D. Negli ultimi trentacinque anni l'Italia è stata investita da diverse offensive terroristiche endogene (brigatismo, terrorismo diffuso, stragismo di destra, stragismo mafioso) ed esogene (armeni, palestinesi, terrorismo di stato libico, etc.). Analoghe offensive hanno, con intensità diverse, colpito anche altri paesi europei.
L'Italia, tuttavia, è l'unico Paese occidentale nel quale una specifica forma di terrorismo interno – quello appunto di matrice marxista-leninista – si è sviluppata in una dimensione sociale e diacronica così ampia.
Prima di entrare nel merito del problema, quale può essere considerata la data di avvio di quello che diventerà il terrorismo strategico delle Brigate Rosse? Il '68? L'autunno caldo del '69? Piazza Fontana?
Giuliano Ferrara - Il ‘68 originario, legato all'esperienza internazionale del free speech movement e ai mutamenti indotti nella guerra fredda dalla fase che potremmo definire di “caduta dell'ante-murale” (la coesistenza pacifica tra regimi sociali diversi, la retorica terzomondista e antiamericana accesa dalla guerra fallimentare del Vietnam e dal consolidarsi del castrismo), non c'entra se non indirettamente con la nascita del terrorismo. C'è affinità culturale, se vogliamo, attraverso l'idea di disobbedienza e la pratica della rivolta violenta, ma il discorso finisce qui. Riprende, invece, il discorso e si precisa, quando il nuovo spirito libertario e antiautoritario, gravato di molte ambiguità, incontra una ripresa netta della lotta di classe e politica in cui si inserisce il ruolo attivo, leninista, delle avanguardie o gruppuscoli estremisti. Con un contributo mitico, sempre indispensabile per la generazione di fenomeni così radicali
e insieme complessi, dell'interpretazione stragista delle bombe di Milano e Roma dell'inverno del ‘69. Il terrorismo propriamente detto è dunque il prodotto non del movimento ma del riflusso del movimento, nel suo aspetto maggiore e più largo di ondata di opinione sociale e intellettuale radicata tra i dotti e gli studenti. Nato sul finire degli anni Sessanta, il partito armato mette radici vere, si genera propriamente, nel decennio dei Settanta.
Il caso Feltrinelli e l'omicidio Calabresi sono in questo senso pietre miliari.
Gianni Cipriani - Io direi che, come in tutti i processi complessi, le ragioni sono molteplici. Credo, infatti, che la nascita delle Brigate Rosse sia la risultante di un processo politico nel quale hanno inciso, seppure con un peso diverso, molti fattori. A cominciare, anche a seguito del proliferare di gruppi filo-cinesi, dai fermenti sempre più diffusi che, nella seconda metà degli anni Sessanta, iniziarono a maturare alla “sinistra” del PCI, all'epoca vissuto in quei settori come un apparato sostanzialmente revisionista, bloccato dalle sue rigidità burocratiche e dagli approdi “legalitari” che, di fatto, impedivano qualsiasi approdo rivoluzionario.
Non è un caso che, anche negli anni a seguire, tutto un filone del pensiero brigatista abbia liquidato il PCI come un partito diventato, da Togliatti in poi, revisionista.
Naturalmente, nella percezione dell'epoca c'era anche un richiamo a quella che è stata chiamata l' ondata proletaria , soprattutto in relazione ai movimenti di liberazione nazionale che, in quello che oggi chiameremmo il “sud” del mondo, tenevano in scacco i governi alleati ed erano protetti dall'occidente capitalista. Soprattutto dopo l'invio del contingente americano in Vietnam, nel 1964, e la resistenza dei vietcong - divenuta il simbolo del riscatto delle masse oppresse - ripresero vigore quei filoni che avevano visto nella Resistenza non solo la reazione necessaria all'occupazione nazi-fascista, ma soprattutto l'occasione di rottura rivoluzionaria da concludersi con la conquista del potere. Da qui il lungo dibattito sulla “Resistenza tradita”. Infine, l'ingresso sulla scena di una nuova generazione, quella del cosiddetto '68, contribuì, in maniera definitiva, a creare quell' humus sociale e politico nel quale si sarebbero innestate le Brigate Rosse. Divenne
ro tali al termine di un breve percorso interno alla sinistra rivoluzionaria, rappresentato da un primo confronto, nel 1969, a Chiavari e poi a Pecorile, in provincia di Reggio Emilia, nell'agosto del 1970. Nel settembre del 1970 la “brigata rossa” (inizialmente al singolare) comparve per la prima volta come sigla.
Giovanni Fasanella - E' difficile datare con precisione l'inizio del terrorismo strategico delle Brigate Rosse, perché la genesi del fenomeno è assai più complessa di quanto si pensi. Ufficialmente, il terrorismo di sinistra noto con la sigla B.R. nacque nell'autunno del 1970, al culmine di un biennio segnato da eventi tragici ed eccezionali. Ma ebbe un periodo di incubazione assai più lungo. La scelta della lotta armata stava maturando in alcuni settori marginali della sinistra - e del PCI in particolare - già dalla prima metà degli anni Sessanta. Il Sessantotto e l'Autunno caldo certamente influirono, fornendo a quella scelta ulteriori motivazioni ideologiche e nuovi orizzonti strategici, ma solo come elementi "esterni" e aggiuntivi. Lo stesso discorso vale per la strage di Piazza Fontana, attribuita all'estrema destra: non fu la causa scatenante, ma soltanto l' evento che confermò, se così possiamo dire, la giuste
zza e la necessità dei progetti rivoluzionari della sinistra.
Stefano Folli – La risposta dipende anche dalla premessa. E cioè chiarire bene l'unicità del fenomeno in Italia. E' possibile considerare una continuità delle Brigate Rosse fino al 2004, oppure bisogna ritenere gli anni di piombo chiusi nel 1987 e definire in modo differente la fase successiva? Anche nella prima ipotesi, esisterebbe un altro Paese colpito da una un'aggressione terroristica proseguita ininterrottamente dalla fine degli anni Settanta allo scorso anno da una formazione con un buon radicamento sociale e un “serbatoio” di consenso intellettuale: la Grecia, tormentata dalla sigla marxista del “17 novembre”. Se invece dividiamo in due l'esperienza delle B.R., allora, per quello che riguarda la fase anteriore al 1988, non si può non sottolineare il parallelismo - se non altro per la forza militare del gruppo e l'esistenza di strategie simili - con la RAF tedesca, unica in Europa ad avere portato “l'attacco al cuore dello Stato” anche se c
aratterizzata da una più marcata matrice internazionalista. Italia, Grecia, Germania: le frontiere della Nato, le nazioni dove la spaccatura tra i blocchi alimentava le tensioni più decise. Nel caso dei due Paesi mediterranei esisteva poi una tradizione di guerra partigiana comunista e c'era una forma di mobilitazione contro possibili golpe di destra, concreti ad Atene, molto meno a Roma. In questa ottica, se c'è una data d'origine, l'unica può essere quella di Piazza Fontana. Il 12 dicembre 1969 segna indubbiamente uno spartiacque, che spinge una serie frammentata di movimenti e sigle verso il cammino della lotta armata. Anche se prima di poter parlare di “terrorismo strategico” trascorreranno alcuni anni, segnati da dinamiche interne spesso molto tese fino a sfociare in un progetto unitario di partito armato, tra il 1973 e il 1975.
