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GNOSIS 1/2004
Ultrà
tra tifo e violenza


articolo redazionale

La violenza negli stadi da parte di alcuni gruppi di tifosi Ultrà rappresenta un’emergenza sotto il punto di vista sociologico, criminologico e politico. Si è tentato di affrontare il fenomeno attraverso sia l’approccio storico, l’analisi comportamentale che elaborando i dati statistici. Ne è emerso che, negli ultimi anni, questa forma di violenza si è modificata trasformandosi da ostilità tra opposte tifoserie in tentativi “unitari” di confronto diretto con le Forze dell’Ordine.


Introduzione

Fenomeno esteso che non conosce limiti territoriali. Questa è la definizione che meglio delle altre risponde alla percezione che l’opinione pubblica ha della violenza negli stadi. Gli impianti sportivi sono, nell’accezione comune, ormai diventati un territorio franco ove gruppi di persone più o meno organizzate ritengono di poter compiere atti di violenza gratuita (senza timore di dover pagare eccessive conseguenze). Si tratta di atti che vengono avvertiti come finalizzati a ribadire un senso di forza e dominio sia nei confronti degli altri tifosi sia di quanti cercano di mantenere l’evento agonistico nell’ambito della normalità.
Le modalità con cui questa violenza (sia essa fisica che psicologica) si manifesta induce a questo punto a ritenere ogni partita, sostenuta da un elevato numero di tifosi, un evento ad alto rischio d’incidenti. Tali episodi non sono generalmente prevedibili e rischiano, tra l’altro, di innescare reazioni a catena di rapidissima evoluzione, non sempre controllabili dall’apparato di sicurezza predisposto all’interno e fuori dagli stadi.
Constatato che i comportamenti violenti dei tifosi sono, almeno per la realtà italiana, quasi sempre ascrivibili ai gruppi Ultrà, si ritiene opportuno approfondirne l’analisi dal punto di vista storico, socio- psicologico, politico e statistico.


Analisi storica

Il movimento Ultrà in Italia nasce come diretta emanazione di due realtà sociali sorte alla fine degli anni sessanta: “l’hooliganismo anglosassone” e “il movimento della contestazione giovanile”.
L’hooliganismo (1) è stato in passato erroneamente utilizzato come “sinonimo del movimento Ultrà”; in realtà i due fenomeni, pur presentando indicative analogie, si differenziano notevolmente sia sul piano culturale che organizzativo ed operativo.
Nel Regno Unito la passione per il calcio ha sin dagli albori coinvolto quasi esclusivamente persone della “working class”. Numerose squadre inglesi sono nate per iniziative della classe operaia (2) , gli impianti sportivi sono realizzati vicino alle fabbriche o nei quartieri popolari e sovente l’architettura degli stadi ricorda quella dei grandi insediamenti industriali britannici.
Questo legame tra “squadra/tifosi/classe sociale” si è mantenuto e rafforzato nel tempo ed ha generato, nei settori che maggiormente subivano il disagio e l’emarginazione sociale, il fenomeno degli Hooligans. Costoro riprendevano anche nell’atteggiamento tutti gli elementi più rudi della “working class” e dimostravano di agire sulla base di principi xenofobi orientati alla difesa del territorio con la realizzazione di atti vandalici (con il chiaro intento di mettere in crisi l’autorità costituita).
Gli Hooligans adottano, quindi, un modello sociologico basato sullo “Stile Maschio Violento”, che ben risponde all’esaltazione del credo ”Blood, sweat e beer” (Sangue, sudore e birra).
Le regole all’interno di questi gruppi di tifosi sono poche e scarsamente elaborate:
• è esclusa la partecipazione di figure femminili;
• le aggregazioni avvengono esclusivamente per dare vita a cori (che esaltano la determinazione e la forza del gruppo) e per organizzare spedizioni punitive nei confronti dei tifosi avversari;
• non è necessario disporre di un’organizzazione strutturata gerarchicamente e, conseguentemente, l’impegno dei militanti nel corso della settimana che precede l’incontro è di fatto nullo;
• i simboli utilizzati (spesso look neonazisti arricchiti sostenuti da allegorie xenofobe) non esprimono in realtà un’appartenenza politica, ma hanno come unica finalità la funzione di innalzare il livello di paura tra i tifosi avversari;
• tra i nemici sono inclusi, oltre ai sostenitori di altre squadre concorrenti, appartenenti alle Forze di Polizia e i gruppi giovanili culturalmente lontani dal mondo del calcio (punk, ecc.).
Sotto il profilo della “sicurezza sociale”, il grado massimo di pericolosità gli Hooligans lo raggiungono durante le trasferte (sia nel Regno Unito che all'estero) quando, nelle fasi immediatamente precedenti e successive all’incontro, si abbandonano a saccheggi, devastazioni e assalti anche con l’uso di armi bianche (agevolati in questa performance dall’abbondante uso d’alcolici).


