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Atti del 1° Seminario Europeo "Falcon One" sulla Criminalità Organizzata Roma,
26 - 27 - 28 aprile 1995
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1. La grande criminalità come fenomeno eversivo
Negli ultimi anni, il concetto di eversione, tradizionalmente legato al linguaggio politico, ha subito una significativa estensione, finendo col comprendere ogni ipotesi di condizionamento del potere statuale per fini contrari all'interesse collettivo.
La diffusione del benessere economico-sociale, l'aumento del livello culturale, la disponibilità di strumenti tecnologici sempre più sofisticati e sempre più a buon mercato hanno ampliato le possibilità di portare attacchi, anche fortemente distruttivi, alla società civile ed alle Istituzioni che la sorreggono. Attacchi che possono arrivare non solo da entità palesemente antagoniste e quindi immediatamente riconoscibili, ma anche da altre perfettamente mimetizzate e confuse fra le maglie della cosiddetta società legale.
Per restare alla cronaca degli ultimi giorni, l'episodio dell'attentato alla metropolitana di Tokyo, dove qualcuno è riuscito a collocare un ordigno chimico ed a causare la morte indiscriminata di ignari cittadini, dimostra non solo come sia possibile, oggi, compiere azioni che, solo sino a qualche anno fa, erano riservate ad eserciti stranieri in guerra. Ma dimostra anche come sia enormemente cresciuto il livello di aggressività e la capacità distruttiva di chi si pone, per le più svariate ragioni, contro la collettività e le sue regole. Un trend, questo, destinato inevitabilmente a crescere, grazie alla grande cassa di risonanza offerta dai mezzi di informazione ed al numero sempre più elevato di soggetti in grado di subirne il condizionamento acritico e passivo.
Uno scenario simile non sembra peraltro conoscere confini geografici o politici, considerata la rapidità con la quale oggi si propagano i fenomeni e l'integrazione sempre più crescente fra questi. Una integrazione che allarga di fatto i limiti territoriali e che crea una sorta di villaggio globale fra entità statuali affini per cultura e modello di sviluppo politico-economico, con la fissazione di regole economiche comuni in grado di rendere questa integrazione ancora più omogenea e stabile.
Nella valutazione dei fenomeni in grado di condizionare l'ordinato sviluppo della società, è necessario procedere secondo un quadro di priorità che li consideri alla luce dei loro possibili rischi degenerativi e dell'incidenza che possono avere sulla vita economico-sociale del Paese.
Ora, non vi è dubbio che nell'attuale congiuntura storica, la presenza di una criminalità organizzata ormai "adulta", che ha superato cioè la fase della contrapposizione sociale clamorosa e violenta per muoversi nel contesto legale, mantenendo pur sempre modalità e programmi di natura illegale, rappresenti un vero e proprio rischio eversivo per le Istituzioni, da disinnescare o quantomeno controllare per tempo, prima che possa inquinarle in maniera irreversibile.
Durante il periodo del terrorismo, le Brigate Rosse e le altre organizzazioni eversive vedevano nello Stato il nemico da abbattere. Anche la criminalità di stampo mafioso, pur non proponendo di sostituirsi allo Stato, si comporta di fatto allo stesso modo, quando agisce come vero e proprio contropotere, con proprie leggi, un proprio esercito, prospettive e strategie diverse e contrastanti con quelle stabilite dalle Istituzioni democratiche.
In alcune regioni del mezzogiorno d'Italia, la criminalità organizzata si pone obiettivi di controllo del territorio, dei comparti economico-finanziari, quando non addirittura della coscienza della gente, che rappresentano un pericolo eversivo per lo Stato, ben al di là quindi di una fisiologica patologia sociale.
Il dominio mafioso, simile ad un comando di tipo totalitario, si concreta nel territorio con una vasta gamma di attività, legali ed illegali. Il territorio non è solo lo spazio in cui la mafia esercita il suo potere, ma rappresenta anche una risorsa da saccheggiare e distruggere: si pensi all'acqua, all'abusivismo edilizio, allo smaltimento dei rifiuti, alle cave.
Anche i fenomeni dell'estorsione e dell'usura fanno parte di una politica di controllo territoriale: la prima è sempre stata una forma di riconoscimento della signoria mafiosa, la seconda sta diventando uno strumento attraverso il quale arrivare all'appropriazione delle imprese.
Il controllo territoriale mafioso può tuttavia assumere le forme più varie: dall'imposizione implicita all'isolamento intorno a determinate persone, alla falsa convinzione che la mafia possa sostituirsi allo Stato come datrice di lavoro, garante della sicurezza dei cittadini, anche in campo economico.
