D. La ricchezza culturale ed ambientale del nostro Paese rappresenta un elemento forte di identità e di immagine. La sua rilevanza è tale, come ha avuto modo di affermare di recente anche il Capo dello Stato nel corso di una sua visita all'oasi del WWF di Orbetello, da costituire fattore strategico dell'economia nazionale. Di conseguenza, la minaccia a tale patrimonio può configurarsi come minaccia alla stabilità e alla sicurezza nazionale. Qual è la Sua opinione in merito?
R. Il patrimonio artistico in Italia è costituito da un insieme di diversi contesti culturali con profonde radici storiche e forti connotazioni specifiche. Dalle Alpi a Pantelleria non c'è angolo del territorio che non sia espressione della nostra millenaria civiltà. Si tratta di testimonianze che evidenziano un patrimonio interessante non solo dal punto di vista culturale ma anche se consideriamo lo sviluppo economico e sociale della nazione. E' un patrimonio realizzato, a differenza di quello di altri paesi, attraverso stratificazioni nelle diverse epoche storiche, in Italia e per l'Italia. Il patrimonio culturale interagisce con l'ambiente e con esso viene a creare un tutt'uno. Bisogna quindi riferirsi al patrimonio culturale intendendo con questo anche il paesaggio o l'ambiente. Condivido quindi pienamente l'affermazione del Capo dello Stato con la quale viene richiamata l'attenzione sulla realtà del nostro Paese, cioè su questa ricchezza che ci contraddistingue dagli altri popoli e che rappresenta la nostra identità, il nostro passato, presente e futuro. Incombe su di noi l'onere della tutela di queste significative testimonianze di cui disponiamo. Si tratta indubbiamente anche di un bene strategico ai fini dell'economia nazionale, in quanto attira sviluppo sociale ed è potenzialmente in grado di risolvere problematiche rilevanti. Se consideriamo gli altri Stati, ad esempio i paesi in via di sviluppo, possiamo notare come nel momento in cui questi si inseriscono in un contesto internazionale affermando la propria realtà statuale, presentano al mondo la propria identità attraverso il patrimonio culturale, che ha, tra l'altro, la capacità di amalgamare situazioni non sempre omogenee. Un'altra testimonianza dell'importanza del patrimonio culturale ai fini dello sviluppo sociale e quindi anche economico. Se il patrimonio culturale è ben valorizzato, tutelato e conservato, si mette in moto un processo virtuoso che si concretizza in benessere economico in quanto la ricchezza di beni artistici attira il turismo e quindi comporta consistenti ricadute positive, tra l'altro, sull'occupazione. C'è quindi un rapporto molto stretto, parlerei anzi di un binomio inscindibile tra cultura e turismo, il cui risultato è l'incremento dell'occupazione. Non vorrei però con questo dire, come taluni, che il patrimonio culturale è il nostro petrolio. Mi sembrerebbe riduttivo e quasi irriverente. Indubbiamente, comunque, il patrimonio artistico e culturale attiva processi di sviluppo economico e sociale. Concordo quindi pienamente con il concetto di bene culturale inteso come bene strategico, fattore di sviluppo sociale e scambio culturale fra gli Stati e fra i popoli. Può inoltre essere ambasciatore di pace e di benessere tra i popoli, laddove circola. Sotto questo profilo è importante sottolineare che il patrimonio culturale deve essere inteso come un bene comune a tutti i popoli e in quanto tale deve potersi muovere per essere conosciuto da tutti.
D. Qual è a quest'ultimo riguardo la situazione attuale? Quali sono le possibilità e modalità di circolazione delle opere d'arte a livello internazionale?
