D. Napoli è ormai associata alla varie forme di camorra. Quanto di endemico c'è nella situazione camorristica campana? Che la camorra, infatti, sia la forma mafiosa presente in Campania e che la sua tipicità sia legata al contesto di origine e di sviluppo è ormai assodato. Quale, invece, ritiene sia l'influenza della presenza camorristica nella vita napoletana?
Marco Minniti - Per capire veramente quale sia l'influenza della camorra sulla vita napoletana bisogna tenere fermi alcuni punti. Intanto, Napoli è l'unica grande metropoli europea, sicuramente l'unica grande area urbana italiana, nella quale convivono contemporaneamente dal punto di vista dell'ordine e della sicurezza pubblica tre grandi questioni.
La prima. A Napoli è presente la criminalità organizzata storicamente configurata nell'organizzazione della camorra: criminalità moderna, internazionalizzata, con capacità notevoli dal punto di vista militare e finanziario. La sua caratteristica specifica è quella di una struttura diffusa, priva di una gerarchia centralizzata come in passato Cosa Nostra. Non soltanto mancano la "Commissione Provinciale" e l'articolazione in mandamenti ma sono assenti anche quei rapporti forti di cartello che, per esempio, caratterizzano la 'ndrangheta calabrese.
C'è, quindi, una situazione di continua ebollizione e la permanente competizione tra i clan innesca picchi di conflitto sanguinoso dovuti alla necessità di accaparrarsi la leadership sul territorio o su singoli importanti affari. Da qui la realtà, facilmente verificabile empiricamente, di un'organizzazione che ha una dimensione tipicamente gangsteristica con un intenso uso della violenza che le altre mafie in generale ritengono invece ultima ratio da ponderare con particolare cura. Il conflitto permanente tra clan, la sua ferocia, il ricorso continuo a reati particolarmente gravi come l'omicidio e il ferimento, provocano un impatto che ha un'incidenza molto forte e molto diretta sulla vita dei cittadini. Se si aggiunge che una delle principali attività delle organizzazioni camorristiche è il traffico degli stupefacenti e che spesso gli affiliati della camorra fanno loro stessi uso di stupefacenti si ha un quadro particolarmente difficile.
C'è poi una seconda questione. Napoli non è soltanto la camorra. Accanto alla criminalità organizzata c'è una criminalità diffusa particolarmente radicata nel territorio. La compresenza della criminalità organizzata e della criminalità diffusa, di una forte criminalità organizzata e di una forte criminalità diffusa, fanno di Napoli una realtà che non ha paragoni né in Italia né in Europa. Solitamente, uno dei punti di forza della criminalità organizzata viene misurato dal fatto che nei suoi territori apparentemente non accade nulla sul terreno dell'ordine e della sicurezza pubblici.
E' noto che spesso dietro la pax mafiosa si nascondano affari, influenza, capacità di controllo del territorio da parte delle mafie che tolgono spazio e aria alla criminalità diffusa per bloccare l'allarme sociale che rischia di innescare reazioni che la mafia ritiene pericolose per i propri affari. Insomma, di solito quando c'è una forte criminalità organizzata non c'è una presenza del crimine diffuso. Anzi la criminalità organizzata, si pensi alla 'ndrangheta o agli anni d'oro di Cosa nostra, fa quasi un vanto dell'assenza di quella che, per la verità impropriamente, viene chiamata piccola criminalità.
E a Napoli la piccola criminalità sempre di più coinvolge nuove generazioni dando vita a fenomeni particolarmente preoccupanti come quello delle cosiddette baby gang. Sopra tutti questi fenomeni, a peggiorare drammaticamente l'impatto sulla società civile napoletana, c'è, poi, una diffusione e l'uso di una violenza non proporzionati rispetto agli obiettivi, una violenza esibita, priva di condizionamento. Ovviamente, poi, criminalità organizzata e criminalità diffusa sono vasi comunicanti nel senso che spesso la criminalità diffusa costituisce il terreno di reclutamento per la criminalità organizzata.
Terza. Alle prime due caratteristiche si somma, moltiplicandone gli effetti, quella della particolarissima struttura urbana di quest'area. Parlare della sicurezza di Napoli non significa parlare soltanto della sicurezza del suo territorio comunale. Siamo di fronte ad un'interland che non si limita ad aggiungere qualche piccola comunità ma ad un susseguirsi di grandi comuni.
Spesso attraversando la strada e cambiando marciapiede si passa da un comune di 100mila abitanti ad un'altra città media di 120mila. Un agglomerato urbano senza soluzione di continuità che ha tuttavia punti di tensione specifica che si propagano verso il centro dell'area, cioè sulla città di Napoli. Un quadro complesso dove o si ha una strategia d'insieme o il progetto sicurezza gira a vuoto.
Il quadro rapidamente tratteggiato lascia purtroppo pochi dubbi sull'ipotesi di una forte influenza camorristica (sarebbe probabilmente più corretto parlare di forte condizionamento) nella vita e sulla vita di questa grande area urbana. Ma quello della sicurezza a Napoli non è un problema napoletano. Siamo difronte ad una grande questione nazionale. Intanto, perché il problema della sicurezza a Napoli e nell'area di riferimento non può che essere affrontato dentro un orizzonte nazionale. Secondo, perché Napoli è una delle vetrine più importanti dell'Italia fuori dall'Italia, con un passato e presente ricchi di grande città e capitale europea.
Franco Roberti - La camorra è parte integrante della storia di Napoli ed è elemento costitutivo della società campana, o, per lo meno, dell'area metropolitana sviluppatasi intorno a Napoli. In quanto tale, essa riflette tutte le trasformazioni della società nella quale è profondamente radicata e, in larga misura, le condiziona. Occorre, però, capire che cosa significhi "camorra" oggi.
Le organizzazioni criminali napoletane si muovono con estrema efficienza sul piano transnazionale - dove conducono, in alleanza con gruppi stranieri, fiorenti traffici di stupefacenti, contrabbandi di merci con marchi contraffatti ed attività riciclaggio e reimpiego dei proventi illeciti - mantenendo nel contempo il pieno e sistematico controllo delle zone di competenza e delle attività economiche che vi si svolgono e consentendo presenze di gruppi mafiosi stranieri (in particolare, slavi, colombiani, nigeriani e cinesi) soltanto in ruoli di cooperazione o di subordinazione.
Qualunque strategia di contrasto che aspiri ad essere, alla lunga, vincente deve tenere conto di questo intreccio tra "globale" e "locale", che esprime il vero volto della camorra moderna, non a caso autodefinitasi "sistema" per tracciare il suo ruolo, la sua pervasività, le sue relazioni sociali, politiche, economiche e territoriali.
Operatività nel sistema globale ed "esecuzione" locale rappresentano l'intera realtà di questa forma di governo criminale che, come tale, deve essere concepita e contrastata. Emblematico di questa "globalizzazione napoletana" dell'economia criminale è lo sfruttamento, da parte di alcuni clan camorristici, delle vecchie reti commerciali dei "magliari" e dei contrabbandieri di sigarette, per far passare stupefacenti e merci contraffatte di ogni tipo, con una compiuta unificazione di mercati illegali, prima separati sotto il controllo delle bande di camorra.
Per fare un esempio concreto, possiamo ricordare che in un solo anno (il 2006) sono state sequestrate a Napoli ed in provincia oltre una tonnellata di cocaina pura e quasi sei tonnellate di hascish, ma tali enormi quantitativi, secondo stime della D.C.S.A., non raggiungono neppure il 10% della droga trafficata nel nostro Paese. Peraltro, i clan camorristici sono ormai in grado di approvvigionarsi direttamente di droga presso i Paesi produttori (Perù, Bolivia, Colombia, Brasile ed Equador, che coprono il 90% dell'esportazione mondiale), sempre più spesso tagliando i tradizionali intermediari ovvero alleandosi con fornitori stranieri (spagnoli, olandesi, nigeriani, turchi ed albanesi), con investimenti che consentono di abbattere i prezzi al consumo e di quadruplicare i profitti.
L'abbattimento dei prezzi al consumo ha provocato un vertiginoso aumento della "domanda" di droga. Le faide che insanguinano Napoli e provincia, a cominciare da quella di Scampia, sono dovute ai contrasti per il controllo delle fiorentissime piazze di spaccio.
Se si considerano in un quadro d'insieme questi elementi di fatto, ci si rende immediatamente conto di come un fenomeno di criminalità transnazionale si traduca in un gravissimo problema di ordine pubblico locale e di come la soluzione di quest'ultimo dipenda, anche, da una sempre più stretta cooperazione internazionale nel contrasto al narcotraffico.