Guido Ruotolo - Da un punto di vista strettamente cronologico, effettivamente, le Brigate Rosse nascono nell'estate del 1970, in occasione del convegno di Pecorile. Nascono cavalcando l'onda lunga di quel movimento che, a partire dal '68 parigino, si era propagato in Italia e vedeva, accanto al movimento operaio e sindacale, scendere in piazza anche il movimento studentesco, che portava avanti una critica radicale ai modelli di riproduzione della società capitalistica. Non fu certo da quel terremoto, che scosse dalle fondamenta la società italiana, però, che le B.R. trovarono legittimazione o, meglio, la ragione sociale della loro nascita. Semmai, l'autunno caldo, la stagione di conflittualità operaia che si sviluppò soprattutto nel triangolo industriale del Nord, Torino-Milano-Genova, orientò l'attività e, in un certo senso, diede legittimità alle prime Brigate Rosse, che, a partire dal 1972 e fino al 1974, si limitarono ad a
zioni di propaganda armata mirate al mondo della rappresentanza padronale e industriale. Azioni che, non va dimenticato, ottennero consenso tra fasce relativamente estese di lavoratori. La cosiddetta “strategia della tensione”, che si sviluppò in quegli anni, a partire dalla strage di piazza Fontana - 12 dicembre 1969 - e fino a quella di piazza della Loggia (Brescia, 1974), soggettivamente concorse nel determinare la nascita di quell'organizzazione clandestina armata che si richiamava alla tradizione del movimento comunista internazionale. Più in generale, nel decennio degli anni Settanta, sia nelle organizzazioni armate che nel movimento della sinistra radicale, il fantasma del golpe fu molto presente.
D. Cosa ha contato di più nella nascita delle B.R. (che ha visto la confluenza nell'organizzazione di tre filoni: il primo, operaista; il secondo post-sessantottino-cattolico da Trento; il terzo vetero-comunista, resistenziale, emiliano): il mito della resistenza tradita? Il “tradimento” del P.C.I.? La paura del golpe ?
Ferrara - I tre elementi sono tutti presenti e decisivi.
Ne manca uno: il conflitto organizzativo tra le avanguardie, che promosse una logica emulativa determinante per la costituzione in senso proprio dei primi nuclei combattenti, in nuce già presenti nella filosofia e nella prassi dei servizi d'ordine e nella mitologia sindacale, particolarmente quella torinese, che faceva dei famosi incidenti di piazza Statuto, primi Sessanta, il prototipo dell'autorganizzazione delle masse attraverso il consolidamento organizzativo dei nuclei dirigenti della violenza operaia.
Forse ne manca un altro: il rifiuto del lavoro, che trasformò l'operaio della fabbrica capitalistica meccanizzata, anche nella sua versione “riformista” sostenuta dalla sinistra sindacale di Bruno Trentin, da sfruttato a oppresso. Lo sfruttato è il simbolo di un rapporto sociale di produzione, in un certo senso matematicamente calcolabile, per Marx un dato sociologico profondo, sul quale è possibile intervenire attraverso la lotta di classe in forme diverse. L'oppresso è altra cosa, è il simbolo di uno schiacciamento spirituale, di un disagio esistenziale incurabile se non attraverso una palingenesi che comincia nella presa di coscienza e nella rivolta: la sua sofferenza non è calcolabile, non è soggetto della nuova scienza marxiana, che può approdare alla deriva religiosa del fanatismo oppure al realismo leninista, è soggetto di un'ansia di tipo religioso e si incontra, in quanto tale, con la predicazione cattolica del basismo postconciliar
e.
Cipriani - Probabilmente tutte e tre le ipotesi erano presenti, quando fu fondata “Sinistra proletaria”, la rivista nella quale confluirono le diverse anime del brigatismo, poco prima che l'organizzazione armata cominciasse il suo percorso. Forse la paura del golpe era un'ossessione più legata alle componenti feltrinelliane, che però, in seguito, con le Brigate Rosse hanno avuto solo rapporti marginali. Credo, inoltre, che ci sia stato anche un quarto fattore, altrimenti non ci spiegheremmo la presenza di un militante di estrazione socialista come Corrado Simioni e dei cattolici dell'università di Trento: il bisogno di radicalismo delle nuove generazioni, che si era espresso con le rivolte studentesche in Europa e negli Stati Uniti.
Fasanella - Il mito della "Resistenza tradita" (l'accusa alla dirigenza comunista di aver accettato il compromesso democratico) alimenta i progetti insurrezionali per l'instaurazione di una società socialista, accarezzati dalla componente più filosovietica del PCI, quella che faceva capo a Pietro Secchia. L'idea dell' opera da completare sopravvive all'interno del PCI, almeno fino all'inizio degli anni Settanta, e prende sempre più corpo man mano che si consuma il tradimento (l'evoluzione verso la socialdemocrazia) da parte del gruppo dirigente. Il punto della rottura definitiva tra Secchia e la leadership comunista è costituito dall'elezione di Enrico Berlinguer prima alla vicesegreteria (1969) e poi alla segreteria (1972) del Partito. Proprio in quegli anni, mentre è in incubazione la politica dell' eurocomunismo, i progetti secchiani evolvono decisamente verso la lotta armata. Quanto alla paura del golpe fascista, vale que
llo che ho detto a proposito di piazza Fontana: contribuisce semplicemente ad accelerare il passaggio dalle parole ai fatti.