R. Nel caso dell'Italia, in passato, si poteva avvertire una spiccata tendenza ad esercitare un certo "protezionismo" nei confronti delle opere d'arte, mentre in questo ambito sarebbe utile un atteggiamento più "liberista", anche se entro certi limiti. Fino a qualche anno fa, ad esempio, era consentito il prestito di opere d'arte a musei o enti esteri per un periodo massimo di sei mesi. La legge vigente ha prolungato tale periodo ad un anno, innovazione che è stata accolta con grande favore e attenzione da numerosi musei stranieri in quanto il periodo di un anno consente di ammortizzare più facilmente i costi. Tuttavia sarebbe forse il caso di aumentare ulteriormente tale periodo. Ciò consentirebbe una maggiore conoscenza all'estero del nostro patrimonio, che diventerebbe anche foriero di un messaggio di civiltà, benessere e scambio fra i popoli. Certo è che poi queste opere devono poter ritornare nel contesto per il quale sono state realizzate. Il patrimonio culturale deve muoversi, circolare, sebbene all'interno di limiti che ne impediscano la dispersione sul territorio mondiale. Non bisogna infatti dimenticare che le opere d'arte hanno un certo valore in quanto sono inserite nel contesto storico e culturale nel quale sono nate e cui inscindibilmente appartengono.
D. Quali sono, secondo lei, i profili attuali della minaccia in questo campo e le linee evolutive del fenomeno nel prossimo futuro? Quali le risultano essere i settori più esposti all'attacco criminale e, rispetto al passato, è possibile individuare un certo mutamento, e di che tipo, nell'interesse della criminalità organizzata al patrimonio artistico?
R. La minaccia ai beni culturali più che alla stabilità e alla sicurezza nazionale, a mio avviso, va intesa come un attacco alla nostra stessa identità nazionale. Un semplice furto è un reato che incide sul patrimonio economico personale e sulla privacy del soggetto, anzi a volte il danno morale risulta superiore a quello economico. Nel caso del furto d'arte si sommano un po' tutte queste valenze negative: danno economico e violenza privata ma, soprattutto, vi si aggiunge un danno all'identità nazionale, in quanto si tratta di un atto che sottrae una parte, anche se piccola, della nostra "anima". Sono quindi reati di una rilevanza non indifferente. Purtroppo le tipologie criminali nei confronti del patrimonio culturale sono le più varie. Andiamo dal furto semplice, all'estorsione, alla rapina, all'esportazione illecita. Il furto può essere rivolto a danno sia di privati che di musei, anche se questi ultimi di recente risultano essere meno aggrediti rispetto a soggetti privati che dispongono di minori misure di sicurezza ma anche, per fortuna, di ricchezze di minor valore.
Le rapine avvenute in danno di musei non sono molte: ricordiamo quelle al Museo di Ercolano, alla Galleria degli Estensi a Modena, alla Galleria di S. Antonio a Padova, alla Galleria d'Arte Moderna a Roma. Tali reati hanno sempre finalità successive. Ossia, sono generalmente perpetrati a danno di beni che hanno una notevole rilevanza artistica o che sono collocati in luoghi particolari. In entrambi i casi, comunque, si tratta di beni non facilmente commerciabili nel mercato. Lo scopo della rapina è quindi spesso quello di esercitare un'estorsione nei confronti della vittima. Le opere vengono, per così dire, messe in quarantena per un certo periodo di tempo in attesa che le forze dell'ordine allentino la presa. Dopo di che inizia una sorta di trattativa segreta con i privati per poterle restituire a certe condizioni. Se i privati denunciano tali tentativi è più facile l'intervento delle forze dell'ordine, il recupero delle opere e l'arresto dei responsabili. Se ciò non accade, le stesse vittime del furto corrono un grosso rischio in quanto se non denunciano il tentativo di estorsione e ritornano in possesso dell'opera accettando le richieste dei rapinatori, ne dovranno rispondere penalmente laddove ciò venisse alla luce.
È possibile che si verifichi un tentativo di estorsione pura e semplice ovvero tentativi di ricatto nei confronti dello Stato per ottenere particolari benefici (ad esempio a favore di soggetti detenuti). Abbiamo poi casi di atti di danneggiamento diretto al patrimonio culturale, quali sono stati, ad esempio, gli attentati del 1993, perpetrati al fine di imporre allo Stato talune iniziative. Gli avvenimenti di S. Giorgio al Velabro e di Piazza S. Giovanni a Roma sono stati infatti preceduti da un primo tentativo di "avvicinamento" allo Stato, sempre nel campo dei beni culturali, avvenuto con la promessa di favorire il recupero di opere d'arte a fronte del soddisfacimento di talune richieste. Non essendo andato a buon fine questo tentativo si è passati ad atti ben più pesanti. È questo quindi un caso emblematico in cui la criminalità si è servita del patrimonio artistico e culturale per avviare un attacco allo Stato utilizzando un elemento cardine della sua identità.
