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Relazione Semestrale
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54° relazione sulla politica Informativa e della sicurezza

Politica informativa e della sicurezza


a. Linee di indirizzo governativo

L’evolversi dello scenario interno ed internazionale ed il correlato dinamismo dei profili di minaccia per il nostro Paese hanno trovato la contestuale risposta del Governo in materia di politica informativa e della sicurezza.
Nel secondo semestre del 2004, per la prima volta dall’istituzione dell’attuale sistema intelligence, si è ritenuta opportuna una generale verifica sullo stato di adeguatezza al contesto generale delle direttive impartite ai Servizi all’inizio dell’anno, in un’ottica tesa a calibrare, al meglio e con tempestività, l’azione degli apparati informativi.


ll Presidente del Consiglio ha così proceduto, d’intesa con i Ministri dell’Interno e della Difesa ed in raccordo con la Farnesina, ad individuare e definire i nuovi ambiti di attivazione sollecitati dalla mutata congiuntura, aggiornando l’agenda delle priorità della ricerca informativa di SISMI e SISDE.
Tali indirizzi, che prevedono l’approfondimento di specifiche tematiche e il monitoraggio di fenomeni emergenti, sono stati poi condivisi dal Comitato interministeriale per le informazioni e la sicurezza, allo scopo di fronteggiare i molteplici profili di rischio nei loro sviluppi, in un contesto di armonica integrazione tra le articolazioni dello Stato preposte alla sicurezza.
Ne vuole essere espressione il taglio espositivo della presente relazione semestrale che si propone di ribadire le peculiari finalità di comunicazione istituzionale in ordine all’esercizio della politica sia di informazione che di sicurezza. In quest’ottica, trovano spazio nel documento dati e valutazioni che derivano direttamente dalle Forze di polizia, utili a meglio comporre il quadro nel quale si dispiega l’azione dei Servizi.
Per quel che concerne il SISMI, l’implementazione del dispositivo di contrasto alla minaccia terroristica di matrice internazionale ha considerato: l’evoluzione delle dinamiche interne ad Al Qaida, i rapporti tra Bin Laden ed il gruppo facente capo ad Al Zarqawi, le relazioni tra quest’ultima componente e le formazioni della guerriglia irachena; altri attori – interni ed esterni al teatro iracheno – interessati ad impedire la stabilizzazione; le strategie mediatiche dell’islamismo internazionale; il possibile finanziamento mediante indebita gestione della zakat da parte di alcune ONG islamiche; l’eventuale dislocazione in Italia e all’estero dei numerosi gruppi terroristici di matrice islamica evidenziatisi nell’ultimo periodo; la capacità militare delle formazioni armate operanti nei teatri afgano-pakistano e iracheno- mediorientale, la possibilità di “saldature” in funzione antioccidentale e di iniziative miranti a indebolire lo sviluppo economico dell’Occidente; eventuali connessioni tra terrorismo internazionale e guerriglia cecena nell’area caucasica.
L’attività di ricerca all’estero in direzione della criminalità organizzata transnazionale ha dovuto tener conto della necessità di esplorare le ramificazioni intercontinentali (Nordamerica e Australia) delle organizzazioni nazionali di tipo mafioso e l’interazione con altre realtà criminali; i flussi finanziari derivanti da attività illecite svolte nei Balcani e, nella stessa regione, i rischi di convergenze in chiave destabilizzante tra criminalità e terrorismo. Quanto ai fenomeni di immigrazione clandestina, al fine di orientare al meglio l’azione di prevenzione e repressione delle Forze di polizia, il Servizio è stato chiamato a rivolgere mirata attenzione alle organizzazioni delinquenziali che, in territorio extranazionale, gestiscono il “mercato” degli irregolari.