Pio Marconi - Le due grandi forme di crimine organizzato insediate nel Mezzogiorno, mafia e camorra, hanno sicuramente caratteri comuni: reazioni alla modernizzazione, alla società industriale, al mercato, allo Stato di diritto, rifiuto di uno sviluppo sociale che distrugge certezze e privilegi. La mafia nasce come difesa della rendita fondiaria dai rapporti economici moderni. La camorra si afferma agli albori dell'industrializzazione nel Regno di Napoli, come reazione di ceti popolari alla razionalità mercantile, la camorra ha delle specificità che la rendono irriducibile alla mafia e che riguardano la struttura, il rapporto con i poteri, l'universo che intendono condizionare, la base sociale. La mafia è tendenzialmente gerarchica, la camorra è, viceversa, nebulosa di aggregati indipendenti, orientati alla difesa del proprio territorio; le egemonie nel mondo della camorra esistono ma transitorie e informali. La mafia cerca di controllare lo Stato o di contrastarlo, la camorra cerca, viceversa, la coesistenza con le istituzioni.
La mafia è Stato parallelo, la camorra è società civile parallela. La mafia è agraria ovvero "borghese" e recluta figure di eccellenza di un mondo popolare. La camorra è espressione di una società che sta al di fuori e al di sotto delle classi. Francesco Saverio Nitti osserva, agli inizi del '900, che a Napoli il Quinto Stato (quello che Marx aveva chiamato il sottoproletariato) è una componente sociale estesissima. Del sottoproletariato la camorra sposa anche ideologie e fìrma di protesta. Il camorrista, ricordiamo Cutolo, si vanta di venire dagli stati più poveri della società ed interpreta la propria attività come lotta contro le ingiustizie.
Attenzione però a non considerare la camorra come un fenomeno immutabile e tradizionale che riappare con maggiore o minore virulenza senza tener conto dei nuovi aspetti che ha oggi la criminalità camorristica. La stampa, la politica si soffermano solo sull'aspetto quantitativo: il numero delle uccisioni. Di fatto viene sottovaluta una qualità, la pericolosità della camorra che deriva anche dal contesto nel quale essa opera. La camorra, con il suo entroterra di deprivazione, sta proiettandosi sui mercati internazionali. In un contesto in cui la competizione tra paesi emergenti e paesi sviluppati si fa con il mercato dei prodotti a basso costo e con le contraffazioni, la camorra è entrata in un circuito commerciale mondiale.
Fabrizio Feo - Io credo che la presenza della camorra, come - da qualche decennio - anche delle altre forme di devianza e di criminalità presenti a Napoli, abbia sulla vita napoletana peso enorme. Io credo che direttamente o indirettamente la criminalità organizzata napoletana abbia messo un'ipoteca ormai anche sul respiro della città e della sua gente.
Non penso solo al peso che ha sulle attività economiche, al condizionamento della rete del sistema commerciale della città, delle sue imprese. Non mi riferisco solo al fatto che la camorra e le articolazioni delinquenziali, che in vario modo da essa dipendono, finiscono per modificare le regole e di conseguenza i comportamenti nella vita sociale, di relazione, produttiva.
Ritengo che abbia prodotto vere e proprie modificazioni nel modo di pensare: ha indirizzato, plasmato, il modo di affrontare la vita quotidiana di intere comunità, ha indotto risposte , sul piano della sopravvivenza di segno diversissimo ed opposte ( più di rado di reazione, risposta, e, invece, quasi sempre di indifferenza, se non,addirittura, di resa, di sottomissione). Ha insegnato, sicuramente, una way of life - potremmo definirli modelli- a tanti giovani e meno giovani. In Sicilia - pur con dinamiche diverse e per un diverso evolvere delle vicende criminali- oltre Cosa Nostra e, in parte, a fianco ad essa, esiste e si allarga la mafiosità.
A Napoli ed in Campania è andato avanti un processo analogo e non riguarda solo una parte, alcuni strati della società. Come non riguarda solo una parte della politica. La politica non ha subìto condizionamenti, mutazioni genetiche, solo nei comuni (nei tanti municipi investiti da indagini antimafia accertamenti su condizionamenti e contiguità?) ma a livelli più alti (dove il termine alto è riferito solo alla posizione istituzionale e di potere) e su vasta scala. L'organizzazione, le logiche, le tattiche e le strategie di una parte rilevante della politica, già tredici anni fa - per come emergevano soprattutto da intercettazioni, verbali delle indagini sul clan Alfieri che investì Dc e Psi - assomigliavano in modo impressionante a quelle dei clan.
Al punto da porre seriamente l'interrogativo su chi avesse mutuato dall'altro modelli di comportamento e chi fosse più dipendente dall'altro.
Col trascorrere degli anni questo processo è andato avanti: è cambiato perfino il linguaggio della politica, i discorsi politici sono spesso punteggiati di messaggi, di veri e propri atti di intimidazione, sono sovente interamente concepiti a questo scopo. E con l'aiuto di settori dell'informazione, soprattutto locale, vengono recapitati ad avversari ed alleati. Non è possibile dire che esistano forze e aree politiche non contaminate.
Addirittura anche il confronto all'interno di alcune forze politiche e agli schieramenti di maggioranza od opposizione ha assunto forme e metodi tipici dello scontro interno ai clan: verrebbe voglia di dire che l'unica differenza rimasta sta nell'esclusione dell'uso delle armi… anche se in un comune del salernitano solo l'intervento degli investigatori ha impedito che anche questo accadesse.
Lucia Rea - Sono una napoletana e lo premetto quasi per esprimere una ‘excusatio accusatoria’: temo, infatti, di farmi trasportare dalla rabbia e dal rancore che si cela, si infiltra, a volte domina il cuore di ogni napoletano. Spero che i lettori e gli altri partecipanti al forum comprendano: certi problemi il napoletano li vive ogni giorno, già quando lascia casa per inoltrarsi in quel crogiolo di incertezze che è la mia città.
Per tornare alla domanda, mi viene da dire che Napoli è anche la camorra e la camorra è anche Napoli. Il male endemico napoletano ha origini morali ed è il clima morale che, da sempre, impedisce qualsiasi trasformazione, evoluzione, rinascita. L'esame del tema - oggi più che mai - rischia di scontare un approccio emotivo con la conseguenza di alterare o di condizionare le risultanze dell'analisi oggettiva del fenomeno: proverò a dare lettura alle mie percezioni.
La camorra è solo l'apice di una devianza diffusa, che passa dalla criminalità per giungere ad atteggiamenti quotidiani che tutti siamo abituati a "giustificare". Anche gli atteggiamenti quotidiani della gente comune, intrisi della cultura "camorristica", non hanno altro obiettivo che il raggiungimento di posizioni di potere o l'esibizione del potere.
Tutto questo costituisce un humus fertile su cui fiorisce l'albero della sopraffazione e della criminalità spietata, fatta di teatralità, di sceneggiata, della necessità di palesare, con azioni parossistiche, il proprio potere per la strada, con azioni eclatanti. Tutti devono vedere, tutti devono sentire a Napoli, qualunque cosa tu faccia. Anche se spari, se ammazzi. Ti nascondi dietro un casco, un passamontagna, ma sai che la gente sa chi sei, a chi appartieni, chi ti manda.
D. Il problema criminale campano appare composito e difficilmente cristallizzabile. Esistono interazioni tra camorra, banditismo e illegalità diffusa?
Minniti - Ho in gran parte già risposto a questa domanda. Va forse aggiunto che bisogna prestare particolare attenzione non tanto ai rapporti di interazione tra i diversi fenomeni che sono presenti su quel territorio. Aspetti d'interazione, sia pure senza l'intensità e la dimensione napoletana, sono presenti anche in altri territori. Quel che va indagato a Napoli è la qualità del miscuglio a cui quell'interazione ha dato vita e che si presenta pericolosissimo. Siamo di fronte a uno scenario inedito che non mi sembra avere precedenti e che necessita, come stiamo sforzandoci di fare, di risposte intelligenti ed adeguate al nemico che dobbiamo combattere.
Roberti - Al contrario di quanto avviene nelle altre realtà caratterizzate da forte presenza di organizzazioni di tipo mafioso, i confini tra criminalità "comune" o "diffusa" e camorra sono molto incerti e spesso evanescenti.
Ciò dipende dal tradizionale controllo camorristico su tutte le attività illecite poste in essere sul territorio di competenza, che è all'origine della camorra, sviluppatasi, in forma organizzata, all'inizio del secolo diciannovesimo, proprio per assicurare il prelievo capillare della "camorra" sui commerci illeciti (la Bella Società Riformata nacque, intorno al 1820, come società specializzata nella riscossione delle tasse su tutte le attività e le transazioni illecite: gioco d'azzardo, prostituzione, droghe, ecc.).
Questo originario rapporto della camorra con le attività illecite non organizzate non è sostanzialmente mutato nel tempo. I gruppi organizzati operanti nell'area metropolitana non gestiscono, di regola, direttamente le attività illecite (spaccio della sostanza stupefacente, rapine, contrabbando, ricettazione, falsi), ma ne consentono la gestione a soggetti esterni, eventualmente partecipandovi con una quota di finanziamento e comunque riscuotendo una parte dei proventi illeciti.
