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GNOSIS 1/2007
La CIA in azione al tempo di Reagan

Covert Actions USA
rischi costi e benefici


Giacomo MASCOLI

E’ possibile affermare che esistono differenti approcci allo studio delle tematiche relative all’intelligence, tuttavia la maggior parte di essi si sviluppano partendo da uno schema concettuale elaborato originariamente da Roy Godson (1) . Senza entrare nei dettagli, è utile ricordare che Godson divide il concetto di Intelligence in quattro categorie volutamente generali: Analisys and Estimates, Clandestine Collection, Counterintelligence e Covert Actions.Di queste è proprio la categoria delle covert actions (azioni sotto copertura) che solleva la maggior parte di dubbi fra gli studiosi e i professionisti del settore. Trascendendo il tradizionale ruolo di supporto ai decisori rivestito dall’Intelligence tradizionale, le azioni sotto copertura rientrano piuttosto nella sfera esecutiva essendo infatti la vera e propria messa in atto di particolari politiche da parte degli Organismi di Intelligence. E’ bene ricordare che non esiste una definizione universalmente accettata del concetto di azioni sotto copertura.<br> Se, ad esempio, si considera la comunità di intelligence USA, per covert action si intende “an activity or activities of the U.S. government to influence political, economic or military conditions abroad where it is intended that the role of the U.S. government will not be apparent or acknowledged publicly” (2) . Più in generale, come ricordato da Maurizio Navarra e Mario Maccono (3) , i Servizi di Intelligence possono essere e sono stati, in numerosi casi, i promotori di attività destabilizzanti (o stabilizzanti, in quanto volte a prevenire una possibile destabilizzazione futura) che rientrano nel potere discrezionale, non normativo esercitato da uno Stato sul proprio od altrui territorio. Ulteriore fonte di incertezza per gli studiosi dell’argomento deriva dall’estrema difficoltà nel valutare complessivamente le azioni sotto copertura o, quanto meno, dell’individuare quelli che possono esserne i criteri valutativi. Cosa definisce il successo di tali attività? E’ da considerarsi solo in funzione del raggiungimento degli obbiettivi prefissati? Ed anche nel caso in cui questi ultimi siano stati raggiunti, l’azione può ancora considerarsi un successo qualora l’ombrello protettivo della segretezza sia venuto a mancare? Che peso devono assumere le conseguenze di medio/lungo periodo nella valutazione complessiva riguardo queste attività? Al fine di evidenziare meglio la complessità del fenomeno, questo articolo prende in esame l’esperienza statunitense durante l’amministrazione Reagan (1981-1989), analizzando due covert actions in particolare: il cosiddetto “Affare Iran-Contra” e il programma di supporto in favore dei Mujahideen afghani in chiave antisovietica. Esistendo infatti un’opinione condivisa che considera l’amministrazione Reagan una delle più efficaci nel contrastare l’influenza politica e militare sovietica durante gli anni ’80, l’esteso ed ambizioso programma di Covert Actions portato avanti da questa amministrazione è stato percepito di conseguenza come la “chiave di volta” di questo successo (4) .Tuttavia, un’ analisi più accurata relativa ai due casi sopra citati (i più importanti in termini di costi e personale coinvolto) rivela quanto queste azioni siano state mal concepite, inefficaci e, in conclusione, controproducenti. Più precisamente, si evidenzierà come entrambi i casi in esame, sebbene estremamente differenti tra loro specialmente per quel che riguarda gli esiti nel breve/medio periodo, presentino un rapporto costi/benefici fallimentare nel lungo periodo.





Obiettivi e filosofie operative del
programma di Covert Actions durante
l’amministrazione Reagan


Il contenimento dell’espansionismo sovietico fu uno dei cardini principali attorno al quale ruotava l’agenda di politica estera dell’amministrazione Reagan (5) . Sebbene questo non si traducesse in una chiara ed immutabile definizione di obbiettivi, numerose testimonianze confermano che il Presidente e il Direttore della Central Intelligence Agency (CIA) William Casey, così come altre numerose figure-chiave, tra cui il consigliere per la Sicurezza William Clark ed il sottosegretario alla Difesa Fred Iklè, erano accomunati da una netta ideologia anti-comunista (6) .
Questa forte componente ideologica all’interno dell’amministrazione contribuì ad individuare nella presa di potere del Fronte di Liberazione Sandinista in Nicaragua nel 1979, così come nell’intervento sovietico in Afghanistan durante lo stesso anno, i segni della crescente presenza di una “red threat” in America Centrale e di un rinnovato espansionismo sovietico in Asia Centrale (7) .
Reagan, così come Eisenhower e Kennedy prima di lui, vide nella comunità di intelligence USA lo strumento più idoneo per realizzare una efficace politica di contenimento e, di conseguenza, fu promotore di un vasto allocamento di risorse a favore della CIA, al fine di mettere in atto un esteso ed ambizioso programma di Covert Actions (8) .
In generale, è possibile affermare che quando queste operazioni furono caratterizzate da budget ben definiti, scala ridotta, obbiettivi e responsabilità chiare, gli esiti riuscirono a soddisfare relativamente gli obbiettivi prefissati.
Esempi possono essere il supporto della CIA al movimento Solidarnosc in Polonia nel 1982 o la collaborazione con l’Intelligence iraniana finalizzata sia alla soppressione del partito comunista clandestino Tudeh sia alla neutralizzazione del network di agenti del KGB e del GRU operanti in Iran (9) .
Al contrario, come ricorda uno dei massimi esperti di Intelligence, Mark Lowenthal, quando questi presupposti vennero meno, come nel caso delle due operazioni prese in esame, allora i risultati immancabilmente variarono da fallimenti immediati a problemi di lungo periodo per gli Stati Uniti (10) .


L’Affare Iran-Contra

L’Affare Iran-Contra nasce, in realtà, dall’intrecciarsi nel 1985 di due Covert Actions originariamente distinte: il supporto da parte della CIA in favore del movimento Contra in Nicaragua (11) (cominciato nel 1981) e il tentativo del National Security Council (NSC) di negoziare clandestinamente con il governo iraniano al fine di ottenere la liberazione degli ostaggi statunitensi rapiti in Libano, nel 1984, dagli Hezbollah filo-iraniani.