E’ stato inoltre rafforzato l’impegno a supporto dei contingenti nazionali partecipanti ad operazioni di peace-keeping/peace-enforcing, in direzione della proliferazione delle armi di distruzione di massa ed in campo INFOSEC e SIGINT, per il rischio di attacchi informatici alle infrastrutture critiche nazionali. Infine, sono stati ricompresi tra gli obiettivi prioritari del SISMI, nel settore economicofinanziario, il monitoraggio dei riflessi dell’innalzamento del prezzo del petrolio sulle politiche energetiche dei maggiori Paesi produttori, il mercato della gestione delle risorse idriche in Italia, i fenomeni emergenti promananti dal Sud Est asiatico.
Al SISDE, sul versante del terrorismo interno, si è richiesto di conferire ulteriore impulso all’attività di ricerca volta all’individuazione di militanti delle BR-PCC ancora in libertà, sulla base anche di quanto emerso in sede investigativa. Ha assunto inoltre valenza prioritaria l’impegno istituzionale verso quelle realtà, specie del Nord Italia e della Sardegna, ove insistono ambienti eversivi fautori della “propaganda armata” di ispirazione brigatista. L’azione del Servizio nei confronti dell’area anarcoinsurrezionalista è stata modulata su taluni segnali che paiono attestare, tra l’altro, l’accresciuto interesse a sviluppare collegamenti internazionali, anche a fini logistici, a seguito della pressione esercitata dalle Forze di polizia.
Quanto al terrorismo internazionale, dopo l’attentato di Madrid, si è imposta la specifica attenzione del Servizio nei riguardi della componente islamista radicale di origine maghrebina, in relazione alla possibile presenza di cellule nel Nord Italia, nonché della propaganda jihadista, alla luce dei ripetuti messaggi di minaccia contro l’Italia diffusi on line.
Per quel che concerne la lotta alla criminalità organizzata, l’escalation della violenza in Campania e la rinnovata aggressività nei confronti delle Istituzioni da parte delle cosche calabresi hanno richiesto un’intensificazione dell’impegno informativo, al fine di assicurare ogni concreto supporto alle Forze dell’ordine. Si è disposto altresì uno specifico monitoraggio di ulteriori altri scenari criminali, per le emergenti dinamiche di interconnessione tra le diverse realtà malavitose transnazionali, nonché delle nuove rotte criminali e delle possibili vulnerabilità correlate all’allargamento della UE.
Anche in questa fase di revisione e aggiornamento, la programmazione dell’attività intelligence non ha mancato di avvalersi del fattivo contributo del Ministero degli Affari Esteri, che ha segnalato le priorità specifiche del proprio fabbisogno informativo legate alle scelte strategiche del nostro Paese, agli impegni assunti dal Governo in sede bilaterale ed internazionale ed alla tutela di italiani presenti all’estero per motivi istituzionali, umanitari, economici, turistici o ad altro titolo. In questo senso, cresce l’esigenza di informazione pubblica e di modalità di comunicazione come strumento per contribuire ad una maggiore sicurezza dei connazionali che si trovino o intendano recarsi in aree a rischio. Da parte della Farnesina, si è inoltre posto l’accento sulla proficuità dell’interscambio con l’intelligence – specie per quel che concerne le principali, note regioni di crisi, cui si aggiungono zone di interesse come l’Africa subsahariana del Sahel, il Corno d’Africa, l’Asia Centrale ed il Sud Est asiatico – e sull’esigenza di affinare ulteriormente i meccanismi di cooperazione, anche attraverso la creazione di tavoli tematici sulle materie di preminente attualità.