foto ansa

Il fenomeno Ultrà in Italia, viceversa, ha radici storiche peculiari e solo per un breve periodo la sua evoluzione coincide con il percorso di omologhi gruppi europei.
Nell’Italia del dopoguerra, infatti, il tifo organizzato era rappresentato esclusivamente da club di supporter che si formavano nei quartieri periferici o nelle cittadine vicine alle metropoli. Negli anni sessanta nascono i primi gruppi di “Fedelissimi”che si aggregano in modo da garantire una consistente presenza di tifosi durante le trasferte della squadra.
Con l’avvento della Coppa dei Campioni, i cosiddetti “Ragazzi delle Curve” entrano in contatto con le tifoserie anglosassoni, rimanendo affascinati dalla tipologia del tifo inglese e desiderando, nel contempo, di emularne i comportamenti. Il primo gruppo di Ultrà italiano è la Fossa dei Leoni del Milan che nasce nel 1969 e occupa il settore dei popolari alla Rampa 17 dello stadio di San Siro.
L’universo dei tifosi italiani è comunque interclassista (il legame tra tifoseria e classe operaia è sempre stato estremamente labile) e la variegata estrazione sociale (sommata in ogni caso ad un irrisolto disagio che si acuiva per la mancanza di una “classe sociale di riferimento”), ha orientato il “bisogno d’identificazione” degli Ultrà verso un’altra realtà: quella dei gruppi extraparlamentari (sia di destra che di sinistra).
Tra il 1970 e il 1975 il numero dei gruppi di tifosi riferibili all’universo Ultrà cresce in modo esponenziale (3) . Inizialmente il fenomeno Ultrà è circoscritto agli stadi del Nord e coinvolge unicamente le squadre della massima divisione. Nei decenni successivi si diffonde anche nel meridione e tra le tifoserie delle serie inferiori.
Allo stato attuale non è agevole approntare un’anagrafe aggiornata dei gruppi Ultrà in quanto negli ultimi trent’anni alcuni dei gruppi storici si sono dissolti, altri sono confluiti sotto un’unica “bandiera”, altri ancora sono apparsi nell’universo del tifo organizzato come meteore. Frequente, inoltre, è anche la doppia (e in alcuni casi tripla) militanza in più gruppi o la nascita di sottosezioni all’interno della stessa organizzazione con conseguente effetto moltiplicatore.
La stima più attendibile ci porta a ritenere che in Italia sono circa 300 i gruppi di tifosi che si richiamano in modo chiaro e diretto al “modello Ultrà”, distribuiti su tutto il territorio ma con le presenze più significative in Lombardia [il 10,5%] e in Puglia-Basilicata [12,9%].
Coloro che aderiscono alle associazioni Ultrà dovrebbero essere circa 60.000 (pari al 15% delle persone che frequentano regolarmente gli impianti sportivi). Alcuni gruppi sono composti da più di 3.000 associati, altri, soprattutto quelli che sostengono squadre delle serie inferiori, non superano le 30 unità.
La scelta del nome del gruppo Ultrà deriva prevalentemente dai due citati modelli di riferimento: quelli che si richiamano agli Hooligans (Eagles, Supporters, Boys, Mods, Viking, Figthers, Rangers, Old Lions, ecc.) e quelli che si riconducono alle sigle di gruppi eversivi o terroristici presenti nel nostro Paese dagli anni settanta (Brigate, Commandos, Falange, Squadre d’Azione, Armata, Fedayn, Avanguardia, ecc.). Non mancano comunque richiami surreali e distorsioni semantco/linguistiche; abbondano, infatti, gruppi come gli “Sconvolts” oppure i “Mortal Combat”.


