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GNOSIS 1/2007
Politica, religione e scontro etnico

Vecchie e nuove radici
del terrorismo in Turchia


Alberto OGGERO

La Turchia, storico ponte tra Oriente ed Occidente, riunisce all’interno del suo territorio popolazioni ed etnie di lingua e tradizioni diverse: una caratteristica, questa, che delineò l’identità dello Stato turco, costruito sul modello laico degli Stati occidentali. Durante il processo di fondazione della Repubblica iniziarono, però, ad emergere dei movimenti violenti, nati da un sentimento di insoddisfazione e di vendetta tra le varie comunità, alcune delle quali, come nel caso curdo, furono costrette a reprimere le proprie ambizioni indipendentiste. Contrasti sociali e tensioni tra seguaci dello Stato laico, da una parte, e gruppi e movimenti islamisti dall’altra, hanno caratterizzato la storia della Turchia contemporanea e la leadership al potere ha indifferentemente indirizzato le proprie azioni sia contro i movimenti separatisti, sia contro quelli di stampo religioso, che andavano contro l’interesse dei governanti. Questo articolo ci propone un quadro sulle radici storiche, le azioni e l’evoluzione dei più rilevanti gruppi terroristici a vocazione sia politica che etnica o religiosa presenti nello Stato turco, a partire dal 1974, anno in cui le organizzazioni a carattere eversivo emersero come prodotto della lotta di classe e della scarsa sensibilità del Governo alle problematiche sociali interne.


La Turchia emerge dalle ceneri del dissolto impero ottomano dopo più di cinque secoli di dominazione su di un territorio compreso tra l'Europa orientale e l'Asia. L'eredità di tale impero conferisce storicamente a questo Paese un ruolo di ponte naturale tra Oriente ed Occidente, un punto di passaggio e di incontro per popoli diversi. I turchi stessi collocano le loro origini nel sesto secolo, quando, da popolazione nomade, giunsero nell'area occupata dalla attuale Turchia, provenienti dalle montagne dell'Altai, tra il deserto del Gobi e le pianure siberiane occidentali (Mango 2004, 15).
La caratterizzazione dei Turchi, in quanto comunità migrante, muta chiaramente con la conquista di Costantinopoli e la creazione dell'impero, nel 1453, per opera di Mehemet II, discendente del signore della guerra Osman, da cui l'impero ottomano stesso prende il nome, in turco Osmanli. Come altri imperi anche quello ottomano, durante la sua espansione, fuse insieme, con più o meno successo, molte popolazioni caratterizzate da lingue, tradizioni, religioni e norme sociali diverse.


foto Ansa

Tale personalità multi-culturale fu inevitabilmente consegnata in eredità alla Turchia repubblicana insieme ad i suoi vantaggi ed alle sue irrisolte contraddizioni. Mentre la sua vocazione geografico-naturale di mediatore culturale promosse ed ancora oggi promuove la Turchia ad attore chiave sulla scena internazionale, tale aspetto è stato al contempo causa di molte tensioni interne che questa repubblica continua a vivere sin dalla sua creazione.
In Turchia lo stile di vita europeo, come parte delle strutture ed infrastrutture di tipo occidentale, coesiste con le tradizionali comunità rurali dell'Anatolia, intimamente legate a vari e diversi ceppi culturali e religiosi, mentre molte minoranze sono state lentamente e con successo assimilate attraverso complessi processi di integrazione, sotto l'egida di una repubblica secolare.
L'identità di stato laico costruito su di un modello occidentale fu, infatti, l'elemento chiave adoperato da Mustafa Kemal, fondatore della repubblica, per bilanciare la caleidoscopica natura delle comunità che vivevano sul suolo turco dopo la dissoluzione dell'impero ottomano. Mustafa Kemal, primo Presidente della moderna Turchia, fondata nell'ottobre del 1923, condusse il Paese attraverso un massiccio ed impegnativo programma di riforme introducendo drastici cambiamenti.
Il leader non si limitò solamente a riformare l'ambito istituzionale, ma ritenne essenziale lanciare nuovi comportamenti e modelli sociali atti a stimolare profondamente i processi di evoluzione e cambiamento dei vari gruppi all'interno della società turca. Il tipico copricapo ottomano, noto con il nome di fez, fu così abolito nel 1925; nel 1926 il codice civile svizzero ed il codice penale italiano sostituirono la legge islamica, mentre nel 1934 ogni turco fu costretto ad adottare un cognome (Pope 1997, 62). Le riforme kemaliste procedettero piuttosto rapidamente producendo graduali cambiamenti allo stile di vita, basandosi su di un forte nazionalismo giustificato e promosso dallo stesso Presidente.
E' fondamentale per questa discussione e per l'analisi dei movimenti violenti interni alla Turchia, sottolineare come i processi, tesi alla creazione della repubblica, emersero da una guerra sofferta e sanguinosa che lasciò un incompiuto desiderio di vendetta tra molte comunità e minoranze. Dal mosaico etnico che rappresentava ciò che rimaneva dell'impero ottomano, un numero cospicuo di minoranze rimase, infatti, isolato dal loro ceppo di appartenenza. Così fu, ad esempio, per gli armeni, trovatisi sul territorio turco al termine del conflitto, e, anche se in altre circostanze, per le tribù curde, divise tra un numero di Stati diversi in Medio Oriente. In ambito religioso le riforme kemaliste, con tutta probabilità, abilmente sviluppate con l'intento di escludere i possibili elementi di divisione tra le comunità presenti sul territorio, definirono uno Stato laico dove l'Islam ed ogni altra religione furono private di ogni influenza diretta sulla vita istituzionale.
Il processo di riforma non fu certamente facile, specialmente in considerazione del fatto che l'Islam, nell'impero ottomano in qualità di religione di maggioranza e di Stato, aveva costituito la spina dorsale del sistema etico-morale e legale attraverso l'applicazione della Shar’ia, la legge islamica. In tale contesto la classe di governo dimostrò di essere in grado di attuare e sviluppare l'idea kemalista promuovendo il nuovo esercito turco al ruolo di guardiano delle istituzioni e dei vasti processi di lacizzazione, sviluppati tramite le istituzioni statali, in primis il Ministero dell'Educazione. Vale la pena ribadire come non sempre tali processi furono attuati nel rispetto di quelli che oggi definiremmo valori democratici e che, spesso, la forza fu lo strumento principale adoperato per assicurare il prevalere delle idee laiche (Zurcher 1997, pp 187-190).
La Turchia di oggi è ancora terreno di incontro e, talvolta, di scontro, tra culture e la sua caleidoscopica composizione ce lo ricorda in modo piuttosto vivace. In tal maniera le stesse differenze e la varietà di sfumature socio-politiche fanno della Turchia un luogo colmo di fascino e culturalmente ricchissimo. Proprio tali nuances sono, però, anche alla base delle tensioni interne che hanno sfidato i leaders turchi sin dall'inizio dell'era repubblicana.
La storia della Repubblica di Turchia, come del resto la sua posizione geografica, incarna elementi essenziali per l’analisi delle radici del terrorismo in tale Paese. In questo contesto le ragioni principali che si collocano alla base dei movimenti terroristici in Turchia rimangono legate alle tensioni religiose, etniche e politiche utilizzate e, in diverse maniere, manipolate dalle elites di potere, all'interno di vari gruppi di minoranza, e, in un numero di casi, amplificate dalle repressioni operate dalle autorità turche in vari momenti della storia repubblicana.


