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GNOSIS 1/2007
STORIE DI CASA NOSTRA

Intrecci malavitosi a Napoli e dintorni


 articolo redazionale

Il racconto presenta un’esperienza camorristica che sintetizza i possibili destini di un gregario animato da dubbi, rancori e aspettative, dopo la scarcerazione. Pur se è illuminata una parte, nemmeno la più indicativa, della figura camorrisica, comunque emerge la diffusa concessione dei capi al tradimento e alla “tragedia”, che rende il quotidiano mafioso insidioso e indecifrabile. Si confrontano vecchi tipi di criminalità, spesso vittime di un reducismo inconvertibile, e nuovi modelli di banditismo, entrambi in cerca di potere, sebbene simbolicamente ritratti nel rapporto padre/figlio, frutto dei propri tempi e spesso vittime della stessa camorra che alimentano. Sullo sfondo i paesaggi diversi delle “Vele” e di Forcella, così lontani eppure bagnati dallo stesso sangue.


da www.image-share.net/

“Pascà, Pascariello bello, song’ io”.
“Totò, a’ faccia toia, comm’staie? Sembri n’auciello”.
“Voi state bene, Pascà, io sono dimagrito, voi state ca’ panz’ ‘nnanz, sembrate nu’re. Si sta’ buon int’o carcere…!”.
“State zitto, cumparie’, non iastemate mo’ che sono appena arrivato”.
“E io sono qui per portarvi a casa. Cuncetta ma dit’ che arrivavate e io sono qui a portarvi a casa…”.
“Bontà vostra…”.
“Mi volete dare la sacca?”.
“… e che pesa? Dieci anni di carcere non fanno molliche. E’ dentro la pancia che bolle l’arraggio, come le pene di Sant’Antonio… Iamm’ bell, Totò, iamm bell”.
“Pasca’, vulite fa’ due chiacchiere o vi porto…”.
“ A casa, Totò, a casa… purtam a casa… poi ci virimmo”.
“Pascà, Cuncetta si è trasferita a le Vele… sapete, Forcella non era più sicura e gli amici gli hanno offerto due mura li’, da don Ciruzzo”.
“All’anima soia. O’ saccio, lo so. Portami a Forcella e poi a casa… o a ddo’ sta sta’ sfaccimm e casa”.

Pasquale ha portato la sua Forcella nell’anima, durante i quindici anni di carcere duro.
Era Forcella di quand’era bambino, gomitolo di vicoli e di fame. Fame che invadeva lo stomaco… il cuore…, che faceva crescere pensieri neri come il fumo di Bagnoli.
Di quei vicoli sapeva i segreti e le schifezze. Aveva anche imparato l’odore leggero e volubile della ricchezza e del potere.
Tra le sbarre di ruggine e rancore aveva pensato spesso alla sua storia.
I siciliani, le sigarette da Tangeri a Napoli, le paranze attrezzate per scaricare un mare di sigarette, i motoscafi, il lotto clandestino, le rapine e il pizzo… poi la guerra, inattesa, non voluta.
Cutolo e i suoi sono stati un temporale estivo… sarebbero stati un diluvio universale se solo….
Eppure… Lui aveva resistito, non aveva accettato la mano tesa del professore di Ottaviano, l’unico re della camorra che avrebbe potuto fare della Campania una Sicilia anche più prosperosa. Avrebbe potuto fare della camorra la mafia più forte.
Lui era rimasto accanto al suo capo. Con lui aveva fatto rapine, aveva ucciso, aveva abbandonato le aule di tribunali con tante scuse di cancellieri e sbirri.
Aveva condiviso tutta la vita del suo capo, i suoi giorni si erano persi in quelli di Luigino, come la sorgente nel fiume in piena.
Quando lo vedeva.. con la sua giacchetta profumata di donne e champagne… quando lo vedeva saltare da una festa ai vicoli insanguinati, con quel sorriso indecifrabile, lui era fiero di seguire l’ombra, si sarebbe fatto scarpa ai suoi piedi.