Abbiamo poi le esportazioni illecite, ossia esportazione di beni che, a seguito di furto o per interesse del soggetto detentore, escono dal territorio italiano senza passare attraverso i consueti filtri di protezione e senza seguire i canali previsti dalla legge. La normativa vigente, infatti, prevede l'obbligo, per chi intende far uscire dal territorio nazionale beni culturali che rientrino nelle categorie individuate dalla legge, di richiedere e ottenere il rilascio di un attestato di libera circolazione da parte dei competenti uffici di esportazione. Tale sistema di controllo è stato poi maggiormente razionalizzato proprio con la direttiva 93/7/CEE del 15 marzo 1993, recepita con la legge 30 marzo 1998, n. 88 concernente "Norme sulla circolazione dei beni culturali", poi abrogata dal decreto legislativo 29.10.1999, n. 490 recante il "Testo Unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali, a norma dell'articolo 1 della legge 8 ottobre, n. 352"
(1) che, nel tentativo di riordinare e semplificare la normativa vigente in materia, ha compendiato ed unificato le numerose disposizioni legislative regolanti il settore. A seguito dell'apertura delle frontiere, infatti, si è pensato di perfezionare il sistema già esistente consentendo alle opere di circolare liberamente in ambito comunitario e, al contempo, prevedendo che un'opera si possa controllare e identificare attraverso una certificazione che la deve accompagnare nei suoi spostamenti. La legislazione italiana prevede inoltre che gli oggetti d'arte, per uscire dall'Italia, devono essere prima presentati all'Ufficio esportazioni il quale rilascia un'apposita autorizzazione. Laddove l'opera in questione dovesse essere giudicata di particolare pregio e rilievo, per cui l'uscita dal territorio italiano venisse giudicata un depauperamento per il nostro patrimonio, questa autorizzazione può essere negata. In tal caso, lo Stato italiano può aprire una trattativa con il proprietario dell'opera al fine di procedere all'acquisto esercitando in quest'ambito un diritto di prelazione.
Esistono poi beni che non possono uscire dal territorio italiano in quanto vincolati ovvero sottoposti ad un atto amministrativo emesso dal Ministero dei beni ed attività culturali con il quale si stabilisce che l'opera è di tale prestigio e valore che non può lasciare il territorio italiano. In questi casi, spesso, i detentori di tali beni, soprattutto grossi collezionisti, non potendoli esportare, in quanto appunto vincolati, tendono a venderli ricorrendo a trafficanti d'arte e ponendo in essere appunto un'esportazione illecita, ossia un'esportazione che ha luogo al di fuori dei canali e delle autorizzazioni previste dalla legge.
Va osservato che, in linea generale, l'interesse dei privati a vendere le opere all'estero deriva dal fatto che il mercato internazionale è spesso più appetibile di quello nazionale. A mio avviso, potrebbe costituire un utile deterrente a questo tipo di illecito - che comporta, di fatto, la perdita del controllo sull'opera d'arte - la decisione di estendere i limiti dell'obbligo di notifica ai confini dell'Unione Europea. Se fosse possibile cioè far circolare e vendere i beni vincolati anche nell'ambito del territorio comunitario senza sottostare ai vincoli attualmente previsti, forse ciò costituirebbe un freno al traffico di opere d'arte e consentirebbe di non perderle di vista. È importante quindi in questo settore adeguare la normativa alla realtà di questo fenomeno nella consapevolezza che non è il protezionismo che può risolvere il problema, anzi in questo caso una maggiore possibilità di far circolare le opere d'arte potrebbe ridurre le occasioni del loro commercio illecito. Nella stessa direzione andrebbe, come dicevo precedentemente, l'ampliamento del periodo di detenzione da parte dei musei delle opere d'arte prese in prestito.
Queste sono le tipologie più frequenti dei reati rivolti contro il patrimonio italiano, che è sempre oggetto di grande interesse all'estero.