Folli - Tutte e tre le componenti da voi citate sembrano portare a una radice comune, ossia il rapporto tra i fermenti di una nuova sinistra che si è formata nella seconda metà degli anni Sessanta e il PCI, incapace di dialogare con i nuovi fenomeni così come nel '77 avvenne con l'Autonomia. Il PCI, infatti, è il “traditore della Resistenza”, che aveva spinto anche i partigiani più duri a consegnare le armi e aveva - nell'ottica degli irriducibili - persino costretto i garibaldini romagnoli della 36^ brigata a mettersi nelle mani di monarchici e americani. Con la scelta poi di rinunciare alle strutture clandestine paramilitari - di cui si perde ogni traccia alla fine degli anni Sessanta - il PCI non sembra più offrire garanzie per una resistenza organizzata in caso di golpe. Queste sono considerazioni diffuse nelle regioni rosse, che hanno sicuramente contribuito alla fase iniziale del consenso sociale verso le B.R., senza però influire n
ella capacità organizzativa e militare del Partito armato. I duri tra gli ex partigiani che manifestarono in modo militante il loro dissenso verso le scelte “democratiche” del PCI già negli anni Cinquanta, cercarono i loro punti di riferimento all'estero: nell'URSS e i suoi satelliti o - addirittura - nell'Albania filocinese. Neanche i più giovani, tra questi reduci, sembrano avere mai individuato nelle B.R. un possibile interlocutore. Le testimonianze di Vitaliano Ravagli, spesso folcloristiche ma condivise dall' ala estrema storicamente a sinistra del PCI, sembrano descrivere un percorso di questo tipo. Ed è difficile individuare nel partigiano di Reggio Emilia che dona la pistola ai brigatisti, descritto da Enrico Franceschini, il passaggio di testimone tra due generazioni nel segno della lotta armata: seppur di grande valore evocativo, quel gesto rimase un'eccezione. Le tre componenti paiono piuttosto unirsi verso una sfiducia nel PCI e - anche a causa della Guerra fredda - n
ell'impossibilità di arrivare a un cambiamento con gli strumenti di una democrazia parlamentare, da cui consegue la necessità di sperimentare nuovi modelli di lotta politica che finiranno per saldarsi nel Partito armato.
Ruotolo - Se guardiamo alla componente costitutiva emiliana delle Brigate Rosse, il mito della resistenza tradita e il "tradimento" del PCI hanno pesato molto nella nascita delle B.R.. Proprio uno dei suoi padri fondatori, Alberto Franceschini, per esemplificare questa mitizzazione, ha raccontato che la pistola immortalata nella fotografia del sequestro lampo, nel marzo del '72, del dirigente della Sit Siemens, Idalgo Macchiarini, era impugnata da un vecchio compagno partigiano. Le prime Brigate Rosse nascono con il "mito" della Resistenza. Da questo punto di vista, non fu certo il timore della involuzione autoritaria a determinare la nascita delle B.R., intese come organizzazione armata clandestina di autodifesa della democrazia. Allora, altri "anticorpi" democratici - il movimento operaio e sindacale, le grandi organizzazioni della sinistra - occupavano la piazza, erigendo barriere invalicabili per ogni tentativo autoritario. Del resto, ma non
è questa la sede per approfondire il tema, è noto che nel dibattito, ormai consegnato agli storici, la stagione della cosiddetta "strategia della tensione" viene interpretata come una strategia finalizzata alla "stabilizzazione" del quadro politico-istituzionale (fallita) per arginare la crescita politica ed elettorale della sinistra. A mo' di esempio, vale l'esperienza acquisita attorno alla vicenda dei Moti di Reggio Calabria, nel 1970. Quella stagione si concluse il 22 ottobre 1972 con la grande manifestazione nazionale del sindacato metalmeccanico a Reggio città.
D. Finora abbiamo parlato di un fenomeno endogeno. Alberto Franceschini, intervistato da Giovanni Fasanella, illumina inquietanti angoli bui della storia recente d'Italia, quando parla del ruolo di Feltrinelli, del “Superclan” e delle “Vecchie zie” e cioè di un gruppo di persone che sembravano agire su input esterno (presumibilmente – visti i legami di Feltrinelli – sovietico). E' sufficiente l'idea di un “Moretti infiltrato” a ridurre l'esperienza B.R. ad un fenomeno pilotato dall'esterno?
Ferrara - Le Brigate Rosse furono quello che furono. Punto e basta. Ma erano un'organizzazione terroristica attiva in tempi di guerra fredda. Ridicolo pensare che fossero guidate dall'infiltrazione di Servizi di ogni tipo e genere, comico pensare che non fossero anche infiltrate. Ma la logica era genuina, gli atti compiuti in una condizione di comprovata autonomia politica e anche ideologica, come dimostra la loro vasta letteratura, la loro coerenza e congruenza con le condizioni effettive della sinistra di classe nell'Italia degli anni Settanta.
Cipriani - Se vogliamo stare ai fatti documentati, l'unico tentativo concreto di condizionare dall'interno l'esperienza brigatista compiuto da un servizio segreto è stato quello messo in atto dal Mossad o, comunque, da esponenti dell' intelligence israeliana. Quanto a Feltrinelli, nella storia delle Brigate Rosse il suo ruolo è stato piuttosto marginale; anzi, è più corretto dire che le esperienze di Feltrinelli e delle B.R. sono corse parallele, con qualche singolo punto di contatto.
Quanto ai fattori esterni, ricordo, per brevità, i casi mai completamente chiariti di Ronald Stark, di Superclan e della scuola parigina di lingue Hyperion. O anche – vicenda sconosciuta ai più – il ruolo di Ezzedin Ladheri, profugo libico reclutato dal SID (poi anche dall' intelligence statunitense) con il criptonimo di “fonte Damiano”, che svolse il ruolo di interprete nei primi contatti in Medioriente tra brigatisti italiani ed esponenti delle organizzazioni palestinesi. Chiarire tutti questi aspetti, compresa la singolare gestione del memoriale di Aldo Moro fatta da Mario Moretti, è di grande interesse storico-politico. Tuttavia, la sostanza non cambia: le Brigate Rosse sono nate e si sono sviluppate sull'onda di un reale movimento politico che, in alcune fasi, ha anche assunto dimensioni di massa. E' sbagliato, quindi, ridurle ad un fenomeno pilotato dall'esterno. Si tratta di una storia politicamente chiara, con qualche pagina ancora oscura.
Fasanella – Nel libro-intervista Che cosa sono le B.R. , Franceschini parla innanzitutto di Giangiacomo Feltrinelli e Corrado Simioni, due personaggi molto più importanti di Mario Moretti. Di Feltrinelli, si sapeva che aveva legami con i paesi comunisti e che ne fosse, con ogni probabilità, un importante agente d'influenza in Europa occidentale. Franceschini ora rivela che le neonate Brigate Rosse gli affidarono la gestione delle relazioni internazionali: “Poteva fare tutto quello che voleva, Feltrinelli non veniva a raccontarcelo. Stava al centro di tutto e non aveva obblighi informativi. Semplicemente, noi dovevamo fidarci di lui”. Feltrinelli, dunque, era il canale di comunicazione al livello più alto tra le B.R. e il mondo sovietico. Ma si può anche rovesciare la situazione e dire che, tramite Feltrinelli, i paesi comunisti avrebbero potuto controllare l'operato del vertice brigatista, senza che Curcio e Fr
anceschini ne fossero necessariamente a conoscenza.