Tale percezione è, purtroppo, supportata dalla realtà che una parte cospicua dell'economia meridionale (e siciliana in particolare) è rappresentata da imprese in mano alla malavita organizzata. Questa situazione può determinare, a volte, effetti contraddittori, come una possibile riduzione degli spazi produttivi ed occupazionali in alcune aree già fortemente depresse, ogni qualvolta lo Stato si trovi ad incidere sul patrimonio della criminalità organizzata.
L'idea della mafia come soggetto stabilizzante dell'economia del territorio è, forse, l'aspetto più preoccupante degli effetti dell'inquinamento criminale, perché, oltre ad ostacolare la formazione di una coscienza civica di opposizione alla presenza mafiosa, rappresenta una chiara distorsione della realtà.
Il denaro della mafia è fortemente dannoso per la collettività, perché crea un ambiente sfavorevole agli investimenti produttivi, estromette l'economia sana, impone la sostituzione "militare" degli imprenditori veri con altri che solo apparentemente fanno "impresa" mentre in realtà fanno altro.
A ben vedere, le aree a più alta densità mafiosa sono anche quelle dove più alto è l'indice di disastro sociale, istituzionale, economico ed ambientale.
Dati alla mano, il territorio controllato dalla mafia risulta gravato da maggiore disoccupazione, maggiore tasso di evasione dall'obbligo scolastico, maggiore crisi e corruzione del sistema istituzionale, maggiore danno urbanistico.
La mafia, in realtà, si pone come soggetto di disastro sociale ed economico: lo produce perché ne ha bisogno. Nel degrado sociale, infatti, essa può presentarsi come unica mediatrice della soluzione dei problemi dei singoli, cercando di acquisire quel ruolo sostituivo dello Stato che è la vera valenza eversiva del fenomeno.
Ciò non toglie, tuttavia, che la relazione di sudditanza imposta dalla mafia alla società civile, ed in primo luogo alle sue espressioni politiche, sia molte volte dettata più da interessi (nella forma dello scambio e della alleanza), che da soggezione dovuta alla paura della ritorsione mafiosa. Come pure è da tener conto il consenso di ampie fasce della popolazione, frutto di mentalità sedimentate.
Il problema, quindi, è togliere alla mafia il suo ruolo di soggetto politico, cioè di soggetto in possesso di regole, dimensione territoriale, mezzi ed apparati per esercitare la coercizione fisica. Una coercizione che si muove nel duplice senso della detenzione di un potere in proprio e di un potere sulle Istituzioni nell'ambito di un determinato contesto territoriale.

2. L'inquinamento criminale dell'economia legale
Una delle forme più rischiose per la società civile fra le attività illegali nell'attuale momento storico è costituita dalla penetrazione della criminalità organizzata nell'economia e nei mercati finanziari.
Negli ultimi decenni le più importanti articolazioni criminali, da bande delinquenziali collocate ai margini della società si sono trasformate in vere e proprie holding, inserite nei circuiti finanziari ed imprenditoriali di molte realtà economiche e capaci di condizionare il mercato, con la loro disponibilità di risorse.
Se, come già accennato, la lotta condotta dallo Stato contro i grandi traffici (droga, armi, valuta sporca, materiale strategico, ecc.) non riesce che ad incidere marginalmente sulla loro operatività, bene si comprende perché esista in questo momento nel nostro Paese una enorme circolazione monetaria di provenienza illecita in grado di stravolgere le dinamiche della corretta concorrenza e del libero mercato.
Fino ad ora le strategie dei sodalizi criminali erano generalmente limitate ad ambiti locali, scontando le difficoltà di ordine culturale e di mentalità dei loro capi. I circuiti telematici e i moderni sistemi di comunicazione hanno, però, facilitato gli scambi di dati ed informazioni, azzerando distanze geografiche e culturali. Ai grandi gruppi criminali è stata, quindi, offerta la possibilità di allargare il proprio raggio d'azione anche al di fuori dei territori d'elezione. Ciò significa che zone fino ad ora toccate solo in parte dal fenomeno dell'illegalità potranno, in un prossimo futuro, subire il contagio in misura tale da condizionare negativamente le singole realtà sociali.
