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GNOSIS 1/2007
Da Thomas Paine a Tony Negri

Reddito di cittadinanza
nuovo fronte antagonista


articolo redazionale

Il reddito di cittadinanza (da intendersi quale assegno periodico versato dallo Stato a tutti i cittadini indipendentemente dal fatto che abbiano o meno un'occupazione), si configura, nell'ottica antagonista, come misura radicale, destinata a contrastare i piani del capitale e a ridare certezza e dignità all'esistenza dell'individuo post-moderno. Non è certamente una proposta nuova ma è, secondo i teorici dell'antagonismo, una soluzione economica ad un problema sociale/politico che, in questa fase storica, può trovare applicazione. Il reddito di cittadinanza, in base a tale ipotesi, potrebbe arginare il fenomeno della precarizzazione del lavoro e dei diritti che, determinando uno stato di incertezza permanente, consente al capitale di esercitare sulla società un controllo totalizzante.


foto Ansa


Una questione dibattuta
da secoli


"La terra, nel suo stato naturale e incolto era, e sempre dovrebbe continuare ad essere, proprietà comune della razza umana […] Ciascun proprietario di terreni coltivati deve corrispondere alla comunità un affitto… a tutte le persone, ricche o povere[...] perché questo soggiace all'eredità naturale che, come di diritto, spetta ad ogni uomo, al di sopra della proprietà che egli possa aver creato o ereditato da quelli che l'hanno fatta" (1) .
E' Thomas Paine, figura di primo piano nella Rivoluzione Americana e in quella Francese, a porre, tra i primi, la questione del reddito di cittadinanza, articolandola nella forma di un canone che i proprietari terrieri dovrebbero versare, quale corrispettivo del godimento a titolo esclusivo di un bene comune, ad ogni altro membro della collettività.
A partire dal XVIII secolo il tema del reddito garantito è stato diversamente affrontato da vari autori (Rousseau, Hegel, Marx, Russell ecc) assumendo, in rapporto alle differenti versioni in cui esso è stato presentato, il carattere di una misura "riformistico-reazionaria" o quello di provvedimento "rivoluzionario".
L'idea di separare il reddito dall'occupazione, a più di due secoli di distanza dagli scritti di Thomas Paine, è tornata a circolare diffusamente nell'orizzonte teorico occidentale con nomi ogni volta diversi: reddito d'esistenza, reddito di cittadinanza, assegno universale ecc. "A sostegno di quest'idea" osserva acutamente Zygmunt Bauman, "sono stati avanzati argomenti di ogni genere […] Alcuni si sono richiamati alla giustizia storica: la ricchezza attuale dell'occidente costituisce l'eredità comune di intere generazioni e dovrebbe andare a beneficio dei discendenti.
Altri hanno fatto riferimento alla fondamentale equità dei diritti umani nel senso che il diritto di sopravvivere precede e condiziona ogni scelta, è proprietà inalienabile di tutti gli esseri umani e non qualcosa che debba essere guadagnato. Molti degli argomenti comuni, tuttavia, sono pragmatici piuttosto che filosofici, in quanto si soffermano sui benefici che le società immancabilmente ricavano dal fatto di mettere le persone in grado di assicurarsi i mezzi di sussistenza senza dipendere dalla definizione di lavoro imposta dallo stesso mercato del lavoro.
Sono molti i campi decisivi per la vita comune - per la qualità della vita e delle relazioni umane - che richiedono tempo ed energie, ma che sono del tutto trascurati o poco curati […] Per citarne alcuni: l'assistenza agli anziani, ai giovani […] la pulizia dell'ambiente, la cura del paesaggio, l'attività volontaria in favore del benessere comune…in sostanza le responsabilità che derivano dalla necessità di mantenere in vita la comunità in forma dignitosa" (2) .