La Repubblica di Turchia e
lo sviluppo dei movimenti terroristici


La Turchia repubblicana del 1923 è il prodotto di una lotta dura e sofferta che unì le popolazioni dell'Anatolia centrale sotto l'ombrello di un nuovo spirito nazionale, creato e promosso da Mustafa Kemal, in seguito soprannominato Ataturk - il padre dei turchi. L'innovativa dottrina introdotta da Ataturk mirava ad accrescere quello spirito patriottico di unità che prendeva forma dalle rilanciate origini comuni a tutti turchi; una sorta di nuova miscela dove nazionalismo e Stato laico rappresentavano la nuova forza trainante.
Fu così che, all'ombra di una nuova bandiera, fu proposta al mondo una nuova Nazione, ampiamente supportata da una nuova classe dirigente e, piuttosto passivamente, accettata dalle masse scarsamente alfabetizzate. Come spesso la storia ha testimoniato in occasione della formazione di nuovi Stati, anche la creazione della Repubblica laica di Turchia e l'istituzione dei suoi nuovi confini, lasciarono varie minoranze isolate dalle loro comunità di origine. Le popolazioni curde, storicamente collocate in Anatolia orientale ,divennero così parte di un nuovo Stato non necessariamente in linea con le tradizioni e le dinamiche socio-culturali di queste comunità.
In tali circostanze è un dato di fatto che la leadership turca, immediatamente dopo la creazione della repubblica, introdusse leggi che tesero a consolidare i valori di una Nazione nuova. Su questa scia, il 3 marzo 1924, il Parlamento decretò l'abolizione del Califfato Islamico e chiuse associazioni e giornali curdi (Pope 1997, 372), mostrando chiaramente la già percepita incompatibilità tra i metodi prescelti per raggiungere l'unità disperatamente ricercata dalla nuova leadership e le ambizioni indipendentiste dei principali clan curdi.
Vivendo sul territorio diviso tra Iran, Iraq, Siria e Turchia, le popolazioni curde erano già note alle cronache storiche per i loro stretti legami con un numero di clan di riferimento e per la loro forte avversione ad integrarsi in altri sistemi comunitari. Persino il greco Senofone, nel IV secolo avanti Cristo, riferiva che queste popolazioni montane non si dimostravano inclini ad obbedire alle leggi del re (Kinzer 2001, 110).