Si pensi, ad esempio, alle regioni del centro-nord del Paese, segnate dalla presenza di una forte cultura imprenditoriale di medio livello, che si trovano, nell'attuale momento storico, ad affrontare un impegno produttivo di enorme portata. Se dovesse continuare l'inquinamento dei circuiti finanziari legali con l'immissione di ingenti capitali di provenienza illecita, il settore potrebbe finire col cedere, creando da un lato le premesse per una ulteriore espansione degli interessi criminali, ed introducendo, dall'altro, quelle eversive commistioni fra lecito ed illecito che rappresentano uno degli aspetti più pericolosi del fenomeno.

Conclusioni
Di fronte ad una minaccia così diversificata ed imprevedibile, le strutture di difesa devono necessariamente modulare la loro azione di contrasto, possibilmente alla stessa velocità con la quale vanno evolvendosi quelle di offesa.
Un aspetto fondamentale, in questo processo di adeguamento, riguarda la capacità di conoscere i fenomeni, cioè la capacità di individuare ed interpretare per tempo quelle manifestazioni della vita collettiva in grado di degenerare verso forme di patologia sociale. Un impegno che obbliga ad un diverso approccio verso i problemi della sicurezza, che devono sempre più essere affrontati in una logica di integrazione fra i vari contributi possibili, privilegiando al massimo quelli in grado di favorire un efficace attività di prevenzione.

Anche l'azione repressiva deve adeguarsi ai nuovi livelli di sfida.
In alcune aree del mezzogiorno d'Italia esiste, ad esempio, una dimensione di illegalità diffusa (dall'abuso edilizio, all'evasione fiscale, sino ad arrivare ai grandi crimini di mafia) rispetto al quale la risposta dello Stato, se condotta in maniera non mirata e senza strumenti normativi specifici, appare del tutto ininfluente, o comunque non decisiva.
Anche rispetto a fenomeni macro-criminali come il commercio illegale di droga o armi, si deve realisticamente ammettere che un azione repressiva, se non portata nelle fasi immediatamente successive alla prima organizzazione del traffico, è destinata inevitabilmente a produrre effetti episodici e non risolutivi.
Si è visto bene, d'altronde, come allorquando l'azione repressiva dello Stato ha cominciato a muoversi secondo strategie mirate e con precisi ausili di legge (mi riferisco in particolare all'impegno nella cattura dei grandi latitanti di mafia ed al potere deterrente offerto dall'applicazione dell'art. 41bis) i risultati sono puntualmente arrivati, e tutti di alto livello.
Nella lotta al grande crimine organizzato, l'attività informativa, quale momento centrale dell'azione preventiva, assume, quindi, un ruolo fondamentale.
Per questo motivo i Servizi di Intelligence del mio Paese sono stati chiamati a fornire il loro contributo nella lotta al grande crimine organizzato, che si avvia, come detto, a diventare il grande pericolo eversivo degli anni a venire.
Un contributo richiesto proprio per la funzione eminentemente preventiva dell'attività di intelligence, che si realizza nella raccolta ed analisi di ogni informazione utile ai fini della sicurezza nazionale o comunque funzionale alla "necessità di conoscere" dell'Esecutivo e degli altri Organismi statuali. Informazioni che, per la maggior parte, appartengono alla sfera del riservato, e quindi non sono acquisibili se non con attività di penetrazione "coperta" in settori ed ambienti di specifico interesse, nonché con modalità e finalità diverse da quelle degli altri Enti dello Stato impegnati sul fronte della sicurezza pubblica.
In particolare, diverse da quelle delle Forze di Polizia che agiscono, in via prioritaria, allo scopo di prevenire e reprimere l'esecuzione di reati, attivandosi in presenza di ipotesi criminose o di precise "notitiae criminis", in stretto rapporto di coordinamento e di dipendenza funzionale con la Magistratura.
Al contrario, l'"intelligence" si esprime in un contesto nel quale non necessariamente si assiste alla perpetrazione di reati, anche se dallo stesso possono scaturire problemi di stabilità sociale o istituzionale.
La funzione dei Servizi di Intelligence nella lotta al crimine organizzato (ma il problema si pone, oggi, per ogni ipotesi di rischio per le Istituzioni) appare poi di stretta attualità proprio in ragione delle nuove realtà sociali di cui si è accennato, segnate da una sempre più profonda commistione fra legale ed illegale, e dalla conseguente difficoltà ad individuare l'azione antisociale od i soggetti e gli interessi che vi sono dietro.
Priva di un efficace supporto informativo, l'azione di difesa dello Stato rischia di trovarsi nelle stesse condizioni di un sistema d'arma privo di radar, che però deve misurarsi con un nemico che invece sa bene dove colpire e da chi difendersi.

La versione integrale del n. 4/2011 sarà disponibile online nel mese di maggio 2012.