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GNOSIS 1/2004
I corridoi europei per la sicurezza e la libertà

Emmanuela C. DEL RE

È forse la sicurezza la variabile discriminante che ha decretato l’esclusione del Corridoio Paneuropeo VIII dalla lista dei progetti prioritari dell’UE da realizzare entro il 2020? Dei due corridoi che interessano l’Italia solo il Corridoio V resta incluso. Eppure il Corridoio VIII, che attraversa Albania, F.Y.R. Macedonia e Bulgaria, doveva costituire uno strumento per la stabilizzazione dell’area, proprio per il suo ruolo cruciale nell’integrazione regionale. Quali le conseguenze?


Grandi aspettative

Ad un simposio sul Corridoio VIII tenutosi a Tirana alla vigilia di Pasqua di quest’anno, organizzato da Kujtim Harshorva e Arben Peto, erano presenti Preç Zogai, capo della commissione parlamentare albanese sul Corridoio, e altri, tra cui Aleksander Meksi. Anziani albanesi sostenevano nei loro interventi quanto l’Albania debba ricordare al mondo la sua grande storia; imprenditori locali illustravano progetti di infrastrutture legati al Corridoio; membri delle ambasciate russa e americana parlavano fitto fitto tra loro; chi scrive teneva la relazione conclusiva. Difficile parlare ancora al presente e in toni ottimistici di un Corridoio che non rientra più tra i progetti prioritari dell’UE, e la cui realizzazione è rimandata a dopo il 2020. Difficile ma non impossibile, visto che la discussione in Italia è ancora tanto viva e che comunque molte cose si muovono intorno al progetto. Intanto il Segretariato internazionale del Corridoio VIII con sede a Bari e gestito dalla Fiera del Levante sta finalmente procedendo alle selezioni per il suo personale.
La decisione, che ha decretato la morte momentanea del Corridoio, è stata presa a seguito delle conclusioni del rapporto elaborato dall’High Level Group, diretto da K. Van Miert (K. Van Miert, High Level Group Report. Priority Projects for the Trans-European transport Network up tp 2020, EC Directorate General for Energy and Transport, 2003; www.europa.eu.int/comm/dgs/energy_transport/index_fr.html), presentate al Vice-Presidente della Commissione responsabile dei Trasporti e dell’Energia, il 30 giugno 2003, per questo settore (TEN-T). Nel rapporto sono stati delineati i progetti prioritari fino al 2020 sulla base delle proposte avanzate dai membri dell’UE e dai paesi che ne faranno presto parte. Vengono identificati progetti equivalenti a circa 235 miliardi di Euro e strategie per il reperimento di fondi. La linea seguita è quella di favorire il traffico transnazionale sugli assi di collegamento transeuropei principali, caratterizzati da flussi consistenti e fondamentali dal punto di vista geografico o economico.
Qui emerge un controsenso: non sono fondamentali i flussi nella regione dell’Europa sudorientale attraversata dal Corridoio VIII? La regione come territorio di transito assumerà sempre maggiore importanza in futuro soprattutto per la rotta Europa-Asia. Lo sviluppo delle infrastrutture sarebbe quindi essenziale. E ancora, non è l’integrazione regionale – cui le infrastrutture contribuiscono molto – uno strumento fondamentale per lo sviluppo e la stabilizzazione? E dunque l’area del Corridoio VIII non dovrebbe in questo senso avere la priorità?
La decisione dell’UE sembra in contrasto con quelle ambizioni di ampliamento della propria sfera d’influenza che apparivano già evidenti dal 1994, quando a Creta fu dato un segnale concreto dell’aspirazione dell’Unione a creare una rete di collegamenti stradali su cui costruire o consolidare rapporti politici, commerciali e sociali. Allora vennero definiti nove Corridoi e poi ad Helsinki nel 1997 fu aggiunto un decimo corridoio, non a caso lasciato in sospeso perché attraversava tutta la ex-Jugoslavia. Ad Helsinki sono state stabilite le finalità di questa politica dei trasporti unificata: “per promuovere un sistema dei trasporti sostenibile ed efficiente, che rispetti i bisogni economici, sociali, ambientali e di sicurezza dei cittadini europei, che contribuisca a ridurre le disparità regionali, e che permetta al volume d’affari europeo di essere efficacemente competitivo nei mercati mondiali” (ECMT, Helsinki Declaration,25th June 1997).