Crisi della politica e reddito
di cittadinanza


Il tema del reddito di cittadinanza, al di là delle ragioni filosofiche ed etiche che lo sottendono o delle considerazioni sulla qualità della vita che potrebbero renderne auspicabile l'introduzione, viene oggi presentato come un valido antidoto alla "crisi della politica". Conformismo, disaffezione degli elettori, apatia, secondo Zygmunt Bauman, sono i sintomi di un male che affligge in profondità la politica nei paesi occidentali.
Manca, oggi, il gusto della condivisione, la passione per il "bene pubblico", il richiamo forte dell'ideologia. La logica individualistica e consumistica del mercato avrebbe modificato, asserisce Bauman, il senso e la direzione dell'impegno politico dell'uomo contemporaneo: "L'arte della politica, se parliamo di politica democratica, consiste nell'abbattere i limiti posti alla libertà dei cittadini; ma anche nell'autolimitazione, il che significa rendere i cittadini liberi per consentire loro di stabilire, individualmente e collettivamente, i propri limiti individuali e collettivi.
Questo secondo aspetto è ormai praticamente ignorato." Tutti protesi verso la soddisfazione dei propri bisogni individuali gli abitanti del nuovo mercato globale sono soprattutto attenti a rivendicare i propri diritti, con il solo obbiettivo di creare ulteriori spazi di libertà e di difendere quelli acquisiti. La dimensione etica della pratica politica è sfumata, l'altra faccia della democrazia, la capacità di piegare la volontà al senso del dovere, viene misconosciuta o apertamente negata.
A contrastare tale tendenza poteva esserci l'ideologia. Questo misto di asserti teorici, convinzioni e fede profonda ha sostenuto gli individui nelle scelte più difficili, fino al sacrificio personale. Ma l'ideologia possiede una densità ontologica che la rende implasmabile nella sua essenzialità e non adattabile, nella sua coerenza, ad un mondo in cui tutto viene misurato in termini di appagamento immediato di bisogni sempre nuovi e diversi.
L'ideologia, che ha rappresentato la fonte delle proposte politiche e il senso ultimo della vita dell'agorà, rischia di apparire, oggi, come il lascito antiquato di un'epoca trascorsa. Scrive ancora Zygmunt Bauman: "Tendiamo a sentirci orgogliosi di ciò per cui dovremmo invece provare vergogna: vivere nell'epoca "postideologica" o "postutopica", mostrare indifferenza per qualunque immagine coerente di società buona e aver barattato la preoccupazione per il bene pubblico con la libertà di perseguire la soddisfazione personale."
E' ipotizzabile una soluzione al problema della "crisi della politica"? Bauman sostiene che l'introduzione del reddito di cittadinanza determinerebbe "nuovi criteri etici per la vita della società, sostituendo il principio della competizione con quello della condivisione".
Ma la conseguenza più significativa dell'adozione di un reddito minimo garantito sarebbe quella di affrancare i cittadini dall'incertezza, "rendendoli liberi di cercare i loro diritti e doveri repubblicani". La precarietà e la conseguente mancanza di sicurezza, infatti, non consentono agli individui di assumersi i rischi che l'azione collettiva comporta. Perché praticare attività politica vuol dire anche opporsi all'esistente, prefigurare alternative, immaginare modi diversi di vivere insieme. In una parola, osare.
Chi è assillato dalle difficoltà economiche, chi è consumato dall'angoscia di un futuro incerto diventa insensibile agli stimoli che provengono dall'arena politica. L'uomo post-moderno - flessibile e precario - finisce per uniformarsi in modo acritico a proposte formulate da altri (il conformismo): la sua ansia lo rende inquieto e la ricerca di una certezza che gli sfugge lo conduce lontano dagli spazi politici pubblici.
L'adozione del reddito di cittadinanza eliminerebbe definitivamente la povertà dalle società occidentali ed il ruolo da essa svolto nel mantenimento e nella riproduzione del modello socio-economico attuale.
Per Bauman "la vista dei miserabili serve a ricordare a tutte le persone di buon senso e ragionevoli che anche la vita agiata è insicura e che il successo di oggi non è la garanzia contro la rovina di domani… giorno dopo giorno, i poveri del mondo e i poveri locali svolgono il loro oscuro lavoro: minare la fiducia e la risolutezza di coloro che hanno ancora un lavoro e un reddito regolare."
La liberazione dei poveri, parafrasando la celebre frase di Marx sulla liberazione della classe operaia, "comporterà verosimilmente l'affrancamento di tutta l'umanità". Se così fosse, risulterebbero limitative tutte le proposte che attribuiscono al reddito di cittadinanza la valenza di semplice misura di politica sociale (3) .
E, data l'importanza della posta in gioco, andrebbero anche superate tutte le possibili obiezioni di natura contabile inerenti "la compatibilità finanziaria" del reddito di sopravvivenza con il bilancio statale.
Mai, come in questo caso, la quantità influisce sulla qualità ovvero sull'essenza della misura in questione. Offerto nella forma di un semplice contributo di modesta entità vincolato al bilancio statale, il reddito di cittadinanza non esplicherà nessuno dei suoi effetti "taumaturgici maggiori" e conserverà la natura di "inefficace provvedimento riformistico". Adottato nella forma di sovvenzione sostanziosa potrebbe configurarsi, invece, come misura rivoluzionaria in grado di "resuscitare o rivitalizzare le istituzioni appassite della repubblica e della cittadinanza" (4) .