da www.a www.europarl.it/allargamento/turchia

Al di là della storia antica del popolo curdo, il suo spirito di autodeterminazione e le sue aspirazioni nazionali sembrano prendere più consistentemente forma con la nascita della Turchia.
Altri contrasti interetnici emersero all'alba del sorgere della Repubblica. Tensioni sfociarono infatti a seguito dei massacri subiti dalle popolazioni armene, creando forti attriti tra il nuovo Stato e le minoranze armene rimaste sul territorio turco. In modo simile la caratterizzazione secolare della Repubblica, vastamente promossa ed, in certo modo, imposta dall'idea kemalista, iniziò ad essere invisa ai gruppi religiosi islamici che aspiravano all’ attuazione di un Islam politico.
E,' perciò, verosimile affermare che l'abolizione della legge islamica e l'introduzione dei nuovi codici, civile e penale (Pope 1997, 372), non furono accettati di buon grado almeno non da certi gruppi religiosi che, è lecito supporre, esercitavano ancora una certa influenza su di una parte della popolazione. Al contempo la Turchia ebbe sicuramente bisogno di una nuova stabile identità e la rapida introduzione di nuove norme e regolamenti fu, positivamente, strumentali allo sviluppo della coesione necessaria per trascinare la Nazione fuori dalla crisi prodotta dalla decadente ed inefficace leadership ottomana.
Così, già dagli anni venti, è ragionevole identificare almeno due possibili fonti di forte tensione politica-religiosa in Turchia: la questione curda, caratterizzata dalla volontà separatista, ed i movimenti islamici, delineati dalla ferma intenzione di resistere al riformismo laico mirando alla reintroduzione della Shar’ia.
Per una migliore comprensione del contesto dal quale emergono i movimenti terroristici è comunque molto importante esplorare l’ evoluzione socio-politica dello Stato e la sua complessa frammentazione silenziosamente nascosta dietro l'unità proclamata dal movimento kemalista. Come spesso accadde, a cavallo tra il XIX ed il XX secolo dopo la creazione di un nuovo Stato, fu possibile osservare una nuova e tenace classe di governo rimpiazzare la vecchia e, talvolta sconfitta, aristocrazia.
Fu così per i vecchi dignitari ottomani che furono rimossi e sostituiti da una nuova classe di governo. A questo riguardo è verosimile ritenere che una sorta di opposizione con radici religiose e/o legata alle famiglie dominanti curde, contribuì ad alimentare la lotta contro i nuovi regnanti poiché privata dell'accesso alle sale del potere. In tal senso gli albori della Repubblica turca furono fortemente caratterizzati da una chiara tendenza totalitaria del partito kemalista che, se probabilmente necessaria per lanciare serie riforme mantenendo il controllo del Paese, non aiutò a promuovere un processo di riconciliazione ed integrazione delle minoranze.
Il malcontento e le lotte sociali furono comuni durante gli anni trenta e duramente repressi per ordine del leader massimo turco. Fu, pertanto, probabilmente il timore per una possibile formazione di nuovi movimenti politici di opposizione a convincere Ataturk ad aumentare il controllo su parte della vita sociale e culturale nel Paese. Le autorità costituite posero così termine alle attività di molte associazioni culturali già durante la prima decade di vita della nuova Repubblica (Zurcher 1997, 188).
La paura per lo sviluppo di possibili movimenti di opposizione divenne, in certa misura, propulsore delle iniziative di Ataturk e mostrò alcune tendenze totalitarie di questo leader. Rimane evidente che tali azioni non riuscirono a soffocare totalmente le opposizioni ma contribuirono solamente a stimolarne la loro clandestinità.
La condotta repressiva di tale sistema si manifestò, in modo particolarmente duro, ai danni dei movimenti religiosi, durante gli anni trenta e quaranta. Alla fine del secondo conflitto mondiale, quando la pressione internazionale e dinamiche interne accompagnarono il Paese nei suoi primi passi verso la democrazia con le elezioni del maggio 1950, i due partiti principali iniziarono a cercare di ottenere i voti degli appartenenti a movimenti islamici. Come conseguenza classi di religione furono reintrodotte nelle scuole e la Facoltà di Scienze Religiose fu ufficialmente istituita nel 1949 (Zurcher 1997, 244).
L'alternarsi di crisi economiche, da questo periodo in poi, contribuì inoltre ad accrescere i contrasti sociali: dalle tensioni tra ceto medio ed impoverite masse contadine al confronto, più o meno aperto, tra i seguaci del nuovo Stato laico, gruppi religiosi islamici e movimenti guidati da capi clan fondati su basi etniche.
Le tensioni politiche rimasero un elemento fondamentale per tutti gli anni cinquanta sino al colpo di Stato, militare, che pose fine al fallimentare regime del Primo Ministro Menderes, il 27 maggio 1960, brevemente celebrato dalla gioia degli studenti e dellaintelligentsia turca (Kinzer 2001, pp. 62-63).
Questo colpo di Stato, destinato ad essere solo uno tra i tanti nella storia della Turchia, ebbe luogo all'inizio di un decennio travagliato dove i catalizzanti cambiamenti socio-economici ed i movimenti studenteschi, loro recettori, giocarono un ruolo chiave nella storia del XX secolo. I mutamenti sociali spinsero più persone a divenire parte attiva di movimenti intellettuali ed a dedicare una riflessione specifica per una quotidianità condizionata da processi di urbanizzazione e di selvaggia crescita industriale.
Tale contesto funse, probabilmente, da incubatore per la formazione di nuove idee molto spesso ulteriormente evolute dalla fusione di vari movimenti. Alcuni dei partiti politici emergenti, in qualità di nuova e, pertanto, ancora parziale espressione di questa società in movimento, mostrarono una forte tendenza a radicalizzarsi, molto probabilmente come risultato di tale congiuntura storica e di una certa tendenza repressivo-autoritaria manifestata dalle autorità.
Il proletariato urbano ed i movimenti studenteschi iniziarono così ad acquisire un’ identità più definita tentando di affermare le libertà civili ed i diritti dei lavoratori.
La scena nazionale turca e, per certi aspetti, anche quella internazionale, fu così dominata da consistenti tensioni sociali, principalmente spronate da una crisi economica che tendeva ad esacerbare la distanza già esistente tra la classe lavoratrice e quella dominante, riducendo al contempo la già sottile fascia sociale occupata dal ceto medio. Le tensioni sociali riscontrate in questo periodo avvennero in concomitanza ed, in parte, in intima connessione con l'ascesa di movimenti, guidati da una forte spinta ideologica di sinistra, da inquadrarsi nel contesto della logica polarizzata della Guerra Fredda.
Il partito democratico di governo apparve, in questo momento, inadeguato a fare fronte a questi nuovi fermenti sociali. La crescente percezione di una oppressione principalmente enfatizzata dal ruolo dell'esercito nello stabilire e scegliere i membri del Governo, tanto quanto le nuove condizioni sociali, crearono le circostanze adeguate per la nascita di movimenti sinistrorsi originati dalle ceneri del vecchio partito comunista turco, messo al bando per lungo tempo dalle autorità. La sensazione che la lotta armata rappresentasse l'unico strumento efficace per prevalere contro un regime di fatto oppressivo, condusse, verosimilmente, alla formazione di gruppi estremisti emergenti da fazioni di sinistra di recente creazione.