Quanto a Simioni, figura ancora più intrigante e complessa di Feltrinelli, il sospetto di Franceschini (che trova riscontri in diverse informative dell'intelligence italiana) è che, dopo la morte dell'editore, egli ne ereditasse il ruolo in Europa e la rete di relazioni internazionali. Simioni si trasferì a Parigi e lì, con un gruppo di fedelissimi compagni, fondò la scuola di lingue Hyperion. Che cosa fosse in realtà quell'istituto parigino è emerso da diverse inchieste giudiziarie condotte in Italia: un centro di assistenza logistica e di distribuzione di armi alle organizzazioni del terrorismo di sinistra in Europa occidentale. Ma non solo. Nella scuola di Simioni, si disegnavano gli scenari geopolitici entro i quali poi agivano le varie organizzazioni terroristiche. Moretti, legato a Simioni sin dal 1970, andava a Parigi a prendere ordini. Ce lo dice Franceschini. Ma lo sappiamo anche attraverso le indagini del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa e
le numerose testimonianze di brigatisti pentiti agli atti di almeno tre inchieste giudiziarie: Padova, Roma e Venezia. Esisteva, dunque, un legame fortissimo tra i vertici militari delle B.R., che operavano in Italia, e la centrale parigina. Tant'è che dopo l'arresto di Moretti, a tenere i contatti con la Francia furono i suoi successori: Giovanni Senzani e Fulvia Miglietta.
Folli - Superdan, infiltrati, ruolo di Moretti sono temi affascinanti ma ancora fumosi. Di sicuro, un approfondimento di questi aspetti che esca dalle esigenze giudiziarie o dalla ricostruzione giornalistica per assumere il rilievo di studio storico potrebbe essere di grande aiuto. Come più spesso avviene per una lettura delle vicende siciliane, filtrata esclusivamente dall'ottica inquisitoria degli atti processuali, sarebbe l'ora di affrontare gli anni di piombo con strumenti di analisi diversi. Ed è sorprendente notare come forse si dedichi più attenzione a questo tentativo nelle università straniere che non nel nostro Paese. Ma sarebbe riduttivo e fuorviante ridurre l'esperienza delle Brigate Rosse soltanto all'opera indotta da manovratori interni e internazionali. La lotta armata è nata come rivolta spontanea, il fatto che in un secondo momento possa essere diventata - per citare Henner Hess - "rivolta ambigua" resta ancora tu
tto da dimostrare. Di sicuro, possono esserci state delle “manine” - come le definiva Craxi - che hanno influenzato o tentato di influenzare il cammino del gruppo: i primi casi che vengono alla mente sono necessariamente quelli dell'agente Kgb Conforto e della prigione di Aldo Moro. Ma ancora oggi non si riesce a definire quale sia stata la reale influenza eventualmente esercitata dai servizi stranieri o nazionali, o da spezzoni di essi, sulle vicende delle B.R.. Tanto che - per puro divertissement culturale - si potrebbe anche teorizzare che le spinte “devianti” di segno opposto da occidente e da oriente alla fine si siano annullate senza spostare la traiettoria dell'esperienza brigatista.
Ruotolo – A distanza, ormai, di 34 anni dalla nascita delle Brigate Rosse, si continua, ciclicamente, a riproporre il tema del loro “inquinamento”, della loro “eterodirezione”. Un tema che appassiona molto, soprattutto i dietrologi di professione, ma anche chi, come Alberto Franceschini, di quella esperienza è stato un protagonista, dalla nascita sino al suo arresto (1974). Io credo che il senso della storia del terrorismo brigatista non presenti zone d'ombra tali da inficiarne la genuinità. E' una storia tutta italiana, è la storia che Rossana Rossanda ha inquadrato nell' album di famiglia . Le zone d'ombra, in sostanza, riguardano due ordini di problemi:
- nell'era del mondo diviso in due blocchi, le Brigate Rosse potrebbero essere state aiutate da qualche servizio segreto del mondo comunista;
- alcuni dirigenti o militanti delle B.R., per tutti Mario Moretti, potrebbero essere stati degli "infiltrati". Il partito dei dietrologi punta tutte le sue carte sul mistero dell'affare Moro, sulla gestione del suo sequestro e del suo omicidio. Francamente, a distanza di oltre un quarto di secolo, i dubbi soccombono di fronte alle certezze giudiziarie e politiche.
D. Qual è stato il livello di consenso sociale e politico che nelle varie fasi della loro esperienza di lotta armata hanno avuto le B.R.?
Ferrara - Fortissimo, molto superiore alla conta dei regolari e degli irregolari, molto superiore alle manifestazioni, pur in sé notevoli, di aperto fiancheggiamento nelle fabbriche, nelle università, nelle sedi sindacali del nord, nelle scuole, ai confini di apparati politici e di partito. Lo spirito pubblico italiano, negli anni Settanta, era fondamentalmente non ostile al segno che l'offensiva terrorista lasciava con i suoi delitti nella società; facevano paura, e questo genera negli italiani sempre un consenso anche dissimulato, e insieme erano espressione di una tendenza sociale piccolo borghese vendicativa e anarchica, nella sfiducia che toccava ad istituzioni e partiti della democrazia repubblicana.
Cipriani - Soprattutto nel corso della prima fase – fino al 1974 - quando l'esperienza brigatista poteva essere percepita in maniera per così dire “romantica”, con il guerrigliero che assumeva le sembianze di un reale interprete in grado di riscattare le masse sfruttate ed oppresse, il consenso intorno alle B.R. era vasto. Tant'è che, inizialmente, anche alcuni iscritti al PCI erano affascinati da quell'esperienza. Lo stesso Ugo Pecchioli racconta, nella sua autobiografia, come il partito comunista dovette intervenire per far allontanare Giovan Battista Lazagna, partigiano di largo seguito, ammaliato dalla prospettiva di una nuova lotta armata.
Nella seconda fase, con la prevalenza all'interno dell'eversione brigatista dell'aspetto omicida, il consenso di quell'area venne meno, mentre si compattò, pur tra mille distinguo, il consenso dell'area rivoluzionaria. Il sequestro e l'omicidio di Aldo Moro e poi l'assassinio di Guido Rossa hanno rappresentato i due momenti di declino verticale del consenso politico, rimasto, tuttavia, forte anche nel corso degli anni Ottanta.