Inquadramento della tematica
nell'area marxista-leninista


In ambito marxista-leninista, il reddito di cittadinanza, in quanto compenso generico attribuito indifferentemente a tutti i cittadini, viene considerato una misura di tipo riformistico.
Esso, intervenendo esclusivamente sul piano della distribuzione, non inciderebbe sulla dinamica del processo di accumulazione capitalistica.
Il reddito di cittadinanza, in tale prospettiva, va dunque considerato come "uno strumento di pacificazione e di integrazione social-imperialista". Scettici sulla possibilità che un'elargizione monetaria periodica possa, specie se di modesta entità, assicurare, a chi la percepisce, un'esistenza dignitosa e libera dal "ricatto del bisogno", i teorici di formazione marxista fanno notare che un'effettiva emancipazione degli sfruttati può avvenire solo con l'abolizione del lavoro salariato e la soppressione delle classi. E' il sistema delle classi a produrre stratificazione con tutto il suo portato di ingiustizie ed esclusione sociale.
E il reddito di cittadinanza - secondo tale analisi - non servirebbe neanche a contrastare il precariato e la disoccupazione in quanto tanto l'uno che l'altra costituiscono esiti deliberati della politica economica liberista, conseguenze di un uso capitalistico delle risorse. La richiesta di un reddito continuativo favorirebbe, anzi, la frammentazione del mondo del lavoro e la riduzione dei salari, vanificando le conquiste di decenni di lotte operaie.
La proposta avanzata nell'area dell'estrema sinistra va invece nel senso della rivendicazione di un salario minimo garantito, ossia di un compenso da attribuirsi esclusivamente alla forza lavoro (occupata o in cerca di impiego) in ragione della permanente disponibilità della stessa ad essere utilizzata dal capitale. Il salario minimo assolverebbe anche al compito di "salvaguardia della forza lavoro" e avrebbe l'effetto "salutare" di ricompattare una vasta cerchia del proletariato.