In particolare, per le rapine, qualora trattasi di azioni da realizzare in danno di uffici postali, agenzie bancarie, centri commerciali, ossia attività di dimensioni maggiori dei piccoli esercizi commerciali, le bande di rapinatori debbono chiedere, preventivamente, l'autorizzazione a chi controlla il territorio ove è ubicato l'obiettivo da rapinare, il quale, a sua volta, può pretendere una "quota" sul bottino finale o decidere di concorrere nella realizzazione della rapina, se le potenzialità di profitto sono alte, imponendo la partecipazione di suoi affiliati e, contestualmente, aumentando, in proporzione, la quota di guadagno per l'organizzazione.
D'altra parte, i rapinatori hanno quasi sempre l'obiettivo di entrare a far parte organicamente del "sistema" camorristico, dopo aver dimostrato capacità operative e fedeltà personale ai capi.
Feo - Io penso che esistano interazioni e, anzi, che siano uno - e sottolineo uno- dei tratti distintivi di quella peculiare forma di criminalità organizzata che viene comunemente definita con il nome di camorra. Interazioni a vario livello.
Va annotato, in via preliminare, che esistono forme di interazione legate a quelli che potrebbero essere definiti "automatismi di crescita" delle forme più elementari di criminalità, una sorta di vocazione alla conquista di ruoli più importanti, territori e spazi di azione più vasti, posizioni di maggior potere. Una dinamica che caratterizza - non solo in questi ambiti - i gruppi come i singoli.
Ma ci sono anche altri aspetti.
Ragioniamo prendendo camorra, banditismo ed illegalità diffusa come termini esaustivi, almeno in linea di ipotesi, della complessità di un panorama criminale forse unico su scala planetaria, quale è quello napoletano.
Interazioni di scelte e modelli: spesso famiglie del crimine organizzato in Campania usano commettere (ricorrono a) reati, soprattutto di tipo predatorio, tipici di aree di devianza meno complesse. Queste forme di interazione favoriscono, di per sé, il contatto ed il reclutamento di soggetti, l'uso di metodi appartenenti ai due livelli più bassi. Questo può essere spiegato quasi sempre con esigenze tattiche, estemporanee. Un fenomeno che investigatori e magistrati hanno riscontrato, spesso, soprattutto negli ultimi anni.
Interazioni di "figure" criminali appartenenti ad aree di banditismo o dei livelli di illegalità diffusa. Le caratteristiche sociali ed economiche di un'area come quella di Napoli fanno sì che sia costante il viavai, verso il basso e verso l'alto, "di figure ed attività" sulla scala dei gruppi e degli affari criminali. E sono costanti la contaminazione di interessi, l'interazione di figure, la tessitura di relazioni.
Dinamiche "naturali", ma forse non solo. Tra l'87 ed il 91 a Napoli esplose il fenomeno delle "gambizzazioni", parliamo anche di centinaia di gambizzazioni l'anno, censite presso i pronto soccorso, ma qualche volta nemmeno denunciati. Un fenomeno, poco o per niente studiato, che appariva significativo, per le dimensioni che aveva assunto e perché si presentava in una fase in cui pure i conflitti tra clan mietevano centinaia di morti. Era la spia di un uso "misurato"della violenza, allo scopo di regolare forme di interazione? Probabilmente sì, almeno in parte.
Marconi - La camorra fa un po' da catalizzatore della criminalità autonoma e diffusa. Il clima di illegalità giustifica il camorrista, Isaia Sales segnala come la camorra, tradizionalmente ed attualmente, vive tassando l'illecito. Dove lo Stato non arriva o non può arrivare, arriva la struttura sotterranea.
Le illegalità, in rete ed in serie, favoriscono la camorra. Il mercato parallelo illegale è incentivato dalla assenza di controlli urbanistici, ambientali, fiscali, previdenziali. Il clima di illegalità fomenta un ribellismo che ostacola l'azione della giustizia e delegittima il potere pubblico. E' ormai un fatto di cronaca quotidiana che l'arresto di camorristi è sempre seguito dalla rivolta del quartiere nel quale questi abitano. La difesa del criminale si maschera di protesta sociale. Il bisogno diventa la giustificazione di ogni forma di illecito, anche il più ripugnante. In una catena infinita. L'evasione fiscale è giustificata dalla necessità di pagare il pizzo, il pizzo è giustificato dalla povertà dei pretendenti e dalle parziali illegalità compiute da chi lo deve sborsare. La produzione illegale è giustificata dalla ricerca del massimo profitto ma anche dalla necessità di reggere una concorrenza altrimenti insostenibile. E così via.
Rea - Un quesito intelligente, che stimola interessanti riflessioni. D'altra parte, cosa è la criminalità se non una forma di disobbedienza civile, di mancanza di rispetto nei confronti non solo di norme giuridiche ma anche di norme etico-sociali? La pericolosità sociale di molti atteggiamenti che solitamente non vengono ascritti al crimine, ne sono l'alimentazione.
Quando sei a Napoli, giri per la città, parli con la gente o lavori, ti sembra di vivere in una realtà alternativa a quella archetipica che tutti noi immaginiamo quale fattore della struttura della convivenza civile (che imporrebbe il rispetto delle regole, la loro condivisione, ecc.). Napoli è una città che appare come depenalizzata, forte di un "indulto" sociale ed istituzionale oramai endemico(forse figlio di quel "lassez faire" che la cultura francese ha lasciato in eredità alla napoletanità). E così si assiste a quei paradossi che poi diventano retorica turistica, della Napoli bella e strana, scugnizza, ribelle, le cui peculiarità trionfano nell’ illegalità, ipocritamente definita "piccola": dalla vendita non autorizzata di ogni genere di cose per le strade, ai parcheggiatori abusivi, agli indispensabili "baby-bar" (previdenza? assistenza? evasione?) che allietano la giornata lavorativa dei napoletani portando il caffè in tutti, e dico tutti, gli uffici, magari mentre sono in corso riunioni varie, ad lato livello, sui problemi della città.
E se chiedi a qualcuno perché non indossa il casco, perché commette piccole illegalità, ti risponde, senza esitare neppure un momento, che tanto a Napoli c'è la camorra, che è quello il problema grave ("ma che volete risolvere i problemi di Napoli con i caschi ed i parcheggi autorizzati?"). Dunque è così che spariscono i reati dalla coscienza collettiva e anche dalla necessità di combatterli. Qualche decennio fa sarei stata disponibile a pensare che tra la precondizione più importante del crimine fosse lo stato di povertà e lo svantaggio sociale e che la forma di prevenzione più efficace fosse quella della sua eliminazione. Oggi non più.
Il problema socio-economico va assolutamente trattato, ma può solo concedere una piccola tregua al crimine. Molti dei "poveri" a cui fanno riferimento i sostenitori della patologia sociale come precondizione della camorra, sono coloro che intascano oltre tre mila euro al mese, che sono iscritti al "collocamento della camorra", come postini della droga, e che mai sarebbero disposti a rinunciarci per lavorare onestamente per mille euro.
Ma si sa, a Napoli, per i camorristi e per chiunque lo desideri e senza ostacoli aggiunti, se non per la percentuale dovuta alle organizzazioni criminali, la strada è fonte di reddito. Dunque, perché complicarsi la vita per scegliere la legalità o un lavoro onesto a mille euro?
D. Come i fattori sociali ed economici incidono sulla competitività della camorra?
Minniti - La camorra, come tutte le organizzazioni di criminalità organizzata, ha l'ambizione di gestire una pluralità di affari. C'è da un lato il traffico degli stupefacenti che costituisce il core business di queste organizzazioni perché è anche quello più remunerativo. Poi c'è tutta la partita degli appalti. La partita del racket che è di decisiva importanza non solo perché è attività originaria di tutte le mafie ma anche perché coincide contemporaneamente col controllo del territorio. Il tentativo di infiltrarsi in tutte le attività, per le mafie è di importanza strategica.
In realtà, la sequenza di iniziative economiche mafiose può essere riassunta facilmente: obiettivo della camorra, oltre quello di fare i propri affari, è quello di condizionare la sovranità sul territorio e, quindi, dimostrare un'idea ed una possibilità alternativa rispetto allo Stato sul terreno della sovranità. Non a caso l'estorsione è attività originaria e insieme attività che allude alla sovranità di un potere che impone una tassa sul proprio territorio. A Napoli c'è inoltre tutto il tema della doppia economia e del controllo dell'economia sommersa, dei rapporti con altre forme di criminalità organizzata internazionale. Da questo punto di vista mi sembra che il lavoro di Roberto Saviano offra, sia pure attraverso una mediazione letteraria, un quadro credibile ed aggiornato.
Roberti - Quando sosteniamo che l'obiettivo primario dell’ azione di contrasto giudiziario alla camorra deve consistere nell' individuare e colpire patrimoni, ricchezze, forme e percorsi di accumulazione dei profitti e dei capitali criminali, abbiamo come punto di riferimento proprio la pesante incidenza della camorra sullo sviluppo economico della regione campana.