Altra problematica di rilievo è quella relativa agli scavi archeologici abusivi. In Italia sono presenti circa 6.000 siti archeologici, terrestri e marini localizzati in regioni quali la Sicilia, la Toscana, la Liguria, il Piemonte, con 8.000 chilometri di coste che conservano moltissimi resti subacquei, spesso anche oggetto di "azioni piratesche" da parte di soggetti, anche stranieri, che approfittano della vastità della loro diffusione per appropriarsene. Per non parlare di quanto è conservato nelle chiese, nelle abbazie, nei conventi, nelle chiese cimiteriali, nei parchi e nei giardini distribuiti nel nostro territorio che potremmo definire un "museo a cielo aperto" la cui consistenza non ha pari.
D. A fronte della realtà da Lei descritta, quali sono gli strumenti attualmente a disposizione per contrastare questo fenomeno?
R. In primo luogo, voglio richiamare l'attenzione sulla circostanza che, purtroppo, allo stato attuale non abbiamo una esatta idea della consistenza di questo immenso patrimonio in quanto manca una adeguata catalogazione che consente la conoscenza dei nostri beni, presupposto necessario a garantire una loro maggiore tutela. Questa esigenza, d'altra parte, nasce da lontano. Fu proprio un ecclesiastico, il cardinale Parca (?) che nel 1820, con grande lungimiranza, sostenne che la prima cosa da fare era la catalogazione, sebbene a tutt'oggi proprio le chiese ancora non vi hanno proceduto. L'impostazione data dal cardinale ha costituito la base di tutti i provvedimenti legislativi che si sono susseguiti dal 1820 ad oggi. Si sono registrati successivamente in questo settore vari interventi, ma solo in tempi più recenti si sta muovendo qualcosa di più concreto, soprattutto a livello regionale, sebbene ancora oggi non ci sia un coordinamento a livello nazionale e un "cervello" elettronico unico che consenta di catalogare informaticamente tutte le opere in un'unica biblioteca nazionale.
In questo campo, purtroppo, ci si muove in maniera un po' ondivaga. In alcuni anni l'attenzione è bassa, in altri, come ad esempio quelli che stiamo vivendo, è più diffusa e approfondita e non solo da parte degli addetti ai lavori. Ciò indubbiamente comporta la definizione di stanziamenti di budget da parte del Governo più consistenti e quindi maggiori possibilità di investimento e miglioramento.
Speriamo che il favorevole momento che stiamo vivendo si protragga nel tempo e soprattutto che continui a crescere la consapevolezza che il patrimonio artistico appartiene a tutti ed è responsabilità di tutti noi, depositari, consegnarlo integro alle nuove generazioni, senza delegare esclusivamente allo Stato il compito di tutelare questa ricchezza. Viaggiando per l'Italia ho avuto modo di verificare che questa coscienza collettiva è aumentata e si avverte una maggiore attenzione verso i beni culturali, la loro tutela e valorizzazione. Forse le maggiori carenze si riscontrano sul fronte della legislazione di tutela che, a mio avviso, non è per nulla dissuasiva. Non bisognerebbe infatti mai dimenticare che la prevenzione non si attua solo attraverso il controllo del territorio ma anche con una legge che sia, prima ancora che repressiva, educativa e dissuasiva.
La legislazione estera per certi aspetti può essere un utile esempio, anche se bisogna tener conto del fatto che la maggior parte delle altre nazioni non devono confrontarsi con un patrimonio artistico tanto consistente per vastità e valore quale quello di cui dispone l'Italia. Paesi come la Grecia, la Spagna e l'Italia sono indubbiamente quelli che hanno i maggiori problemi in questo campo e sono anche gli unici paesi europei, cui solo di recente si è unita la Francia, che hanno ratificato la convenzione UNESCO, firmata a Parigi il 14 novembre 1970, concernente gli strumenti di proibizione e prevenzione dell'illegale importazione, esportazione e trasferimento di proprietà dei beni culturali (2) .