foto Ansa

E' interessante soffermarsi a considerare come la Turchia, alla fine degli anni sessanta, presentasse fenomeni sociali simili a quelli riscontrati in Europa occidentale, processi che furono del tutto estranei a molti Paesi medio orientali, dove l'influenza religiosa ed un, relativamente, inferiore indice di sviluppo impedirono la formazione di una coscienza di classe. Questo non significa che la Turchia rimase totalmente immune da tale immobilismo sociale.
Infatti, mentre una parte della popolazione si fece promotrice di lotte mirate all'ottenimento della giustizia sociale, la maggior parte delle masse, collocate in aree rurali, rimase ampiamente esclusa da tali processi.
E', pertanto, verosimile individuare questo momento storico come un periodo dove le distanze tra gruppi sociali aumentarono, nel momento in cui elementi riconducibili allo stesso gruppo iniziarono ad affrontare percorsi sociali differenti, dove una parte iniziò a prendere coscienza di un sistema di diritto ed un'altra rimase essenzialmente legata a norme sociali tradizionali, dove la religione continuava a ricoprire il ruolo chiave di moderatore sociale. Fu in questo periodo che, dalle manifestazioni di malcontento del proletariato urbano, emersero gruppi violenti che videro nella lotta armata lo strumento per raggiungere i propri scopi.