L'economia criminale ha effetti devastanti ed irreversibili sull'economia legale: inquina i circuiti finanziari e creditizi, altera l'andamento dei mercati, facendo ricorso a strumenti estranei al mondo imprenditoriale legale, incentiva l'economia sommersa e la sottrazione di masse finanziarie al prelievo fiscale. Quel che è peggio, l'economia criminale crea aree di consenso sociale e determina una sorta di condivisione di interessi che sembra, in certi casi, rendere evanescente il confine tra mondo del crimine e società civile, stabilizzando una rete collusiva di rapporti ben diversi da quello, tradizionale, tra delinquenti e vittime del reato.
La rottura del confine tra "aggressore" e "vittima" è risultata evidente, per esempio, nei rapporti di natura illecita tra criminalità organizzata ed imprese appaltatrici di lavori pubblici, accertati a seguito di numerose indagini, dalle quali è emerso che, in molti casi, sono state le stesse imprese legali a richiedere ai gruppi mafiosi i capitali per poter ampliare i loro mercati. Insomma, in molti casi, i camorristi hanno finanziato le imprese legali.
Un fenomeno registrato negli ultimi anni è quello della pressione crescente esercitata dalla criminalità organizzata su imprenditori "puliti", non già per fini estorsivi, bensì per indurli a fungere da insospettabili schermi per operazioni di riciclaggio ed investimento di capitali illeciti, spesso ricorrendo al finanziamento abusivo degli imprenditori, a tassi estremamente vantaggiosi rispetto a quelli praticati dal sistema legale.
Dal rapporto collusivo con le imprese legali, il gruppo criminale acquisisce, quindi, non solo risorse economiche, sotto forma di tangenti rapportate al valore degli appalti, ma anche occasioni di reimpiego dei proventi illeciti, di gestione concordata dei subappalti, di instaurazione di meccanismi elusivi dei limiti legali del subappalto e di costituzione di fondi extra-bilancio, vero nucleo centrale del sistema di cointeressenze affaristiche fra impresa legale e gruppo criminale.
E' appena il caso di ricordare che il costo di questo rapporto viene traslato sulla collettività, attraverso meccanismi diversificati, ma principalmente attraverso il ricorso alle procedure di revisione dei prezzi, di anticipazione sugli stati di avanzamento, di massiccio ricorso alla pratica delle false fatturazioni o delle soprafatturazioni, specialmente per quei subappalti e quelle forniture più difficilmente verificabili in sede di controllo successivo (movimento terra, calcestruzzo, noli).
Appare ragionevole ritenere che il settore degli appalti costituisca, e continuerà a costituire, il settore privilegiato di operatività delle organizzazioni criminali. Il contrasto a tutte le forme di criminalità passa, dunque, anche attraverso il disegno di regole e comportamenti nell'economia che promuovono la trasparenza, l'efficienza, l'integrità e, quindi, il regolare sviluppo della società di mercato.
Rea - La camorra è competitiva poiché tollerata: una frase che ho ascoltato non so più quante volte, nasconde una parte della verità. Non si tratta però di tolleranza, si tratta di qualcosa di diverso: è come quando hai una patologia devastante e prendi un raffreddore o una brutta febbre. Dai la colpa alla patologia devastante ritenendo che un raffreddore non possa essere un problema.
Si è troppo occupati a curare la grande malattia, a combattere la "camorra", per pensare che un esercito di comportamenti ed attività illegittime consentono ad organizzazioni criminali di utilizzare l'enorme disponibilità di capitali, provenienti da tale subdolo connubio, in nuovi mercati ove realizzare, poi, un profitto allorquando il mercato dell'illegalità è saturo.
Un crimine organizzato, dunque, che a questo punto diventa il risultato non di uno stato di povertà, ma di una ipertrofia di opportunità, non la conseguenza di una patologia sociale, ma la trasformazione della forma del lavoro, che diventa esclusivamente crimine, massimizzando il profitto per realizzarlo in attività imprenditoriali criminali. La corruzione, in questo perfetto sistema, fa la parte del leone. Si può azzardare, a tal proposito, una definizione, quella di criminalità economica organizzata, che si presenta quando un’ organizzazione criminale interviene nel sistema economico utilizzando il potere e le risorse che le derivano dalle attività illecite e che sono rivolti soprattutto a controllare o perfino ad eliminare la concorrenza.
Lo sviluppo dell'economia illegale a Napoli, così come in provincia, si fonda su un’ autentica scelta razionale: si viola la norma, la legge se l'utilità che si aspetta dalla violazione supera il livello di rischio e di soddisfazione che si potrebbe raggiungere dedicandosi invece ad un'attività legale.
La tolleranza napoletana, di cui tanto si dice, non è altro che implosione di rabbia e paura che genera cattivi comportamenti e talvolta contribuisce ad alimentare atteggiamenti analoghi agli attori del crimine.
E così inosservanza delle leggi, delle regole, disordine civile, violenza regnano senza soluzione di continuità. A questo va aggiunto come il napoletano medio-alto, esasperato dalle centinaia di indagini in corso sul fenomeno, contribuisca fortemente ad aumentare la percentuale italiana (97% circa) di coloro che sostengono che la sicurezza va assicurata con la certezza della pena, visto che i benefici di chi commette un qualunque reato sono, sempre, superiori alla pena.
Feo - La camorra si ciba del disordine e della precarietà economica e sociale di Napoli e della Campania, della debolezza delle sue istituzioni locali, dell'affanno dello Stato nel fronteggiare fenomeni che col passare dei decenni rimangono sempre troppo fuori portata per le risorse e l'intelligenza che impiega.
La camorra, le varie forme criminali presenti sul territorio di Napoli sono consapevoli di questo stato di cose - magari, ai livelli più bassi, anche solo istintivamente - e traggono da questa situazione la ragione per dar luogo a sfide sempre nuove al proprio interno ed all'"Autorità".
Non si incide su questa situazione solo con arresti ed indagini. Non si volterà pagina fino a quando non verrà interrotto il perverso circuito fatto di assenza o carenza di regole, sia da parte di chi deve osservarle che di figure ed istituzioni che devono farle rispettare, di limiti o di assenza nei controlli, di disordine urbanistico, commerciale e così via.
La camorra continuerà a contare su vaste praterie, in assenza di una idea chiara, organica, di sviluppo per l'intera Campania, non solo per Napoli, che sia moderna e liberi la risposta civile dei cittadini promuovendo una emancipazione economica della regione.
Marconi - La nuova virulenza del fenomeno non è valutabile solo contando il numero dei morti, ma esaminando l'inserimento della camorra in un nuovo contesto economico ed in una nuova struttura sociale.
Si assiste a giganteschi trasferimenti di merci sul mercato globale e alla diffusione nel mondo di imprese medio grandi che commercializzano i prodotti del ciclo produttivo camorristico (il tessile a basso costo, il falso, i beni introdotti od esportati illegalmente).
La criminalità organizzata siciliana, pugliese, calabrese deve trovare un mediatore ed un prestanome per investire all'estero. Il modello camorristico di trasferimento di capitali e risorse è diverso. Una volta ripulita la merce importata illegalmente o prodotta al di fuori delle regole, si può fare impresa in ogni paese che aderisca alla Organizzazione Mondiale del Commercio. Un allegato all'accordo di Marrakesh, ratificato nel 1994, vieta, ai paesi firmatari, di applicare ai fornitori di servizi controlli di frontiera, limitativi della libertà di spostamento.
Al magliaro poteva essere negato il permesso di soggiorno, l'impresa camorristica ha viceversa, oggi, il diritto d’ installarsi nei paesi che aderiscono al trattato. L'imprenditore camorrista ha il diritto di spostarsi. Ho qui davanti il libro di Saviano, Gomorra, che descrive la nuova economia di Campania/Mondo, ne cito un passo: "A Secondigliano molti cronisti credono di trovare il ghetto d'Europa, la miseria assoluta. Se riuscissero a non scappare, si accorgerebbero di avere dinanzi i pilastri dell'economia, la miniera nascosta, la tenebra dalla quale trova energia il cuore pulsante del mercato".
Va anche ricordato che nella società della globalizzazione le transazioni economiche godono di un’ autorità superiore a quella dello Stato. Mentre i governi e le leggi sono nazionali, gli scambi sono regolati da accordi tutelati dalla WTO. Le commissioni arbitrali stentano, e sta qui un grave limite della globalizzazione, a valutare come sia stata prodotta la ricchezza.
Non sono stati ancora presentati ricorsi in materia di produzione illegale o di una produzione border line tra criminalità ed economia sommersa. Il caso darebbe da lavorare agli arbitri della WTO ma non è assolutamente certa la decisione che potrebbero prendere.