Se si guarda a come si dipanano i Corridoi in tutte le direzioni, appaiono evidenti alcuni obiettivi politici e strategici: l’Europa Orientale, un tempo “russocentrica”, sposta il suo centro gravitazionale ad ovest e i corridoi si diramano fin oltre il continente, attraverso l’incorporamento dei maggiori porti e delle principali rotte verso l’esterno dell’UE (aree Paneuropee di Trasporto (PETrA) sono: Mare di Barents e Baltico Settentrionale; Mar Nero; Mar Mediterraneo, Mar Adriatico-Mar Ionio). Nella Conferenza di Helsinki sono stati previsti collegamenti transcontinentali come: le direttrici del Mare del Nord; la direttrice transiberiana; la direttrice che va da Mosca a Novorossiysk e all’Astrakan; la direttrice tra la costa meridionale del Mar Nero e il vicino Medio Oriente; il collegamento TRACECA (Transport Corridor Europe Caucasus Asia), incluso il canale Volga-Don; estensioni a tutte le parti dell’Asia e del Pacifico. Nell’intersecarsi delle tratte dei Corridoi Paneuropei si gioca anche la grande partita energetica del futuro, soprattutto per quanto riguarda il Caucaso, il Mar Nero e l’Ucraina, quest’ultima già divenuta terreno di scontro politico tra UE e Russia. La Russia vorrebbe infatti che il flusso dell’oleodotto Odessa-Brody venisse invertito, cioè indirizzato verso la Russia anziché verso nord e poi attraverso l’Ucraina in Europa. Dal gennaio 2003 l’ultimo tratto di circa 50 miglia dell’oleodotto ha effettivamente funzionato in direzione inversa: verso la Russia. L’UE si è dichiarata apertamente contraria all’inversione del flusso perché teme di perdere accesso diretto al petrolio del Caspio.
Fin dal trattato costitutivo della Comunità Europea, la politica relativa ai trasporti e alle infrastrutture è stata considerata una priorità. È importante non solo per l’integrazione degli Stati membri, ma anche per l’adesione di quelli che lo diverranno. Gli obiettivi strategici riguardano sia la realizzazione di strutture che permettano al mercato interno di svilupparsi e favoriscano la liberalizzazione dell’intero sistema di trasporto (aereo, terrestre e marittimo), sia la creazione di un sistema di collegamenti integrati tra i vari Paesi e, quindi, i collegamenti all’interno dell’Europa attraverso i dieci corridoi Pan-europei. Una vera sfida al processo di allargamento europeo, poiché i trasporti e le infrastrutture sono cruciali per la capacità di integrazione dei mercati. Su questo punto UE e Russia si trovano in accordo: nel ritenere che l’integrazione economica sia il maggior fattore di garanzia per la stabilità e che quindi i Corridoi, per il loro forte impatto economico, sono un importante elemento di stabilizzazione.
Grandi aspettative, dunque, perfettamente recepite dai paesi interessati. In particolare, da quelli dell’Europa Orientale e Sud Orientale, con infrastrutture in cattivo stato, quando non pessimo, o addirittura inesistenti. Per non parlare della dimensione multimodale dei Corridoi - trasporti, energia, telecomunicazioni - la cui realizzazione per alcuni paesi è ancora un miraggio.
Aspettative ribadite nelle conclusioni della Presidenza dell’UE, dopo il Consiglio europeo del 21 marzo 2003, in cui si invitavano le strutture dell’Unione a “definire gli orientamenti necessari in termini di connettività, specialmente nella prospettiva dell’allargamento, ai fini di un uso più razionale e di un miglioramento delle infrastrutture esistenti, completandone nel contempo (nel corso del prossimo periodo di programmazione) i collegamenti mancanti, riducendo le strozzature in regioni quali le Alpi, i Pirenei, il Massiccio Centrale e il Mar Baltico, in particolare quelli connessi alle barriere naturali transfrontaliere, promuovendo gli investimenti nelle infrastrutture di base attraverso gli strumenti di finanziamento dell’UE disponibili e iniziative congiunte tra pubblico e privato”.
Il Corridoio VIII resta invece fuori dalla lista dei progetti prioritari. Un fallimento della politica italiana, secondo alcuni, pur essendo Bari la sede del Segretariato Internazionale. Forse invece una manovra dell’Italia per poter ottenere almeno uno dei Corridoi che interessano il Paese, e tra questi quello che offre più vantaggi, il Corridoio V. E se l’Italia avesse invece “scelto” deliberatamente di portare avanti il Corridoio V, accantonando l’VIII? Difficile accogliere o rifiutare del tutto l’una o l’altra teoria.