Il terrorismo in Turchia tra politica,
scontro etnico e religione


Sebbene sia chiaro che Ataturk fu in grado di proporre un nuovo modello di Governo, basato su di un'idea rivoluzionaria, appare altrettanto lampante che questo fu attuato utilizzando una consistente dose di violenza politica, probabilmente non così rara per quei tempi, ma comunque presente nella memoria storica degli oppositori.
In tal modo le azioni di Ataturk furono indirizzate contro gruppi islamici, fazioni separatiste ed altri gruppi, considerati in conflitto con l'interesse dei governanti. Lo stesso approccio fu adottato dai suoi successori ed enfatizzato dall'influenza e dalle azioni dell'apparato militare, particolarmente durante i numerosi colpi di Stato. La diversa natura e motivazione ideologica dei vari gruppi terroristici in Turchia subì un’ evoluzione all'interno di un contesto che condusse ad attacchi violenti che, nonostante le differenze caratterizzanti i suoi perpetratori, non possono, certo, essere distinti in termini di perdite umane da loro provocate.
All'interno di questa analisi le condizioni specifiche in cui i più significativi gruppi terroristici furono creati e le motivazioni dietro la scelta che condusse questi alla lotta armata contro le istituzioni statali, assumono così una importanza centrale.
I gruppi terroristici in Turchia sono, in tal modo, da differenziarsi secondo la loro vocazione politica, etnica e religiosa, inquadrata in un specifico contesto storico-politico. I gruppi che rivendicano una spinta motivazionale politica come motore delle loro azioni, furono identificati come trainati da spinta marxista-leninista rivoluzionaria oppure di estrema destra, mentre i gruppi a motivazione religiosa sono riconducibili ad ideali legati ad una interpretazione integralista di un Islam politico.
In maniera da fornire una buona visione di insieme dei movimenti terroristici, ci occuperemo qui solo di alcuni gruppi, in particolare di quelli che, per la loro storia, organizzazione e modus operandi, possono considerarsi come più significativi per un’ analisi obiettiva delle radici di tale fenomeno. Fu nel 1974 che le prime organizzazioni terroristiche emersero più chiaramente come prodotto della lotta di classe.
La formazione quasi contemporanea di una serie di organizzazioni militanti e sovversive suggerirebbe, in tale contesto, la presenza di condizioni particolarmente propizie allo sviluppo di tali processi socio-politici. A conferma di tale ipotesi è interessante notare come la fine degli anni sessanta ed i primi anni settanta furono dominati da un atteggiamento decisamente repressivo, da parte delle autorità turche, nei confronti di intellettuali ed elementi aderenti ai movimenti di estrema sinistra del tempo. La repressione venne portata avanti con particolare forza e metodo dalle autorità militari che, dopo aver conquistato nuovamente il potere nel 1971, non esitarono ad utilizzare misure di detenzione nei confronti di quelli che rappresentavano motivo di preoccupazione per le idee manifestate.
A questo riguardo non solo elementi di estrema sinistra vennero colpiti da tali azioni ma anche membri di fratellanze religiose islamiche che avevano sostenuto il politico Ncemettin Erbakan, nella creazione di un partito conservatore islamico (Mango 2004, 71). Bulent Ecevit, nominato Primo Ministro nel 1974, pose fine al temporaneo controllo militare del potere. Il nuovo leader, verosimilmente animato da buoni propositi orientati verso processi di riconciliazione sociale, concesse un'amnistia agli elementi rivoluzionari imprigionati dallaleadership militare ed a quelli fuggiti all'estero. Al contempo una esigua parte degli intellettuali della classe media fu assorbita, con successo, da movimenti politici emergenti.
L'amnistia non fu comunque in grado di fermare un numero consistente dei suoi beneficiari che utilizzarono la libertà nuovamente acquisita per iniziare e promuovere la lotta armata. Il movimento noto come Sinistra Rivoluzionaria, in turco Dev-Sol, poi ribattezzato come Fronte-Partito di Liberazione del Popolo Turco (DHKP-C), emerse con forza in questo periodo (Mango 2004, 72). In questo caso è piuttosto evidente che le buone intenzioni di Ecevit entrarono in scena quando i processi di radicalizzazione avevano già raggiunto il loro punto di non ritorno e non furono pertanto sufficienti ad iniziare una pacificazione sociale realmente necessaria.
Al contrario, il momento non fu propizio e la decisione di liberare i prigionieri politici colse tale “porzione” della popolazione carceraria in un momento acuto di rabbia e voglia di vendetta. In modo simile questo processo coinvolse altri movimenti politici in Turchia. Il partito conservatore, noto come Partito Contadino Nazionale Repubblicano, fu così proposto dal suo leader, il Colonnello Alpaslan Turkes, come baluardo anti-comunista ed argine interno ai gruppi di sinistra emergenti.
La relativa organizzazione giovanile di partito, meglio nota con il nome di "Lupi Grigi", mise in piedi veri e propri campi di addestramento paramilitare che accolsero elementi protagonisti, poi, di una violenta campagna emulativa di ciò che è tristemente noto alle cronache come perpetrato dalle SA di Hitler (Zurcher 1997, 244). Se nel caso del DHKP-C fu il sentimento d'oppressione a motivare e scatenare la lotta armata, per i "Lupi Grigi" fu la percezione di pericolo, legata ai movimenti di sinistra, promossa ed enfatizzata dallo stesso Colonnello Alpaslan Turkes.
A tal riguardo è importante ricordare come questi eventi si collocarono all'interno di scenari internazionali dominati dalla guerra fredda, dove le due potenze in lizza non esitarono ad incoraggiare più o meno attivamente gruppi che potessero svolgere una attività di promozione ideologica ai danni del nemico stesso o dei sui alleati.
Il Fronte-Partito di Liberazione del Popolo Turco (DHKP-C) apparve così come una emanazione del gruppo di guerriglia urbana noto come Dev-Sol (Karmon, 1999) e proveniente dalla corrente rivoluzionaria intellettuale, attiva a cavallo tra gli anni sessanta, settanta. Il gruppo vide le sue origini nel 1978, creato da Dursun Karatas, ed emerse da una più ampia organizzazione socialista nota come Gioventù Rivoluzionaria. Il DHKP-C presentò una chiara matrice marxista-leininista in aggiunta ad una specifica avversione anti-statunitense, anti-NATO ed anti-Turca (Dipartimento di Stato Americano, 2005).