Analisi socio-psicologica

I più accreditati analisti dei fenomeni di massa e dell’universo giovanile (Kurt Lewin e Philip Robert) hanno ripetutamente sostenuto che uno degli strumenti privilegiati dagli adolescenti, per potersi inserire nella società adulta, rimane quello di ricercare una “identità sociale” attraverso l’aggregazione in un gruppo di coetanei che lo promuove e lo sostiene nell’interazione con il mondo degli adulti. Tale processo psicologico è comunemente definito come “ricerca e costruzione del cosiddetto gruppo dei pari”. L’insieme di coetanei (dove il giovane sperimenta inediti atteggiamenti e motivazioni rafforzando, così, la propria identità) sviluppa codici di relazione propri, regole che il soggetto deve seguire per essere inserito nel gruppo (regole spesso convenute in forma ritualistica/simbolica) e che offrono all’ado-lescente la sicurezza di “appartenere a qualcosa di organizzato, che esiste, e quindi di essere qualcosa”.
L’interazione all’interno del gruppo si fonda sulla condivisione di valori riguardanti sia il pensiero ideologico che, nelle circostanze da noi analizzate, l’appartenenza ad una tifoseria calcistica.
Il gruppo Ultrà rappresenta appieno questo modello associativo: una “sub-cultura” ove appare primario non l’andamento della squadra per cui si tifa, ma “andare in curva”, territorio dove le azioni dei tifosi sono orientate alla “conferma e alla difesa dell’identità collettiva di fronte all’attacco di gruppi esterni (i nemici)”.
Le prerogative di questo tipo di organizzazioni rappresentano il sedimentato di un modello cognitivo e culturale in virtù del quale l’Ultrà si ritiene:
parte integrante della squadra. Se la sua compagine vince egli se ne attribuisce “meriti diretti e indiscutibili” (alla stregua di un giocatore, allenatore o dirigente) e si considera - grazie anche al non sporadico demagogico sostegno dei media - il dodicesimo giocatore a tutti gli effetti;
• capace di esercitare un potere contrattuale nei confronti della società sportiva:la squadra è anche mia! Mette in atto così comportamenti anche violenti finalizzati a condizionare la strategia societaria della squadra (scelta di un allenatore, scelta tecnica durante il campionato, vendita o acquisto di un giocatore, ecc.). In tale ottica possono essere letti gli eventi del 21 marzo 2004 in occasione della partita Lazio-Roma. A causa dell’ingerenza di alcuni Ultrà (che divulgarono la “falsa informazione di un bambino ucciso dalla Polizia”) l’incontro è stato sospeso (con grave danno per una delle società) e si sono verificati seri incidenti, all’esterno dello stadio Olimpico, tra Ultrà delle due squadre (per una volta alleati contro il comune nemico) e le Forze dell’Ordine;
• più coinvolto dallo scontro fisico che dall’esito della partita. Egli, infatti, è convinto di vivere una sorta di “faida” dove l’onore del gruppo deve essere continuamente salvaguardato dall’attacco (attraverso lo striscione più duro, il coro più offensivo, la difesa della curva, ecc.) dei rivali storici;
• abbastanza disinteressato dalla posizione in classifica della squadra per cui tifa mentre è particolarmente attento alla classifica parallela (e non pubblica) che vede ai primi posti le tifoserie che hanno saputo maggiormente distinguersi nelle battaglie negli stadi.
L’analisi socio-psicologica del fenomeno permette, inoltre, di tipicizzare i “modelli di violenza” che si possono verificare durante un evento sportivo. Due sembrano essere le categorie aggressivo/comportamentali che contraddistinguono il modo di agire violento nello sport:
Tipologia A: In questa categoria sono inseriti gli atti di violenza spontanei, reattivi, non organizzati e/o programmati che raramente hanno come bersaglio privilegiato i tifosi avversari, ma sono rivolti ad altri protagonisti dell’evento sportivo (atleti, dirigenti, giudici di gara, ecc.) oppure, sempre più frequentemente, le strutture logistiche che ospitano l’evento. Le azioni avvengono quasi esclusivamente dentro lo stadio (durante o al termine della partita) e gli autori possono provenire da tutti i settori del variegato universo dei tifosi (Ultrà, sostenitori organizzati, semplici spettatori, ecc.). Nella maggior parte dei casi le aggressioni si limitano al lancio di oggetti o ad isolati tentativi d’invasione di campo (i media tendono ad etichettare tali comportamenti come semplici intemperanze di uno sparuto gruppo di tifosi). Gli episodi inseriti nella tipologia A sono definiti “emotivo–reattivi” in quanto derivano dall’incapacità di sopportazione della frustrazione e dalla perdita di controllo della propria aggressività. Essi si manifestano attraverso reazioni improvvise (acting out) contro personaggi ritenuti responsabili del torto subito.
Tipologia B: In tale categoria comportamentale vanno inserite quelle azioni aggressive che sono solitamente programmate e pianificate. In psicologia tale comportamento viene classificato come violenza dissociale, cioè un comportamento finalizzato all’ottenimento dell’approvazione da parte del gruppo e che, a volte, viene esercitato come rito d’iniziazione affinché il singolo possa essere ammesso nel gruppo stesso. Tali attacchi sono diretti ad altri gruppi di supporter oppure, in contesti che i tifosi valutano di “autodifesa”,verso le Forze dell’Ordine. Le azioni spesso assumono i connotati della “guerriglia urbana” e avvengono, di regola, prima dell’incontro (quasi mai durante la partita e a prescindere dal risultato della stessa) e fuori dagli impianti sportivi. Durante le azioni vengono utilizzati biglie, petardi e fumogeni (per l’attacco da un settore all’altro dello stadio), coltelli e corpi contundenti per lo scontro corpo a corpo. Fino ad oggi non è stato segnalato l’uso d’armi da fuoco.
Attribuire un “grado di rischio maggiore” ad una delle due tipologie di violenza può essere fuorviante. L’evoluzione degli incidenti è spesso legata al filo sottile dell’imprevedibilità e alla potenziale incapacità “di controllare le proprie emozioni e/o aggressività” da parte dei protagonisti degli scontri. Sicuramente gli atti legati alla tipologia A (emotivo-reattivi) sembrano portare con sé un pericolo maggiore per le persone; rischio che sale esponenzialmente se altre variabili (presenza massiccia di gruppi Ultrà alla ricerca di uno scontro fisico, inadeguatezza degli impianti e del sistema di sicurezza, ecc.) concorrono all’evento stesso.
Ad esempio, includere l’episodio verificatosi allo stadio di Avellino il 22 settembre 2003 durante la partita Avellino-Napoli, in una delle due categorie citate non è agevole. Alcuni modi di agire (assalto sistematico ed organizzato contro le Forze dell’Ordine, presenza di tifosi in assetto da guerriglia, ecc.) richiamano, infatti, l’azione pianificata (tipologia B). Altri modi di agire, come la reazione abnorme e irrazionale di fronte alla falsa notizia che il tifoso ferito (e poi deceduto) fosse rimasto vittima di uno scontro con gli agenti della sicurezza (che di fatto hanno rallentato le operazioni di soccorso del tifoso) spingono decisamente a considerare il tutto come condotta aggressiva di tipo A.
Stessa problematica metodologica può essere ritrovata per il derby capitolino del 21 marzo 2004 quando alcuni Ultrà, facendo prima circolare la falsa notizia della morte di un bambino a causa delle Forze dell’Ordine, entrando poi sul campo e comunicando tale notizia ai giocatori, hanno impedito lo svolgimento della partita stessa e, successivamente, fuori dello stadio, hanno aggredito in maniera sistematica gli appartenenti alle Forze di Polizia.
Nella realtà, in entrambi gli episodi esaminati, si è di fronte ad una simultanea presenza di comportamenti ascrivibili sia alla condotta violenta di tipo A che di tipo B. Concomitanza che può potenzialmente determinare incidenti più gravi e tragici di quelli verificatesi allo stadio di Avellino. Per certi aspetti, gli eventi allo stadio Partenio ricordano quanto avvenuto a Piazza Alimonda a Genova in occasione della riunione del G8 del 2001. I pochi rappresentanti delle Forze dell’Ordine presenti nella partita Avellino-Napoli si sono infatti trovati in una situazione di pericolo che poteva indurli a reazioni di autotutela personale non privi di rischi per i protagonisti della vicenda.