Peccato. Peccato per l’Italia, gigante economico nei Balcani, che da questo asse di collegamento che attraversa Albania, F.Y.R. Macedonia e Bulgaria avrebbe potuto ricevere e dare molto. Peccato per i paesi attraversati dal Corridoio VIII, che ripongono tuttora in esso molte speranze, legate non solo ai vantaggi e alle potenzialità economiche che il miglioramento delle infrastrutture potrebbe apportare, ma anche ai risvolti sociali di un simile grande asse di collegamento. Movimento di gente, idee, facilitazione della mobilità sociale favorita dai migliori collegamenti periferia-centro, laddove la periferia resta fortemente al margine di tutto quello che accade nel centro per la mancanza di mezzi di trasporto, vie di comunicazione e telecomunicazioni adeguati.
Certo il Corridoio V ha enormi, evidenti, potenzialità ed è già in avanzato stato di realizzazione. Attraversa per lo più paesi ormai membri dell’Unione come la Slovenia e l’Ungheria, ma anche la Croazia, pupilla dell’Unione fin dalla guerra di secessione dalla Jugoslavia. Le sue diramazioni poi si estendono a Slovacchia a nord e alla Bosnia Erzegovina a sud. L’altro capo del percorso peraltro è l’Ucraina, in cui l’Italia ha molto investito. Per non parlare dello sviluppo di Trieste che con il Corridoio assumerà ancora più valore come porto dell’Adriatico e di tutto il Nord-Est italiano, soprattutto in relazione alle Autostrade del Mare (progetto italiano per far divergere parte del traffico di merci sul trasporto marittimo), inserite tra i progetti prioritari dall’High Level Group, e al Corridoio Adriatico. Esistono infatti stretti e consistenti rapporti commerciali dell’area con Croazia, Slovenia, Ungheria e Romania. Ancora, il Corridoio V costituisce la naturale prosecuzione della linea ferroviaria ad alta capacità (Torino-Milano-Venezia-Trieste) che attraversa una zona dell’Italia ad alta produttività. Il Corridoio V è collegato anche al tunnel ferroviario Torino-Lione, utile alla Spagna che così si congiungerà ai Paesi dell’ex-Unione Sovietica. Il Corridoio è in diretta concorrenza con l’asse Parigi-Berlino-Varsavia-Mosca.
Dal punto di vista politico e sociale, il Corridoio V faciliterà il percorso dell’integrazione europea, “avvicinando” realtà ancora lontane, come quelle dei paesi attraversati dal Corridoio che presentano situazioni economiche e socio-politiche disomogenee. Secondo l’UE, il Corridoio V permette quella maggiore “connettività” da essa auspicata.
Certo i sistemi paese entreranno in competizione e questo comporterà difficoltà per le PMI poco sostenute da servizi. È importante che vi sia sostegno alle PMI in particolare attraverso l’afflusso di capitale e di innovazione tecnologica. Inoltre le politiche economiche, se non ben definite potrebbero comportare uno spiazzamento degli investimenti privati o un eccesso di offerta di infrastrutture a causa di colli di bottiglia in altri settori e/o mercati.
L’Italia comunque ne trarrà enormi vantaggi, perché il Corridoio rappresenta uno strumento che permetterà la competizione ad “armi pari” con gli altri Paesi europei forti, anche durante il processo di allargamento. Nei Paesi ad est attraversati dal Corridoio V e dal Corridoio VIII, l’Italia figura sempre tra i primi tre partner commerciali. Secondo recenti studi i principali vantaggi dell’allargamento ad Est ricadranno prevalentemente sui Paesi con legami commerciali già sviluppati, quindi anche sull’Italia.
Anche il Corridoio VIII offrirebbe vantaggi simili, se non altro per la contiguità territoriale e per la già massiccia presenza economica nella regione dell’Europa Sudorientale. Eppure il Corridoio VIII è fuori dai progetti prioritari.
Probabilmente una questione che si è rivelata cruciale in questo senso è la sicurezza. Sicurezza, intesa anche come fattore di rischio - corruzione, criminalità - per le imprese straniere, che determina i bassi livelli di Foreign Direct Investment nella regione. Ancora, i Corridoi da questo punto di vista per alcuni sarebbero ambivalenti in quanto proprio la facilitazione del movimento può costituire un aumento delle questioni di sicurezza, a causa dello scarso controllo e della corruzione alle frontiere, delle manipolazioni malavitose degli appalti e altro.
Sfumano i contorni di questa immagine pessimistica se si pensa ai grandi mutamenti positivi che nonostante le crisi sono avvenuti nella regione dalla fine degli anni 1990, e che la Bulgaria è già nello Schengen, una svolta epocale per una popolazione blindata nel recinto del suo territorio e in quello dell’Unione Sovietica fino a soli tredici anni fa.