La Gran Bretagna, ad esempio, ha un concetto prettamente economico, più che culturale, delle proprie opere d'arte che tutela molto bene. Non a caso le maggiori case d'asta del mondo sono inglesi, le quali, a volte, favoriscono anche la commissione di illeciti a livello internazionale.
Come dicevo precedentemente, lo scorso ottobre è stato approvato, sulla base dell'apposita legge delega, il Testo unico in materia di beni culturali ed ambientali con il quale è stata rivisitata tutta la legislazione italiana e le convenzioni comunitarie in questo settore nel tentativo di creare un corpus unico. Tuttavia, poiché la legge delega stabiliva solo la necessità di coordinare e compendiare le norme vigenti italiane ed europee, non è stato possibile creare nuove figure giuridiche. È stato quindi subito chiaro che lo stesso testo unico appena varato andava integrato con nuove norme. Il Ministro per i beni e le attività culturali ha infatti nominato una commissione che sta riesaminando tutta la parte sanzionatoria della legge e che dovrebbe produrre a breve un documento. In quest'ambito, spero si consideri, in particolare, l'opportunità di produrre norme che costituiscano un deterrente alla commissione dei reati. La legge, infatti, dovrebbe essere maggiormente dissuasiva non nel senso della gravità ed entità delle pene ma in quanto in grado di porre un freno alla possibilità operativa di commettere il reato, favorendo anche un cambiamento di tipo culturale. Ad esempio, l'art. 67 della legge 1.6.1939 n. 1089, vecchia legge tanto vituperata in quanto ritenuta fascista, prevedeva in caso di esportazione illecita o di tentata esportazione la pena della reclusione da uno a quattro anni, accompagnata da una multa pecuniaria. La nuova formulazione, invece, ha abolito il tentativo di esportazione, quindi o questa ha luogo oppure il reato non sussiste, e, pur lasciando invariata la pena reclusiva da uno a quattro anni, ossia prevedendo una pena che non consente il ricorso alle intercettazioni telefoniche né comporta la possibilità di applicare il fermo di persone, stabilisce una multa da 500.000 lire a 10 milioni. È facile capire come un soggetto che esporta illecitamente un bene che può valere centinaia di milioni difficilmente potrà farsi scoraggiare da un simile deterrente pecuniario. Ecco un esempio di un caso in cui la legge evidentemente non presenta quel carattere dissuasivo di cui si parlava poc'anzi.
L'importanza e il valore del bene culturale da tempo è stato quindi ben compreso dalla criminalità. Bisogna, tuttavia, per ben analizzare il fenomeno, operare una distinzione tra criminalità diffusa e criminalità organizzata. La prima è interessata al bene artistico, potremmo dire, in quanto la sua commercializzazione gli consente di "sbarcare il lunario" ovvero di acquistare la dose giornaliera di droga. Si tratta quindi esclusivamente di una fonte di guadagno immediato. La seconda, invece, oltre che per ovvi motivi economici, è attirata dalle opere d'arte anche per il loro carattere simbolico, in quanto disporre di determinate opere d'arte significa godere di un certo status e consente di dimostrare il proprio potere. Ad esempio, il famoso dipinto della Natività del Caravaggio, che nel 1969 è stato portato via dall'Oratorio di S. Lorenzo di Palermo non è stato ancora recuperato e si ritiene che sia nella disponibilità di una grossa famiglia di mafia, potente nella zona all'epoca del furto. Di questa opera ne ha parlato anche il collaboratore di giustizia Marino Mannoia il quale in alcune occasioni ha fatto riferimento ad un'opera del Caravaggio che sarebbe stata distrutta volontariamente dal detentore per non aver ottenuto dallo Stato la soddisfazione di talune richieste. Gli investigatori, tuttavia, non credono a questa affermazione, anche perché si sono avute notizie della sua presenza, tuttora, presso una famiglia di mafia. In questo campo, in passato, lo Stato ha forse anche commesso un errore di valutazione nel senso che è stata sottovalutata la possibilità che esponenti di famiglie mafiose detenessero queste opere. Solo con il fenomeno "tangentopoli" e attraverso le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia si è cominciato a capire che l'opera d'arte poteva costituire una sorta di "titolo in borsa" e quindi si è iniziato a fare più attenzione a quanto, ad esempio, conservato negli appartamenti di grossi esponenti della criminalità organizzata.