Analisi politica

Il boom delle formazioni Ultrà nella prima metà degli anni settanta coincide con il dilagare del fenomeno dei movimenti giovanili extraparlamentari. La coincidenza non deriva esclusivamente da una casualità temporale, ma da sovrapposizioni di congiunture storiche e sociologiche in parte analizzate nell’analisi psico-sociologica.
Il rapporto Ultrà e movimenti extraparlamentari in quegli anni non si limita ad un puro richiamo simbolico o all’uso di un linguaggio comune. Gran parte degli Ultrà, infatti, opta per la doppia militanza: contemporaneo impegno nell’area antagonista e nel gruppo Ultrà. Una incoerenza ideologica che gli stessi tifosi giustificano con: “il sabato pomeriggio si va a fare casino in piazza con i compagni, la domenica pomeriggio il campo di battaglia si sposta in curva”.
Il rapporto tra fenomeno Ultrà ed estremismo politico è, nella prima fase, a senso unico: i tifosi irriducibili assimilano acriticamente i modelli organizzativi, ideologici ed operativi dei gruppi extraparlamentari. Tutto ciò che contribuisce all’identità della tifoseria viene “superficialmente e dogmaticamente” assorbito senza porsi il problema dell’originario riferimento filosofico ed ideologico.
I gruppi antagonisti degli anni settanta, ad esempio, si caratterizzano per il tentativo di occupare il “territorio metropolitano” (piazze, aree industriali dismesse, scuole, ecc.) allo scopo di “egemonizzare e liberare il loro vivere sociale antisistema”.
È giocoforza che gli Ultrà, assimilando il modello organizzativo, abbiano fatta propria tale prassi occupando, all’interno dello stadio, i settori delle “Curve” (espellendo di fatto i tifosi tradizionali) e delimitando il proprio “territorio” con striscioni con il nome e il simbolo del gruppo. Gli Ultrà si sono così uniformati allo stile di lotta dei gruppi extraparlamentari sperimentando, sugli spalti, la violenza di massa che nel resto della metropoli si viveva in campo politico. Questo ha portato all’assorbimento, da parte del gruppo dei “tifosi oltranzisti”, dell’esperienza di lotta della “cellula politica” con l’acquisizione di schemi organizzativi, slogan ossessivi, strategie di militarizzazione e adozione del look del perfetto “ultrà/guerriero metropolitano”. In breve tempo gli Ultrà creano strutture stabili e complesse, capaci di mobilitarsi sia verso le attività interne (come l’allestimento di coreografie, la produzione di striscioni e bandiere) sia verso quelle esterne (la produzione e la vendita di gadget, il tesseramento, le sottoscrizioni, il rapporto con le società di calcio, ecc). Il tutto è realizzato attraverso una rassicurante visione manichea che ha portato l’Ultrà ad accostare, in modo disinvolto, la figura del comandante “Che Guevara” a quella del “capocannoniere” della propria squadra, oppure a creare un surreale incrocio simbolico tra l’aquila dei supporters della Lazio e la croce uncinata.
Se il gruppo extraparlamentare ha bisogno, per rafforzare la coesione interna della struttura e per confermare la validità del modello ideologico prescelto, dell’esistenza di un ben identificato “nemico esterno” (elementi di raggruppamenti politici opposti e/o rappresentanti del “sistema repressivo”), allo stesso modo per l’Ultrà è vitale poter identificare in maniera indiscutibile l’avversario.
Siffatto processo non genera nessun tipo di conflittualità nel gruppo se il “nemico” è nel contempo sia rivale politico che tifoso di una squadra tradizionalmente considerata ostile.
Ben diverso è il vissuto all’interno del gruppo Ultrà quando ad una inimicizia campanilistica si contrappone una sintonia di tipo politico. In questo caso se l’odio tra tifosi è storicizzato e radicato, l’appartenere alla stessa area politica non agisce da deterrente per evitare scontri tra le opposte fazioni di Ultrà. Emblematico appare, al riguardo, la memorabile rivalità tra i tifosi Pisani e Livornesi, antagonismo che non è per nulla mitigato dall’appartenenza dei gruppi Ultrà allo stesso schieramento politico (sinistra extraparlamentare). “Le ragioni della fede calcistica (più irrazionali) prevalgono indiscutibilmente rispetto a quelle della fede ideologica (teoricamente più vicine alla razionalità)”.
Dal punto di vista dell’identificazione politica i gruppi Ultrà che si richiamano al modello marxista-leninista erano, negli anni settanta, in netta maggioranza rispetto a quelli legati all’estremismo di destra. L’affinità ideologica ha finito, a torto o ragione, con il creare degli stereotipi politici su molti gruppi di tifosi (ad esempio gli Ultrà laziali, interisti e veronesi sono considerati di destra, quelli romanisti, granata, milanisti, atalantini e bolognesi di sinistra).
Questa distribuzione ha subito, nell’ultimo ventennio, un radicale mutamento sia per un’evoluzione socio-politica all’interno del mondo giovanile sia per cambiamenti fisiologici all’interno del movimento Ultrà.
La metamorfosi nel mondo della tifoseria si è espressa soprattutto con l’aumento significativo di quanti si richiamano all’ideologia dell’estrema destra. Tali gruppi attualmente rappresentano la maggioranza all’interno dell’universo Ultrà.
Un esempio tangibile del passaggio da un’area politica ad un’altra è osservabile tra gli Ultrà della squadra della Roma. Nell’ultimo quinquennio si è registrato, infatti, un progressivo avvicinamento degli Ultrà giallorossi ai gruppi dell’estrema destra. Prova ne sia l’aggregazione al movimento Base Autonoma che, nei fatti, ha determinato una insolita convivenza con i tradizionali rivali del versante laziale (gli Irriducibili e la Banda di Noantri) da sempre vicini alle posizioni di questo movimento politico.
L’interessamento di elementi dell’estrema destra all’attività degli Ultrà nella capitale è coincisa con l’avvento di nuove formazioni come Meridiano Zero e Movimento Politico. Componenti di spicco di queste fazioni, infatti, hanno utilizzato la capacità organizzativa e il carisma acquisito all’interno del massimalismo di destra romano per conquistare la leadership tra gli Ultrà.
Tenuto conto che negli ultimi anni i gruppi come Meridiano Zero hanno visto scemare il loro consenso nella realtà generazionale di riferimento, è sempre più frequente riscontrare come i quadri dirigenti (pur di mantenere un alto livello di visibilità) hanno ridotto l’attività politica impegnandosi sempre di più nel mondo Ultrà.
Se i gruppi vicini alla destra estrema hanno saputo incrementare la loro presenza tra i tifosi oltranzisti, analoga abilità non è stata rilevata nel tentativo di pianificare un movimento articolato a livello nazionale. Esiste certamente uno stretto rapporto tra i gruppi Ultrà del Veneto (Verona, Padova e Treviso), ma tutti i tentativi di estendere quest’intesa alle altre organizzazioni italiane sono rimasti alla pura fase progettuale.
Tentativo che sembra parzialmente riuscito ai gruppi Ultrà gravitanti nell’area dell’estrema sinistra. Questi, grazie anche all’ausilio della rete Internet e ad una maggiore distribuzione sul territorio, hanno dato impulso a programmi d’integrazione ideologica ed operativa a livello nazionale. Tra le organizzazioni impegnate al riguardo citiamo:


foto ansa

• il Progetto Ultrà, nato nel 1995 (grazie al finanziamento della Commissione Europea e al contributo della Regione Emilia Romagna) per “contrastare i comportamenti violenti e xenofobi negli stadi. Negli anni però questa struttura di coordinamento (alla quale hanno aderito soprattutto i gruppi Ultrà d’estrema sinistra) si è contraddistinta soprattutto per aver organizzato manifestazioni di protesta contro le leggi promulgate per arginare la violenza nel mondo del calcio e per aver pubblicato il “337/01 Istruzioni per l’uso. Manualetto per la sopravvivenza del tifoso”. Tale vademecum (ampiamente pubblicizzato nei siti Ultrà) contiene suggerimenti per i tifosi sui “comportamenti d’assumere nei confronti degli esponenti delle Forze dell’Ordine” e i “recapiti degli avvocati esperti nel settore da consultare (anche on line) in caso di fermo e/o denuncia”.
• Il Fronte di Resistenza Ultrà, creato dalle tifoserie di Livorno, Ternana ed Ancona per arginare lo strapotere degli Ultrà di destra. L’attuale strategia prevede di allargare la consistenza del Fronte coinvolgendo altre tifoserie antagoniste in azioni di lotta da portare avanti in stretto contatto con il Movimento dei Disobbedienti e con i Centri Sociali. A riprova di questo progetto politico vi è la presenza, durante la manifestazione del novembre 2002 di Firenze dei No-global, di un gruppo di 350 tifosi che marciavano dietro uno striscione del Fronte di Resistenza Ultrà e che ricordavano a gran voce l’appartenenza di Carlo Giuliani al mondo Ultrà (una bandiera degli Ultrà romanisti copriva la bara del giovane durante il funerale officiato a Genova. Giuliani è stato ricordato a lungo dai gruppi Ultrà con striscioni esposti durante le partite).
Per quel che concerne i rapporti “mondo Ultrà/area antagonista” occorre, infine, segnalare un episodio che ha visto coinvolti militanti del C.A.R.C. (4) (da sempre sospettati di contiguità con il mondo dell’eversione). Alcuni simpatizzanti di questa organizzazione spesso occupano, infatti, un settore delle curve della Massese (squadra militante nella serie semiprofessionisti) esponendo uno striscione inneggiante al gruppo antagonista.


Analisi dei dati statistici

L’osservazione dei dati statistici relativi al fenomeno della violenza negli stadi permette di evidenziare quanto segue:
a) gli atti di violenza di tipo A (quelli legati all’incontrollata reazione emotiva/aggressiva di tifosi di fronte ad un evento vissuto come ingiustificatamente persecutorio) non sembrano assumere, dal punto di vista quantitativo, grandi variazioni nel tempo. Il fenomeno si caratterizza come un rischio costante ed invariante presente negli incontri di calcio, quasi come se avesse assunto la funzione fisiologica di “valvola di decompressione“ delle enormi cariche emotive che si accumulano nelle tifoserie;
b) gli episodi di violenza di tipo B (la maggior parte riconducibili all’attività dei gruppi Ultrà) hanno raggiunto un picco nella stagione 1990/91 (con circa 75 incidenti) per poi progressivamente ridursi a partire dal campionato 1994/95 (vedasi grafico A). Tale trend è confermato dall’indicatore statistico media mobile e appare direttamente correlato alle iniziative assunte dall’Esecutivo per arginare il comportamento violento dei tifosi;
c) il 45% degli incidenti (secondo i dati del Ministero dell’Interno) è da attribuirsi a risse tra gruppi Ultrà rivali, il 21%, invece, agli scontri tra tifosi e Forze dell’Ordine e solo l’0,8% è provocato dalla contestazione della terna arbitrale;