Oggi tutti gli storici sono concordi nel dire che, sul piano politico, la sconfitta delle Brigate Rosse è stata il risultato dell'unità di tutte le forze politiche democratiche e dei sindacati, che hanno innalzato un argine insuperabile. Questo fatto, da solo, dimostra quale rilievo ebbe il “partito armato”, composto non solamente dalle Brigate Rosse, ma anche da moltissime altre organizzazioni armate, delle quali c'è poca memoria, che contribuirono in maniera drammatica a dare una dimensione capillare alla lotta armata in Italia. Ciò detto, è tuttavia vero come in nessun caso il progetto brigatista di conquista del potere politico abbia mai avuto la benché minima possibilità di affermarsi.
Fasanella – All'inizio, non avevano un grande seguito. Il consenso intorno a loro cominciò a crescere dal 1974, dopo l'arresto a Pinerolo di Curcio e Franceschini, quandò iniziò la storia delle B.R. morettiane. Con Moretti, le Brigate Rosse svilupparono in modo impressionante la loro capacità organizzativa e militare. E, parallelamente, aumentò anche la loro presa egemonica su settori di opinione giovanile e di classe operaia privi di rappresentanza politica dopo la crisi delle organizzazioni della sinistra extraparlamentare. Dipese tutto dalle capacità di Moretti o la crescita del terrorismo di sinistra fu agevolata anche dall'esterno? Non ho risposta certa. Di sicuro, un'indagine storiografica seria ed onesta non può eludere una domanda del genere. Comunque, per restare al dato di fatto, il consenso sociale e politico intorno alle B.R. toccò il punto più alto alla vigilia e durante l'o
perazione Moro. Subito dopo, di fronte alla risposta repressiva dello Stato, le B.R. cominciarono a sgretolarsi .
Folli - Gli esordi delle B.R . e la prima fase della loro attività sono stati caratterizzati da un consenso sociale piuttosto elevato. All'inizio l'azione si è limitata ai centri operai del Nord ed ai movimenti universitari di tutto il Paese. Solo in un secondo momento si è avuta una saldatura con altre realtà di ispirazione marxista attive nelle periferie metropolitane, più attente a problemi “concreti” come la battaglia per la casa e quella sulla disoccupazione. Ed è dalla fusione di queste due spinte che il partito armato ha trovato il suo momento di maggiore forza militare, mettendo a disposizione delle “menti” organizzative manodopera esperta, spesso con trascorsi criminali “comuni”. Una fusione che potenziò la capacità di proselitismo tra il proletariato urbano e la piccola borghesia anche quando cominciò a crollare il richiamo della lotta armata nelle fabbriche del Nord. La strategia brigatista di “attacc
o al cuore dello Stato”, il confronto militare con le istituzioni che dopo il ‘78 ha preso il posto delle azioni dimostrative - condivise da una vasta base, contro direttori del personale, capisettore, crumiri e industriali - hanno allontanato molti dei serbatoi di consenso dal partito armato. L'uccisione di Aldo Moro e, pochi mesi dopo, quella del sindacalista Guido Rossa determinano i due momenti di svolta, quelli in cui la mobilitazione attiva del sindacato e del PCI riescono ad isolare le B.R.. Per pura coincidenza - visto che i brigatisti hanno sempre sostenuto di volere solo ferirlo - l'uccisione di Guido Rossa avviene contemporaneamente alla prima scissione interna, con la fuoriuscita di Morucci e Faranda. Ma è dei primi anni Ottanta lo sfaldamento della struttura unitaria, il miglioramento della capacità repressiva e della strategia secondo cui le istanze militari-carcerarie rendono le colonne B.R. sempre più lontane dalla società. L'Italia sta cambiando: lo dimostra la m
arcia dei quarantamila. E in tutta quella vertenza le B.R. sono assenti. Mentre invece a partire dalla svolta della Fiat cambia il mondo dell'industria in Italia e la figura stessa dell'operaio. Arriva una stagione di miglioramenti economici che spinge anche la base a cercare istanze di sicurezza in luogo delle sempre più oscure risoluzioni strategiche e di una escalation di violenza. Mentre le colonne territoriali diventano di fatto autonome per l'incapacità di trovare un progetto comune, l'unica direzione “strategica” è quella che determina il sequestro Dozier e le campagne anti-Nato. Di fatto, la stagione del “consenso” è morta. E quando, alla fine degli anni Novanta, i reduci cercano di ricostruirlo, mettono in secondo piano l'iniziativa anti-americana - tornata attuale con l'intervento nel Kosovo - per privilegiare i temi del lavoro e l'attenzione al nuovo fenomeno del sindacalismo di base. Diversa la questione del rapporto con la politica. Le B.R. non hanno mai cercato un
consenso, né l'hanno avuto: la strategia è sempre stata mirata ad alimentare spaccature e contrasti, colpendo gli elementi di moderazione.
Ruotolo - Fino al 1976, con l'omicidio del procuratore generale di Genova, Francesco Coco - se si esclude l' incidente di Padova del giugno del 1974, quando, nel corso di una irruzione nella sede del MSI, furono uccisi due militanti missini -, le Brigate Rosse si erano limitate ad azioni di propaganda armata. La violenza assassina dell'eversione di sinistra aveva già colpito in precedenza, a Milano, nel maggio del 1972, con l'omicidio del commissario di Polizia, Luigi Calabresi. Credo che sicuramente, fino al sequestro del giudice Sossi (1974), le Brigate Rosse abbiano goduto di un certo consenso sociale e politico nel mondo del lavoro tra gli operai, sindacalizzati e non, delle grandi fabbriche del triangolo industriale (Genova, Torino, Milano) e tra fasce del mondo studentesco e intellettuale. Anche con il sequestro e l'omicidio Moro, le B.R. - nel racconto dei suoi protagonisti - continuarono ad avere una forza attrattiva in settori del “movimento”.
La crisi di consenso - e la sconfitta non solo dal punto di vista militare - esplode tra il 1979 e il 1980, con l'omicidio del sindacalista comunista genovese, Guido Rossa, e la sconfitta operaia alla Fiat. Ma segnali si avvertono già prima a Torino, in occasione del processo delle B.R., con la reazione agli omicidi, in particolare quello all'avvocato Croce e con il fallimento politico del sequestro Moro (1978). La crisi precipita, poi, con l'implosione dell'organizzazione, con i pentimenti di Peci, prima, e di Savasta, poi.