Nello specifico il DHKP/C, sin dalla sua creazione, considerò il governo turco come un potere fascista, controllato, in maniera autoritaria, da forze imperialiste occidentali, in particolar modo gli Stati Uniti e dalla NATO. Il gruppo si dichiarò intenzionato ad eliminare tali influenze occidentali tramite la violenza inquadrata in una logica rivoluzionaria marxista (MIPT sito web 2006).
La proclamata motivazione politica di questo movimento farebbe così supporre una particolare aggressività nei confronti di obiettivi governativi, in particolare installazioni militari, ma al contrario le statistiche ci mostrano come la maggioranza relativa degli attacchi, corrispondente a circa il 36% del numero totale della azioni portate a termine dal DHKP/C, sono compiuti contro attività commerciali (MIPT sito web, 2006). Tali dati sottolineano piuttosto chiaramente la preferenza per cosiddetti "Soft Target", obiettivi più vulnerabili, ed anche una manifesta mancanza di capacità operativa che altrimenti avrebbe portato l’organizzazione a perpetrare altro tipo di attacchi come quello tentato ai danni dell'attuale Primo Ministro turco.
Il DHKP-C ha subito una scissione, nel 1993, che ha dato vita a due fazioni: una fedele al leader storico Dursun Karatas ed un'altra alla figura emergente di Bedri Yagan. Attualmente si suppone che il DHKP-C sia ancora guidato da Karatas, ricercato da varie polizie in Europa, dal momento che Bedri Yagan è rimasto ucciso per mano delle forze di sicurezza turche. Rimane importante sottolineare come il DHKP/C abbia finanziato le sue attività principalmente a mezzo di donazioni ed estorsioni (Dipartimento di Stato Americano, 2005).
Il DHKP/C è rappresentativo, almeno nelle sue caratteristiche generali, degli altri movimenti terroristici legati ad ideologie di sinistra estrema e la sua analisi ci conduce all'identificazione di una serie di fattori caratterizzanti i sistemi motivazionali tipici dell'ala terroristica rivoluzionaria marxista-leninista in Turchia. In primis la sua fondazione si configura come una reazione ad un sistema oppressivo che per anni impedì ad intellettuali e lavoratori turchi di manifestare pubblicamente il proprio dissenso.
In seconda istanza tale corrente, nel momento storico della sua creazione, trovava ampio supporto anche su scala internazionale e si schierava su di uno scacchiere mondiale fortemente polarizzato, riconoscendosi con una delle due parti in conflitto: l'Unione Sovietica. Il terzo elemento che appare cruciale per la genesi di tale gruppo, rimane legato ad una chiara motivazione di natura psicologica e relativa alla spinta individuale dei singoli membri (Reich 1998, 25- 102).
Lo stesso contesto diede i natali, nella metà degli anni settanta, ad un'altra fazione che apparve per la prima volta ad Ankara con il nome di Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK), ufficialmente fondato nel 1978 da Abdullah Ocalan. Anche in questo caso, come per i movimenti rivoluzionari di matrice marxista-leninista, dopo il colpo di stato militare del 1980, tale formazione divenne un violento movimento terroristico.
Il PKK si presentò comunque come un movimento motivato da dinamiche diverse dai suoi contemporanei. Nonostante condividesse, infatti, la spinta socialista-rivoluzionaria derivante dalla stessa base sociale del DHKP/C, il PKK, si propose come forza trainante per la promozione dell'indipendenza curda.
Pertanto, nonostante le similitudini con altre organizzazioni militanti di estrema sinistra, il PKK rimase totalmente legato ad una idea di auto-determinazione dei curdi di Turchia. Durante la sua storia ha preso di mira, principalmente, individui membri dell'establishment ed edifici governativi in genere e semplici oppositori del movimento (FAS sito web 2006). Dalla sua creazione ha portato a termine un centinaio di attacchi causando più di 40 morti e 250 feriti. In questo caso, come per il DHKP-C, risultano tra gli obiettivi preferiti attività commerciali private, molto probabilmente per la loro vulnerabilità (MIPT sito web, 2006).
Questo gruppo fu fondato da Abdullah Ocalan, altrimenti noto con il nomignolo di Apo, lo zio. Nato nel 1948 da una famiglia turco-curda, Ocalan, dopo aver provato senza successo ad arruolarsi nell'aeronautica turca, riuscì ad iscriversi alla facoltà di scienze politiche di Ankara che poi abbandonò per ricoprire un incarico nella pubblica amministrazione a Dyiarbakir, dove pare fosse particolarmente incline alla corruzione per finanziare le sue ambizioni di potere (Mango 2004, 214). Dopo essere stato membro di diversi movimenti rivoluzionari di sinistra, nel 1975 iniziò a pianificare la creazione di un suo gruppo.
A questo riguardo è verosimile che Ocalan avesse cautamente considerato che i curdi potessero essere il target giusto per assorbire ed aderire ad una idea separatista di natura marxista. Povertà, una viva memoria collettiva delle rivolte contro le varie dominazioni susseguitesi nella storia del popolo curdo e la tendenza a far uso della lotta armata, apparvero gli elementi giusti per un leader in cerca di un gruppo da guidare (Kinzer 2001, 111).
Abdullah Ocalan fu immediatamente identificato dall'apparato di sicurezza turco come una minaccia per gli interessi dello Stato e, nel 1980, fu costretto a trasferire la sua sede in Siria dove approfittò di un ampio supporto per la sua attività paramilitare fornito dal Presidente Assad, che concesse al PKK armi e campi di addestramento in territorio siriano (Kinzer 2001, 111). Divenuto un ospite scomodo anche per i siriani nel 1999 fu catturato in Kenya dalle autorità turche. Fu poi condannato all'ergastolo per omicidio e tradimento (MIPT sito web, 2006).
Sebbene il suo leader storico sia al momento detenuto nelle prigioni turche, il PKK ha continuato a rendersi responsabile di un alto numero di azioni terroristiche. I principali fattori catalizzanti, riguardanti la motivazione di questo gruppo, sono molteplici. La spinta che indirizza definitivamente il PKK verso la lotta armata è fornita dalla reazione di alcune parti della società turca al colpo di stato militare del 1980.
Tale fattore è assolutamente simile, se non identico, a quello risultante dall’ analisi di altri gruppi di estrema sinistra. Anche qui la motivazione psicologica individuale appare evidente. La stessa storia del suo leader, Abdullah Ocalan, e la sua personalità narcisistica (Post 2001, 85) ne dimostrano la veridicità dove la creazione del PKK apparirebbe come la soddisfazione di un individuale bisogno di potere più che una scelta determinata da una ferma posizione ideologica.