d) i dati nel grafico B riportano il numero dei feriti negli incidenti a margine delle partite di calcio disputate negli ultimi dieci anni. Si può osservare come dal 1995 il numero dei feriti sia aumentato costantemente e sensibilmente fino al 2000-2001. Successivamente il trend sembra essersi stabilizzato. Nel campionato 2002/2003 si sono verificati 850 feriti durante gli incidenti (più del 77% rispetto al 2001/2002); di questi 612 appartengono alle Forze dell’Ordine [il 72%]. L’incremento totale del numero delle vittime rispetto al 2001/2002 è dovuto esclusivamente alla crescita dei feriti tra le Forze dell’Ordine (612 rispetto ai 345 del 2001/2002). Il numero dei contusi tra i cosiddetti civili è rimasto di fatto invariato nei due periodi considerati (238 nel campionato scorso, 240 nel 2001/2002);


e) il numero di persone arrestate durante il campionato 2002/2003 è stato (secondo la Direzione Centrale della Polizia di Prevenzione) di 256 (più del 51% rispetto al campionato precedente). Tale sensibile incremento è sicuramente riconducibile all’entrata in vigore di norme di legge che contemplano, come noto, la possibilità di fermo nelle 36 ore successive ai fatti delittuosi sfruttando così, per l’identificazione dei responsabili delle azioni criminose, il supporto delle tecnologie;
f) 16 sono le persone decedute, nel periodo dal 1979 al 2003, a seguito dagli incidenti provocati dai tifosi violenti.
La valutazione delle variabili statistiche sopraindicate permette di evidenziare che nel 1995 è avvenuto un “cambiamento significativo all’interno del fenomeno della violenza negli stadi”. Da quell’anno, infatti, assistiamo a due fenomeni apparentemente antitetici: il numero degli incidenti diminuisce al ritmo del 40% annuo, il numero dei feriti (soprattutto quelli appartenenti alle Forze dell’Ordine) aumenta in maniera rilevante (si passa dai 400 feriti del 1995-96 ai circa 1200 del 1999/2000).
Appare, del tutto evidente, che vi è stato un cambiamento nella strategia dei gruppi Ultrà che hanno sì ridimensionato la volontà di scontrarsi con i gruppi rivali, ma, nel contempo, hanno innalzato il livello di conflittualità con quanti devono garantire la sicurezza nel mondo dello sport.
Questo mutamento radicale nella strategia di lotta è coinciso con un momento di crisi del movimento Ultrà italiano a seguito dell’uccisione del tifoso di Genova Vincenzo Spagnolo (gennaio 1995). Sette giorni dopo la sua morte viene organizzato un raduno nazionale tra gli Ultrà. Alla fine dell’incontro viene diffuso un comunicato dal titolo inquietante: “Basta lame, basta infami”. Il proclama degli Ultrà ricorda, infatti, quello più volte ascoltato negli anni ottanta nell’area dell’Autonomia: “Né con lo Stato, né con le BR!”
Se il risultato della dialettica interna ai gruppi di tifosi oltranzisti ha prodotto uno slogan di siffatta natura, è palese che il problema della violenza non è stato dagli Ultrà per nulla affrontato, attraverso un percorso di autocritica, in maniera radicale, ma si è preferito semplicemente deciso di dirottare su altre figure l’obiettivo di lotta.
L’analisi complessiva del fenomeno Ultrà, dal punto di vista strettamente sociologico, evidenzia come si crei un’interazione tra lo stesso e altri “macrofenomeni” sia sociali che economici.
Due sono gli aspetti che hanno governato, nel secondo dopoguerra, i processi d’identità e di relazione all’interno della società italiana: “l’esistenza di classi sociali ben definite e la variabile lavoro quale strumento di regolamentazione (ordine/equilibrio) del sistema urbano”. La presenza di classi sociali ben identificate (classe dei lavoratori, imprenditori, ecc.) ha permesso, infatti, all’individuo di:
• costruirsi un’identità sociale a sostegno di quella personale;
• scandire, attraverso la variabile lavoro, tempi e modalità della sua appartenenza al sistema sociale urbano (lavoro, famiglia, tempo libero, ecc.);
• far confluire nella propria classe, attraverso il sistema di rappresentanza del gruppo, anche istanze conflittuali con altre classi.
L’evolversi della società postindustriale ha profondamente modificato alcuni di questi “pilastri sociali”. Il progressivo incremento del numero di persone escluse dal mondo del lavoro (soprattutto nel comparto industriale e nel settore giovanile) ha, infatti, ridimensionato la classe dei lavoratori e spinto all’espansione un nuovo gruppo sociale identificabile negli “esclusi e/o nuovi emarginati”.
Non essendosi creato all’interno di questa categoria un’ideologia legata al sociale, essi, per crearsi una nuova identità individuale e di gruppo, si sono incanalati in:
• ideologie che esaltano la figura della “leadership”;
• esperienze “fideistiche” (adesione a sette religiose, militanza in gruppi di tifo oltranzista);
• subculture che impongono il mito della “forza e del corpo” (sostegno a gruppi xenofobi e neonazisti).
L’assimilazione di parte degli esclusi del modello fideistico Ultrà risponde in pieno alle dinamiche sociologiche descritte. Il ricorso alla violenza da parte dell’Ultrà appare, infatti, come lo strumento ideale per:
• imporre l’identità sociale;
• confermare il ruolo di leadership;
• esaltare le doti di potenza fisica nei confronti dell’avversario/nemico.
Conclusivamente, l’analisi globale del fenomeno Ultrà induce ad ipotizzare i seguenti sviluppi futuri.
In primo luogo, le probabilità che si verifichino nel futuro eventi gravi permangono elevate. Il perdurare di:
- obsolescenza della maggior parte degli impianti sportivi (soprattutto quelli che ospitano le partite delle serie inferiori);
- potenzialità “antisistema e aggressiva” di numerosi gruppi Ultrà;
- difficoltà ad assumere iniziative che incidano radicalmente sull’evolversi del fenomeno del tifo radicale;
rendono, infatti, plausibile l’eventualità che in futuro sia ancora possibile registrare incidenti all’interno del “sistema calcio” che mettano seriamente in pericolo la vita dei cittadini.
Inoltre, i gruppi Ultrà potrebbero veder scemare le attività di autofinanziamento tradizionali (vendita di sciarpe, gadget, ecc.) con la conseguente decisione di alcuni di loro di dedicarsi, per reperire capitali, ad azioni illegali (traffico di droga, rapine, furti, ecc.). Tale comportamento criminogeno, anche se limitato ad una minoranza dell’universo Ultrà, sta assumendo negli ultimi anni un rilievo sempre maggiore.
Il fenomeno della doppia militanza (“area antagonista/gruppo Ultrà”), infine, potrebbe diventare una costante sia sul versante dell’estrema sinistra (coinvolgimento sempre più stretto con movimenti come quello dei Black Bloc) che a quello dell’estrema destra (in questo caso è prevedibile anche una migrazione definitiva di quadri dirigenti dei movimenti estremisti di destra nelle organizzazioni Ultrà).