Reddito di cittadinanza
e pensiero antagonista


"Il grande problema che oggi si pone è quello del reddito di cittadinanza, perché esso rappresenta la rete materiale che sta dietro le trasformazioni del salario. Inoltre, muoversi sul piano del reddito garantito può permettere di riaprire fronti sociali di lotta e di contrattazione collettiva" (5) .
Bastano queste parole di Toni Negri per evidenziare la centralità che, in ambito antagonista, sta assumendo il tema del reddito di esistenza. E' nel funzionamento dell'economia postmoderna che il reddito di cittadinanza troverebbe la sua ragion d'essere. Quali, dunque, i tratti essenziali del nuovo modello produttivo? E' ancora Negri a parlare: "una volta il capitale fisso, che permetteva di produrre, era offerto al capitale variabile (ovvero alla forza lavoro) dai titolari dei mezzi di produzione.
Gli strumenti di lavoro erano precostituiti dai padroni e gli operai li usavano […] Oggi, invece, il lavoro cognitivo e immateriale diventa immediatamente produttivo […] e il capitale variabile si rappresenta come capitale fisso" (6) .
A determinare un'immediata e autonoma produttività delle risorse umane sono la condivisione delle conoscenze, il flusso di nuovi saperi, la cooperazione in rete di molteplici singolarità e la "capacità onnilaterale di produrre e generare nuove relazioni e soggettività" (7) . Il tessuto sociale, secondo questa analisi, è di per sè produttivo: non solo le conoscenze, ma anche gli afflati emotivi, persino "il lavoro sociale morto" (8) acquisiscono una spiccata valenza propulsiva dell'intero sistema economico.
"Oggi," scrive Negri, "una città è in se stessa una fonte di produzione: il territorio organizzato, abitato, camminato è diventato un elemento produttivo così come un tempo lo era la terra lavorata" (9) .
Paradossalmente, in base a tale analisi, anche chi non lavora contribuisce ad accrescere la ricchezza globale. "Lavoro e non lavoro", scrive Paolo Virno, "sviluppano un'identica produttività, basata sull'esercizio di generiche facoltà umane: linguaggio, memoria, socialità, inclinazioni etiche ed estetiche, capacità di astrazione e di apprendimento.
Dal punto di vista del "che cosa" si fa e del "come" lo si fa, non v'è alcuna differenza sostanziale tra occupazione e disoccupazione. Viene da dire: la disoccupazione è lavoro non remunerato; il lavoro a sua volta è disoccupazione remunerata [...] L'antica distinzione tra "lavoro" e "non lavoro" si risolve in quella tra vita retribuita e non retribuita. Il confine tra l'una e l'altra è mutevole, soggetto a decisione politica" (10) .
Caratteristica essenziale dell'economia post-moderna, secondo questo filone di pensiero, è l'eccedenza. Nella metropoli, divenuta "una grande fabbrica sociale senza più fuori" (11) , l'accumulazione segue l'andamento dei flussi cognitivi, con incrementi aleatori ed improvvisi. Il lavoro immateriale possiede una produttività elevatissima e la rete funge da moltiplicatore della ricchezza.
Un semplice incremento nei saperi può comportare cambiamenti radicali nel modo di vivere. E' difficile, dunque, misurare rendimenti e costi del lavoro cognitivo. Ed è ancora più arduo suddividere quest'ultimo in unità di tempo (ore) dal valore omogeneo.
Continuare a retribuire i dipendenti su base oraria è, in tale ottica, soltanto una finzione, uno stratagemma posto in essere a fini di comodo dai capitalisti.
Secondo la tesi in esame, sostenuta, in Italia, da figure di primo piano del pensiero antagonista, (12) il nuovo sistema produttivo, essendo perfettamente in grado di autoorganizzarsi, non ha più bisogno, per funzionare, dell'apporto "organizzativo" del capitale. Il capitale è d'intralcio, esercita solo "un'azione di blocco" e, di conseguenza, andrebbe eliminato (13) .
Si arriva ora al cuore del problema. Come deve essere pagato, quale deve essere il compenso di un lavoratore dell'economia post-fordista? Se il capitale non assolve più ad alcuna funzione e dunque non va remunerato, se il lavoro immateriale non è suscettibile di essere valorizzato (monetizzato) per unità di tempo e se è vero che il sistema produce in eccedenza allora, suggerisce Negri, occorre pensare "ad un salario medio sociale, equamente distribuito a tutti i cittadini, lavoratori o meno" (14) .
La proposta di Negri consegue logicamente dalla attribuzione di una produttività immediata e diffusa all'intero tessuto sociale: se tutti contribuiscono a produrre allora tutti devono essere retribuiti.
Inoltre, il reddito di cittadinanza risulta particolarmente adeguato all'attuale modello economico i cui tratti distintivi sono da rinvenire nella mobilità, flessibilità, creatività e adattabilità della forza lavoro.
Il reddito di esistenza, scrive Negri, fa riferimento ad un complesso di diritti legati alla "riproduzione delle moltitudini": la sanità, la cultura, l'educazione dei figli, l'abitazione. Il reddito di cittadinanza si articola, dunque, in diversi claims o rivendicazioni, sicchè molteplici servizi dovrebbero essere forniti gratuitamente in aggiunta all'erogazione periodica di una somma in danaro.