Al fattore economico, si unisce quello sociale. La camorra si alimenta nella società della fine del lavoro e della scomparsa dei tradizionali lavori di fabbrica. Il modello postindustriale è rete di piccole unità produttive. Si tratta di un mare nel quale nuotano comodamente i pesci della produzione e del commercio che vogliono eludere i controlli. La deindustrializzazione e la crisi della fabbrica ha, anche, dei diretti risvolti sociali. Riduce le occasioni di occupazione legale, controllata, regolata.
Favorisce occupazioni autonome ma, anche, anomiche. Le conseguenze di tutto ciò sono note e sono state denunciate per tempo.
Rifkin, lo studioso della fine del lavoro, ha lanciato un forte grido di allarme sul carattere criminogeno della nuova produzione della ricchezza e della disoccupazione: "alle porte del nuovo villaggio tecnologico globale si accampa un crescente numero di uomini poveri e disperati, molti dei quali si dedicano ad attività criminose e contribuiscono a creare una diffusa subcultura criminale".
Occorre però sempre ricordare che il ciclo economico della camorra rimane legato all'ambiente di origine. Le rendite derivate dal crimine predatorio, dall'estorsione, dalla commercializzazione della droga si trasferiscono nell'impresa illegale o di contraffazione edili, transitano nell'economia globale.
La mafia spesso cerca occasioni di investimento in un mercato generico, prevalentemente finanziario. La camorra sa dove orientare gli utili. Il tipo di circuito rende tracciabile i profitti camorristici ma si deve sempre ricordare che nell'economia globale tutto è tracciabile ma difficilmente raggiungibile.
D. La Campania felix e del "Sole mio" è anche la terra in cui si concentrano problemi di immondizia, di smaltimento rifiuti e di ogni aspetto degenerativo dell'ecomafia. Quale soluzione è praticabile per assicurare migliore vivibilità sul territorio?
Minniti - Una migliore vivibilità per l'area napoletana sono la nostra scommessa e il nostro impegno. Per discuterne vorrei non si dimenticasse mai che Napoli e la Campania costituiscono una straordinaria risorsa per l'Italia, una straordinaria risorsa perché storicamente Napoli e la Campania hanno svolto un ruolo fondamentale nella creazione di quell'idea di Europa mediterranea che ha costituito e costituisce oggi un orizzonte fondamentale dentro il quale deve muoversi il nostro Paese. C'è poi il background che deriva da una città che è stata e continua ad essere, anche, un centro culturale ed economico di prima grandezza nella vita del Paese.
Si tratta oggi di fare un'operazione che facciano diventare Napoli e la Campania un'opportunità. Di non guardarle soltanto dal versante problema, ma da quello opportunità. Per fare questo c'è bisogno, come si è fatto anche in queste settimane, di un intervento molto forte ed autorevole da parte del governo nazionale.
Penso al problema dei rifiuti che costituisce un’ enorme evidenza e che è questione non soltanto campana. A Napoli è venuto il Presidente del Consiglio, ci siamo visti con lui e con il Capo della Protezione Civile, Bertolaso, per definire un piano capace di affrontare questa emergenza che costituisce una vera e propria bomba ecologica per la Campania, anche perché vengono al pettine nodi antichi irrisolti o risolti male. Non c'è dubbio che, dentro la questione ambientale, la camorra e la criminalità organizzata abbiano visto il business. La gestione illegale dei rifiuti costituisce non una supposizione ma, purtroppo, una drammatica realtà: non è un caso che nelle misure straordinarie che abbiamo previsto per Napoli ci si sia preoccupati di individuare uno specifico terreno specializzato nella lotta agli affari della cosiddetta ecomafia.
Detto questo, la risposta non può che essere quella di una grande alleanza tra il governo nazionale ed i governi locali. Una grande alleanza in nome della rinascita, del rilancio di Napoli e della Campania. Un grande patto che si gioca, oggi, su due filoni. Il primo filone è un patto sulla sicurezza ed il ministro Amato lo ha firmato nel novembre scorso. Un patto che cammina, che sta producendo risultati e che monitoriamo minuto per minuto. Naturalmente il Patto non risolve con un tratto di penna tutti i problemi, ma testimonia una cooperazione permanente con il territorio.
Sappiamo le questioni dell'ordine e della sicurezza pubblica in realtà complesse, vanno affrontate in maniera forte, organica, con una iniziativa non emergenziale ma permanente nel tempo. Il Patto è quindi una strategia che si sviluppa nel tempo. Può essere adeguato, migliorato, meglio definito. E tuttavia è l'idea di un impegno comune tra il governo nazionale e le realtà locali sul terreno della sicurezza. E' il concretarsi di un'idea moderna della sicurezza partecipata che vede insieme i governi locali e nazionali collaborare, pur nel rispetto di ruoli e funzioni, sul terreno delle politiche di repressione e prevenzione.
Quando parlo di sicurezza pubblica parlo del controllo del territorio, di indagini sempre più di qualità e sempre più sofisticate. Ma non c'è dubbio che sicurezza in generale, in Italia e più in particolare a Napoli nell'interland in Campania e nel Sud del paese, vuol dire anche assetto urbanistico, gestione del territorio, gestione della socialità. Il lavoro a più mani è quindi strettamente necessario senza che nessuno venga meno alla sua fondamentale ‘mission’.
E accanto al Patto Napoli sicura, s'è insediato un tavolo nazionale tra la Presidenza del Consiglio ed i governi locali (Regione, Provincia, Comune) per affrontare i temi dello sviluppo economico. Sicurezza e sviluppo sono inscindibili: senza sicurezza non c'è sviluppo, ma è altrettanto vero che se non c'è uno sviluppo, se non c'è crescita economica, non si possono fare politiche credibili di sicurezza. In qualche modo, nell'eterno conflitto tra il prima e dopo, sicurezza e sviluppo vanno affrontati insieme.
Roberti - Per quanto riguarda il problema dei rifiuti, mi sembra di poter dire che, anzitutto, occorre realizzare e far funzionare i termovalorizzatori. In secondo luogo, le aziende produttrici di rifiuti tossici o pericolosi, in tutto il territorio nazionale, dovrebbero smettere di rivolgersi alle ditte, quasi sempre controllate dalla camorra, specializzate nello smaltimento illegale a basso costo, attraverso varie tecniche, in particolare quella del "giro bolla" per il cambio di destinazione del rifiuto, ovvero per la sua declassificazione da pericoloso a non pericoloso.
Lo smaltimento illegale dei rifiuti è stato uno dei più giganteschi e lucrosi affari illeciti mai gestiti dalle organizzazioni camorristiche, specialmente da quelle casertane. Occorrerebbe, quindi, adottare norme, non soltanto penali, ma anche incidenti sul piano economico, che abbiano una effettiva deterrenza nei confronti di questi comportamenti. Più in generale, occorrerebbe una politica di tutela ambientale diretta a promuovere una profonda interazione tra ambiente, energia ed attività produttive, assicurando la diffusione di conoscenze, anche multidisciplinari, per un’ adeguata formazione dei dirigenti, pubblici e privati, e un coordinamento nella pianificazione degli obiettivi tra i vari settori.
Rea - "Meglio non mettere le mani nei rifiuti": si sente sovente questa frase a Napoli negli ultimi tempi. Il problema ecologico è un problema etico. Consegnare alle generazioni future un pianeta abitabile, dotandolo di risorse ambientali tali da poter assicurare loro una buona qualità della vita, è un dovere di "solidarietà". Ma pare, almeno per ora, che la Campania non partecipi a questa sfida mondiale e neppure a quella locale. Forme di introiti illeciti legati alla smaltimento dei rifiuti, piramidi di rifiuti, discariche abusive, terreni contaminati dai quali si ricavano soltanto veleni grazie alla camorra che da quarant'anni ha trasformato la Campania (non a caso l'ecomafia ha mosso i primi passi proprio in questa terra) in un campo di raccolta di rifiuti tossici di mezzo mondo.
Non c'è che dire, chi sopravvive a Napoli sarà di certo dotato di un potente meccanismo di alienazione del sistema immunitario. Ci sono Comuni in cui, con immensa difficoltà, si è tentato di attivare il ciclo integrato dei rifiuti, attraverso la raccolta differenziata, con potenti campagne di sensibilizzazione, con la costruzione di impianti di selezione e recupero, impianti di compostaggio, nella speranza che, poi, nascessero sistemi di smaltimento definitivo da allocare in più punti della Campania.
Sistemi pronti a risolvere definitivamente questo devastante problema, magari anche superando i tanto discussi inceneritori e puntando su impianti di ultima generazione come i dissociatori molecolari ad elevatissima temperatura, i quali pare che, non incenerendo i rifiuti, non producano tossine.
Vorrei concludere con un invito: ad avere coraggio. Coraggio ad attingere a quella fonte di "energia" che è soprattutto dentro di noi. E' solo la somma dei comportamenti individuali che genererà un comportamento collettivo positivo di rilevante impatto sul sistema ambientale e sul sistema sociale.