Dalle rapine alla camorra. Era nella banda di scugnizzi che si prestava per i lavori sporchi e rumorosi dei grandi capi, insieme a Luigino, poi la svolta. Era sparito il mammasantissima. Succede sempre così quando un boss muore o finisce in carcere: a Napoli lo spazio vuoto si occupa subito. Come quando, da bambino, bastava che uno dei fratelli più grandi andassero a “Poggioreale” o a fare il militare, che un attimo dopo lo spazio sembrava esplodere, il materasso si dilatava, il cotone s’allargava e si poteva allungare il piede nelle ore notturne senza sbatterlo in faccia a qualcuno. Quello spazio conquistato non si sarebbe più perso, a costo della vita.
Così nei quartieri la scomparsa di un boss addolora, poi le bande che prima erano orgogliose di fare i gregari diventano tigri. I guaglioni crescono in fretta e con una violenza inusitata pretendono un posto al
sole.
Era stato così per Luigino, che, investendo il denaro acquisito nel dopoguerra con il contrabbando insieme agli americani, aveva acquisito una posizione di prestigio e conquistato i quartieri del centro.
Dominava incontrastato e ascoltato non solo dai boss: tutta Napoli temeva la grazia sanguinaria e al contempo era affascinata dalla sua sinuosa generosità partenopea.
Pasquale, contrabbandiere e predone, era diventato il braccio destro di Luigino e dei suoi fratelli. Godeva di quel privilegio che lo inebriava, che lo faceva sentire “qualcuno”.
Quando passeggiava per le vie del centro, si sentiva un principe.

Poi l’ammuina. Quando Luigino e i suoi alleati si erano convinti di aver sconfitto Cutolo e di poter dominare ancora più forti, proprio allora il mondo si rovescia.
“Sott’ en’ copp’. E guardie dappertutto. Dalle stelle alle stalle”.
E’ così la vita, aveva pensato in carcere. C’è qualcuno che si diverte a confondere i destini e a tagliare il filo proprio quando la tela sta’ finendo la sua fatica, sta’ dandosi un senso. Nel gioco del potere i capi crollano, come se Napoli alla fine chiedesse il conto salato e offrisse sempre nuovo spazio alle urlanti furie che vogliono emergere.
Luigino, però, non aveva saputo cadere. Aveva collaborato alla giustizia. Molti lo avevano seguito. Tutti a vociare, come se lo stomaco non trattenesse più niente…non lo avrebbe mai creduto, eppure non avevano risparmiato parenti e amici.
Così anche lui fu arrestato in una mattina di caffè bruciato… maledetta giornata….
Sulle carte firmate dal giudice e consegnate da uno sbirro pallido e smunto aveva letto l’infamia del suo capo, il segno di un abbandono più feroce del sangue. Luigino aveva raccontato “alla legge” tutti quei segreti delitti di cui erano fieri e che li avrebbero dovuto legare per sempre.
Lo avrebbe ucciso con le sue mani.

Ancora ora sente la fitta di dolore, i denti si stringono come sega spuntata e la mascella tradisce un morso di rabbia.

Cammina con la sua sacca per le vie di Forcella, sulle lastre di basalto butterato su cui un tempo i tacchi delle scarpe suonavano il ritmo frenetico della gente e oggi le scarpe da ginnastica coprono di silenziosa ambiguità, come se la gioventù chiassosa non voglia lasciare orme, illusione di una direzione.

Quante volte si era salvato percependo l’anomalo suono delle scarpe sulle lastre scure del pavimento...! Si, perché il killer cammina portando la morte sulle spalle, si affretta nervoso e ansioso di lasciare la scia di sangue lontano da lui, urgente di disfarsene e cercare scampo altrove. Il passo della morte è senza musica, frenetico, ossessivo, impaurito...!

Immerso tra queste sensazioni, scivola nei vicoli, nel clamore del mercato, tra i fili della luce arrampicati nei densi vuoti che separano i palazzi decadenti.
Riconosce nei profili sbarbati dei guaglioni i tratti di tanti amici, di troppi nemici.
“Saranno i figli, i nipoti…”.
Studia rapidamente il movimento, il loro vagare inutile e spocchioso, i pantaloni calati, lo sguardo ebete naufragato in pulpiti improvvisati di ragazze.
“Non sempre i figli sono migliori dei padri...”. Il pensiero corre a suo figlio, si perde, rimosso.

