area dell'illegalità, puntando su nuove generazioni, analisi delle emergenze dei consumi, capacità professionali. Un circuito fatto di complicità tra pubbliche amministrazioni, imprese, aziende sanitarie, studi specialistici, dove di illegale sembra esserci solo l'intermediazione illegale. In uno scenario del genere diventano ogni giorno più difficili azioni di individuazione di beni e capitali…

D. Lo strumento normativo attualmente a disposizione della fase successiva alla confisca dei beni mafiosi, quella che va dalla sentenza di confisca all'assegnazione agli enti pubblici, appare inadeguato e farraginoso, fino a rallentarne e bloccarne l'effettiva gestione: solo il 10% dei beni conferiti viene con difficoltà realmente utilizzato. Come e dove intervenire?

Forgione - Spesso quando un bene viene confiscato su di esso vi sono vincoli legati a diversi fattori: le legittime pretese di proprietari estranei alla vicenda criminale, i crediti da parte del sistema bancario, eventuali altri procedimenti in corso. Non sempre questi vincoli esistono in buona fede, spesso anzi sono creati appositamente per rallentare l'azione di confisca, ma bisogna comunque tenerne conto nel metter mano ad una modifica della legge esistente; sarebbe un errore fare una legge che parta dal presupposto che un bene posto sotto sequestro possa essere facilmente avviato alla confisca. Per questo occorre certamente rivedere il procedimento: probabilmente sarebbe necessaria una modifica che faccia sì che il bene giunga alla confisca libero da vincoli di sorta e che, dunque, sia celermente destinabile ai fini previsti dalla legge vigente (oltre l'80% dei beni in gestione dell'Agenzia del Demanio, infatti, risulta gravato da criticità che ne ostacolano la destinazione). Su un altro versante, le modifiche dovrebbero riguardare la gestione, sia per quanto concerne la struttura centrale che se ne occupa, sia - e forse soprattutto - per ciò che concerne l'articolazione territoriale della gestione e della destinazione dei beni. Una struttura che faccia leva sugli Uffici Territoriali del Governo è ritenuta più confacente alle esigenze di prevenzione dei rischi di infiltrazione e di condizionamento mafioso durante la delicata fase che porta alla destinazione ed alla definitiva utilizzazione dei beni a fini sociali.

Napoli - I dati evidenziano la criticità dettata anche dai tempi lunghi che intercorrono tra la confisca definitiva e il decreto di destinazione del bene. Dalla relazione sullo stato di gestione dei beni confiscati alla criminalità organizzata, presentata nello scorso mese di aprile dall'Agenzia del Demanio in Commissione Nazionale Antimafia, emerge che: "Al 31 dicembre dello scorso anno, i beni immobili definitivamente confiscati risultano in totale 7.328: di questi, 3.493 sono stati già destinati o, in minima parte, dichiarati formalmente non destinabili e 3.835 sono censiti come beni ancora in gestione". Numerosi i fattori di criticità per la destinazione del bene, sui quali occorre introdurre norme chiarificatrici: tempi definiti per l'espressione dei pareri obbligatori, corretta gestione dei beni fin dalla fase del relativo sequestro, sgombero di immobili, salvo diritti di terzi in comprovata buona fede, fin dalla fase del sequestro, di familiari dell'illecito proprietario. Non va sottaciuto il fatto che la lunghezza dei tempi intercorrenti fra le varie fasi e, tra queste, anche quella tra confisca ed assegnazione, finiscono col comportare l'abbandono dei beni ed il loro degrado con la conseguente svalutazione degli stessi rispetto alle indicazioni contenute nei decreti di sequestro e confisca.