La CIA in Nicaragua
Fin dal 1979, anno in cui i sandinisti presero il potere in Nicaragua, il Presidente Carter autorizzò la CIA a fornire supporto finanziario e logistico (definito “non-lethal”, ossia non di natura prettamente offensiva) per un ammontare di circa 75 milioni di dollari ai movimenti di opposizione locali (12) . Successivamente, con l’avvento dell’amministrazione Reagan, il governo di Managua venne identificato come una fonte primaria di insicurezza per gli USA, dato il potenziale “effetto domino” che esso poteva esercitare nei confronti degli altri Governi della regione centro-americana. Di conseguenza, parallelamente ad una forte offensiva diplomatica e ad un embargo economico contro i sandinisti (13) , il Presidente Reagan approvò il 23 novembre 1981, la NSC Decision Directive 17, che autorizzava da una parte un incremento nel programma di assistenza ai Contras già approvato da Carter, dall’altra la fornitura di un vero e proprio supporto militare attraverso la CIA (14) .
Questo coinvolgimento più deciso nella questione nicaraguense venne presentato alla Commissione del Congresso per il controllo delle attività di intelligence sotto la copertura di un programma del costo di 19 milioni di dollari, finalizzato a bloccare presunte spedizioni di armamenti di fattura sovietica che si riteneva i sandinisti fornissero alla guerriglia anti-governativa in El Salvador.
In realtà, fin dal marzo 1981, la CIA organizzò un sistematico programma di equipaggiamento e addestramento delle forze paramilitari dei Contras, basate in Honduras e in El Salvador; programma che aveva come chiaro obbiettivo il rovesciamento del governo sandinista. Più precisamente, dopo un periodo iniziale di addestramento in Argentina fornito principalmente da istruttori militari locali e finanziato anche grazie all’aiuto della comunità degli esuli cubani, i Contras venivano rispediti in Honduras e in El Salvador per la fase di addestramento pre-operativo, per poi entrare in azione nel confinante Nicaragua. Inoltre, numerose fonti affermano che vi furono casi in cui personale delle forze speciali americane (15) e piloti americani (che volavano su aerei con insegne honduregne) (16) furono coinvolti in azioni di combattimento.


da www.rationalrevolution.net/images/contras

Questo esteso programma venne seriamente compromesso nel 1982, quando rivelazioni della stampa USA ed estera, che denunciavano la reale portata del coinvolgimento americano in Nicaragua, spinsero la Commissione Straordinaria sull’Intelligence del Senato ad adottare quello che venne definito l’ “Emendamento Boland” (dal nome del suo promotore). Quest’ultimo vietava che fondi del governo statunitense venissero utilizzati al fine di rovesciare il regime sandinista. Allo stesso modo il programma clandestino della CIA di interdizione contro i rifornimenti nicaraguensi verso il Salvador venne decisamente ridimensionato (17) .Tuttavia lo stop definitivo alle attività della CIA nella regione venne sancito il 24 marzo 1984, quando una ulteriore fuoriuscita di informazioni rivelò all’opinione pubblica l’uso di mine magnetiche da parte di personale paramilitare della CIA in alcuni porti nicaraguensi (un’azione a cui era stata data autorizzazione da parte di Reagan stesso). Sull’onda di questo ulteriore scandalo, il Congresso degli Stati Uniti approvò il cosìddetto emendamento “Boland II”, che proibiva esplicitamente, e senza mezzi termini, qualsiasi forma di sostegno a favore dei Contras da parte della CIA, del Dipartimento della Difesa o di altre agenzie federali coinvolte in attività di intelligence (18) .

Le negoziazioni “Arms-for-Hostages” con l’Iran
La liberazione degli ostaggi americani detenuti in Libano dalle milizie Hezbollah filo-iraniane fu probabilmente l’altra questione che maggiormente ossessionava l’amministrazione Reagan sin dal loro rapimento nell’aprile del 1984. Numerose testimonianze concordano nel ricordare il profondo coinvolgimento emotivo con il quale lo stesso Presidente aveva seguito l’intera vicenda.
Tuttavia, come ha ricordato l’ex agente della CIA Robert Baer, a quel tempo l’intelligence USA non possedeva un solido network operativo in quel Paese, né poteva servirsi di fonti giudicate pienamente affidabili (19) . Se poi si aggiunge il probabile ruolo dell’Iran nella negoziazione che portò al rilascio degli ostaggi del volo TWA 847 dirottato a Beirut nel giugno del 1984 (20) , allora appaiono plausibili le motivazioni che spinsero Reagan ad autorizzare alcuni membri del NSC, guidati da Robert McFarlane e dal Ten. Col. Oliver North, a stabilire un canale clandestino di contatto con il governo di Teheran.
Motivazioni che sembravano ulteriormente fondate alla luce di alcuni contatti avvenuti tra l’intelligence israeliana ed esponenti “moderati” del governo di Teheran, dai quali sembrava trasparire una certa volontà di dialogo con gli Stati Uniti da parte degli Ayatollah (21) . A questo proposito, è utile ricordare che l’Iran stava affrontando una fase particolarmente infausta nel suo conflitto con l’Iraq.
Nel tentativo di persuadere gli interlocutori iraniani, Reagan autorizzò, a favore dell’Iran, la vendita, suddivisa in diverse “tranches” tra l’agosto del 1985 e l’ottobre del 1986, di forniture militari di fabbricazione USA (2008 missili filoguidati anti-carro TOW e svariati pezzi di ricambio per batterie di missili anti-aerei HAWK), ufficialmente appartenenti all’arsenale israeliano.