“Non è Forcella senza Luigino, quel cornuto...”.
Si sorprende di quelle parole cadute dalla sua bocca.
Eppure, dietro la rabbia, sente forte il disagio per il cambiamento di Forcella. E’cambiata. Cambiata. E’ cambiata l’acqua in cui torna a nuotare. Non gli piace.
“Totò iammucenne, portam’ a casa, Totò che sfaccimm succer?”
“Pascà, Luigi non c’è più. Ha messo schifezze in faccia alla famiglia. So’ scesi a copp’, i Mazzella, non c’è pace e non c’è spazio. I guaglioni sono mosche intorno alla munnezza. Lo sai… guaglioni che corrono e corrono e non sanno dove vanno. Pigliano e sparano, arrobbano, scippano, pigliano su di tutto. Mazzella li lascia fare e li illude che c’è un futuro per loro”.
“Chi cummann?”.
“Sono cambiate le cose. Non si comanda come un tempo, come nu re’. Mo’ so’ commercianti, controllano le piazze, quella schifezza, la droga, è peggio delle sigarette, fiumi di soldi e piombo. Oggi comandano i Mazzella che però mica vivono qui. A Forcella lasciano i loro uomini, a controllare lo spaccio, il lotto, le estorsioni. Il resto... se ne fottono. Scugnizzi scippano, menano, rubano, e loro da fuori lasciano fare, sino a quando non esagerano, allora li fanno trovare sotto al cavalcavia con una busta sulla faccia. E’ n’ammuina”.
“Totò, i Mazzella non sono tutti dentro..?”.
“Ci sono i figli, i nipoti… Poi ogni tanto qualcuno di pesante esce, un indulto, un errore sulla pratica, insomma, per camurria questi escono e allora cambiano gli equilibri, sino a quando non vengono arrestati di nuovo. Oggi ci sono i giovani… Non sono come i padri, ma portano il nome. Lo vogliono portare come fosse loro e non dei loro genitori. Gli altri non ci stanno e allora si fa la guerra. Napoli è tutta na’ guerra”.
“Ci hanno messo tutti dentro e non sanno che i giovani sono anche peggio…”.
“No, Pascà, scusate, non peggio di noi. Forse loro sono uguali a noi, ma è Napoli che è cambiata, è la strada che s’è fatta storta”.
“Totò non facimm’ filosofia. Qui come ovunque uno deve comandare, se no’ è caporetto”.
“Lo sanno tutti, ma ognuno vuole fare il capo. Troppi capi, nessun capo.”.
“Ma qui, al centro, che succede?”.
“Succede che ogni zona ha i rampolli dei vecchi capi contro gli scissionisti. Poi scissionisti lo dicono i giornali, perché so’ tutti i fedeli dei capi che non ci stanno a lasciarsi sfottere dai giovani che hanno visto crescere e che non sono certo come i padri. Pascà, a Napoli non siamo sotto o’ re, siamo una repubblica, non è che morto il capo deve subentrare il figlio. Chi lo dice? Sale il più forte. Non è stato sempre così?”
“Andiamo a casa….”

Le Vele sono il deserto di case e di strade senza uscite. Quegli arditi monumenti che pretendono di accarezzare il cielo, sembra lo trattengano tra le dita e lo spingano nel cumulo di immondizia che zavorra a terra, che ricorda chi siamo e che dobbiamo diventare, moderna polvere dell’umanità.

“Madonna mia, chi è chillu malomm’ca’ fatta na’ cosa accussì chiavica? Chi ha portato acca’ muglierem? E io dovrei stare qui? Ma chi ha fatto questo orrore? Chi cummann ca’?’”
“Ciruzzo. Ma anche “loro”. Lo sai: l’Alleanza. Non sono forti come prima. L’Alleanza era forte e ancora ora i capi, dita di una mano, uniti dalle mogli che sono sorelle, hanno sempre la furia leonina di conquistare Napoli! Non ce l’hanno fatta, ma ci provano sempre, sotto sotto, più subdoli, tirando il sasso e nascondendo la mano.”
“Ciruzzo ha fatto nu’ burdell’”.
“Qui, Ciruzzo era libero. Questa era una frontiera in cui sia i secondiglianesi sia gli altri stavano buoni e facevano affari con la droga. Mo’ i figli di Ciruzzo si so’ sfottuti mettendosi contro gli amici più vecchi. Vecchi ma furbi, si fottevano la droga che arrivava dalla Spagna. Un sistema parallelo. I ciruzielli se so’ ncazzati, ma non ti puoi arrabbiare se non sei forte abbastanza. Non insegnava questo Nuvoletta ai bei tempi?”