Quale sicurezza

Una fonte istituzionale riservata bosniaca confidava a chi scrive che le speranze ottimistiche espresse dal think tank internazionale European Stability Initiative (Imposing Constitutional Reform. The case for ownership. Discussion Paper, 2003, www.esiweb.org) riguardo alla Bosnia, per cui il Paese sarebbe pronto a cavarsela da solo anche senza la presenza militare, sono del tutto utopistiche. In realtà, secondo la fonte, i politici locali avrebbero tutti una “second agenda” e anzi non attendono altro che le forze internazionali abbandonino il Paese per riaccendere i vecchi fuochi.
Che nei Balcani questioni latenti restino aperte è certo. Basti ricordare gli ultimi fatti di sangue in Kossovo, il cui status ancora incerto secondo molti costituisce la bolla di una livella che non trova il suo equilibrio nella regione .
Questioni di sicurezza che investono, è bene dirlo, soprattutto la popolazione. Se si pensa che a causa del conflitto in Jugoslavia vi è stato un enorme movimento di persone e che ci sono tuttora circa 4 milioni e mezzo di Displaced Persons - persone che vivono come rifugiati nei paesi che sono derivati dalla frammentazione della Jugoslavia - e Internal Displaced Persons - persone costrette a fuggire e lasciare le loro abitazioni a causa dei conflitti, e che si sono rifugiate in qualche luogo all’interno dello stesso Paese in cui vivono abitualmente si comprende l’impatto dal punto di vista della sicurezza. Lo sanno bene Albania e F.Y.R. Macedonia, che per il conflitto in Kossovo hanno dovuto fronteggiare l’arrivo di centinaia di migliaia di sfollati. I paesi hanno ricevuto aiuti, una cui cospicua parte, però, secondo fonti governative albanesi riservate, non è stata utilizzata allo scopo per cui era stata stanziata. Ad esempio, durante la crisi del Kossovo, l’IDA (International Development Agency) ha dato un sostegno al governo albanese per fronteggiare l’emergenza dovuta alla migrazione dei profughi dal Kossovo. Nel maggio 1999 fu approvato il Public Expenditure Support Creditche stanziava 30 milioni di $, e in giugno lo Structural Adjustment Credit per altri 45 milioni di $. Il Post Conflict Grant di 1 milione di $ doveva andare a sostegno dei rifugiati albanesi del Kossovo in Albania e della popolazione albanese nelle aree toccate dall’emergenza. Nel giugno del 1999 fu approvato anche un credito supplementare di 5 milioni di $ per il Community Works Project. A questo seguì una serie di altri finanziamenti: Emergency Road Repair Project [</i>](13.7 milioni di $), Water Supply Urgent Rehabilitation Project(10 milioni di $) per riparare i danni della crisi.
Si è creato un “sistema” organizzato per la gestione della crisi che è entrato in contatto anche con la rete criminale già attiva, ad esempio quella di Valona, creando “agenzie” illegali per aiutare gli albanesi del Kossovo a recarsi in Italia per poter poi raggiungere Germania, Svizzera o Belgio.
Nella regione però i problemi della sicurezza vanno dalla criminalità spicciola agli attentati che spesso nascondono pericolosi legami tra mafie e politica, come l’assassinio del premier Dindic in Serbia e del capo della Comunità Islamica in Albania nel 2003. Questi episodi potrebbero tramutarsi in fattori fortemente destabilizzanti soprattutto se si considera l’emergere di un nuovo tipo di conflitto, “pervadente”. È sfaccettato e include in sé diversi aspetti, da quello politico al religioso, all’etnico. Il terrorismo islamico e la posizione degli USA costituiscono un esempio degli elementi che possono costituire tale conflitto, proprio per la sua multidimensionalità. In uno stesso territorio, soprattutto nei Balcani dove le realtà nazionali sono per lo più multietniche, le comunità locali possono sostenere l’uno o l’altro attore in conflitto. Da una parte i Paesi della regione aspirano ad entrare nell’EU e nella NATO e rientrano nell’area di influenza USA; dall’altra le comunità musulmane locali, pur essendo laiche e per tradizione indipendenti, sarebbero tuttavia influenzate dall’appartenenza religiosa: tra i progetti degli integralisti islamici vi sarebbe quello di costituire un’asse Tirana-Sarajevo attraverso le comunità musulmane della regione.
Ancora, i conflitti sono diventati terreni di lotta per l’affermazione di un gruppo o l’altro. Durante il conflitto serbo-croato, la Fratellanza Musulmana ha portato aiuti alle popolazioni colpite dalla guerra creando così, secondo alcuni, le condizioni per l’inserimento del radicalismo nel tessuto sociale; allo stesso modo Ong americane di matrice cristiano-integralista operavano tra i croati in Croazia.
Questa semplificazione della natura del conflitto e degli attori in campo è pericolosa perché può comportare ulteriori conflitti locali a causa dell’identificazione del nemico come “terrorista” o “imperialista” e della falsa percezione di combattere una guerra al fianco del più forte: USA o Islam integralista. Lo stesso rischio si corre sul piano internazionale, come è accaduto in F.Y.R. Macedonia durante la crisi del 2001, quando i guerriglieri albanesi dell’UÇK macedone sono stati assimilati, da stampa ed organi governativi ai terroristi islamici, con evidente distorsione della percezione del conflitto in atto.
Quale il ruolo dei Corridoi nei conflitti? Essi possono diventare strumenti di prevenzione dei conflitti dal punto di vista strategico, sia perché permettono un migliore controllo dei movimenti, sia perché convogliano i flussi, che quindi possono essere interrotti o favoriti più facilmente. Durante la guerra serbo-croata l’interruzione dell’“Autostrada della Fratellanza” da parte dei Croati, che attraversava da nord a sud tutta la Jugoslavia – corrisponde oggi al Corridoio X – fu il segnale di un vero distacco territoriale, con tutto ciò che simbolicamente e politicamente ciò comporta.