L’Iran-Contra Connection
Le due azioni sotto copertura descritte precedentemente divennero interconnesse quando, verso la fine del 1985, probabilmente dietro iniziativa dello stesso North e con il beneplacito del Consigliere per la sicurezza del Presidente, l’ammiraglio John Poindexter, i profitti della vendita di armi all’Iran (circa 20 milioni di dollari), dopo aver subito un processo di riciclaggio grazie ad alcune banche svizzere, furono utilizzati per comprare forniture militari da inviare ai Contras.
In un certo senso, dunque, veniva bypassato l’ emendamento Boland II, in quanto vennero utilizzati dei fondi che ufficialmente non esistevano.
Questo ingegnoso sistema, tuttavia, crollò tra l’ottobre ed il novembre 1986 quando, in rapida successione, si verificarono tre episodi particolarmente sfortunati per gli esiti dell’operazione. Tutto cominciò nel momento in cui un aereo cargo, con piloti americani ingaggiati dalla CIA, che trasportava equipaggiamenti militari per i Contras, venne abbattuto dalle forze sandiniste sopra il Nicaragua.
Successivamente tre businnessmen americani, coinvolti nella transazione di denaro ma insoddisfatti per i ritardi nei pagamenti da parte del gruppo di North, rivelarono i dettagli dell’operazione alla stampa.
Infine, verso la metà di novembre del 1986, un noto giornale libanese vicino ai siriani pubblicò dettagli particolareggiati sui contatti clandestini tra i membri del NSC e i loro interlocutori iraniani, che ebbero luogo a più riprese in un albergo a Teheran (22) .

L’Affare Iran-Contra. Costi e benefici
E’ ragionevole affermare che, se si assume un’ottica costi/benefici, l’Affare Iran Contra possa essere ritenuto la peggiore operazione sotto copertura mai gestita dalla comunità di intelligence USA.
Senza tenere conto dell’enorme ammontare di fondi investiti, il reale contraccolpo dell’Affare Iran-Contra avvenne in termini di opinione pubblica nazionale ed internazionale. Infatti, quando alla fine del 1986 l’intera operazione perse l’ombrello protettivo della segretezza, divenne chiaro che l’amministrazione Reagan aveva mentito deliberatamente al Congresso e ai cittadini americani. Più precisamente, da un lato fu evidente che l’amministrazione aveva nascosto la reale natura dell’intervento americano in Nicaragua continuando, prima attraverso la CIA e successivamente attraverso il NSC, il suo progetto iniziale di rovesciamento del regime sandinista, in completa violazione degli emendamenti Boland I e II.
Dall’altro lato, la credibilità e la coerenza dell’amministrazione vennero seriamente compromesse dall’evidenza che non solo il governo USA era coinvolto in negoziazioni con uno Stato, l’Iran, condannato a più riprese e con veemenza dalla stessa amministrazione per i suoi collegamenti con numerosi gruppi terroristici, ma soprattutto perché questa amministrazione aveva bypassato il normale processo istituzionale per il controllo e la gestione delle azioni sotto copertura, trasformando il NSC da organo prettamente consultivo ad agenzia operativa (23) .
Una procedura, tra l’altro, ancora più illegale se si tiene conto del fatto che l’NSC, nell’ organizzare la vendita di armamenti all’Iran, aveva deliberatamente violato l’US Arms Control Act (24) . In aggiunta, la disastrosa gestione dello scandalo stesso da parte dello staff della Casa Bianca (25) accentuò se possibile lo shock e l’indignazione per quel “secret govern-ment” che richiamava paurosamente i tempi della Commissione Church del 1975 (26) . Infatti, nel momento in cui divennero pubblici i documenti che provavano la decisione di North di trasferire i fondi ricavati dalla vendita degli armamenti verso la causa Contra, la strategia improvvisata dello staff della Casa Bianca consistette nell’addossare ogni responsabilità ai membri dell’NSC, accusati di aver condotto tali transazioni all’insaputa del Presidente. Tuttavia, quando nel novembre del 1986 il procuratore generale Edwin Meese presentò al Congresso una relazione dei fatti con palesi falsificazioni, tra cui autorizzazioni presidenziali firmate post-facto (27) , divenne chiaro il tentativo di sottrarre il Presidente dall’accusa di condotta incostituzionale.
Per quel che riguarda il rapporto costi/benefici specifico all’intervento USA in Nicaragua, la maggior parte degli studi ora disponibili mostrano chiaramente che la CIA si imbarcò in una “guerra già persa in partenza”. Infatti i Contras non possedettero mai una reale capacità, in termini di mezzi, di expertise e, soprattutto di supporto da parte della popolazione locale, di rovesciare il governo sandinista (28) . A ciò bisogna sommare il fatto che l’amministrazione Reagan, sposando apertamente la causa dei Contra, con CIA e NSC coinvolte in attività di lobbying pro-Contra (il più delle volte per mezzo di Edgar Chamorro, il “portavoce ufficiale” dei Contras in USA) (29) , fu successivamente ritenuta corresponsabile da parte dell’opinione pubblica nazionale ed internazionale per gli altrettanto ben documentati crimini di guerra dei Contras.
Una responsabilità che divenne difficilmente contestabile quando, nel 1984, fu rivelata dalla stampa l’esistenza di un manuale della CIA intitolato Psychological Operations in Guerrilla Warfare, nel quale si raccomandava esplicitamente l’adozione di strategie terroristiche nonché l’uso della tortura al fine di piegare i sostenitori dei sandinisti (30) .
Più in generale non sembrerebbe azzardato affermare che il fine originario dell’intervento USA in Nicaragua, ossia il contenimento della presunta minaccia sovietico/comunista in centro-America, era pressochè insensato, soprattutto alla luce dei legami estremamente vaghi e, peraltro, discontinui, che esistevano fra il governo sandinista e quello sovietico (31) . Per contrasto, numerose analisi evidenziano che fu proprio quell’afflusso di equipaggiamento militare ed expertise fornito dagli USA che deteriorò ulteriormente la stabilità precaria della regione, contribuendo ad un “insecurity spill-over” che interessò quasi tutti gli altri Paesi centroamericani per numerosi anni a venire (32) .
Per quel che riguarda l’altro fronte di questa operazione, ossia le negoziazioni segrete con l’Iran, è evidente che l’amministrazione Reagan fino all’ultimo non realizzò di essere caduta in una vera e propria trappola tesa dall’intelligence iraniana.