da www.rdbcub.it

Il punto è vedere come tali proposte possano essere realizzate, se in conformità al funzionamentro del sistema istituzionale vigente o al di fuori delle sue regole. I teorici del pensiero di matrice antagonista ritengono che l'attuale democrazia rappresentativa non sia idonea ad accogliere le istanze legate al nuovo modo di vivere della società post-fordista.
Il meccanismo della rappresentanza, infatti, porta sì alla formazione di una volontà unica ma lo fa al prezzo di annullare i conflitti e le differenze presenti nel corpo elettorale (15) . "C'è un processo di neutralizzazione, di spoliticizzazione", scrive Tronti, "che pervade, spinge e stabilizza la democrazia" (16) .
La volontà unica, un ossimoro giuridico che realizza l'identità tra governati e governanti, tra chi comanda e chi obbedisce (17) , schiaccia qualsiasi proposta formulata dal movimento antagonista. Chi potrebbe, sostiene Negri, difendere un diritto di disobbedienza o di resistenza davanti ad un tribunale? Le nuove rivendicazioni, i nuovi claims, secondo questa tesi, devono essere fatti valere al di fuori delle istituzioni democratiche rappresentative (18) , anzi contro di esse, per travolgerle ed instaurare "una reale democrazia partecipativa".
Il reddito di esistenza, dunque, in ambito antagonista, si configura quale proposta radicale, come misura rivoluzionaria. Negri boccia l'ipotesi riformista di "una sovvenzione periodica" a fronte della quale verrebbe comunque mantenuto in vita il rapporto di sfruttamento salariale. Nell'analisi marxista, il sistema capitalistico si regge sull'appropriazione, da parte dei titolari dei mezzi di produzione, del plusvalore creato dalla forza lavoro. Ai lavoratori, secondo Marx, viene retrocessa soltanto una quota del valore dei beni da loro stessi prodotti, sotto forma di compenso salariale.
L'introduzione del reddito di cittadinanza - destinato a sostituire integralmente il salario - segnerebbe, secondo i teorici dell'antagonismo, la fine "dello sfruttamento dell'uomo sull'uomo". "Sappiamo con Marx" scrive Tarì, "che lotta contro il salario significa tout court lotta contro la proprietà e che con l'uno deve cadere anche l'altra. La centralità del reddito di cittadinanza, in quel programma post-socialista che cerchiamo in questi anni di abbozzare, è tutta qui" (19) .


(1) Thomas Paine, Agrarian Justice in The Life and Major Writings of Thomas Paine, Citadel Press, Secaucus, (NJ), 1974.
(2) Zygmunt Bauman, La solitudine del cittadino globale, Feltrinelli Editore, Milano, 2006.
(3) Claus Offe, Modernity and the State: East, West, The MIT Press, 1996. Claus Offe, molto attento nel valutare l'aggravio contabile che l'introduzione del reddito di cittadinanza comporterebbe, sostiene che tale misura ha una valenza più propriamenete sociale che politica.
(4) Zygmunt Bauman, op. cit..
(5) Antonio Negri, Goodbye Mr. Socialism, Feltrinelli Editore, Milano, 2006.
(6) Ibidem.
(7) Marcello Tarì,Precariato, diritti ed esercizio del comune, in AA.VV. Guerra e democrazia,, Manifesto libri, Roma, 2006. L'interpretazione antagonista risulta debitrice della teoria dell'agire comunicativo di Joergen Habermas.
(8) Antonio Negri, Fine secolo. Un'interpretazione del Novecento, Manifestolibri, Roma, 2005.
(9) Antonio Negri, Goodbye Mr. S ocialism, op. cit..
(10) P. Virno, Grammatica della moltitudine. Per un'analisi delle forme di vita contemoranee, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2001.
(11) Marcello Tarì, op. cit..
(12) Qui di seguito solo alcuni dei nomi più noti: Antonio Negri, Paolo Virno, MarcelloTari, Mario Tronti, Sandro Chignola.
(13) Al capitale, pur nella sua asserita negatività, Marx riconosceva una funzione dialettica propulsiva nell'ambito del processo produttivo. Oggi, nella veste di componente parassitaria del sistema, il capitale viene visto come "elemento assolutamente negativo" e "totalmente indialettizzabile".
(14) Antonio Negri, Fine secolo. Un'interpretazione del Novecento.
(15) Il rischio di una deriva autoritaria della democrazia è stato efficacemente evidenziato anche dai grandi teorici pensiero liberal-democratico - per tutti F.A. von HAYEK, in Legge, legislazione e libertà, il Saggiatore, Milano, 1986.
(16) Mario Tronti, Per la critica della democrazia politica, in AA.VV Guerra e democrazia.
(17) Carl Schmitt vede nell' identità tra dominati e dominanti la causa prima dell'indefinitezza - e, in ultima analisi, del pericolo - che caratterizza l'ideale democratico. Il medesimo principio di identità - ovvero il popolo che è al tempo stesso stesso sovrano nel decidere e schiavo delle proprie decisioni - è, secondo altri autori, alla base dei fenomeni della massificazione della cultura e dell'omologazione intellettuale.
(18) Sandro Chignola, Critica della democrazia come forma di governo, in Guerra e democrazia. Sandro Chignola - come anche Mario Tronti - sottolinea "l'irrecuperabilità della democrazia rappresentativa per una pratica antagonista". E aggiunge che "democrazia è termine del tutto funzionale al dominio."
(19) Marcello Tarì, Precariato, diritti ed esercizio esercizio del comune, op. cit..

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