Cantone - Si tratta di una parte dell'intervento che è completamente affidato all'autorità amministrativa e che dimostra quanto la burocrazia sia capace di rallentare la necessaria rimessa in circuito dei beni. Va, però, fatta una premessa; la farraginosità è già presente nella gestione dei beni anche precedente alla confisca e spesso già in questa fase si verificano dei guasti irreparabili. E' noto che i tempi per giungere ad una confisca definitiva sono spesso troppo lunghi e ciò incide in modo determinante su tutti i beni; su quelli non produttivi (case, terreni etc) che in questa fase non potendo essere immediatamente utilizzati vedono un loro sistematico depauperamento se non un danneggiamento di tipo spesso doloso; i beni produttivi (quote sociali e/o imprese) che affidati in gran parte dei casi a professionisti pur validi ma senza grandi doti manageriali perdono ogni capacità di partecipare in modo concorrenziale al mercato e quando poi sono confiscati in genere hanno perso tutto o parte del loro valore. E' quindi necessario riorganizzare e pensare a gestire i beni - soprattutto quelli produttivi - con criteri diversi e già dalla fase del sequestro, se del caso esonerando dalle responsabilità di controllo della gestione l'autorità giudiziaria. Dopo la confisca, poi, è necessario l'immediato affidamento ad un'entità che sia capace di gestirli e di destinarli immediatamente al riutilizzo in termini imprenditoriali ed in termini sociali. In questa sede non deve potersi escludere nemmeno la possibilità di un'alienazione - ovviamente con il massimo delle garanzie anche in ordine alla scelta dell'acquirente - di beni per i quali non sia possibile una destinazione sociale e/o una riutilizzazione economica.

Rea - Ritengo che l'universo del sistema delle confische sia uno strumento straordinario che ha dimostrato di attaccare la criminalità nella parte a loro più cara: le tasche, il potere economico. Ma per togliere forza, per rendere lo strumento della confisca la terribile spada sguainata in difesa della società civile, bisogna partire da un assioma: la confisca, il riutilizzo di un bene sottratto con difficoltà alla criminalità, non può diventare una procedura burocratica. E' un impegno etico. Un procedimento amministrativo, diventa un fatto meramente burocratico. È nell'istante in cui si trasforma un bene confiscato in un atto amministrativo che il tutto perde la sua valenza politica e sociale. Ed è quando ci si incammina verso questo percorso, come ci si è, purtroppo, incamminati, che nascono i musei dei beni confiscati. Centinaia e centinaia di terreni, megagalattiche ville, aziende, appartamenti e natanti sequestrati, dopo svariati anni confiscati e per anche un decennio lasciati lì. Lì dove? Per bene che vada contribuiscono ad innalzare il lucore del museo. Per male che vada, invece, continuano ad essere abitati dai vecchi proprietari, magari agli arresti domiciliari. Per poi essere recuperati dopo anni, completamente diroccati e da loro sventrati un attimo prima di abbandonarli forzatamente. La media del reale riutilizzo di beni confiscati è del 10%. Si abbassa se ci riferiamo a beni che non hanno destinazione istituzionale ma sociale. Inadeguatezza, scarsa tempestività ed esasperato sistema burocratico della struttura attualmente preposta al passaggio di un bene dallo Stato alle Istituzioni e poi alla società civile, stanno neutralizzando, direi, ossidando gli effetti della applicazione della legge 109/96, nata proprio per garantire velocità e trasparenza alle procedure di assegnazione dei beni immobili confiscati, attraverso una progettazione partecipata e rivolta al sociale. Il risultato? Ogni volta che un bene confiscato rimane per anni nelle mani della famiglia mafiosa o continua ad essere utilizzato da loro, incuranti della sentenza di confisca, la battaglia tra le organizzazioni criminali e la società civile finisce 1 a 0 per loro. Al contrario, è quando il bene viene immediatamente "ri"-utilizzato dalla collettività che la confisca ha il potere di un'aggressione irruente contro la criminalità. La dimostrazione tangibile che lo Stato vince diventa per loro un segno indelebile. Il conto, quello più caro, economicamente ma soprattutto simbolicamente, finalmente gli arriva come un siluro. Gli si nega la loro stessa ragion d'essere, gli si nega di godere del loro profitto. I loro beni diventano della gente, di quella parte buona della società costretta a subire e spesso a pagare i danni dei loro malfatti. Si assiste a situazioni insopportabili, grottesche. Ma a noi spetta non solo il compito di evidenziare criticità, ma di prospettare eventuali ipotesi risolutive. I gravami che pesano sui beni immobili confiscati e per questo mai utilizzati, sono per la maggior parte rappresentati da ipoteche (che oscillano dai 200 mila ai 500 mila euro, a salire, a edificio) vantate da banche che, troppo spesso, hanno "incautamente" prestato soldi ad attori del crimine. Per riutilizzare tali beni, in pratica, devono essere estinti - da parte di enti locali, consorzi, associazioni, soggetti che intendono ristrutturarlo e riutilizzarlo magari per fini sociali- i mutui che il mafioso non ha finito di pagare. A volte mi chiedo, se questa non è la madre dei paradossi. Vanno assolutamente verificate le possibilità di accordi con le banche, affinché collaborino, magari attraverso forme di partenariato, con le cooperative sociali a cui attraverso bandi viene affidata la gestione delle attività economiche che provengono dal riutilizzo dei beni. Attualmente, il mancato pagamento determina l'opposizione della Agenzia del Demanio per l'assegnazione dei beni. La comproprietà è un altro tipo di gravame che blocca la destinazione di un bene. In questo caso i beni possono essere confiscati solo pro-quota. Devono essere attivati procedimenti giudiziari per lo scioglimento della comunione. Qui, a seguito di pareri legali, solo la direzione dell'Agenzia del Demanio può poi decidere definitivamente attraverso l'istanza di scioglimento al giudice. Va chiarito che strategicamente i criminali scelgono in tempi non sospetti la comunione dei loro beni con individui, mogli, parenti, amici su cui non gravano e non dovranno gravare procedimenti penali. E anche qui, si legge nelle comunicazioni dell'Agenzia del Demanio "bene non destinabile". Il parametro per comprendere, poi, quanto al momento influisce lo scarso senso etico in interventi che dovrebbero essere modelli formidabili nella lotta alla criminalità, è rappresentato dal racconto di come ci vengono consegnati quei pochi beni immobili liberi da gravami.