da www.cnn.com/

Questo accadde principalmente a causa dell’incompetenza e dell’inesperienza in questioni di intelligence da parte dei membri dell’NSC (tra cui spicca per dilettantismo ed ingenuità la figura di Oliver North) (33) che gestirono l’o-perazione. Infatti, da una parte i “contatti” stabiliti da North e MacFarlane si basavano esclusivamente su ufficiali di medio rango e discutibili businnessman, come Manucher Ghorbanifar o Albert Hakim, a loro volta controllati, in realtà, dall’intelligence iraniana (ironicamente già anni prima un rapporto interno della CIA invitava a diffidare di Ghorbanifar (34) ), dall’altra, non appena queste negoziazioni furono smascherate dalla stampa, il governo iraniano sfruttò l’accaduto a proprio vantaggio e, vanificando il maldestro tentativo di coprire tutta la faccenda da parte della Casa Bianca, confermò l’intera storia, rivelando particolari quasi farseschi della vicenda, (tra cui il dono di due Bibbie con dedica dello stesso Reagan agli interlocutori iraniani da parte della delegazione dell’NSC), ed esponendo così al ridicolo il Presidente e il suo staff (35) .
L’unico risultato positivo ottenuto da queste negoziazioni fu la liberazione di due ostaggi (su un totale di dodici, tra cui alcuni rapiti tra il 1984 e il 1986).


l supporto della CIA ai ribelli afghani

Caratteristiche del programma
L’imponente mole di documentazione oggi disponibile permette di sostenere che il coinvolgimento della CIA in Afghanistan è stata la maggiore Covert Action, in termini di risorse investite (circa 3,2 miliardi di dollari), mai realizzata.
Sebbene già a partire dal 1979 l’amministrazione Carter avesse autorizzato limitate forniture di equipaggiamenti militari agli insorti anti-comunisti (36) , fu con Reagan che il coinvolgimento USA ebbe una decisa escalation quantitativa e qualitativa.
Fu infatti sotto questa amministrazione che la CIA iniziò a investire fondi sia di provenienza interna sia di provenienza estera (in particolare sotto forma di consistenti donazioni da parte dell’Arabia Saudita) principalmente al fine di acquistare materiale bellico di fattura cinese, israeliana o egiziana al di fuori dell’Afghanistan (37) .
Successivamente queste armi venivano spedite via nave verso Karachi o via aereo verso Islamabad, in Pakistan. A questo punto la gestione passava esclusivamente sotto il controllo del Servizio segreto pakistano, l’Inter-Service Intelligence (ISI), che organizzava e metteva in atto la distribuzione delle armi alla resistenza afghana (38) .
Il contributo della CIA ebbe una drammatica escalation nell’aprile del 1985, quando Reagan autorizzò la National Security Decision Directive-166 che affermava esplicitamente la priortà della politica estera USA di spingere i sovietici fuori dall’Afghanistan “by all means available”.
Fu sulla base di questa direttiva che si decise di fornire ai Mujahideen (sempre tramite l’ISI) armamenti più avanzati, tra cui sofisticati missili antiaerei spalleggiabili a ricerca termica, gli Stingers (39) . L’Armata Rossa abbandonò l’Afghanistan nel 1989, e il supporto della CIA alla resistenza afghana (che ora si opponeva al regime filosovietico di Najibullah), continuò, seppure in misura ridotta, fino al 1992.

Un’analisi costi/benefici
L’azione della CIA a favore dei Mujahideen afghani, se analizzata attraverso una prospettiva di breve termine, può apparire come l’esempio perfetto di una azione sotto copertura accuratamente concepita, ben realizzata e di successo. Tuttavia, se l’analisi adotta una prospettiva temporale più ampia, allora le conseguenze di tale programma trasformano il bilancio costi/benefici da positivo a decisamente fallimentare.
Indubbiamente è lecito credere che il contributo della CIA fu un fattore importante per la sopravvivenza ed il successo della resistenza afghana contro l’Armata Rossa. Tuttavia, sostenere che fu proprio questo supporto, specialmente dopo il 1986 con l’avvento degli Stingers, a rappresentare il fattore-chiave alla base della decisione dei sovietici di abbandonare l’Afghanistan non sembra trovare conferma nelle testimonianze oggi disponibili. Infatti, tralasciando di entrare nei dettagli, è bene ricordare che già nel marzo 1985, dopo l’avvento al potere di Gorbachev, quest’ultimo aveva espresso in numerose occasioni la sua ferma intenzione di ritirare le truppe sovietiche dall’Afghanistan (40) .
Se ci si sofferma sull’aspetto operativo dell’intero programma, salta subito all’occhio la decisione della CIA di “subappaltarne” la fase finale, ossia la distribuzione delle armi agli afghani, all’ISI. Decisione questa motivata principalmente dalla necessità di conservare l’elemento di “plausible deniability”, che era drammaticamente mancato nell’affare Iran-Contra. Di conseguenza la CIA non possedette mai il completo controllo dell’operazione e, essendo l’ISI il reale gestore dei fondi e degli equipaggiamenti destinati ai Mujahideen (che, va ricordato, non erano una unica entità quanto piuttosto un insieme di fazioni), fu quest’ultimo a decidere le priorità e le modalità secondo cui sarebbe avvenuta la distribuzione stessa. Inevitabilmente più del 65-70% del materiale effettivamente distribuito venne assegnato alla fazione fondamentalista pro-pakistana di Gulbuddin Hekmatyar, il quale, nel 1994, divenne uno dei più importanti alleati del regime dei Talebani (41)
Inoltre è necessario considerare che, a causa della diffusissima corruzione tra le file dell’ISI, il 20% e l’80% delle forniture militari veniva “scremato” ancora prima di raggiungere la guerriglia afghana, incrementando così quel fenomeno noto come “warlordism”, ossia la nascita o il consolidamento di “signori della guerra” o comunque di altri tipi di organizzazioni criminali; un fenomeno tuttora endemico in tutta la regione del centro-Asia. Per quel che riguarda la questione della proliferazione di armi leggere, è significativo notare che, tra il 1986 ed il 1989, la CIA consegnò approssimativamente 1200 missili Stingers all’ISI pakistano, di cui solo 340 vennero effettivamente impiegati in combattimento dalla guerriglia afghana. Quindi, escludendo quei missili che la CIA è stata in grado di ricomprare attraverso un programma iniziato nel 1993 (e costato 65 milioni di dollari) (42) , numerose stime parlano di almeno 350 Stingers di cui si è persa ogni traccia e che, verosimilmente, possono essere stati venduti sul mercato nero.
A riprova di quanto detto, è noto che, nel 1987, da una motovedetta iraniana venne sparato uno Stinger che colpì, fortunatamente senza abbatterlo, un elicottero statunitense; allo stesso modo, il 3 settembre 1992, furono molto probabilmente due Stingers ad abbattere un aereo militare italiano G-222 sopra i cieli della Bosnia. Ironicamente, è altresì noto che anche i sovietici riuscirono ad ottenere alcuni esemplari di Stingers dai quali, attraverso un procedimento di “reverse-engineering” ottennero il SA-7 Strela, a sua volta progenitore del più efficace SA-14 Gremlin, oggi in mano a numerosi gruppi terroristici, dall’Iraq alla Cecenia (43) .
Più in generale, vi è concordanza di opinioni nel sostenere che la conseguenza di lungo periodo più negativa per gli USA sia costituita dall’impulso che questo Covert programme potrebbe aver fornito, seppur involontariamente, al fenomeno del terrorismo di matrice islamica. Senza voler ripercorrere le numerosissime analisi che già esistono riguardo a questo problema, è importante ricordare che per buona parte degli anni ’80 la CIA fornì un esteso supporto all’ISI e ai Servizi segreti sauditi, finalizzato alla costituzione e all’addestramento di una armata composta da volontari provenienti da buona parte della comunità islamica mondiale.
Così, i fondi forniti dalla CIA furono usati per promuovere ed alimentare il fondamentalismo islamico in chiave anti-sovietica, ignorando, o comunque sottovalutando, la natura stessa di questo fondamentalismo, che oltre ad essere antisovietico si stava sempre più caratterizzando come antioccidentale (44) . In sintesi, non sembra del tutto scorretto ritenere che quegli stessi individui che vennero addestrati dai Servizi di intelligence sauditi e pakistani, con il beneplacito della CIA, sarebbero poi divenuti parte del network terroristico di Al-Qaeda.