Cari amici e nemici

“Terrorista” è un’accusa ricorrente tra nemici, soprattutto in Albania. “Terroristi” erano per serbi e macedoni i guerriglieri albanesi dell’Uçk macedone o kossovaro. “Terroristi” sono i manifestanti nelle piazze. “Terrorista!” grida l’automobilista all’altro che gli ha tagliato la strada. Lo stesso Dipartimento di Stato americano, d’altra parte, già nel 1998 annoverava l’UÇK tra le organizzazioni terroriste, sottolineando che la sua attività era finanziata con denaro proveniente dal traffico internazionale di eroina e con prestiti di Paesi e individui islamici tra i quali Osama Bin Laden.
Per orientarsi nel panorama degli episodi di violenza nei Balcani, una regola potrebbe essere quella di ricordare che nel caso di attentati contro obiettivi civili, soprattutto in Albania e F.Y.R. Macedonia, probabilmente questi non hanno connotazione politica o ideologica, ma si tratta piuttosto di ritorsioni della criminalità organizzata. Se sono diretti a obiettivi etnici o politici, potrebbe trattarsi di episodi legati alla guerriglia, spesso perpetrati da gruppuscoli indipendenti che non rispondono alla strategia generale ma che cercano così una rapida affermazione.


Di terrorismo internazionale e integralismo islamico esistono però tracce consistenti. L’integralismo islamico nei Balcani ha sviluppato una rete che si avvale anche delle strutture della criminalità. Ad esempio, un numero limitato di mujaiddhin vivrebbe stabilmente in Kossovo e F.Y.R. Macedonia: questi farebbero parte di quella avanguardia pronta ad intervenire con operazioni terroristiche in Europa occidentale, in nome del Jihad o per eseguire una eventuale Fatwa: una scelta dettata anche dalla facilità di reperire qualsiasi tipo di armamento in tempi straordinariamente brevi nei Balcani, una capacità acquisita dalla criminalità organizzata del Kossovo e della Bosnia durante i conflitti.
Esiste però anche una guerra dei singoli, capaci di fare attentati al proprio vicino di casa perché di etnia diversa, magari per via di un annoso contenzioso sul viottolo che conduce alle case di entrambi. In Albania persistono episodi di vendette che si rifanno a faide tra famiglie che risalgono a decenni prima come vuole il codice consuetudinario. Qualcuno viene ritrovato morto con un porro in mano perché la frase idiomatica albanese per “colto con le mani nel sacco” è “colto col porro in mano”.
Non è terrorismo tutto questo, e nei Balcani è difficile, lasciandoci andare ad una estrema semplificazione, pensare ad un’organizzazione tanto strutturata da poter portare ad attentati su vasta scala. La criminalità infatti si ferma di fronte al continuo desiderio di prevaricazione che caratterizza i gruppi tra loro e anche all’interno di essi. A parte alcune famiglie che nella zona al confine tra F.Y.R. Macedonia, Kossovo e Albania si sono affermate sul territorio spartendoselo, difficilmente i gruppi criminali riescono a strutturarsi tanto da diventare permanenti e forti.
È una questione di mentalità. Arben, 23 anni, confidava a chi scrive che gli piaceva molto lavorare per il suo capo-banda, perché quello insultava anche il capo dei capi, dicendo che prima o poi lo avrebbe ammazzato per non dover subire lo scorno di ricevere ordini. Arben diceva ridendo che una volta che il suo capo-banda fosse diventato il capo dei capi, lo avrebbe ammazzato per non subire lo scorno di ricevere ordini da lui. La sua visione del futuro non andava più in là di così: non superava il momento in cui sarebbe stato lui il capo dei capi.