foto Ansa
Infine la limitata libertà di espressione, imposta ai curdi sin dall'inizio dell'era repubblicana, apparirebbe come un ulteriore possibile fattore contribuente ad offrire a questo movimento terroristico una credibilità ed un numero di consensi maggiore di quanto normalmente ci si aspetterebbe nei confronti di un movimento violento di questo tipo.
Quasi a rendere più complesso, se possibile, il panorama terroristico in Turchia, durante gli anni ottanta, un altro gruppo proclamò la sua esistenza sotto il nome di Hezbollah (in arabo, Il Partito di Dio). Nonostante, in apparenza, ideologicamente ispirato all'omonimo movimento islamista libanese, l`hezbollah turco nasce e si sviluppa nella regione, a maggioranza curda, di Dyiarbakir come movimento sunnita, al contrario del gruppo attivo nel Libano meridionale che raggruppa individui aderenti al movimento sciita. E' così che la connotazione religiosa islamica di questo gruppo si andò ad aggiungere agli altri fattori catalizzanti per il terrorismo in Turchia.
La denotazione ideologico-religiosa dell'Hezbollah turco sembra rifarsi alle falangi estreme dei Kharigiti, setta islamica risalente al VII secolo, noti per la loro austera interpretazione dell'Islam (Özören web, 2006). Almeno inizialmente ci sono conferme che questo movimento ricevette supporto ed addestramento militare dal PKK anche se, presto, lo sforzo cooperativo si trasformò in rivalità.
Lo stesso Hezbollah si fece latore di accuse a carico del Partito dei Lavoratori del Kurdistan che fu ritenuto responsabile di collaborare con i leaders armeni, servire l'ideale comunista e di aver assassinato fratelli musulmani. Tale lotta si protrasse per molti anni causando la morte di alcune centinaia di persone, tra membri del PKK ed altri gruppi curdi (Levitsky web, 2006).
In questo periodo l'Hezbollah varcò il confine della regione di Dyiarbakir, per espandersi in altre parti della Turchia, dove usò moschee e sedi clandestine per fare proselitismo ed aumentare il numero dei suoi elementi militanti. Alcune fonti riportano che questo movimento non esitò a ricorrere al crimine per raccogliere le risorse finanziarie necessarie per le sue attività.
Tali azioni, di per se chiaramente contrarie ad ogni credo islamico, furono giustificate dall'Hezbollah su basi religiose dal momento che, secondo i leaders del movimento, le vittime furono tutte persone note per comportamenti contrari al credo islamico (Özören web, 2006).
A questo proposito, solo nel secondo semestre 1999, più di 200 uomini d'affari curdi furono rapiti da questo gruppo (Levitsky web, 2006). In aggiunta a tali attività criminose, funzionari governativi turchi hanno affermato di disporre di elementi che confermerebbero il supporto offerto dalle autorità iraniane a tale gruppo, in forma di addestramento militare (Migdalovitz 2002, 4). Al di là di più o meno confermate ipotesi, è un dato di fatto che tale gruppo ha continuato a terrorizzare la Turchia portando a termine attacchi, molte volte mortali, tra la popolazione civile.
L'Hezbollah turco si sviluppa in parallelo con altri gruppi terroristici di stampo islamista e mette in evidenza un numero di aspetti fondamentali tipici delle origini del terrorismo in Turchia.
L'Hezbollah matura, infatti, quasi contemporaneamente al PKK, nella stessa area geografica e, dopo un breve momento di alleanza, si presenta come suo antagonista. Tale elemento potrebbe suggerire che la fine degli anni settanta presentò dinamiche tali da fornire il terreno adatto per la genesi di movimenti sovversivi nella Turchia orientale.
I metodi repressivi, adottati in quel periodo dalle autorità turche, potrebbero aver funzionato da catalizzante per una oppressione concreta o, anche, solo percepita che abbia così funzionato da linfa vitale per la nascita e sviluppo dell'Hezbollah.
Sviluppi internazionali e il sorgere dei primi nuovi movimenti islamisti militanti si aggiungono, infine, come propulsori di gruppi destinati a persistere nel lungo termine in quanto continuamente alimentati da nuove tensioni.