Concetta non è cambiata. Eppure sembra più pallida lontana da Forcella, come se le Vele abbiano scolorito i suoi occhi.
Pasquale non è contento.
“Cunce’ perché prima si poteva stare a Forcella e mo’ no?…”
“Perché eravamo la famiglia di un capo. Ora dobbiamo chiedere l’elemosina?”
“E’ passato il tempo nero”.
“Perché, mo’ tu chi si’?”.
“So’ sempre io…”.
“Intanto o’ pane lo porta Donatello. E’ bravo chillu figlio. E’ bella a’ creatura. Si da da fare ed è amato, da ste’ parti”.
“Cunce’ si torna a Forcella…”.
“Io resto ca’. Ci sono i soldi, qui. Ciruzzo vuole bene a Donatello…”.
“Ciruzzo non vale na’ moneta. Nemmeno una di quelle che buttavamo in faccia ai morti uccisi…”.
“Lui è il capo, Pascà, lui è il capo”.

Anche il figlio lo disturba, con le idee di una camorra nuova, veloce, rapida, moderna.
Lui controlla una piazza del quartiere, dove la droga si vende come con una macchinetta, sfornando pacchetti di euro da far girare la testa.
Dietro di lui squadre di minorenni che fanno la vigilanza, che informano sui clienti o sugli sbirri.
A Forcella era così, ma alle Vele la cosa lo stupisce e sembra più squallida.
Lo spazio aperto delle Vele e le grate che chiudono le piazze dello smercio danno un senso di vuoto, di burocratico, di svilente.
Pasquale pensava di contare sul figlio per tentare di riprendersi qualche soddisfazione.
Si rende conto che è solo. Il figlio è ormai preso dal vortice dei suoi affari.
Donatello guadagna diecimila euro al mese per controllare una piazza che serve cocaina come una macchinetta. Un assistente sociale voleva farlo lavorare in una cooperativa per mille e trecento euro. Era felice, l’assistente. Donatello l’aveva guardata come se parlasse giapponese.
“Mille e trecento euro, una fame, per fare che? Sgobbare a raccogliere pomodori o fragole? A rompermi le ossa? Per tornare a casa lercio di lavoro “sporco”? Io faccio la vita, rischio, ma vivo…vivo…senza l’elemosina dello Stato”.

Arriva il momento che attendeva la “chiamata” dei Sirno.
“Don Pasquale, vi trovo bene, avete la faccia di nu’ surice che vede la luce… un po’ smarrito ma con gli occhi lesti… Vi ricordate di me, don Pasca’?”