D. Cosa è possibile fare per migliorare il monitoraggio sulle aziende, sulle imprese: - per combattere l'infiltrazione della criminalità attraverso anche meccanismi estorsivi o usurai? - per evitare che vengano rilasciati certificati antimafia, in realtà, nei fatti che a poco servono per dimostrare le reali implicazioni delle ditte con le cosche criminali? - per evitare che i protocolli antimafia vengano aggirati e che alla fine si arrivi al paradosso dei paradossi, cioè l'impiego di imprese delle mafie, da esse controllate, o infiltrate, nella ristrutturazione o nella gestione di beni confiscati ai clan?

Forgione - Sono due problemi differenti. L'usura ed il racket, ormai è provato in molte inchieste, sono diventate il metodo preferito dalla mafia per infiltrarsi in aziende sane e farle diventare un pezzo del sistema del riciclaggio di denaro. Su questo, oltre alle indagini, è determinante che lo Stato sia credibile in maniera tale che il cittadino sia spinto a collaborare con la giustizia. E' importante anche che le associazioni degli imprenditori e dei commercianti si mettano al fianco dei loro associati sia nella fase della denuncia che nel processo, costituendosi parte civile: è un segnale importante che indica da quale parte si vuole stare. Per quanto riguarda gli aggiramenti delle normative di prevenzione antimafia nel settore degli appalti è chiaro che va rivisto il meccanismo del certificato antimafia, in molte Prefetture già oggi si è sviluppato un procedimento diverso che va più a fondo e consente di escludere dalle gare imprese vicine o controllate dalle mafie, anche grazie ad accordi a cui partecipano tutti gli enti appaltanti, la DNA e la DIA. Come pure in alcuni territori ci sono protocolli di legalità che hanno permesso agli enti locali di rescindere i contratti con ditte su cui la mafia aveva messo le mani; ma sono ancora casi rari. Bisognerà verificare se queste iniziative possono essere estese a tutto il territorio nazionale, perché bisogna tenere presente che le ditte in odore di mafia non partecipano a gare solo nel sud Italia e che il sistema imprenditoriale mafioso opera dal cuore dei Monti Sicani al cuore del nord, nel Lombardo-Veneto.