Feo - Analizziamo i fatti. La Campania, più di altre regioni italiane - e forse anche più di qualche poverissimo paese dell'Africa - è legata con una catena tripla al sistema preistorico delle discariche legali ed illegali, al dirottamento di tonnellate e tonnellate di rifiuti verso altre regioni italiane e all'estero e al ciclo continuo delle emergenze. Da 20 anni almeno si discute dei sistemi per risolvere il problema: di termodistruttori prima, di termovalorizzatori poi - accettati dalle popolazioni anche meno delle discariche - e sempre si parla -ma senza convinzione e opere coerenti - della raccolta differenziata, di riciclaggio dei rifiuti.
Nel corso di questi anni l'unica cosa che è cambiata velocemente sono stati i commissari e i sub commissari per l'emergenza rifiuti. Sono stati anche aperti sempre nuovi fascicoli giudiziari e indagini che, invariabilmente, hanno portato a galla interessi della camorra, variamente presenti.
Insomma si potrebbe dire che il capitolo dei rifiuti, "paragrafo" dell'emergenza più generale che riguarda la Campania, sia disseminato di "ecoballe"…. Nel senso di "soluzioni" "orientamenti” e “scelte" inattendibili, non coerenti o ininfluenti sul nocciolo del problema……
Se non fosse che anche quella delle "ecoballe" è materia seria e minata, quanto l'ultima puntata del serial sulle discariche.
Si è arrivati ad un tal circolo vizioso che le ecoballe (quelle vere, enormi cubi cellofanati, maleodoranti per i rifiuti umidi che di regola non dovrebbero esservi raccolti) sono davvero disseminate in giro per la regione. In punti sparsi in tutto il territorio; come del resto, negli ultimi mesi, è accaduto nuovamente con discariche legali ed illegali, "temporanee" e non.
Se da questo circolo vizioso non si riesce ad uscire è solo perché non si vuol farlo: non si vuole innescare la fiducia della gente con atti seri ed emergenziali , ma che aprano davvero il capitolo raccolta differenziata- riciclaggi. L'unica strada che porta alla scomparsa dei rifiuti urbani (perché c'è poi il capitolo di quelli industriali e pericolosi …)...in assenza di questo è impossibile chiedere alle popolazioni della Campania di accettare soluzioni indigeste… e nauseabonde.
Se questo è lo stato delle cose è semplice trovare una spiegazione: c'è troppa gente che - camorra a parte - vuol guadagnare su ognuno dei singoli capitoli dell'affare rifiuti. La "mondezza" è una manna: più affolla le strade, più i suoi lezzi nauseabondi salgono ai piani alti, più crescono i guadagni della camorra, ma soprattutto di affaristi, imprenditori e trasportatori che su questo sistema guadagnano.
E' elementare la comprensione dei vantaggi che vengono dalla raccolta differenziata: potrebbe produrre non solo un ambiente migliore ma anche sviluppo. Altrettanto elementare la percezione degli affari che si fanno su questo sistema, sul balletto termovalorizzatore si, termovalorizzatore no, cdr si, cdr no… e via, via perdendo tempo ed imbrogliando la gente…. che si ammala dei fumi, delle ceneri o del percolato che viene dalla putrefazione dei propri stessi rifiuti.
Marconi - L'ambiente rientra nel grande ciclo della produzione criminale e camorristica. La Campania è diventata un grande centro nazionale di smaltimento di rifiuti di ogni tipo. La colpa è certo di quelle imprese insediate nelle aree sviluppate del Paese le quali, per risparmiare sulle procedure di smaltimento, si rivolgono a società legate ai clan.
Ma tutto ciò è reso possibile dalla assenza di una rete di controllo e da un effettivo governo del territorio. L'unico criterio per la destinazione dei suoli sembra essere quello del massimo profitto. Ciò produce edificazione selvaggia, discariche a ridosso degli abitati e delle coltivazioni, malattie, catastrofi ambientali, degrado, crisi dell’ agricoltura. Il ciclo economico camorristico prevede la destinazione abusiva a discarica, il riempimento della discarica anche con rifiuti pericolosi, la saturazione, l'interramento, la successiva destinazione dei suoli 'restaurati" ad usi abitativi, industriali, addirittura agricoli.
Soluzioni? Ce ne è una sola: rendere effettivo il governo del territorio. Non limitarsi a sciogliere le amministrazioni comunali inquinate ma disporre che in quei comuni la regolamentazione urbanistica venga commissariata. Non è possibile, in zone ad alta presenza camorristica, attribuire alla volontà di singoli consiglieri comunali o di progettisti indifesi il compito di resistere alle minacce (o alle blandizie) della rete criminale!
D. La recrudescenza camorristica, nonostante statisticamente inferiore rispetto ad alcuni periodi del passato, desta particolare allarme sociale. Quali sono i motivi di tale percezione? La maggiore polverizzazione, la capillarità e diffusività delle faide, la fluidità degli assetti e l'incapacità dei nuovi leaders di gestire il cambiamento della camorra aumentano la sensazione di rischio?
Minniti - I rilevamenti scientifici sul campo dimostrano ormai da tanto tempo che non c'è coincidenza tra la reale condizione della sicurezza e la percezione di sicurezza da parte dei cittadini. Correttamente la vostra domanda ricorda che in periodi in cui la condizione napoletana era perfino peggiore dal punto di vista della quantità dei reati, a partire dai più gravi come gli omicidi, la percezione e l'allarme sociale erano fermi ad una soglia più bassa.
Ma questo non significa, ovviamente, che si sbaglia la gente. La sicurezza è una cosa che deve essere percepita perché è un bisogno sottoposto al presente storico di ognuno e ai bisogni della comunità. Con una battuta, per la sicurezza vale il motto degli empiristi inglesi: ‘esse est percepi’ che tradotto suona: l'essere è l'essere percepito. Statistiche a parte, a Napoli c'è una percezione di sicurezza che rimane la principale questione. Il problema è una politica che accanto ai risultati, grazie ad un impegno straordinario di forze di polizia e magistratura, riesca a trasmettere credibilità dello Stato.
So che è questo il cuore delle questioni: affrontare il tema della percezione della sicurezza significa parlare del non semplice rapporto di credibilità dello Stato tra i cittadini e le istituzioni locali.
Roberti - La sicurezza dei cittadini è un bene che deve essere tutelato in tutte le sue dimensioni, che sono tre: internazionale, nazionale e locale. Il cittadino tende a vivere (ed a percepire) la sicurezza come fatto locale, ma la sicurezza - soprattutto oggi, nel mondo globalizzato - deve essere garantita come funzione nazionale e internazionale, tenendo conto dei collegamenti tra le varie forme di criminalità e della mobilità dei soggetti sul piano transregionale e transnazionale.
Per le ragioni cui ho accennato prima, questo rilievo vale per la camorra forse più che per le altre organizzazioni criminali similari.
E' vero che esiste uno scarto tra la misurazione statistica e la percezione della sicurezza da parte dei cittadini. La misurazione della sicurezza si fonda sull’ analisi dei dati statistici circa il numero e la tipologia dei reati, il numero di condanne e di ingressi in carcere e sul raffronto di questi dati a seconda delle aree interessate, scontando peraltro il cosiddetto "numero oscuro", cioè il numero di reati che non vengono denunciati o che vengono falsamente denunciati.
Per questa ragione, a mio avviso, mentre il divario tra dati statistici e percezione della sicurezza, da parte dei cittadini, consente, al più, di misurare il grado di allarme sociale, sia la misurazione statistica che la percezione di insicurezza si prestano facilmente a strumentalizzazioni e/o a manipolazioni ideologiche che ne inficiano l'attendibilità ed ostacolano la definizione di efficaci politiche della sicurezza.
Queste ultime dovrebbero fondarsi, per quanto riguarda il contrasto alla criminalità organizzata campana, su tre premesse:
1) analisi delle varie tipologie di reati;
2) individuazione delle priorità nell’ azione di contrasto (per esempio, le estorsioni, i traffici di stupefacenti, i traffici di rifiuti);
3) valutazione del rapporto costi-benefici per ciascuna tipologia di intervento, con l'obiettivo di definire le risorse da impiegare nelle strategie di sicurezza, il loro costo e il differenziale previsto, di diminuzione del fenomeno, e, successivamente, il differenziale effettivamente conseguito.
La sicurezza collettiva ed il sentimento che ne rappresenta la proiezione psicologica si dovrebbero realizzare attraverso un processo che coinvolga, da un lato, la scala penale (dalle comminatorie edittali, all'accertamento investigativo e giudiziario, all’ esecuzione della pena certa con finalità rieducative), dall'altro, gli interventi mirati di prevenzione sul territorio.
Solo se questo sistema tiene, in tutti i suoi snodi, si può parlare di effettiva tutela dei cittadini dalle condotte devianti.