D. Posto che le B.R. nella loro natura profonda vadano considerate un gruppo vetero-marxista/leninista, come si spiega la loro sopravvivenza politica ed operativa nell'Italia degli anni '90 e, cioè, dopo il crollo del comunismo?
Ferrara - Si spiega con la risposta alla domanda precedente. Da una base di legittimazione sociale e culturale molto vasta, dopo la sconfitta militare (ma solo in parte anche ideologica e civile) attraverso le tecniche di delazione e l'iniziativa dei corpi repressivi, e l'isolamento politico in cui i terroristi finirono dopo la campagna di primavera del ‘78 (caso Moro compreso), la ritirata non poteva che lasciare un sedimento autoperpetuantesi. E se gli anni Ottanta furono gli anni del liberismo thatcheriano, nelle diverse versioni euro-continentali, molto debole ma ideologicamente rigettato dalle classi dirigenti e dagli intellettuali e dalla sinistra di classe, è lì che il sedimento si è radicato: il terrorismo delle nuove B.R. è solo una forma di antiliberismo, una rivolta all'idea che il lavoro faccia parte di un mercato e sia una merce di cui disporre con flessibilità per creare ricchezza sociale e profitto d'impresa, per questo i
l suo nemico d'elezione è l'esperto, l'intellettuale riformista, da Tarantelli a Biagi. Il crollo del comunismo ha generato più mostri di quanto fino ad ora non si sia capito, perché il comunismo effettivo, reale, identificato in un sistema di Stati, era una molla ed una spinta, anche organizzativa e finanziaria, ma al tempo stesso un elemento di controllo politico e di realismo oggettivo, che il comunismo regredito a utopia non realizzata ha cancellato.
Cipriani – Anch'io sono dell'avviso che la spiegazione della sopravvivenza del brigatismo in Italia sia riconducibile alle considerazioni che ho fatto rispondendo alla domanda precedente: in alcuni momenti il partito armato e la sua area di consenso hanno avuto caratteri di massa. Il trascorrere degli anni non è bastato per disperdere tutto questo patrimonio rivoluzionario. Tanto più che negli anni Novanta è sopravvissuta, in alcune aree politiche radicali, la rappresentazione del brigatista come eroe positivo, comunque paladino degli oppressi. Se a questo dato si aggiunge la “irriducibilità” del filone delle B.R.-Pcc della cosiddetta “prima posizione”, i cui militanti si sono sempre rifiutati e si rifiutano di dichiarare la fine della “guerra”, si comprende perché questi due elementi abbiano contribuito al rilancio – anche se fortunatamente in forma modesta – della stella a cinque punte nel nostro Paese.
Fasanella – Si spiega con la profondità dei legami del terrorismo di sinistra con la storia italiana. Il fenomeno aveva radici nazionali così robuste da riprodursi, sia pure in formato ridotto, anche dopo la caduta del Muro, cioè in un contesto geopolitico profondamente diverso da quello che ne aveva favorito l'esistenza.
Folli - La sopravvivenza delle B.R. tra il 1988 e il 2003 è stata esclusivamente “militare”, affidata a un ristretto gruppo di latitanti. In quindici anni sono riusciti a mettere a segno soltanto due omicidi e alcune azioni dimostrative minori. Se fino al 1977 erano state inquisite 911 persone per l'attività delle sole Brigate Rosse, il periodo successivo ha visto coinvolti circa trenta militanti. Di fatto, fino al 1999, le nuove B.R. hanno potuto muoversi indisturbate. Lo smantellamento affrettato degli apparati antiterrorismo - dove alla distruzione di ogni capacità di intelligence preventiva spesso è stato abbinato il mantenimento di inutili strutture repressive - li ha messi al sicuro dai pericoli in patria, mentre la presenza di alcuni santuari internazionali (Francia, Nicaragua, Algeria ma, in parte, persino la Svizzera) ha fornito loro possibilità di movimento estese. Insomma, la cellula è sopravvissuta perché i l
atitanti non avevano nulla da perdere. E quando alla fine degli anni Novanta ha colto nelle nuove dinamiche del mercato del lavoro e nella rinnovata mobilitazione antimperialista l'opportunità del proselitismo, allora queste nuove B.R. hanno cercato di rialzare il tiro. Ma è bastata la creazione di nuovi apparati di intelligence e controlli potenziati alle frontiere - varati dopo l'11 settembre 2001 - per portare a smantellare la rete in pochi mesi. Anche in questo caso, è da sottolineare il parallelismo con la Grecia: anche lì il “17 novembre” è sopravvissuto fino allo scorso anno.
Ruotolo - Sollecitato ad analizzare - prima degli arresti dell'ottobre del 2003 - le nuove Brigate Rosse attraverso i documenti di rivendicazione degli omicidi D'Antona e Biagi, Valerio Morucci mi rispose in maniera fulminante: “Questi sono più leninisti di noi”. C'era stato il crollo del Muro di Berlino, eppure per i superstiti - i famosi raccordi dei raccordi - della stagione brigatista il progetto di rivoluzione comunista continuava ad essere valido. Naturalmente, la storia delle B.R. non va letta in continuità, a prescindere dalle prese di posizione dei suoi leader che, ogni qualvolta l'organizzazione subiva colpi durissimi per gli arresti di suoi componenti, dichiaravano conclusa l'esperienza delle Brigate Rosse. Da un certo punto di vista, la loro sopravvivenza dopo l'‘89 trova una ragion d'essere nella aberrante convinzione che, seppure in presenza di una sconfitta storica, bisognava mantenere accesa la fiammella della prospettiva rivoluz
ionaria.
D. C'è qualcosa che, nella storia d'Italia, nella sua “antropologia culturale” politica, nelle sue radici profonde, religiose o storiche, può ritenersi elemento causale significativo o fondamentale nella genesi e nello sviluppo del terrorismo brigatista?
Un qualcosa che spieghi le differenze tra il terrorismo brigatista italiano e le simili (almeno sotto il profilo ideologico) esperienze di Germania (RAF), Francia (Action Directe), Spagna (Grapo) e Belgio (Cellule Comuniste Combattenti)?
Ferrara - La debolezza dello Stato, la scarsa identità nazionale sono gli elementi centrali che spiegano molto. Aggiungerei che a questi elementi ha sempre fatto da contrappeso, specie dopo il Concilio Ecumenico Vaticano II, un cattolicesimo sociale vissuto spesso come promozione del divino nell'umano, come pastorale militante: la teologia della liberazione non fu soltanto un fenomeno latino-americano, almeno nei risvolti indiretti che l'utopismo cattolico ha avuto qui da noi. In Germania ha contato di più, di converso, il fanatismo implicito nella rivolta protestante contro quella che il poeta maledetto francese Jean Genet, simpatizzante della Rote Armee Fraktion , chiamava “la carne troppo grassa della Germania”. Quel terrorismo fu internazionalista, terzomondista, pauperista: meno marxista e classista di quello italiano, condizionato dall'esperienza del PCI, dal compromesso storico, letto come tradimento dei valori, e dai miti salvifici della R
esistenza tradita.