da www.checpoint-online.ch/

A questo proposito basti ricordare che tra i più importanti alleati di Gulbuddin Hekmatyar vi erano lo Sceicco Omar Abdul-Rahman, lo stesso che, nel 1993, venne arrestato a New York con l’accusa di cospirazione e preparazione di attentati terroristici sul suolo americano, e Osama Bin Laden (45) .
Infine, l’assenza di lungimiranza dell’intero programma in Afghanistan, ed il fatto che quest’ultimo fosse focalizzato esclusivamente al contenimento dell’espansionismo sovietico, hanno costituito le basi di un gravissimo svantaggio strategico che ha limitato la comunità di intelligence USA nella sua lotta al terrorismo internazionale.
Più precisamente, a fronte delle ingenti risorse investite nell’intera operazione, la CIA da una parte non volle (al fine di preservare la “plausible deniability”) e non fu in grado di stabilire un proprio indipendente e durevole network di intelligence all’interno dell’Afghanistan, preferendo piuttosto appoggiarsi all’ISI, dall’altra ritenne non necessario sviluppare e mantenere un know-how specializzato sul centro-Asia (linguisti, islamisti, etc.).
Di conseguenza quando, a partire dal 1998, l’intelligence USA identificò con relativa sicurezza Bin Laden e il network di Al-Qaeda come i principali responsabili degli attentati in Kenya, Tanzania e successivamente sul suolo americano, gli sforzi successivi per colpirne la struttura e neutralizzarne i membri furono in parte vanificati proprio dalla mancanza di “local assets” (agenti, informatori, etc.) della CIA in Afghanistan (46) .


Una conseguenza comune:
l’incremento del traffico di narcotici


Prima di concludere questa breve analisi, è interessante notare come entrambi i casi presi in esame, sebbene rappresentino esempi di Covert Actions decisamente differenti tra loro, siano comunque caratterizzati da una conseguenza comune: un drammatico incremento del traffico di stupefacenti all’interno e all’esterno degli Stati Uniti.
Per quel che riguarda l’Affare Iran-Contra, numerose evidenze mostrano che l’amministrazione Reagan continuò ad appoggiare attivamente i Contras, sebbene esistessero prove inconfutabili che la leadership Contra, tra cui il capo dei loro Servizi di intelligence, Norwin Meneses, e il responsabile delle operazioni paramilitari, Enrique Bermudez, fosse coinvolta nel contrabbando di cocaina verso gli Stati Uniti, al fine di finanziare ulteriormente le proprie attività (47) . Più precisamente, non si trattò esclusivamente di un caso di tolleranza verso il narcotraffico, ma in alcuni casi la CIA e l’NSC si adoperarono attivamente per ostacolare o depistare le indagini della Drug Enforcement Agency (DEA), del Federal Bureau of Investigations (FBI) e del Dipartimento di Giustizia, al fine di proteggere i loro “local assets” in Nicaragua, Honduras e perfino negli Stati Uniti.
Lo stesso Direttore della CIA, William Casey, intercesse attivamente a favore di Enrique Bermudez il quale, oltre ad essere un leader militare, era anche l’uomo di punta del traffico di cocaina dell’area di Miami, e obbligò la DEA a non decidere nessuna indagine sul conto delle attività di Bermudez negli USA.
In sintesi, durante il periodo dell’intervento clandestino USA in Nicaragua, la CIA e l’NSC si adoperarono attivamente di modo che il network di narcotraffico centro-americano giovasse di fatto di immunità legale all’interno degli States (48) .
Tale coinvolgimento risulta ancor più grave se si tiene conto che in numerose occasioni aeromobili facenti parte della flotta privata della CIA, con piloti ingaggiati dalla CIA, vennero effettivamente utilizzati per traghettare la cocaina raffinata dal centro-America verso gli Stati Uniti (49) .
Quindi non è scorretto affermare che, esclusi quei casi nei quali le motivazioni furono il semplice profitto da parte di elementi corrotti dell’Agenzia, il contrabbando di cocaina rappresentò per la CIA un’altra strada per sostenere i Contras bypassando gli emendamenti Boland I e II.
Nel caso dell’Afghanistan, fu piuttosto la mancanza di controllo da parte della CIA sull’enorme flusso di denaro e di armi originariamente destinati ai Mujahideen, che trasformò progressivamente il confine afghano-pakistano nel più importante mercato nero di tutto il mondo.
Inevitabilmente, i vari leader Mujahideen reinvestivano la maggior parte di questi fondi in quella che, tradizionalmente, era una delle più importanti risorse economiche della regione: la coltivazione del papavero da oppio, la cui produzione triplicò tra il 1979 e il 1982. Più precisamente, il denaro fornito dalla CIA e l’appoggio logistico dell’ISI, permisero a Gulbuddin Hekmatyar di divenire il più potente “drug lord” afghano.
Sotto la sua supervisione, circa il 40% del territorio coltivabile in Afghanistan venne destinato alla coltivazioni del papavero da oppio, che si concentravano soprattutto nella valle di Helmand, dove potevano usufruire di una struttura di irrigazione che era stata finanziata dalla USAID, dietro pressioni della CIA. Successivamente l’oppio grezzo veniva spedito verso laboratori di raffinamento in Pakistan, sotto il controllo e la protezione del generale di corpo d’armata pakistano Fazle Huq.
Una volta che l’eroina così ottenuta lasciava il Pakistan, era principalmente la Mafia italo-americana che si occupava dello smistamento e della distribuzione. Cifre fornite dall’ONU e dalla DEA mostrano che nel 1981 i produttori afghani di eroina conquistarono il 60% del mercato dell’Europa occidentale e del nord-America.
In sintesi, è possibile affermare che in entrambi i casi presi in esame il ruolo clandestino della CIA ebbe, più o meno involontariamente, un effetto catalizzatore per l’incremento della produzione locale di stupefacenti.
Sul lungo periodo ciò comportò un enorme flusso di cocaina ed eroina verso gli Stati Uniti stessi.