Marconi - L'allarme sociale non è solo un’ invenzione dei media. Centri di ricerca indipendenti come il Censis hanno rivelato un’ impennata delle paure. Si possono formulare diverse ipotesi. Sicuramente l'aumento degli omicidi suscita allarme; anche le modalità delle uccisioni.
Nella crescita dell'allarme si possono riconoscere aspetti positivi Nell'opinione pubblica, il guappismo, il comportamento dei clan non è visto più come folklore da tollerare per garantire itinerari di sopravvivenza a quel Quinto Stato che popola la città. Il guappismo non è più l'oro di Napoli, piuttosto l'orrore. Gomorra di Roberto Saviano è sintomatico di un cambiamento negli atteggiamenti della cultura, soprattutto giovane. Roberto Saviano non è il piemontese Giorgio Bocca che descrive o condanna gli inferni di Napoli, è un campano che vive nella città e ne cerca un riscatto che non venga calato dall'alto, dall'esterno, dal Nord ma che abbia i campani come protagonisti. In questi nuovi atteggiamenti culturali vedo affiorare qualcosa di simile a quanto accaduto in Sicilia alla vigilia dello scontro che portò alla sconfitta della mafia militare.
La grande spinta alla lotta e il successo nella lotta venne anche dal fatto che un’ elite di magistrati, (di funzionari di polizia, di intellettuali, di dirigenti pubblici, di imprenditori, di politici) aveva cominciato a considerare la lotta alla mafia come dovere primario dei siciliani.
A provocare allarme è anche la consapevolezza che l'azione della camorra sta cambiando. Da epifenomeno del degrado sociale l'impresa camorristica sta trasformarsi in grande affare nazionale ed internazionale. Ho già accennato al traffico dei rifiuti che crea nuove enormi ricchezze. Si pensi all'esportazioni delle merci illegalmente prodotte (con forme di dumping sociale, ambientale, regolamentare) e all'intreccio tra globalizzazione e ciclo produttivo della camorra. La paura viene dalla consapevolezza del fatto che l'arricchimento smisurato delle famiglie, unito ai benefici del mercato globale ,modifichi i tradizionali rapporti tra le classi ed i potenti nella città.
La camorra arricchita e internazionalizzata può non volersi accontentare più di operare nei perimetri del Quinto Stato ma di voler entrare nei centri del potere. Qualcosa di simile a quanto avvenuto in Sicilia nella fase in cui la mafia si arricchiva sulla speculazione immobiliari e sulle politiche di Welfare. La grande paura di Napoli è di vedere un mondo pericoloso e minaccioso, che si era sempre autoconfinato nei bassifondi, giungere nelle stanze dell'autorità economica, forse anche di quella politica.
Rea - Stiamo parlando del senso di insicurezza, il sentimento più diffuso dalle nostre parti. Una percezione di insicurezza che si modifica periodicamente: la capacità che ha la cultura napoletana è quella di non pensarci, di fare finta di niente, di farne un pretesto per un bicchiere di vino e dei tarallucci, come per scacciare uno shock infantile, dimenticare un torto subìto.
Il mutamento del senso di insicurezza è direttamente proporzionale al tipo di violenza che scorre per le strade. E oggi siamo nell'epoca peggiore. La camorra, oggi più che mai, non disponendo, come la mafia, di una cupola, di un'oligarchia che impone le sue scelte sul territorio, è costituita da numerosi clan la cui frammentazione è continua, produce magmaticità negli equilibri. E come un grande gioco dell'oca, ogni giorno c'è una nuova mappa dei siti controllati dalle diverse organizzazioni criminali. Ancora più complesso è combattere il senso di rabbia nella gente generato dalla registrazione di scarse azioni concrete da parte delle amministrazioni ed istituzioni nel porre un freno al dilagante fenomeno del crimine. Quando l'organizzazione stessa della vita quotidiana è messa in discussione e bisogna fare i conti con una pericolosità generalizzata dell'ambiente circostante, tutti i normali punti di riferimento dell'agire quotidiano devono cambiare e devono essere indirizzati verso la salvaguardia della propria incolumità personale.
E allora si cambiano abitudini, non si percorrono più certe strade, (di sera da soli, nessuna strada possibilmente), si acquistano macchine rigorosamente usate, si blindano le case, non si indossano gioielli (quella del Rolex è ormai un altro "souvenir della memoria" dei turisti a Napoli), non si entra in certi posti, si impara ad accettare la sopraffazione degli altri mentre sei alla guida della tua auto, a lavoro, agli sportelli degli uffici pubblici. Sono ingenti i danni che si subiscono e le spese che si è costretti a sostenere per assicurarsi personalmente livelli accettabili di sicurezza.
L'azione quotidiana delle forze dell'ordine viene poi percepita come un teatro di guerra, un campo di battaglia dove anche la tua vita è in pericolo. E così il tutto diventa ancora più insopportabile.
Feo - Polverizzazione dei gruppi criminali e moltiplicazione degli appetiti, instabilità e fluidità degli assetti delle varie formazioni delinquenziali e anche dei gruppi meno complessi, la mancanza di figure carismatiche e di vere capacità di controllo dei capi su organizzazioni in cui militano figure addirittura più forti e dotate di migliore preparazione e capacità criminali di chi è al vertice: tutto questo contribuisce a creare mille focolai di faide , soprattutto ad un aumento incontrollato di episodi di violenza media o minima, quotidiani e diffusi sul territorio.
Pesa senza alcun dubbio, il fatto che a complicare la fisionomia dei fenomeni criminali napoletani si aggiunga la contemporanea presenza di fenomeni di scollamento sempre più vistosi tra grandi interessi, grandi affari, organizzazioni complesse e progettuali, da un lato, e, dall'altro, formazioni di minor peso ma maggiormente presenti sul territorio. Formazioni disponibili ad un uso della violenza certe volte più simile alla guerriglia urbana che al gangsterismo. La "qualità", la frequenza e la concentrazione di fenomeni criminali, concentrati in alcune aree, contribuiscono a destare allarme e senso di insicurezza.
E comunque è impossibile non tenere conto dei dati: siamo a livelli notevolmente inferiori, e non solo statisticamente, rispetto ad alcuni periodi del passato. Napoli e la Campania non solo hanno visto anche diverse centinaia di morti l'anno e per molti anni di seguito, ma anche madri, anziani, ragazzi, bimbi piccoli o piccolissimi uccisi mentre giocavano o in braccio ai genitori, vittime innocenti di faide o delitti predatori, di sparatorie in mezzo alla folla.
Si potrebbe dire che è già stato visto tutto e anche di più… ma non sarebbe comunque corretto. Le statistiche non sono il metro adatto per misurare l'ineludibile diritto dei cittadini alla sicurezza. Un diritto che a Napoli non è né meno forte che altrove, né violato, …. è semplicemente negato... e questo, nonostante l'abnegazione di forze dell'ordine, investigatori e magistrati. E sarà un diritto negato fino a che - abbandonata la propaganda, le facili promesse tipo "mandiamo l'esercito", "arrivano i rinforzi", il ritornello del "più uomini e mezzi", che pure servono - non si comprenderà davvero che Napoli è un'emergenza prima che sociale ed economica, culturale e politica... in particolare "di classe politica".
Uno degli aspetti di questa emergenza è la sempre minore capacità di chiamare le cose con il loro nome, di definire i fenomeni evitando scorciatoie e semplificazioni. Una pratica che coinvolge gli organi di informazione, quelli nazionali soprattutto, che di recente hanno anche cominciato a ragionare su Napoli con la logica del marketing senza peraltro abbandonare le consuete buone dosi di strabismo e la congenita attitudine alla quotidiana sottovalutazione dei fenomeni legati alla criminalità organizzata… e non solo della Campania.
D. Quale futuro per Napoli? Dal pessimismo di alcuni autori che sentenziano l'ineludibilità della deriva napoletana all' "ottimismo" di altri che non vogliono pensare ad un'emergenza napoletana appellandosi all'eduardiano "addà' passà a' nuttata", esiste una terza via che offra soluzioni, anche a lungo termine, sostenibili e verosimili? Insomma tra l'esercito e l'aspirazione al reddito di cittadinanza (teorizzato da filosofi e pensatori tra i quali Toni Negri in "Impero" e ripreso da Bassolino) c'è una terza via sostenibile?
Minniti - Dalle risposte alle vostre domande mi pare emerga la mia opinione. L'ultima cosa auspicabile a Napoli è dividersi tra ottimisti e pessimisti. E' una grande città al cui interno ci sono forze ed energie sufficienti per un tragitto coraggioso di rinnovamento.
Se posso approfittare di qualche altro rigo vorrei ricordare a me stesso che ‘’a nuttata’ di Eduardo, come l'immagine identica di Chaplin ‘il tempo’ è un grande autore, trova sempre il finale giusto non sono inviti alla rassegnazione. Dentro ‘’a nuttata’ di Eduardo e ‘il tempo’ di Chaplin ci sono le donne e gli uomini che si impegnano per mettere insieme le energie necessarie al cambiamento. E' questa, anche per Napoli, una delle condizioni per cancellare la camorra.