foto ansa



(1) Questo termine deriva da Houlihan, nome di una famiglia irlandese che si distinse per gli atteggiamenti anti-sociali nella Londra del diciannovesimo secolo. A partire dal 1898 la parola divenne di uso comune per designare persone provenienti dai settori più bassi della scala sociale (appunto gli Irlandesi) che si evidenziavano per i loro comportamenti turbolenti. Negli ultimi decenni tra i mass media inglesi Hooligan diviene sinonimo di teppismo calcistico.
(2) Il West Ham è stato fondato da operai del settore delle acciaierie, lo Sheffield United è nato per la passione degli artigiani che producono i coltelli e, infine, il famoso Manchester United è sorto grazie alla sottoscrizione degli operai del Lancashire e dello Yorkshire che costruivano la rete ferroviaria inglese.
(3) In questo quinquennio vedono i natali gli Ultras Cucchiaroni della Sampdoria (i primi ad assumere il nome di Ultrà), i Boys dell’Inter, le Brigate Gialloblu del Verona, i Viola Club Vieusseux della Fiorentina, gli Ultrà del Napoli, le Brigate Rossonere del Milan, la Fossa dei Grifoni del Genoa, gli Ultrà Granata del Torino, i Fighters della Juventus, le Brigate Neroazzurre dell’Atalanta, gli Eagles’ Supporters della Lazio e il Comando Ultrà Curva Sud (CUCS) della Roma.
(4) C.A.R.C.: Comitati di Appoggio alla Resistenza per il Comunismo.

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