Napoli - Certificati antimafia e protocolli antimafia ormai non esentano assolutamente la criminalità organizzata dalle infiltrazioni in aziende ed imprese, delle quali, spesso, attraverso la pratica del racket e dell'usura, la stessa criminalità finisce col diventare proprietaria. Certificati e protocolli antimafia aiutano le mafie ad indossare un "vestito" di garanzia, utile ad inserirsi ed a sostituirsi nell'economia legale. Forse le certificazioni antimafia dovrebbero essere sostituite da qualche intervento di maggiore efficacia. La valutazione del sequestro e confisca di aziende ed imprese dovrebbe essere più oculata, poiché uno scorretto intervento normativo potrebbe non tutelare terzi in buona fede e potrebbe disperdere occupazione e, quindi, giustizia sociale e finire col far credere che solo le mafie sono in grado di creare lavoro. Poiché spesso aziende ed imprese mafiose, dopo il loro sequestro si chiudono o vanno in crisi, deve esserci una fase di serio accertamento preventivo, al fine di garantire all'insegna della legalità la sopravivenza degli stessi fattori occupazionali. Vanno, altresì, ridefinite le figure dei curatori e degli amministratori giudiziari. Al di là delle norme occorre, però, che diventino più responsabili le categorie appartenenti ai mondi commerciale ed imprenditoriale. Nessuno oggi può immaginare di essere esente da pressioni, esercitate a vario titolo, dalla criminalità organizzata e, quindi, occorre una immediata reazione a qualsiasi forma di richiesta illegittima, fin dal momento dell'autorizzazione e dell'elargizione del finanziamento per la singola attività commerciale od imprenditoriale.

Cantone - Una lotta seria alla criminalità organizzata richiede che si faccia terra bruciata attorno alle imprese della mafia per evitare che esse possano "infiltrarsi" nei pubblici appalti, soprattutto quando si tratti di beni confiscati. E' una realtà purtroppo nota nelle indagini sulla criminalità organizzata anche campana e va assolutamente evitata anche per il carattere simbolico che rivestono i beni "confiscati" che rappresentano un modo per dimostrare che lo Stato è stato capace di riappropriarsi del controllo del territorio. Il sistema attuale di rilascio della certificazione antimafia non può, purtroppo, essere assolutamente un argine così come è strutturato; i controlli avvengono, infatti, in modo soltanto formale e spesso basta, per aggirarli, modificare le strutture di amministrazione delle società. E' necessario, quantomeno per appalti di maggiore consistenza, che si crei un raccordo stabile tra le Prefetture e le Forze dell'Ordine e, perché no, anche le Procure distrettuali antimafia in modo da poter fornire agli Uffici territoriali dello Stato notizie aggiornate anche sui possibili "prestanome". Il meccanismo, però, di contrasto alla criminalità organizzata negli appalti diventerà effettivo solo se il controllo preventivo si estenderà anche ai meccanismi che nella pratica stanno sostituendo i subappalti e cioè i "noli a freddo" o "a caldo" e le forniture di materiali. Infine, solo un accenno sui controlli alle imprese che pagano le tangenti; i protocolli di legalità che prevedano la rescissione dei contratti di appalto per le imprese che non denunciano vanno nella giusta direzione; vanno, però, rafforzati ed istituzionalizzati nel senso che tali clausole rescissorie devono essere imposte soprattutto per gli appalti maggiori.

Rea - Questa è una risposta direttamente collegata con la risposta numero 2 e 3. Va aggiunto evidentemente un breve excursus. Il punto di contatto - che però richiederebbe un approfondimento ad hoc, che rende impercettibile la differenza tra l'impresa economico-criminale e la criminalità organizzata- sta nel riciclaggio e dunque nel fatto che quei fattori che permettono il successo negli affari leciti servono anche a promuovere crescita in quelli non leciti. Il riciclaggio non si limita più solo a fare da "ponte" di collegamento tra i due modelli criminologici, ma, oggi, rappresenta quell'area complessa di fusione o sovrapposizione tra i due fenomeni. Dunque si parte dal concetto che è la ricchezza e non più la povertà ad essere la causa del crimine. Ed è proprio da queste considerazioni che ci aspettiamo che anche i risultati dei livelli investigativi, facendo salve le necessarie segretazioni, entrino a far parte dei provvedimenti in base ai quali, oggi, si verifica se un'azienda è o non è una specie di "lavatrice" dei "soldi colorati" delle organizzazioni malavitose e quindi se è o non è legittimata magari a partecipare o ad eseguire lavori di pubblica utilità. I certificati o i protocolli antimafia, insomma, non sono più in grado di radiografare le imprese. Non riescono ad entrare in quell'area di fusione o di sovrapposizione. Sono numerosi i casi in cui dall'esame attraverso questi provvedimenti ci sembra di essere di fronte ad un'impresa pura e, poi, ad approfondimenti investigativi di tipo incrociato ci si accorge che è tutt'altro. Occorre chiedersi,dunque, se sul piano normativo trova riscontro la fusione dei due modelli criminologici. Certo è che criminalità organizzata e criminalità di impresa dal punto di vista normativo costituiscono due modelli completamente diversi, non ancora integrati.