La criminalità quindi si serve da tempo delle opere d'arte sia per affermare il proprio status sociale che come investimento di danaro e strumento di riciclaggio al quale oggi si ricorre, potremmo dire, con uno spirito industriale. È facile oggi per la criminalità organizzata acquisire migliaia di opere d'arte anche con la compiacenza di case d'aste che rilasciano fatture di gran lunga inferiori al reale acquisto "pulito" del bene. Va inoltre considerato che il valore delle opere d'arte non rientra nella dichiarazione dei redditi e quindi queste possono ancora più facilmente essere messe da parte in attesa che l'artista venga rivalutato, più o meno artatamente, per rimettere l'opera sul mercato e rivenderla ad un prezzo più elevato. In questo modo il detentore criminale dell'opera è riuscito a realizzare un triplice obiettivo: investire, riciclare e trarre un profitto tramite l'acquisto e la rivendita successiva dell'opera d'arte. In questo modo la traccia del denaro "sporco" viene inoltre definitivamente perduta. È possibile quindi riciclare denaro sporco sia attraverso l'acquisizione lecita presso una casa d'aste di un'opera, sia attraverso un'acquisizione illecita che può avvenire ottenendo l'opera d'arte come contropartita di carichi di stupefacenti o armi. Si tratta di un fenomeno di carattere internazionale e la stessa FBI e il Custom Service americano ci confermano questa realtà.
Esiste inoltre un consistente rapporto tra organizzazioni criminali a livello transnazionale in quanto la commissione di reati connessi alle opere d'arte è diventato un fenomeno a carattere internazionale. Possiamo quasi dire che dell'apertura delle frontiere e della creazione di nuovi ampi spazi commerciali ne hanno approfittato maggiormente queste organizzazioni criminali, creando nuove alleanze, piuttosto che gli Stati.
A fronte di questa realtà criminale, mancano invece adeguati rapporti tra le forze di polizia nazionali. In particolare questo vale per alcuni paesi quali ad esempio quelli dell'Est europeo. Attualmente stiamo assistendo ad una vera e propria fuga di opere d'arte dalla Repubblica Ceca e dall'ex Unione Sovietica.
L'Italia, nonostante questa carenza di coordinamento tra le forze di polizia nazionali, si muove tuttavia abbastanza bene. Negli anni sono state infatti recuperate circa 8.000 opere d'arte.
D. Quali atti o provvedimenti di altre Istituzioni potrebbero agevolare l'attività investigativa delle forze di polizia in questo settore? In particolare, quale peso riveste nello svolgimento delle investigazioni l'attività d'intelligence delle forze di polizia?
R. Non saprei dire, se è vero che in Italia è collocato il 70% del patrimonio artistico mondiale, anche perché è certamente molto difficile fare simili valutazioni. Ciò che invece si può affermare con certezza è che il nostro è un paese con un'elevatissima concentrazione di opere d'arte, il cui 80% circa è conservato all'interno di chiese. Proprio queste ultime sono le più esposte all'attacco delinquenziale. Innanzitutto perché prive degli adeguati sistemi di sicurezza, sebbene il fondo culti del Ministero dell'Interno stia investendo molto al fine di migliorare questa situazione. Importante sarebbe avere in questo anche la collaborazione degli stessi ecclesiastici. Spesso inoltre proprio i cittadini sono causa di questo depauperamento in quanto si appropriano di beni artistici conservati nelle chiese (confessionali, inginocchiatoi, pale d'altare, ecc.) per quello che può significare come status symbol il loro possesso piuttosto che per il loro valore artistico.