Cipriani - Per spiegare queste differenze, che ci sono, va preso in esame un altro elemento senza il quale alcune dinamiche possono non essere ben comprese: mi riferisco allo stragismo, alle protezioni accordate da settori della nostra intelligence e delle nostre Forze di Polizia all'eversione neo-fascista, come ormai è scritto in moltissime sentenze passate in giudicato. Mi riferisco al fatto che nel nostro Paese, che ha avuto il più grande partito comunista dell'Occidente, la guerra fredda interna ha avuto un peso ben maggiore che altrove, con tutto quello strascico di discriminazioni e quant'altro nei confronti dei “comunisti”, oggi riconosciuto con grande onestà intellettuale dallo stesso presidente Cossiga. Non a caso, in sede storico-politica, è stato spesso utilizzato, per parlare di quegli anni, il termine di “costituzione materiale”.
In Germania, Francia, Belgio e Spagna tutto ciò non è accaduto. O almeno non è accaduto negli stessi termini con cui è accaduto in Italia. L'unicità dell'eversione in Italia, a mio giudizio, va cercata all'interno di queste profonde divisioni.
Fasanella – Tante cose. Una in particolare. Il terrorismo rosso, come quello di matrice fascista, è il prodotto della degenerazione del clima da guerra civile in cui si è sviluppata la lotta politica in Italia nella seconda metà del Novecento. Dopo il 25 aprile 1945, sconfitti i fascisti, la guerra interna è proseguita tra comunisti e anticomunisti, ed è stata combattuta anche con metodi non ortodossi... Il patto costituzionale da cui erano legati i gruppi dirigenti della DC e del PCI impedì che lo scontro sfociasse in un bagno di sangue, ma non che le frange più radicali ed eversive dei due schieramenti si organizzassero. Anzi, per qualche tempo vennero addirittura tollerate e persino coperte. Era naturale che alla prima crisi seria dell'equilibrio politico sorto dopo la guerra, la situazione sfuggisse di mano. E' quello che è accaduto verso la fine degli anni Sessanta e per una buona parte dei Settanta. <
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Folli – Risposta ardua, che riconduce alla premessa originaria: le B.R. erano così uniche? O bisogna sempre sottolineare le similitudini con RAF e ‘17 novembre'? Lasciamo da parte il Grapo, nato secondo regole di clandestinità, retaggio di una guerra civile e di una lunga dittatura, e le CCC belghe, che con le B.R. hanno in comune solo i sospetti di "permeabilità" alle manovre dei servizi deviati. Action Directe - con una consistenza numerica limitata - è stata affrontata da una democrazia più matura della nostra, con un'alternanza politica che ha permesso di affrontare anche le istanze più violente: come definire altrimenti l'amnistia concessa nel 1981 da Mitterrand, solo un anno dopo l'omicidio del numero uno della Rénault? La RAF si è mossa nelle contraddizioni generazionali del dopoguerra tedesco - con un modello di socialismo reale oltre il Muro e una predominante mobilitazione anti-americana. Le B.R
. e - ancora una volta - i greci del ‘17 novembre' hanno fatto riferimento al retaggio culturale e alla tradizione della lotta partigiana comunista, “attualizzata” dal clima di imminenza golpistica e da contrasti sociali più drammatici. Insomma, capacità di creare consenso ma anche strutture clandestine a prova di repressione - almeno nelle fasi iniziali - hanno fatto la forza del movimento.
Ruotolo - Più che cercare nella storia italiana le ragioni del terrorismo brigatista e delle sue differenze con esperienze simili maturate in altre realtà europee, il nodo da sciogliere è quello di tentare di capire le ragioni per cui, a differenza degli altri paesi europei, l'esperienza brigatista sia sopravvissuta al crollo del Muro di Berlino. Perché dare una risposta a questa domanda ci aiuta a comprendere quanto la cesura epocale dell'‘89 non sia stata vissuta da quelle individualità parabrigatiste che, uscite indenni dalle ultime retate dell'‘88 e dell'‘89, non hanno saputo metabolizzare la sconfitta (politica e sociale, oltre che militare) e, anzi, hanno rilanciato, a partire dal 1990, il progetto di lotta armata ripartendo, a livello organizzativo, dalla fondazione di nuclei, i Nuclei Comunisti Combattenti.
D. Secondo una critica tutta interna al movimento rivoluzionario (quella, ad esempio, portata dai CARC, di Giuseppe Maj), le B.R. molto semplicemente non hanno più ragione di esistere: il concetto stesso di “avanguardia armata” leninista appartiene al passato remoto. Oggi, in realtà, le B.R. “ortodosse” sono in crisi. Possiamo ritenere chiusa questa stagione?
Se è chiusa, si può avviare il processo di pacificazione con tutti i suoi corollari giudiziari?
Ferrara - Sono in crisi le B.R. ortodosse, certo, ma l'iniziativa repressiva non è stata così facile come sembra. Il loro retroterra è molto limitato, ma non è scomparso. Bisogna stare in guardia.
Cipriani - Come ho scritto in un mio recente lavoro, alla nuova sconfitta politica e militare delle B.R.-Pcc non è destinata, almeno nel medio periodo, a seguire la sconfitta del “brigatismo” come malattia degenerativa del progetto rivoluzionario. Se vogliamo vedere con onestà intellettuale le cose, allora occorre dire che le B.R.-Pcc e, più in generale, l'opzione armata, godono ancora di consenso, seppur limitato. Un dato che non va enfatizzato, ma nemmeno sottovalutato.