foto Ansa

“Eccome non mi ricordo? Mi ricordo pure a vostro zio, buonanima, ne abbiamo fatta di strada insieme! E’ passato tanto tempo”.
“Per noi il tempo non passa, non esiste…
“Sono cambiate tante cose e molte mi sembrano na’ fetenzia”.
“No, don Pascà, mo’ la munneza è ch’ella che siamo, comm’ a’ munnezza passata era ch’ella ch’eravamo. Il mondo cambia e noi appresso a’ iss”.
“Don Roberto che volete?”
“No, don Pascà, che volete lo dico io. Voi siete un uomo di rispetto, il carcere smussa, logora, ma non cambia... Voi comandavate quando io ero guaglione e’ bottega. Eravate o’ mast’. Ora siete uscito e tutti si chiedono dove vi mettete. Certo, non fate sacrestia, perché chi è abituato a dire messa non si mette a fare il chierichetto… solo che le cose sono cambiate. Qui per uno starnuto soffiato nel fazzoletto sbagliato si prende la polmonite e l’olio santo”.
“Voi che volete?”
“Vi spiego prima la storia cumm’è. Io, i Mazzella e Peppe ci siamo difesi contro l’Alleanza e ci siamo fatti strada. Mo’ Peppe è in galera e i nipoti non sono buoni. Così i vecchi amici di Peppe si sono messi contro gli attuali capi. Mazzella ha finto di essere neutrale ma, sotto sotto, gli ha fatto comodo favorire gli scissionisti. Così il gruppo di Peppe e pure gli scissionisti sono stati uccisi o arrestati e ora Mazzella è rimasto solo a comandare. Pure nel quartiere di Luigino, che è quello tuo, ha fatto la stessa cosa. Un nipote si è sposato una parente di Luigino e quando non c’erano più capi, perché stavate tutti dentro, allora questo giovanotto ha visto bene di alzarsi e di comandare. Insomma, i Mazzella ci stann’ pulizziann’ a tutti quant”.
“E voi?”
“E noi siamo stati impegnati… diciamo, a cercare una nuova via agli affari… Una via verso il nolano, dove il sistema è più forte assai e gli affari non si contano. Non è fatto di rapine o di droga. Ci stanno imprese, commercio, conoscenze… Insomma sott’ o’ Vesuvio ci stava o futuro nuostr’. Ma ci hanno ucciso tutti gli amici, perché quelli di là hanno a’ capa tost’ e non li fotti. Così abbiamo pensato che… visto che i Mazzella ora anche loro sono in carcere… beh, allora si può dare un’occhiata verso il centro…”.
“E a me che m’ ne trase?”
“Non volete vedere un poco di pace nei quartieri vostri?”
“E chi mi manda?”
“Vi mandiamo noi, e facimm’ nu sistema chiu’ megl’ e prima. Voi che dite?”
“Che si può fare”.
“Ah… vostro figlio è un ragazzo con la testa dura. Un bravo ragazzo, ma si dice che sta con Ciruzzo, e oggi questo, visto che Ciruzzo è dint’ o carcere e hanno iettat’ pure a chiave, questo significa che è vicino ai Mazzella. Ora… che vi devo dire? Cercate di non fare ammuina a casa vostra… se potete...”.

Pasquale si mette al lavoro. Non è difficile ricostruire la tela, bar dopo bar, con i suoi tacchi rumorosi sul basalto di Forcella. Non è difficile lasciare le Vele, per tornarci con la testa alta, a prendersi la famiglia e portarla nel suo regno di boss.
Non è difficile trovare squadre di guaglioni con la voglia di trovare un nuovo spazio, con il grilletto facile, con il naso arrossato dalla cocaina.

“Gigì, voglio sapere tutti quelli che stanno con i Mazzella… voglio sapere quelli che si sono voltati dall’altra parte, quelli che hanno due facce, come San Matteo…”.
“Pascà, ci sta pure Totò e Marano”.
“Chillu curnut’ è venuto sotto il treno a pigliarmi per portarmi a casa…”.
“E’ stato sempre vicino alla famiglia vostra, quando aveva bisogno non si è scordato di voi…”.
“Ha fatto il dovere suo…”.
“Ha salvato pure vostro figlio, quando aveva preso una strada storta…”
“Poi, però, l’ha lasciato nelle mani di Ciruzzo”.
“Ciruzzo all’epoca era fuori dalla guerra, vendeva la droga a tutti e due gli schieramenti, è stata una sicurezza…”.
“E con questo cosa volete dirmi?”
“Che potete magari mandarlo a chiamare, chiarire, vedere se si mette di traverso oppure vi segue…”.
“Con quest’aria che fete, e ci mettiamo a chiedere favori? Chiamalo, digli di venire sotto il cavalcavia che gli devo parlare. Fai trovare i ragazzi lì… armati…non deve scendere dalla macchina…”.

Tradire a favore della polizia sarebbe una fortuna. Spesso, però, si tradisce con il nemico, e allora è pronto nu’aut’.
Totò confidava nell’amico Pasquale uscito e subito bravo a recuperare i vicoli di Forcella. Magari l’avesse chiamato. Magari poter traghettare con lui. D’altra parte non aveva assistito suo figlio nei momenti di difficoltà, tanto che Donatello lo chiamava zio?