Riflessioni conclusive

Sulla base di quanto precedentemente affermato, non sembra scorretto considerare l’Affare Iran-Contra e l’intervento clandestino della CIA in Afghanistan come due esempi pressochè perfetti di quello che lo studioso di intelligence statunitense, Alfred McCoy, definisce come “Mission Myopia”.
In entrambi i casi, infatti, azioni sotto copertura finalizzate al raggiungimento di obbiettivi a bre-ve/medio termine furono foriere di conseguenze estremamente negative per il loro iniziatore, ossia gli Stati Uniti.
Nel caso Iran-Contra, un insieme di fattori comportò che i pochi benefici raggiunti furono surclassati quasi immediatamente dai costi dell’operazione e dalle conseguenze negative. Tutto questo, sommato alla disastrosa gestione della crisi nel momento in cui l’intera operazione perse l’ombrello della segretezza, fa sì che l’Affare Iran-Contra possa essere ritenuto la peggiore Covert Action USA in termini di rapporto costi/benefici.
Per quel che riguarda il coinvolgimento della CIA in Afghanistan, è interessante notare il netto contrasto esistente tra gli innegabili risultati positivi ottenuti nel breve periodo e le conseguenze estremamente negative generate sul lungo periodo da questa operazione.
Più precisamente, al fine di ottenere il ritiro sovietico dall’Afghanistan, gli Stati Uniti furono corresponsabili dello sviluppo e dell’organizzazione di quel fondamentalismo islamico (peraltro già esistente) che non solo è divenuto successivamente la minaccia primaria per gli Stati Uniti stessi, ma continua a rappresentare il principale fattore destabilizzante per i più importanti alleati islamici degli USA, come il Pakistan, l’Egitto o l’Arabia Saudita, nell’attuale “War on Terror”. In sintesi, l’intervento della CIA nel conflitto afghano permise agli USA di ottenere una “vittoria tattica” contro l’Unione Sovietica, al prezzo di un enorme pericolo per i loro futuri interessi strategici.
Infine, è importante ricordare che i “covert programmes” dell’amministrazione Reagan, sia in centro-America sia in centro-Asia, generarono un effetto collaterale comune, ossia il decisivo incremento del traffico mondiale di stupefacenti.
Incremento che fu alla base di quel “drugs boom” che si verificò in Europa e negli USA tra gli anni ’80 e ’90.
Da questa breve analisi è altresì possibile individuare almeno quattro ordini di ragioni che hanno determinato un tale fallimentare bilancio costi/benefici in entrambe le Covert Actions prese in esame.

• Presenza di eccessivi condizionamenti di carattere ideologico o emotivo che contribuirono decisivamente a determinare la priorità degli obbiettivi delle Covert Actions, nonché influirono nelle relative analisi di fattibilità. Sia Reagan che Casey sovrastimarono la minaccia dell’espansionismo sovietico e, pertanto, un contro-intervento in Nicaragua o in Afghanistan venne considerato come un’azione indispensabile per preservare la sicurezza degli Stati Uniti e l’equilibrio strategico nei confronti dell’Unione Sovietica. Nel caso Iran-Contra, se da una parte tale componente ideologica portò alla sovrastima delle reali capacità del Contras, dall’altra il coinvolgimento emotivo portò l’amministrazione Reagan, in particolare lo stesso Presidente, ad auto-illudersi sulle intenzioni degli interlocutori iraniani. Più in generale, nel decidere entrambi i covert programmes, sia Reagan che Casey non considerarono analisi o opinioni discordanti, peraltro esistenti. Basti citare, ad esempio, la sfiducia che il vice-direttore della CIA, Robert Gates, nutriva nei confronti degli esiti dell’intervento clandestino in Nicaragua. Allo stesso modo non venne dato peso né alle perplessità della CIA su Gorbanifar, nè al parere negativo da parte del Pentagono sulla fornitura degli Stingers ai Mujahideen.