Fasanella - Le Brigate Rosse storiche sono state sconfitte ma questo, purtroppo, non significa che la radice del terrorismo sia stata estirpata. In circolo, ci sono ancora troppe tossine che possono provocare danni. Resiste in alcune aree, certamente minoritarie, della politica e della società una "cultura dell'odio" che non rinnega del tutto la violenza come strumento di lotta politica e concepisce l'avversario come un nemico da eliminare. C'è poi il problema, mai affrontato seriamente, costituito dalla cosiddetta "area della contiguità": i simpatizzanti ed i militanti delle Brigate Rosse che non sono mai stati identificati. Molti di loro si sono rifatti una vita ed oggi sono persone rispettabili: ma è così per tutti? E infine, se esisteva un cervello politico delle B.R. (l'Hyperion di Parigi), è stato disattivato? Questo è un punto particolarmente delicato. Perché molte fonti qualificate ritengo
no infatti che il gruppo dei 10-15 personaggi noti che ruotava intorno a Hyperion, fosse soltanto la punta dell'iceberg e che Simioni avesse una rete molto più vasta, con uomini nei partiti, nei sindacati, nelle istituzioni, nel mondo della cultura e dell'informazione. Se è vero, di tutto questo, oggi che cosa resta in piedi?
Penso che potremo archiviare davvero il capitolo degli anni di piombo quando la società sarà depurata di tutte le scorie di quella stagione. E questo potrà avvenire soltanto attraverso un bagno di verità. Una volta Giovanni Moro ha detto: "Non mi attendo più giustizia, mi attendo solo verità". Sono d'accordo con lui. Dobbiamo continuare a cercare la verità, a 360 gradi. Abbiamo bisogno di costruire la memoria di quell'esperienza. Da questo punto di vista, la "pacificazione" non solo è possibile, ma a mio avviso è necessaria. Se però è intesa come una politica, come un processo tendente alla costruzione di una memoria condivisa, non esclusivamente come un atto di clemenza unilaterale da parte dello Stato.
Folli - La stagione delle nuove B.R. non è ancora chiusa. Conviene aspettare prima di decretare la fine di questo gruppo: appare difficile che i neo-brigatisti fossero presenti soltanto a Roma e a Pisa, senza nessuna cellula operante nelle metropoli del Nord. Di sicuro, la loro forza numerica è ridotta e le loro capacità operative infinitesimali: ma basta poco per compiere un omicidio clamoroso. Conviene quindi non ripetere l'errore del 1990, procedendo a una prematura distruzione dell'apparato preventivo, soprattutto in presenza di forti tensioni internazionali e sociali - come provano le vicende di Melfi o la conflittualità latente sul tema della riforma del lavoro. Ma gli anni di piombo sono sicuramente finiti, chiusi almeno dal 1987. Per questo, la necessità di arrivare ad un processo di pacificazione per quella stagione è un'esigenza che non ha più senso rinviare. Anche nei suoi corollari giudiziari: di fatto, tutti i
protagonisti di quella stagione hanno lasciato il carcere: chi grazie ai benefici della dissociazione, chi per lo scadere dei 30 anni dagli arresti. La questione irrisolta è quella della forma e della creazione di un largo sostegno politico e sociale che impedisca di trasformare un'amnistia in amnesia: la pacificazione deve essere espressione di una democrazia forte, che non ha paura di fare i conti con il suo passato. Il Capo dello Stato ha posto più volte la questione, intervenendo con gesti simbolici - quali le medaglie alla memoria di vittime del terrorismo dimenticate fino a oggi - per creare i presupposti a questo momento storico. Ma finora i partiti non hanno dimostrato la maturità necessaria ad affrontare questa sfida.
Ruotolo – Sono d'accordo anch'io nel ritenere che la stagione brigatista non sia finita, nel senso che non si può escludere che altri - anch' essi raccordi dei raccordi - possano decidere di utilizzare quel marchio e quel simbolo. Non lo credo nonostante gli ultimi militanti e simpatizzanti siano stati in gran parte neutralizzati. La crisi delle B.R. "ortodosse", in realtà, non è iniziata ieri, con la presa d'atto della sconfitta storica della concezione leninista dell'avanguardia armata, ma ben prima, agli inizi degli anni Ottanta.
Le B.R. di Nadia Lioce e Mario Galesi, da questo punto di vista, rappresentano un'anomalia straordinaria, essendo un'organizzazione armata comunista che si è ricostituita rifiutando ogni rapporto e confronto con il "movimento". Il dilemma che ha accompagnato da sempre le B.R. sull'essere pesci che nuotavano fuori dall'acqua del movimento, i due brigatisti lo hanno risolto a monte. Detto questo, è più probabile che dalle ceneri delle ultime Brigate Rosse, dallo spazio lasciato vuoto, vengano promosse altre esperienze di lotta armata meno ideologizzate, più pragmatiche, più di "movimento", un mix di pulsioni anarco-insurrezionaliste e della sinistra antagonista. A distanza di un ventennio, la riapertura della discussione sulla necessità di avviare un processo di pacificazione non mi pare certo d'attualità.
Questo “forum” ci offre un ventaglio di interpretazioni sul fenomeno brigatista che, a nostro parere, aiuta a comprendere - con una sintesi storica mirabile – le complessità, le sfaccettature, le implicazioni sociali e politiche e, per ultimo ma non meno importante, le origini del terrorismo B.R.. Le risposte che ci vengono offerte non sono definitive ma invitano ad ulteriori riflessioni e ricerche. Consideriamo questo forum solo l'inizio di un discorso che svilupperemo, seguendo lo stesso schema, nei prossimi numeri, per affrontare l'analisi di tutti gli aspetti del terrorismo, domestico e internazionale. Il terrorismo sembra infatti destinato a durare nel tempo e, per essere contrastato con efficacia, deve prima essere capito.
Forse dovremmo concludere con una nostra opinione, specialmente in merito all'ultima domanda. Preferiamo prendere in prestito - inserendole virtualmente nel dibattito - le parole scritte da un altro Direttore di giornale, Antonio Polito , che sul “Riformista” del 10 giugno 2004 ha così commentato la condanna all'ergastolo di Nadia Desdemona Lioce:
“La rivoluzionaria Lioce non è certo fatta dello stampo di cui furono fatti i suoi predecessori; ne è l'epigone stanca, già corrotta dalla deriva mediatica, dal gossip da palazzo, che si preoccupa della sua immagine pubblica, che assumerebbe uno spin doctor se solo potesse per contrastare le campagne di stampa a suo danno, che confonde l'omicidio di Marco Biagi con il tentato omicidio della sua memoria. La sua ideologia sta alla lotta di classe come Novella 2000 sta alla storia del romanzo popolare. Ma la Lioce è pur sempre la dimostrazione più evidente del perché la cosiddetta stagione non può essere chiusa, messa tra parentesi, come se appartenesse alla storia, anzi a un'altra storia. Il nichilismo terrorista risuona ancora nelle aule di giustizia italiane, e fa ancora botti nelle piazze d'Italia. Il serpente è oggi solo una biscia, che può essere schiacciata prima che morda ancora. Ma l'uovo che lo generò è ancora vivo e vegeto,
e ansioso di nuovi parti”.
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