“Totò, finalmente! Era tempo che vi cercavo!”
“Di questi tempi non ci si muove volentieri, anche se sapete quale sia il mio rispetto per voi! Ma cosa vi muove da queste parti?”
“Sapete com’è, abbiamo un “fermo” dalle parti nostre. Così pensavamo di sistemare un poco le cose al centro…”.
“E Mazzella che dice?”
“Cosa volete che dice? Conservate il posto in caldo, dice. Sapete che noi siamo una stessa cosa, noi, Peppe e i Mazzella…quando escono il posto è loro…”.
“Cosa posso fare per voi?”
“Cerchiamo un referente per i quartieri… Una persona affidabile che ci curi con onestà la situazione… Sapete, c’è l’amico vostro, don Pasquale, si è messo in testa di comandare a dispetto nostro e di Mazzella. Pensate, cerca quelli vicino ai Mazzella per eliminarli a uno a uno…”.
“Lui? Ma che dite?”
“Chiedete a Ciccio Furfariello, quello se la canta se gli mettete un po’ di fregola. Qualche squadra è pronta ad agire sotto il cavalcavia, domani sera. Oggi vi inviteranno al cavalcavia… stateve accuort’.
“Ciccio Furfariello? Quello che stava con l’Alleanza e poi è passato con noi?”
“Chi tradisce una volta tradisce sempre…”.
“Chill’ son’ e’ campan’, curnut!”

Furfariello parla. Ha sempre parlato, nella sua vita di camorrista. Parla con gli sbirri, e non riesce a fermarsi. Se non viene fermato è lì che li cerca. Furfariello ha paura di tutti e questo lo rende coraggioso. Improvvido.
Furfariello è una foglia che cade ogni inverno e in ogni primavera rifiorisce.
Furfariello conosce le armi e sa uccidere meglio di chiunque altro.
Tutti lo conoscono e lo usano per quello che è: un killer e un confidente.
Può essere utile chi non sappia tenere la bocca chiusa.
Può essere anche fatale.

Furfariello parla e dice quello che sa.
Non dice, però, di sapere poco e male.
Non sa che la chiamata per Totò viene da Pasquale.
Per questo Totò è arrabbiato e decide che è giunto il momento di approfittare della situazione e di prendere lo scettro anche lui… foss’anche per un momento.

Lo vogliono uccidere.
Ora risolve questo problema, anche ingraziandosi gli amici di Mazzella e di Peppe.
Così poi si può dedicare a Pasquale, a fargli capire che l’aria è cambiata e che potrebbe dividersi Forcella con lui. Magari prendendosi con loro anche Donatello, che Pasquale non conosce. Perché lui non sa che Donatello sta facendo il salto. Che è un camorrista buono e che Ciruzzo e i Mazzella lo vogliono far crescere.

Sotto il cavalcavia Furfariello porta la squadra di Pasquale.
C’è pure Pasquale nella macchina, seduto dietro, con il finestrino aperto, assaporando l’aria di una Napoli malata come lui.
Negli occhi la voglia di potere. A qualunque costo.
Non pensa a Totò.
Non pensa ad altro che alla voglia di scrollarsi le sbarre del carcere, la rabbia di trovare un quartiere diverso che non riesce a mantenere tra le dita.
Pensa alla possibilità di diventare un capo.
Pensa, o sogna, che dopo “loro”, dopo Peppe e i Mazzella c’è posto anche per lui. Per don Pasquale.
Totò sembrava un aucielluzz’, alla stazione.
E’ sempre stato un perdente, lui.
Dietro il cavalcavia la notte è più fonda. La macchina arriva con i fari spenti. Gravida di morte.
Totò aveva promesso a Furfariello di lasciarlo vivo, sparando a bruciapelo ai suoi compagni quando fossero scesi dall’auto.
Totò aveva paura di non farcela.
La violenza è proporzionale alla paura di fallire. Come il tradimento, rosario che sgrana i suoi nodi di follia.
Per questo inizia a sparare appena l’auto accenna a fermarsi.
I mitra illuminano la notte, il rumore ripetuto è un’ossessione.
Donatello è il più bravo.
Ha la furia del novizio, di chi abbia voglia di tornare alla sua piazza con la forza del sangue versato, rivendicando il valore conquistato sul terreno.
E’ il suo tempo, pensa. E’ il tempo dei giovani, diversi da suo padre, diversi dai capi arrestati e ancorati a un potere che sfugge…
E’ il primo lavoro… non sa nemmeno chi deve uccidere… non li vede nemmeno… spara nel mucchio… per zio Totò, soprattutto per quelli che vogliono comandare il Centro e che hanno promesso maggiore spazio…
E’ la sua ora…


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