La criminalità organizzata nell’Europa Sudorientale, locale e transnazionale, risente delle strategie politiche e geopolitiche messe in atto dai passati governi comunisti: con la caduta dei regimi totalitari anche le organizzazioni criminali vengono in qualche modo “liberate”, perché i territori e le competenze criminali non sono più delimitate. I regimi della regione avevano infatti “stili” criminali a sé stanti, come l’Albania che includeva il contrabbando tra i capitoli del bilancio statale, seppure di modesta entità. Il mutato assetto geopolitico ha comportato la possibilità dell’allargamento a nuovi territori sia sul piano nazionale sia su quello internazionale. Non che le frontiere fossero prima completamente impermeabili: quel che è certo è che il volume d’affari è aumentato esponenzialmente. Questo anche a causa della crisi economica seguita alla caduta dei muri, all’improvviso potere di cui sono stati investiti gli impiegati statali nelle amministrazioni pubbliche, che peraltro percepivano stipendi da fame. La disoccupazione poi, causata dalla chiusura di fabbriche in passivo tenute tuttavia in piedi fino ad allora, ha aumentato a dismisura il bacino della manovalanza cui attingono le organizzazioni criminali.
La dimensione territoriale emerge nel fatto che la criminalità era controllata dallo stato che decideva dove far risiedere i cittadini, che limitava i loro movimenti sul territorio all’interno e all’esterno del Paese, che affidava a determinate regioni o gruppi etnici particolari mansioni e competenze anche criminali. Da più parti è sostenuto che nella ex-Jugoslavia l’attività del narcotraffico in Kossovo facesse parte di un tacito accordo dilaissez faire tra albanesi e Governo Centrale, accordo poi violato da MiloŠsevic´ che avrebbe così dato inizio a dispute sulle modalità tra serbi e albanesi del Kossovo, fino ad allora espletate in armonia, ed a lotte per la conquista del territorio tra le bande criminali albanesi.
Il territorio riguarda anche le aree grigie il cui numero e la cui estensione cresce. Sono zone controllate dalla delinquenza dove l’azione delle forze dell’ordine è inefficace poiché sono praticamente al di fuori della sovranità dello Stato, come la ŠSar Planina in F.Y.R. Macedonia e il nord-est dell’Albania. Le aree grigie possono essere considerate feudi controllati dalla malavita locale ma che forniscono ospitalità e sostegno logistico anche alle organizzazioni transnazionali. Per un lungo periodo, infatti, molti latitanti italiani hanno trovato rifugio a Durazzo mentre, paradossalmente, i latitanti albanesi prendevano la strada per Brindisi. In questo senso il miglioramento delle infrastrutture è fondamentale. Se si favorisce la possibilità di rapporti periferia-centro, si aumenta la possibilità di operare controlli. Si pensi che a causa della difficoltà di spostamento, nelle Alpi del nord-est dell’Albania, al confine con il Kossovo, è tornato a regnare il brigantaggio, arginato dal regime di Hoxha attraverso il piazzamento in loco di persone provenienti da altre regioni ben armate di strumenti di repressione politici e “automatici”.
Grande impulso alla lotta all’illegalità si potrebbe dare sciogliendo gli “ingorghi” di criminalità attraverso il miglioramento di collegamenti stradali, servizi energetici e telecomunicazioni (in molte aree della regione i servizi sono inadeguati o inesistenti). La cosiddetta pax mafiosa si regge anche sul tenere “in ostaggio” popolazioni locali ricattate dal guadagno facile che si ottiene attraverso la manovalanza criminale e che sono tagliate fuori dal mondo. Un mondo che resta per loro ancora feudale. Una pax mafiosa è stata raggiunta lungo quasi tutto il percorso del Corridoio VIII, sebbene più volte sia venuta a mancare a causa delle crisi, con conseguente mutamento dei percorsi dei traffici da parte della criminalità, spesso però con l’entrata in conflitto dei gruppi malavitosi tra loro.
Che le restrizioni territoriali non portino che effetti negativi appare chiaro anche quando si analizza l’effetto degli embarghi nella regione. Gli embarghi contro la Jugoslavia hanno dato infatti un impulso importante all’aumento dei traffici illeciti (droga, armi, riciclaggio di valuta) e di quelli leciti svolti illegalmente (frode doganale, violazioni di embarghi per merci di libero consumo quale il petrolio). Lo sviluppo della criminalità organizzata serba ha coinciso con il periodo degli embarghi: in quel periodo ha infatti rafforzato la propria capacità operativa e ha stretto saldi legami con organizzazioni simili nei Paesi confinanti.