• Mancata previsione di strategie alternative nel caso in cui l’ombrello protettivo del segretezza fosse venuto a mancare. Nell’Affare Iran-Contra questa mancanza divenne gravissima, in quanto ambedue i fronti dell’operazione divennero di pubblico dominio quasi simultaneamente. Ironicamente nel caso dell’Afghanistan la ricerca minuziosa dell’elemento di “plausible deniability” portò a una delega quasi completa a favore dell’ISI pakistano, vanificando, di conseguenza, il controllo della CIA sull’intero processo. Complessivamente, dall’analisi di queste due operazioni si può trarre una importante conclusione: nel concepire una Covert Action, specialmente se di considerevole entità, gli Organismi di intelligence dovrebbero assumere che ad un certo stadio l’ombrello protettivo della sicurezza possa venire, parzialmente o interamente a mancare. Innegabilmente, un programma clandestino richiede che l’Organismo promotore debba intraprendere le opportune misure affinché ogni informazione sia debitamente “compartimentalizzata” e che i differenti attori coinvolti rispondano al concetto “need to know”, ossia agiscano esclusivamente sulla base di informazioni strettamente necessarie. Tuttavia, è comunque fondamentale la previsione di “worst-case scenarios” sulla base dei quali andranno stabilite strategie alternative. Tenere conto di tali possibilità, ed eventualmente ridimensionare il programma originario, è sicuramente meglio che improvvisare una strategia di “contenimento danni”. In generale, come ricorda Mark Lowenthal, più una azione sotto copertura rimane limitata (in termini sia di risorse investite, sia di obbiettivi prefissati), più facile risulta per il suo promotore mantenerne la segretezza (50) . Ne consegue che, laddove cresce l’entità di tali azioni, come nel caso di operazioni para-militari, allo stesso modo diminuisce la possibilità di conservarne la copertura. Come era già stato dimostrato dalla precedente esperienza della comunità di intelligence USA nell’episodio della Baia dei Porci (1961), operazioni para-militari di vasta scala difficilmente possono rientrare nella categoria delle Covert Actions.

• Assenza di chiarezza per quanto riguarda gli attori da coinvolgere, le loro qualifiche e relative responsabilità, i loro rapporti in termini gerarchici, e la cornice politico/istituzionale entro la quale inserire il programma clandestino. Soprattutto nel caso dell’Affare Iran-Contra, buona parte della gestione dell’operazione fu affidata a personale dell’NSC, spesso inesperto in questioni d’intelligence e impreparato a lavorare con informazioni di tipo riservato, violando così le procedure costituzionali relative alla gestione delle Covert Actions, tradizionalmente riservate alla CIA. Non solo Oliver North mancava della necessaria esperienza nel campo delle relazioni internazionali, nelle problematiche relative alle Covert Actions e nelle questioni relative al centro-America, ma, grazie all’appoggio personale di Casey, ebbe accesso illimitato alle risorse e all’expertise della CIA, senza dover seguire la consueta scala gerarchica e al di fuori dei meccanismi di controllo del Congresso (51) . Complessivamente è possibile sostenere che alla base di questo fallimento vi era una evidente incoerenza tra la politica ufficiale dell’amministrazione Reagan e la sua azione clandestina. Infatti, come ricorda lo studioso d’intelligence statunitense, Gregory Treverton, un segnale d’allerta per quanto riguarda i possibili rischi di una covert action è rappresentato dalla risposta alla questione se tale azione clandestina sia o meno in netto contrasto con la politica ufficiale del suo promotore (52) .Se così è, come nel caso della vendita di armamenti da parte degli USA a favore dell’Iran, allora è assai improbabile che l’intera operazione possa sopravvivere alla perdita dell’ombrello protettivo della segretezza. L’amministrazione Reagan si dimostrò, all’opinione pubblica interna ed internazionale, come piena di contraddizioni, sostenendo pubblicamente un certo tipo di politica e, allo stesso tempo, promuovendone una totalmente diversa per vie clandestine. E’ significativo ricordare che il 30 giugno 1985 Reagan dichiarò pubbicamente che “The United States gives terrorists no rewards and no guarantees” (53) . Ironicamente, tre settimane dopo egli autorizzò la vendita di armamenti all’Iran, uno stato denunciato più volte dalla stesso Dipartimento di Stato USA per i suoi legami con il terrorismo internazionale.

• Mancato controllo completo del programma, dalla sua fase di ideazione fino alla fase di implementazione finale. In particolare nel caso dell’azione clandestina in Afghanistan, il ricorso a “terze parti” risultò controproducente, soprattutto in termini di risorse investite. Si ricordi infatti che nel momento in cui i fondi della CIA venivano prelevati dai conti in Svizzera, passando sotto la gestione dell’ISI, l’Agency perdeva ogni controllo sul loro reale utilizzo. Di conseguenza, non controllando la fase di attuazione della Covert Action, la CIA non poteva ricevere nessun tipo di feed-back utile, sia per la valutazione della reale efficacia dell’intera operazione, sia per l’elaborazione di possibili scenari futuri. Più in generale, da questa analisi viene confermata una dicotomia già individuata da Lowenthal: se da una parte i decisori politici, tenuti a decidere sulla messa in atto di particolari azioni sotto copertura, tendenzialmente possiedono una visione ristretta ai termini del loro mandato, è altresì vero che gli organismi di intelligence di uno Stato dovrebbero necessariamente operare con prospettive temporali estremamente più lunghe.

In conclusione, tenere conto di tali problematiche da parte dei decisori e degli operatori dell’intelligence risulta indispensabile, al fine di evitare che una azione sotto copertura, da versatile strumento a disposizione del potere discrezionale dello Stato, complementare e assolutamente non sostitutivo delle azioni tradizionali, si tramuti in un processo dispersivo, inefficace e spesso estremamente controproducente sul lungo periodo.