D. E' possibile o solo utopico trasformare, attraverso il riutilizzo di beni immobili e mobili, l'attività di investigazione e di successiva espropriazione dei beni mafiosi in una occasione concreta di sviluppo e occupazione, ma anche in una occasione per dotare di ulteriori risorse gli stessi comparti dello Stato, che a tutti i livelli conducono la lotta alle organizzazioni criminali?

Forgione - La fase di gestione e di destinazione dei beni confiscati può rappresentare la sede ove vengono esaltati (o vanificati) gli sforzi profusi nella fase precedente, che va dall'individuazione dei beni attraverso le indagini patrimoniali sino alla definitiva devoluzione allo Stato. Certamente la destinazione rappresenta la restituzione alla collettività di quanto ad essa è stato sottratto dalla criminalità organizzata attraverso intimidazioni, violenze e sopraffazioni; e dunque mantenere produttivi i beni confiscati, specie quando si tratta di aziende, consente non solo di non incidere sui livelli di occupazione, ma anche di emancipare il territorio rispetto alla presenza di imprese mafiose. Tali imprese, infatti, rappresentano un freno considerevole allo sviluppo del territorio per vari motivi, tra i quali: - agiscono fuori dalle regole di mercato (ad esempio, non sono costrette a ricorrere agli ordinari canali di finanziamento delle attività d'impresa, poiché fruiscono di illimitate disponibilità finanziarie derivanti dai traffici illeciti); - non cercano l'ottimizzazione nell'allocazione delle risorse impiegate, poiché spesso esse stesse rappresentano un canale di riciclaggio dei proventi illeciti e, dunque, la loro remunerazione è rappresentata dall'ingresso nel circuito economico lecito dei capitali di provenienza illecita. L'allocazione non ottimale delle risorse non facilita certamente lo sviluppo del territorio in cui l'azienda opera; - spesso i proventi dell'attività dell'impresa servono in parte a finanziare nuovi traffici illeciti, alimentando un circuito perverso in cui nuove imprese serviranno a riciclare i proventi illeciti; - l'adozione di metodi mafiosi da parte delle imprese in questione (imposizione dei prezzi, aggiudicazione di commesse, violazione delle regole contrattuali) si aggiunge alle altre forme attraverso le quali le associazioni criminali controllano il territorio, vale a dire le estorsioni e l'usura; tali pratiche consentono di giungere al controllo di altre imprese da utilizzare ai fini del riciclaggio dei proventi illeciti, alimentando ulteriormente il circuito. Per finire, cosa che mi sta molto a cuore, nega diritti e sicurezza ai lavoratori sfruttati, maltrattati, ricattati dal sistema mafioso che, in intere aree del paese, dà loro l'unica possibilità di sopravvivenza.

Napoli - Mi sembra che ancora sia scarsa l'utilizzazione dei beni confiscati per finalità di giustizia, di ordine pubblico e di protezione civile. Lo Stato preferisce spendere i soldi per affitti di strutture non sempre idonee, piuttosto che finanziare, per tali scopi, il recupero di immobili confiscati, nel mentre proprio l'affidamento di tali immobili a coloro che quotidianamente sono chiamati a combattere la mafia evidenzierebbe maggiormente anche il significato simbolico da dare a queste misure di prevenzione. Ho poi già detto, nella risposta alla prima domanda, che incentivazione e supporto a tutte le cooperative che riutilizzano aziende, imprese e terreni confiscati, producono lavoro pulito e crescita sociale.