Tasche piene e tasche vuote

Alle 19.30 Nedko Minchev giunge al confine con il suo autoarticolato carico di fertilizzanti. Ha caricato alle 5 del mattino al porto di Varna sul Mar Nero, destinazione KiŠcevo, F.Y.R. Macedonia, e con questo caldo si è fermato a riposare un’oretta una volta superato il tratto di strada peggiore. D’altra parte il camion è suo e della sua famiglia, il lavoro dipende da lui. È l’investimento dei risparmi di una vita e c’è voluto un indebitamento serio per farcela. Con un gesto distratto il poliziotto in piedi gli fa segno di accostare, poi si siede e continua a sorseggiare il suo caffè. Nedko accosta.
Un TIR arriva strombazzando. L’autista si sporge dal finestrino e tende il pugno chiuso a un doganiere che glielo stringe tra le sue mani e gli dà in cambio un documento. Scambio di battute sullo stato di salute della famiglia di entrambi e il TIR è al di là del confine. Alle 22.30 Nedko ha già visto altri sette camion passare allegramente. Alle 2 del mattino Nedko ha finalmente preso un caffè coi doganieri, sempre quelli. Poi ha offerto sigarette a tutti e con finta noncuranza, ma con le mani bene in vista, ha lasciato un rotolino di banconote sotto il piattino della tazzina. Il doganiere gli ha detto allora buon viaggio e gli ha messo nel taschino della camicia il documento. Nedko è al di là del confine, con cuore e tasche più leggeri. Cento Euro non sono uno scherzo per uno che con lo stipendio di operaio ne guadagnava 80 al mese fino a ieri. E cento Euro saranno ad ogni passaggio, d’ora in poi.
La corruzione è un serio problema che affligge l’Europa Sudorientale e negarne l’esistenza ostacola la lotta contro di essa e contribuisce alla sua diffusione. È un fenomeno che va analizzato con attenzione. La corruzione è uno dei fattori che genera la criminalità. L’intero sistema mafioso-criminale balcanico si alimenta attraverso una fitta rete di corruzione, sia esso a livello locale sia transnazionale.
La diffusione della corruzione nella regione è avvenuta parallelamente ai cambiamenti radicali degli ultimi anni che a causa del vuoto legislativo e della recessione hanno dato a pubblici ufficiali l’inaspettato potere di decidere il destino delle persone anche solo con un documento. Le frontiere sono uno dei punti nevralgici della questione per entrambi i Corridoi, VIII e V. Lungo il Corridoio V c’è un enorme traffico di merci che vanno da quelle dichiarate a quelle non dichiarabili, come migranti clandestini e donne destinate alla prostituzione. L’effetto del malfunzionamento delle frontiere è tale da ricadere anche sul bilancio dello Stato, poiché i flussi di merci rappresentano nei paesi in questione, visti i limiti dei sistemi fiscali, una parte rilevante della ricchezza prodotta annualmente.
La tipologia della corruzione è varia. Il Suitcase trade (commercio con valigie), ad esempio, riguarda l’amministrazione: coinvolge uno o più membri di una famiglia che stabiliscono dei contatti con individui che lavorano nelle dogane o in altre agenzie di controllo e li corrompono per far passare merci illegali in piccole quantità. Il contrabbando genera reti di corruzione che coinvolgono un’intera catena di individui e comporta la redistribuzione del denaro ottenuto per corruzione; questa catena coinvolge pubblici ufficiali di diverse agenzie, che forniscono containers, corridoi di trasporto, terminal per il carico e lo scarico delle merci. Anche nei traffici che coinvolgono il mondo politico esiste la corruzione, questa volta in grande scala, perché collegata direttamente con membri della classe politica, che permette un alto grado di organizzazione.
La corruzione è alla base anche del traffico di esseri umani. Questo ha caratteristiche legate al territorio e al contesto in cui si svolge. Il tipo di persone coinvolte nel traffico va dai veri e propri gestori del traffico dei clandestini a doganieri corrotti che accettano passaporti falsi. Le persone che sono coinvolte nel traffico di persone spesso hanno doppia nazionalità e usano nomi diversi. Nel traffico sono coinvolte agenzie di viaggio o che si occupano di procurare visti (diffuse in Russia e nel resto dell’Europa Orientale, nonché in Bulgaria). La semplificazione delle procedure per l’ottenimento dei visti per l’Europa per i cittadini dei Paesi Balcanici, o addirittura l’inclusione di un Paese nell’area Schengen, come è avvenuto per la Bulgaria, darebbe un colpo mortale a questo tipo di traffici.
Il controllo delle dogane è prioritario tanto per lo Stato, quanto per le organizzazioni criminali transnazionali. Il controllo del valico di frontiera, per i criminali, rappresenta la possibilità di trafficare con gli altri paesi, mentre per lo Stato è una necessità di sicurezza interna ma deve essere anche la garanzia di libero commercio e di riscossione dei dazi.