(1) Roy Godson, Dirty Tricks or Trump Card. US Covert Action and Counterintelligence, Brassey’s, London, 1995, pp. 52-53.
(2) U.S. Code Chapter 15 consultabile presso il sito: http://www.law.cornell.edu/uscode/html/uscode50/usc_sup_01_50_10_15.html
(3) Maurizio Navarra e Mario Maccono, “La Destabilizzazione”, Per Aspera ad Veritatem. Rivista di intellgence e cultura professionale, n.24, settembre-dicembre 2002.
(4) Vedi anche Theodore Shackley, The Uses of Paramilitary Covert Action in the 1980’s, in Roy Godson (ed.), Intelligence Requirements for the 1980’s: Covert Action, National Strategy Information Center, Washington, 1981, pp. 135-160.
(5) James Scott, Deciding to Intervene: The Reagan Doctrine and the American Foreign Policy, Duke University Press, London, 1996, pp. 3-40.
(6) Una appartenenza ideologica apertamente riconosciuta anche degli stessi soggetti in questione; vedi anche Ronald Reagan, An American Life, London: Sidgwick & Jacksonpp., 1989 pp. 504-507.
(7) Christopher Andrew, For the President Eyes Only, Harper Coller, New York, 1995, pp.461-462.
(8) Ray Cline, The CIA under Reagan, Bush and Casey: the Evolution of the Agency from Roosevelt to Reagan, Akropolis Books, Washington, 1981, pp.330-340.
(9) Melvin Goodman, Espionage and Covert Action, in Craig Eisendrath (ed), National Insecurity. US Intelligence after the Cold War, Temple University Press, Philadelphia, 2000, pp.28.
(10) Mark Lowenthal, Intelligence. From Secrets to Policy, CQ Press, Washington, 2003, pp.125-129.
(11) Sotto la generica definizione di “Contras” si raggruppava l’insieme dei movimenti di opposizione anti-sandinisti, tra cui era preponderante il movimento Fuerza Democratica Nicaraguense (FDN).
(12) Bob Woodward, Veil: The Secret Wars of the CIA, 1981-87, Collins, Glasgow, 1988, pp. 118-119.
(13) William Blum, Killing Hope. US Military and CIA Intervention since World War II, Zed Books, London, 2003, pp. 291-299.
(14) Gregory Treverton, Covert Action. The Limits of Intervention in the Postwar World, Basic Books, New York, 1987, p. 110.
(15) Vedi anche Eric Haney, Inside Delta Force, Bantam Press, London, 2002, pp. 309-315.
(16) Blum, Killing Hope, p. 293.
(17) Andrew, For the President Eyes Only, p. 467.
(18) Ibid., p.478.
(19) Robert Baer, See no Evil, Arrow, London, 2002, pp. 108-120.
(20) Vedi anche Treverton, Covert Action, p. 183.
(21) Reagan, An American Life, pp. 504-507.
(22) Andrew, For the President Eyes Only, p. 487.
(23) Jack Blum, Covert Operations. The Blowback Problem, in Eisendrath, National Insecurity, p. 79.
(24) Vedi anche Harold Hongju Koch, Why the President (Almost) Always Wins in Foreign Affairs: Lessons of the Iran-Contra Affair, The Yale Law Journal, Vol.97, n.7, 1988, pp. 1291-1317.
(25) Vedi anche Andrew, For the President Eyes Only, p. 488.
(26) La Commissione Church venne istituita per indagare i presunti assassinii politici pianificati o messi in atto dalla CIA durante gli anni ‘50 e ‘60. Per maggiori dettagli Stephen Knott, Secret and Sanctioned. Covert Operations and the American Presidency, Oxford University Press, Oxford, 1996, p. 182.
(27) Knott, Secret and Sanctioned, pp. 181-183.
(28) Per una analisi più dettagliata vedi Glenn Garvin, Everybody had his own Gringo. The CIA and the Contras, Brassey, London, 1992, pp. 67-112.
(29) John Prados, President’s Secret Wars, I.R. Dee, Chicago, 1996, p. 431.
(30) Blum, Killing Hope, p. 294.
(31) Ibid., pp. 295-297.
(32) Vedi ad esempio Ian Beckett, Modern Insurgencies and Counter-Insurgencies, Routledge, London, 2001, pp. 205-209.
(33) Prados, President’s Secret Wars, pp. 423-424.
(34) Baer, See no Evil, pp. 136-138.
(35) Per i dettagli vedi Prados, President’s Secret Wars, pp. 423-424.
(36) Joe Stork, The CIA in Afghanistan, The Good War, MERIP Middle East Report, no. 141, 1986, pp. 12-13.
(37) E’ importante ricordare che parte di questi fondi, depositati su conti corrente fantasma in Svizzera, vennero utilizzati per creare campi di addestramento per i Mujahideen al di fuori dell’Afghanistan, ed anche per finanziare numerose “Islamic Relief Associations”.
(38) Mohammad Yousaf and Mark Adkin, Afghanistan: The Bear Trap, Leo Cooper, London, 1992, pp. 78-112.
(39) Alan Kupermann, Stinger Missiles and US Intervention in Afghanistan, Political Science Quarterly, vol. 114, No.2, 1999, pp.221-235.
(40) Ibid., pp. 249-253.
(41) Ahmed Rashid, Taliban, Pan Books, London, 2001, pp. 99-142.
(42) Steve Coll, Ghost Wars, Penguin Press, New York, 2004, pp. 189-225.
(43) Vedi anche Fabrizio Minniti, MANPADS: la minaccia terroristica all'aviazione civile, Analisi Difesa, N.42, 2004.
(44) Rohan Gunaratna, Inside Al Quaeda, Berkley Books, New York, 2002, pp. 72-112.
(45) Vedi anche Goodman, Espionage and Covert Action, p .30.
(46) Per una descrizione di questo problema vedi George Friedman, America's Secret War, Little Brown, London, 2004, pp. 61-79.
(47) Goodman, Espionage and Covert Action, p. 32; vedi anche Alexander Cockburn e Jeffrey St. Clair, Il libro nero della polvere bianca: droga, trafficanti, CIA e stampa, Nuovi Mondi Media, Bologna, 2005.
(48) Goodman, op. cit., p. 135.
(49) Alfred McCoy, Mission Myopia, in Craig Eisendrath (ed), National Insecurity. US Intelligence after the Cold War, Temple University Press, Philadelphia, 2000, p. 134.
(50) Lowenthal, Intelligence. from Secrets to Policy, p. 133.
(51) Per un resoconto dettagliato vedere la relazione dell'allora vice-direttore della CIA Robert Gates presentata al comitato di conrollo sull'intelligence del Senato, il 17 settembre 1991, Hearing before the select Committee on Intelligence of the U.S. Senate, 102 Congress, 1st Session, U.S. Government Printing Office,Washington DC, 1992.
(52) Treverton, Covert Action. The Limits of Intervention in the Postwar World, p. 217.
(53) William R. Farrell "The National Security Council and the Iran-Contra Crisis" in Neil C. Livingstone and Terrelle E. Arnold (Eds) Beyond the Iran-Contra Crisis: The Shape of U.S. Antiterrorism Policy in the Post-Reagan Era, Lexington Books, Washington DC, 1988, pp. 23-38.

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