Cantone - Si tratta di una vera e propria scommessa che bisogna assolutamente vincere anche se, ad oggi, appare una chimera almeno con riferimento ai beni cosiddetti produttivi. Questi ultimi, infatti, vengono gestiti spesso con criteri imprenditoriali mafiosi che ovviamente non sono riproducibili quando la gestione passi allo Stato. Si pensi, ad esempio, ai casi emblematici delle imprese di produzione e commercializzazione del calcestruzzo gestite dalla mafia con criteri di eliminazione di fatto di ogni possibile concorrenza o alla gestione di imprese edili utilizzando ampie fasce di manodopera "in nero". E' del tutto evidente che il passaggio della gestione alla cosa pubblica comporterà nella maggioranza dei casi la crisi ed il fallimento dell'attività. Non credo, però, che in questi casi il fallimento dell'impresa debba essere considerato una sconfitta, atteso che ciò che viene eliminato era un'attività economica assolutamente illecita. Nei casi, invece, di beni non costituenti direttamente imprese è certamente possibile un loro riutilizzo anche economicamente vantaggioso; il caso emblematico è quello dei terreni con destinazione agricola. Sul punto, però, bisogna richiedere allo Stato un atto di coraggio; è necessario prevedere per legge un sistema di agevolazioni anche di tipo fiscale per le attività che vengano impiantate su beni confiscati quantomeno per un primo congruo periodo. L'agevolazione in questione rappresenterà certamente un rischio per la concorrenza con imprese similari ma l'importanza di far decollare questo tipo di attività è simbolicamente troppo importante ed il rischio potrà essere sterilizzato con la temporaneità delle agevolazioni.

Rea - Vale la pena a questo punto raccontare un'esperienza già realizzata per dimostrare come sia possibile riutilizzare un bene confiscato per finalità sociali e al tempo stesso trasformarlo anche in risorse per le Forze dell'Ordine ed in particolare per lo Stato. Questa, come altre esperienze italiane, poteva essere conclusa in qualche anno, ma a causa di tutto quanto abbiamo abbondantemente dibattuto, dal sequestro al progetto di riutilizzo, ai lavori, è passato più di un decennio. E per alcune parti il progetto non è ancora concluso. Parliamo di una struttura di circa trentamila metri realizzata molti anni fa come una specie di fortino da un camorrista di Giugliano in Campania. Oggi, grazie a senso etico, impegno, sinergia istituzionale, competenze, caparbietà e un pizzico di coraggio, siamo di fronte ad uno dei più grandi centri sportivi polivalenti della provincia di Napoli, con accanto una casa-alloggio per diversamente abili, una delle più accoglienti e grandi caserme della Guardia di Finanza. Ma non è finita qui: anche il Tribunale di Giugliano in Campania, per il quale è in cantiere il progetto, pare che calpesterà pavimenti, naturalmente sobriamente ristrutturati, che un tempo facevano da decorazione a uomini di malaffare circondati da gregari, vassalli che albergavano come cinta di protezione e da leoni in gabbia, (forse all'occorrenza liberati…). Un'esperienza significativa, alla quale ci aggrappiamo quando ci sembra che nulla cambi.

D. In che misura una Agenzia che si occupi esclusivamente dei beni confiscati servirebbe ad affrontare meglio i problemi legati alla prima gestione e alla assegnazione dei patrimoni mafiosi?

Forgione - Occorrerebbe partire da una riflessione: i beni confiscati alle mafie sono beni geneticamente diversi dagli altri beni demaniali. Più precisamente, ferma restando la natura pubblica acquisita da tali beni all'atto della definitiva acquisizione da parte dello Stato, in essi si cumulano più finalità pubbliche e sociali, tra le quali certamente assume particolare valore la destinazione sociale a fini di restituzione alla collettività. Credo che una gestione accorta debba tenere conto di tale specifico valore aggiunto che può assumere l'azione antimafia. Inoltre, tenere in giusta considerazione la provenienza di tali beni consente di non sottovalutare l'azione dei destinatari dell'azione dello Stato, le mafie, che, grazie alla straordinaria intuizione di Pio La Torre, mal sopportano la sottrazione dei patrimoni accumulati. Non solo perché rappresentano la finalità stessa della presenza e dell'organizzazione mafiosa, ma anche per il valore simbolico che essi assumono in termini di controllo del territorio, la carica di intimidazione verso la popolazione, persino per il loro valore emulativo. Per questo tutta la nuova legislazione, da raccogliere in un testo unico delle norme antimafia, deve avere al centro il concetto di pericolosità sociale dei beni, dei patrimoni e delle ricchezze della mafia.