Perché i Corridoi

Il Corridoio VIII non è stato incluso dall’UE tra i progetti prioritari da realizzare entro il 2020. Eppure il suo ruolo resta preminente nell’integrazione regionale, strumento fondamentale per la stabilizzazione e la prevenzione dei conflitti.
L’approccio regionale è stato sancito dal Patto di Stabilità varato nel 1999 all’indomani della conclusione del conflitto in Kossovo, ma di integrazione regionale si parla fin dal 1934. Allora si era tentato di preservare lo status quo nella regione con un Patto Balcanico che prevedeva la creazione di strumenti politici per permettere ad un Consiglio Permanente dei Ministri degli Esteri dei paesi membri di incontrarsi con regolarità. Lo scopo era allora quello di difendersi dalle grandi potenze ed acquisire forte autonomia, ma non possedendo strumenti adeguati per la sicurezza, alla fine i singoli Paesi fecero accordi bilaterali con Germania e Italia. Negli anni 1970 e 1980 ci furono poi cauti tentativi di multilateralismo attraverso la creazione di forum di consultazione regionale con una serie di conferenze nelle capitali balcaniche durante tutto quel ventennio, anche se gli argomenti toccati erano in genere di bassa politica.
I Ministri degli Esteri dei Balcani si incontrarono a Belgrado tre volte tra il 1988 e il 1990, ma l’accendersi del conflitto nell’ex-Jugoslavia vanificò l’iniziativa. Che i Paesi già riconoscessero di avere interessi comuni è evidente, ma da allora sono intervenuti altri criteri e i singoli Paesi della regione si sono concentrati su NATO, EU e UEO, per acquisire una dimensione internazionale, tralasciando quella regionale che peraltro con i numerosi conflitti e l’instabilità non sembrava più costituire un vantaggio. Solo nel 1996, la Bulgaria promosse l’iniziativa di creare una sorta di multilateralismo balcanico, da cui scaturì una dichiarazione congiunta sulla stabilità regionale, la sicurezza e la cooperazione. In seguito la cooperazione interbalcanica è stata istituzionalizzata al fine di promuovere la stabilità nella regione attraverso democratizzazione, cooperazione economica, liberalizzazione del mercato, progetti per le infrastrutture, e ovviamente cooperazione nella lotta al terrorismo e al traffico di droga e armi.
La questione della sicurezza ricorre in tutte le iniziative. Non che si resti a guardare. Tra le iniziative: la European Convention on Mutual Assistance in Criminal Mattersdi cui fanno parte anche Paesi dell’Europa sudorientale; il terzo tavolo dello Stability Pactche si occupa specificatamente di questioni di sicurezza, corruzione e cooperazione nell’ambito della giustizia e degli affari interni; il Good Neighbour Charter, firmato a Bucarest nel 2000 nell’ambito della SECI, che aveva peraltro promosso nel 1999 l’Agreement on Cooperation to Prevent and Combat Trans-border Crime, allo scopo di creare una rete di scambio nella regione dell’Europa Sudorientale.
Alla Regional Table dello Stability Pact, che ha avuto luogo a Salonicco il 16 dicembre 2002, tra gli obiettivi chiave definiti per il 2003 e oltre sono state decise iniziative per la lotta al crimine organizzato come: sostenere la regione nello sviluppo di strumenti congiunti per la lotta al crimine organizzato; creare un centro operativo regionale a Bucarest per completare il training a livello dello standard Europol, incrementare gli scambi con Europol e altro.
Tra le iniziative dei singoli Paesi, quella dell’Albania, che ha inaugurato nell’ottobre 2001 a Valona il primo Centro Internazionale contro i Traffici Illeciti, una struttura alla quale partecipano anche Italia, Germania e Grecia, creata allo scopo di analizzare il fenomeno criminale e coordinare l’attività operativa che tuttavia sul suolo albanese resta di competenza delle forze di polizia locali. Il centro sarà operativo allorché verrà approvata la normativa che ne regola le attività.
Molti gli accordi bilaterali. In questo senso è particolarmente importante la cooperazione tra Interpol, perché permette che le procedure di scambio di informazioni siano molto più rapide che non attraverso la richiesta di assistenza giuridica che prevede procedure molto più complicate. Peraltro, tramite l’Interpol anche agenzie non appartenenti al giudiziario possono richiedere e ottenere informazioni.
Molto però deve essere fatto anche nell’ambito della società civile. Per una buona attuazione, le iniziative devono essere accompagnate da riforme concrete. Ad esempio, la prima riforma che i paesi della regione dovrebbero promuovere è quella degli stipendi delle Forze dell’Ordine: un agente di polizia che guadagna solo cinquanta Euro al mese, insufficienti anche solo per il cibo nel suo Paese, sarà allettato da forme “alternative” di guadagno che coinvolgono il suo status, la sua divisa.


Integrazione e stufette

L’integrazione/interazione tra i Paesi della regione, che acquisiscono la consapevolezza di quanto il proprio destino dipenda da quello degli altri, è un forte strumento di prevenzione dei conflitti.
I Corridoi sono l’esemplificazione di questo senso del destino comune, perché il concetto stesso di corridoio si basa sull’assunto di strada ininterrotta che costituisce un percorso privilegiato che congiunge estremi definiti.
Ma il Corridoio VIII per l’UE resterà “congelato” fino al 2020, nonostante i molti progetti realizzati e quelli in via di realizzazione in ambito Patto di Stabilità e altro.
Se la sicurezza costituisce una variabile discriminante in questa scelta, la situazione, dopo quello che si è detto, appare ribaltata. I Corridoi contribuiscono alla lotta al crimine sia in senso politico, incentivando l’integrazione regionale, sia in senso pratico, favorendo il controllo territoriale.
I Paesi che il Corridoio VIII attraversa sono ben coscienti della dimensione legata alla sicurezza del progetto e anche per questo anelano alla sua attuazione. D’altra parte tutte le iniziative per la lotta al crimine nella regione ribadiscono continuamente che la soluzione sta nella collaborazione, nella cooperazione e nello scambio di informazioni tra i paesi nella regione. Il ruolo cruciale dei Corridoi in questo senso è evidente.
Però, se non si conoscono i Balcani da vicino, non ci si rende conto delle oggettive difficoltà di attuazione di simili ambiziosi obiettivi, che sono più immediate di quanto si possa pensare: posti di frontiera fatiscenti, con stufette di ghisa per riscaldare d’inverno i doganieri che si recano al lavoro percorrendo chilometri a piedi; equipaggiamenti informatici obsoleti o inesistenti; telefoni malfunzionanti.
Queste le difficoltà.



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