Feo - Si, certo, una terza via sostenibile esiste. Per cominciare si tratta di rinunciare solennemente alle scorciatoie. Nelle analisi e nelle risposte all'emergenza del giorno.
Siano esse ispirate da una lettura della realtà basata sulle statistiche dei reati, cioè tutta "di polizia", capace, in altri termini, di vedere esclusivamente o, soprattutto, soluzioni giudiziarie, di ordine pubblico o, al contrario, da valutazioni, interpretazioni tutte sociologiche, che tendono a spiegare tutto con la povertà, l'emarginazione, il tasso di disoccupazione, i quartieri ghetto e con i due secoli di storia in cui sicuramente la devianza della plebe napoletana è stata quasi "pianificata", funzionale alla vita stessa e alla riproduzione dei sistemi di potere che si sono susseguiti e che hanno governato il disordine, traendone immancabilmente profitto.
Abbiamo sentito assai spesso parlare di innesco, terreno fertile, per l'arruolamento di manovali del crimine, nelle condizioni di assenza di lavoro, di sviluppo, di occasioni. Abbiamo ascoltato troppo spesso l'invito: date lavoro e vedrete...! Certo, affrontare gli enormi problemi materiali, quotidiani, di grandi masse che vivono a Napoli, nei paesoni della provincia in altre aree della regione è essenziale.
Salvo poi scoprire che ci sono anche altre realtà: ad esempio fra criminali napoletani a vari livelli trovi gente che un lavoro, magari modestissimo, lo ha, l'aveva o poteva averlo ed ha deciso di infrangere, in modo abituale, la legge obbedendo a spinte, modelli sociali o pseudo culturali, seguendo figure che hanno assunto e quotidianamente assumono, peso, capacità di determinare destini, magari semplicemente in conseguenza del vuoto, dell'assenza di altri valori o riferimenti. Credo che ogni intervento debba necessariamente contemplare l'interazione di misure capaci di dare risposte di ampio spettro: dalla tutela della sicurezza al soddisfacimento di bisogni vitali, dal garantire servizi fondamentali e costruire una prospettiva, un futuro, al combattere -eliminando connivenze, silenzi, ignavia - l'articolarsi militare ed imprenditoriale delle organizzazioni criminali.
Azioni coordinate che poi non possono restare proclami o deboli esercitazioni, ma devono essere effettive pratiche di governo. Quello che, in tutti questi anni, è mancato. E poi si dovrebbero sostituire i battibecchi e gli scaricabarile strumentali, i silenzi colpevoli di troppi anni sulla camorra, con il silenzio operoso, il bando di inutili ed effimere promesse.
Rea - Un'analisi della debolezza etico-politica dagli inizi del novecento ai giorni nostri, prima ancora che economico-sociale dalla situazione napoletana forse ci garantirebbe la comprensione delle ragioni dello stato confusorio su cosa fare per fermare la devastazione che affligge Napoli.
La verità è che anche la Storia della città è male interpretata, poco conosciuta, demagogicamente utilizzata: è metastoria di una Napoli che sembra sempre in grado di risorgere dalle sue ceneri (un incredibile falso storico poiché Napoli rischia di affogare nella cenere di una cultura che si consuma tra le fiamme dell'illegalità e che, fortunatamente, è così ampia da non essersi ancora consumata del tutto).
Tra le tante soluzioni proposte per sconfiggere il melanoma sociale napoletano, tra Esercito (ciclica proposta che a volte viene e a volte va, da almeno vent'anni) e le invenzioni più avanzate che passano da quelle sociali fino a giungere a quelle tecnologicamente sofisticate, ci vedrei bene anche una lotta al degrado ambientale che detto in tecnicismo sarebbe la trasformazione di "non luoghi" in luoghi. E a Napoli e in provincia ce ne sono troppi di "non luoghi", di geografie senza memoria e senza coordinate (isole che ci sono, purtroppo, senza stelle ad indicare il cammino).
Prendiamo i luoghi più disagiati, più nascosti, i ghetti, quelli che meglio si prestano ad azioni criminali, quelli che risucchiano dentro il crimine e anche chi vorrebbe combatterlo, e questi non-luoghi "esorcizziamoli" dalle paure che la politica sembra esprimere ogniqualvolta si parla della necessità di azioni che tali sono, "politiche", nulla di più. L'integrazione totale, la centralità delle città, l'animazione sociale, le politiche di controllo sociale, le politiche urbanistiche: perché tutti questi strumenti sono stati trasformati in locuzioni retoriche? La sicurezza di un territorio è legata alla vitalità di un quartiere e a quanto gli abitanti riescano ad esercitare spontaneamente un controllo su di esso. Maggiore è il controllo, più sicure saranno le città. I criteri urbani e architettonici, poi, devono essere disegnati per rispondere a criteri di sicurezza, di visibilità. Chissà, forse una soluzione verosimile e sostenibile potrebbe essere una triade: mirata riqualificazione dei centri urbani - miglioramento del tessuto sociale (controllo dell'illegalità) - forte controllo urbano.
Marconi - L'assistenzialismo lo attestano tutti i dati relativi alle regioni colpite dal crimine organizzato, non riduce i conflitti ma li moltiplica accrescendo le occasioni di guadagno illecito. Occorre piuttosto incentivare la crescita di una cultura come quella dei libri di Roberto Saviano, di Isala Sales, di Gigi Di Fiore. Il ritorno alle regole, la scoperta delle potenzialità delle legalità, l'orrore e il ripudio di ogni forma di illecito anche se motivato da storiche condizioni di deprivazione.
Si può provocare un grande balzo della Campania verso una produzione, verso un mercato, verso una forza lavoro simile a quella dell'Europa centrale? In Basilicata si è assistito a una modernizzazione accelerata ma si tratta di una regione piccola, governabile e governata. Per Napoli si tratta di incanalare un fervore di attività produttive e di commercializzazione illecita verso la legalità. La strada della tolleranza si è dimostrata impraticabile, improduttiva sul piano economico, criminogena. Ma ugualmente non si può imporre alla fabbrica che produce fuori dalle regole, standard regolamentari sopportabili a Vigevano o a Porto Sant'Elpidio.
Si tratta quindi di ripensare il sistema delle regolo che disciplinano il mercato ed il lavoro in Italia. Perché solo regole centrali ed uguali? Perchè non un sistema di discipline differenziate? In altre aree dell'Europa si è compiuta questa scelta, con successo. Il Galles compete in termini di attenuazione del peso fiscale. Alcune organizzazioni sindacali hanno già cominciato a prefigurare il superamento del tabù dell’ unificazione delle condizioni normative e retributive del lavoro dipendente. Lo stesso può valere in materia fiscale o di autorizzazione delle attività di impresa. Occorre sostituire a una politica economica o del lavoro rigida e centrale una politica duttile e locale.
Non ci sono però solo ricette interne. Vi è anche il problema della diffusione del crimine con la mondializzazione della distribuzione. I trattati sul commercio hanno avuto risultati eccellenti ma hanno tralasciato il modo con il quale sono prodotte le merci. E' diffusa la condanna del dumping sociale e di quello ambientale. Si cominci anche nel teatro globale a porre sotto i riflettori, a condannare ad inibire il dumping criminale.
Roberti - Occorrerebbe anzitutto aumentare l'efficienza dei tre pilastri su cui si fonda la deterrenza: polizia, magistratura e sistema penitenziario. Recenti ricerche dimostrano che, in tutti e tre questi settori, siamo agli ultimi posti tra i Paesi dell'Unione Europea quanto ad investimenti finanziari da parte dello Stato diretti a migliorarne le strutture, i mezzi e l'organizzazione. Naturalmente, la repressione è necessaria, ma non sufficiente. Occorrono poi le politiche dirette a creare opportunità di lavoro, nuovi investimenti, superamento del degrado ambientale e diffusione della cultura, che presuppongono la volontà di una risposta corale delle istituzioni alla domanda di riscatto morale e sociale dell'area metropolitana di Napoli.
Purtroppo, il giudizio sui mali di Napoli oggi oscilla, nella pressocchè generale incapacità della classe dirigente di cogliere l'effettiva portata e le implicazioni del fenomeno criminale, tra il fatalismo autoassolutorio della ineluttabilità della deriva napoletana e l'ottimismo consolatorio di chi preferisce attaccarsi all'idea di una Napoli virtuosa ed europea, destinata, prima o poi, a prevalere su quella plebea e camorrista, come se quest'ultima fosse qualcosa di diverso e di alieno rispetto al contesto sociale. In realtà, Napoli è una sola e la camorra, come dicevo all'inizio, ne è parte integrante.
Se non si riconosce questa realtà, ci si preclude la possibilità di progettare la "terza via", che è, poi, l'unica perseguibile ed è quella di promuovere e governare le trasformazioni.
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