Napoli - Ho già parlato di Agenzia Unica nazionale, operante presso il Ministero dell'Interno: una struttura unitaria non potrebbe che ovviare all'attuale frammentazione delle competenze tra più amministrazioni e più enti..

Cantone - La creazione di un'Agenzia è un'assoluta necessità.L'Agenzia dovrà però avere poteri reali e non di mera ricognizione dei beni. In particolare ciò che è indispensabile è che questa entità faccia è che si occupi della "liberazione" dei beni che troppo spesso restano per anni nell'illegittima disponibilità dei soggetti a cui sono stati confiscati. Solo quando il bene sia libero ed utilizzabile dovrà essere affidato agli enti locali che poi lo destineranno a fini sociali. Sarebbe auspicabile, però, che l'agenzia potesse già intervenire nella fase del sequestro dei beni, coadiuvando soprattutto l'autorità giudiziaria nella gestione di quelli cosiddetti produttivi e prendendo in carico i beni immobili e mobili per evitare che il decorso dei tempi fisiologici per giungere alla confisca comportino una definitiva perdita del loro valore.

Rea - Decreto di confisca 26 gennaio 1998 - conferimento al Comune e al Consorzio per il riutilizzo sociale l'11 marzo 2004. Sei lunghi anni che, aggiunti ai già numerosi anni intercorsi dal sequestro alla confisca, si attestano attorno ai dieci. Questa è la media, arrotondata per difetto, dei tempi per un conferimento di beni immobili dei mafiosi. A questo va aggiunto che il bene non fu consegnato libero ne da persone ne da vincoli, come dovrebbe essere. Vi albergavano ancora 30 nuclei familiari, "amici" e ancora affittuari, moglie e figlio del vecchio "proprietario". E' questo il caso di un bene immobile di 33mila metri in provincia di Napoli. Questa è la condizione più frequente in cui ci vengono consegnati i beni. Quando esprimiamo opinioni o proponiamo sommessamente ipotesi di soluzioni, sono certa che neghiamo a noi stessi la consapevolezza che ci sono diritti ed interessi che lo Stato deve tutelare e che vanno rispettati anche di fronte alla necessità di affinare sistemi per combattere le organizzazioni criminali. Una ingenuità, però, che nasce, non solo dalla convinzione dell'efficacia della vocazione dell'attuale strumento normativo e al tempo stesso dal fatto che esso va subito migliorato, ma soprattutto dalla certezza che è giunto il momento di pensare di attivare una nuova struttura, più snella, più capace di tempestività, meno ancorata a metodi talvolta poco condivisibili nella gestione e assegnazione dei beni immobili. A tal proposito, si considera assolutamente prioritario- soprattutto in attesa della riforma della legge - l'introduzione di un organismo specifico che si occupi con grande impegno professionale ed etico della fase che va dal decreto di confisca all'assegnazione di un bene. La nuova struttura la immaginiamo snella, con competenze specifiche e soprattutto preparata ad affrontare questioni complesse come quella di sostenere le amministrazioni che accettano di iscrivere i beni al patrimonio indisponibile dell'ente. Oppure di garantire che i beni siano sempre liberi da persone e vincoli nella fase di consegna. Questo non solo consentirebbe di tesaurizzare un patrimonio di notevoli conoscenze ed esperienze accumulate in questi anni, ma anche di velocizzare tutti i progetti di riutilizzo sociale e dunque di vedere la nascita di tante cooperative sociali che, attraverso procedure di avvisi pubblici, andrebbero a gestire le attività economiche connesse alla finalità dell'utilizzo del bene. Solo immaginando che: le scelte di tutti quelli che a diversi livelli procedurali si occupano di confisca devono essere assolutamente indirizzate verso coloro che sono dotati di una sensibilità diversa da quelli che abitualmente procedono come verso un qualunque atto amministrativo, quel 10% di beni immobili potrebbe aumentare ed essere conferito, magari, libero da gravami e senza aspettare un'eternità.





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