Conclusioni

Considerato quanto menzionato nella breve analisi dei tre gruppi qui citati, è verosimile presupporre dei legami tra la nascita di gruppi terroristici e gli eventi che hanno caratterizzato la storia della moderna Turchia. In primo luogo lo stile di governo adottato nelle prime decadi della Repubblica si denota come caratterizzato da una forte volontà di imporre un nuovo sistema istituzionale insieme a nuovi modelli sociali, accompagnata da metodi decisamente repressivi.
Questi ultimi possono aver, così, contribuito a costituire le motivazioni per un fronte di opposizione alle autorità costituite, funzionando così involontariamente da fattore coesivo tra molti gruppi di minoranza che si distinguevano per motivi etnici, religiosi e culturali. Considerati poi, in epoca più recente, il susseguirsi di colpi di stato militari, la quasi contemporanea formazione di un proletariato urbano ed una certa mancanza di risposta da parte dello Stato alle richieste di questo nuovo ed importante gruppo sociale, tali eventi funsero da stimolo essenziale per la nascita di movimenti di protesta.
Questo è di per se insufficiente per giustificare la formazione di gruppi violenti, con aspirazioni sovversive, ma è utile a delineare la piattaforma sociale da cui essi derivarono. E' invece significativo analizzare le reazioni dello Stato di fronte al malcontento popolare, sia quello lamentato dal proletariato urbano che quello più silenziosamente dimostrato dai musulmani più conservatori. I colpi di Stato, militari, sebbene ben accolti da molti turchi e considerati dai laici come una sorta di risorsa estrema contro l'islam politico, possono essere anche additati come fonte di tensione ed elemento radicalizzante.
La mancanza di riforme sociali e l'attitudine repressiva sono stati, inoltre, stimoli negativi, specialmente per elementi già individualmente inclini a comportamenti antisociali. Inoltre le poco selettive operazioni dell'esercito turco in Anatolia orientale contro gruppi estremisti curdi hanno probabilmente facilitato il radicalizzarsi di un numero maggiore di elementi già, in vari modi, propensi a supportare il PKK. Nello stesso modo tali azioni militari possono aver avuto un effetto polarizzante tra membri delle comunità islamiche locali.
E' comunque verosimile affermare che le leadership dei gruppi presi qui in considerazione abbiano avuto dei concreti interessi economici nel mantenere alto il livello di tensione. In questo caso le azioni violente apparirebbero ulteriormente alimentate dal profitto ottenuto tramite le attività illecite di questi gruppi terroristici.
L'analisi delle radici del terrorismo in Turchia ci conduce a delle conclusioni piuttosto omogenee dove gruppi, sebbene caratterizzati da connotazioni e vocazioni diverse, sembrano condividere fattori catalizzanti quasi equipollenti e reazioni praticamente identiche di fronte a possibili azioni radicalizzanti, sebbene le loro ideologie divergano considerevolmente. E' inoltre importante sottolineare che azioni suicide, normalmente associate alla matrice islamista, sono state utilizzate anche da PKK e DHKP-C, sebbene rispettivamente alimentati da ideali separatisti e marxisti-leninisti.
Sembrerebbe quindi ragionevole dedurre che le origini profonde del terrorismo in Turchia vengono condivise da gruppi ideologicamente diversi tra loro e possono essere identificate all'interno di un contesto multi-dimensionale e composto da vari strati temporali caratterizzati da diverse tendenze socio-culturali normalmente riconducibili a gruppi sociali vicini tra loro.
Lo stato di oppressione concreto o anche solo percepito emerge come una delle cause più viziose e scarsamente controllabili dietro la creazione di movimenti terroristici. Altre ragioni legate a dinamiche psicologiche di gruppo ed individuali si aggiungono a tali motivi, ribadendo come il senso di esclusione dalla società di appartenenza possa rappresentare una causa ricorrente, unita alla tendenza individuale a comportamenti anti-sociali (Reich 1998, 25-40).
A questo proposito la storia individuale di Apo Ocalan, leader del PKK, costituisce un esempio piuttosto chiaro. Infine ed in altra misura la diffusione di ideali religiosi estremi aspiranti alla creazione di regimi teocratici sono da confermarsi tra le cause dietro a movimenti estremi di Islam politico.
Di fatto le radici del fenomeno terroristico in Turchia non sono altro che lo specchio di una storia moderna piuttosto travagliata, dove le influenze esterne si sono combinate a fattori di tensione interni, conducendo gruppi di individui particolarmente inclini a tale tipo di violenza a formare pericolosi e destabilizzanti movimenti. Di contro una scarsa sensibilità alle dinamiche interne ed una certa mancanza di capacità gestionale di problematiche sociali da parte dello Stato, parrebbe aver sostanzialmente contribuito a generare un clima favorevole per la nascita di gruppi sovversivi.
Il vasto spettro di organizzazioni terroristiche in Turchia è, inoltre, il riflesso della grande diversità tipica di questa Repubblica. Sebbene sia senza dubbio difficile per uno Stato confrontarsi con tale diversità senza disporre delle risorse adeguate, resta comunque cruciale ricordare che è proprio tale diversità che costituisce la ricchezza di altri Paesi, uno tra tutti, gli Stati Uniti d'America.


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