A proposito della catalogazione di cui si parlava prima, volevo anche aggiungere che, secondo quanto stabilisce il predetto Testo Unico (3) , i comuni, le provincie e le regioni (nonché gli altri enti pubblici e le persone giuridiche senza fine di lucro) hanno l'obbligo di presentare al Ministero dei beni e delle attività culturali una inventariazione dei beni disponibili e presenti sul proprio territorio. Nel nuovo testo unico è previsto anche che laddove questi soggetti non provvedano in questo senso, può farlo il Ministero a loro spese. Quindi la tutela non è appannaggio del Ministero dei beni e delle attività culturali ma di una pluralità di soggetti che deve tuttavia muoversi secondo linee guida ed indicazioni comuni. In passato si è anche a lungo discusso circa l'opportunità di trasferire in toto alle regioni questa competenza. Credo che la tutela dovrebbe essere garantita attraverso l'esistenza di un centro propulsore unico che fornisca gli indirizzi generali ma la conservazione e la valorizzazione dei beni deve essere esercitata e garantita dagli enti locali che trovandosi in loco e conoscendo il territorio sono più consapevoli della realtà culturale ed ambientale in cui il bene va ad inserirsi e con maggiore cognizione del Ministro, lontano dalla loro realtà, possono adottare le misure più idonee a garantire una adeguata tutela.
Per quanto concerne la seconda parte della domanda, vorrei dire che nel contrasto alle attività criminali in questo settore il ruolo dell'intelligence è determinante in quanto consente la valutazione di un contesto generale più ampio e l'utilizzazione di una rete di informatori che devono tuttavia essere adeguatamente preparati per essere in grado di operare distinzioni anche di carattere strettamente tecnico.
D. Sussiste, a Suo avviso, una correlazione tra la tutela del patrimonio artistico a quella del patrimonio ambientale e in quali termini?
R. Indubbiamente esiste, come ho avuto modo di affermare all'inizio di questa intervista, una stretta connessione tra patrimonio ambientale e culturale. Il patrimonio culturale infatti non è costituito esclusivamente dai beni artistici propriamente detti bensì anche dal paesaggio ambientale. In Calabria, ad esempio, sono presenti circa 660 km di costa di cui circa 450 sono già scomparsi e presto la stessa sorte toccherà al rimanente a causa dell'abusivismo che ha fatto scempio della vegetazione, determinando peraltro un avanzamento distruttivo delle acque. Anche in questo campo maggiore potere ai sindaci potrebbe essere d'aiuto.
D. È cambiata, secondo la sua opinione, la sensibilità dei cittadini italiani su questi temi così importanti e in che modo può contribuire la crescita di una cultura diffusa?
R. A queste tematiche a livello internazionale viene riconosciuta notevole importanza e in quest'ambito è riconosciuto all'Italia un ruolo primario e determinante. Nei lavori preparatori per il G8 che si è tenuto a Tokyo è stato inserito il concetto di valorizzazione e commercializzazione delle opere d'arte ed è stato sottolineato il ruolo che l'Italia può svolgere in questo contesto rispetto agli altri paesi. Al riguardo voglio sottolineare che il nostro paese dispone di una delle migliori banche dati esistenti a livello internazionale e che costituisce un esempio anche per le altre nazioni. Ad esempio, la Palestina ha inviato di recente una delegazione per uno scambio informativo finalizzato alla creazione di un dipartimento per le arti ed il turismo; lo stesso ha fatto l'Ungheria per la creazione di un comando di tutela artistica. Un'analoga struttura era stata costituita dalla Francia nel 1985, mentre l'Italia ne dispone fin dal 1969, ancora prima che la convenzione UNESCO di Parigi nel 1970 raccomandasse agli Stati membri di dotarsi di un sistema di tutela e recupero del patrimonio artistico e ambientale.
Non condivido quindi le tesi di coloro che, denigrando il nostro Paese in quest'ambito, lo definiscono un "paese colabrodo". L'Italia gode invece di grande considerazione e stima a livello internazionale e spesso costituisce, come dicevo, un esempio operativo per le altre Nazioni. Nella valutazione statistica dei furti e del relativo recupero delle opere bisogna poi tener conto del fatto che non tutte le opere sono definibili realmente beni artistici. Ad esempio, nel corso del 1999 su circa 24.000 oggetti asportati, solamente 35 erano vere e proprie opere di consistente valore artistico, 335 definibili importanti, 514 discrete mentre il rimanente non aveva alcun valore. Da queste statistiche si evince, credo, una situazione sicuramente meno problematica di quella che a volte sembra emergere da talune dichiarazioni forse troppo "pessimistiche".