b. Iniziative di cooperazione internazionale e di carattere interno

Allo scopo di dare concreto seguito alle direttive in ordine al rafforzamento della cooperazione internazionale, si è provveduto ad assicurare continuità al raccordo del settore informativo sia con l’azione della nostra diplomazia che con i fori di collaborazione internazionale operanti in materia di sicurezza. Ciò, al fine di garantire piena coerenza tra la valutazione collegiale della minaccia e gli orientamenti di politica estera.
In tale contesto si colloca la partecipazione ai lavori del Comitato Terrorismo di II pilastro dell’UE (COTER), che ha svolto un costante monitoraggio della minaccia terroristica all’esterno dell’Unione focalizzando la propria attenzione su alcuni Paesi ed ha elaborato raccomandazioni a sostegno della politica dell’Unione verso talune aree.
Di rilievo anche l’avvenuta inclusione del SISDE nella cellula intelligence della UE, il Centro Situazione (SitCen) di Bruxelles, cui già partecipa il SISMI, nonché le attività dei tavoli intelligence europei e del G8 volti ad affinare strumenti operativi e di analisi, tra l’altro mediante un confronto con le migliori esperienze disponibili a livello internazionale. In quegli ambiti, è stato inoltre curato l’approfondimento di specifiche minacce come quella legata all’uso di sistemi missilistici spalleggiabili in danno dell’aviazione civile e quella chimica, batteriologica, radiologica e nucleare (CBRN). In relazione a quest’ultima è stato, tra l’altro, sostenuto l’obiettivo della più ampia diffusione degli strumenti per il contrasto all’acquisizione e alla realizzazione delle armi di distruzione di massa.
La riconosciuta centralità del contributo informativo nella lotta al terrorismo, al suo finanziamento e agli altri fenomeni internazionali di rilievo per la sicurezza ha determinato, tra l’altro, la prosecuzione della partecipazione ai lavori del Comitato Speciale NATO. In tale consesso, il SISMI ha fattivamente preso parte al dibattito in merito alla necessità di migliorare la condivisione di intelligence tra i Paesi membri. Ciò nell’ottica del rafforzamento della collaborazione nel contrasto alle minacce contro l’Alleanza. Significativa, inoltre, sotto il profilo della cooperazione internazionale, l’inclusione di una componente intelligence nel cd. Big Five (composto da Italia, Francia, Gran Bretagna, Germania e Spagna), che ha poi dato vita ad un consesso informale impegnato nell’individuazione di più efficaci forme di cooperazione.
L’interconnessione tra più vettori di rischio e l’estensione mondiale del raggio d’azione del terrorismo confermano l’imprescindibilità della collaborazione tanto sul piano bilaterale – con il rafforzamento dei contatti con partner dell’area mediterranea – quanto a livello multilaterale, anche attraverso la promozione di scambi informativi ed il sostegno in termini di analisi ed expertise ad iniziative regionali antiterrorismo. Al riguardo, si può sottolineare l’attività svolta dall’Italia in sede UE perché si proceda ad un concreto supporto al Centro africano di studi e ricerche sul terrorismo (CAERT), inaugurato ad Algeri il 13 ottobre 2004.
L’esigenza di procedere all’elaborazione coordinata di analisi in grado di corrispondere con efficacia e puntualità al fabbisogno informativo dell’Autorità di governo e di orientarne, in chiave prospettica, l’attività decisionale ha suggerito, su iniziativa della Segreteria Generale del CESIS e d’intesa con SISMI e SISDE, la creazione di un apposito “tavolo tecnico” in tema di terrorismo. Esso è allargato a rappresentanti del Ministero degli Affari Esteri e di altre Amministrazioni dello Stato ed Enti di volta in volta interessati, in funzione anche di una sempre più efficace interazione con il Dipartimento della Protezione Civile. In detto tavolo tecnico, e sulla base di quanto emerso in un contesto di collaborazione internazionale, è stata approfondita la problematica del cd. “reducismo”, che potrebbe far registrare nel medio periodo il rientro in Occidente di mujaheddin provenienti dall’Iraq, con propositi offensivi, non appena si sarà stabilizzata la situazione e si sarà ridotta l’attenzione internazionale su quel teatro.

Ciò in un quadro di piena compatibilità e nell’ottica di una proficua sinergia con le funzioni del Comitato di Analisi Strategica Antiterrorismo (C.A.S.A.), operante presso la Direzione Centrale della Polizia di Prevenzione ed al quale partecipano i Servizi. Il C.A.S.A., attivato in fase sperimentale agli inizi dell’anno e formalizzato con il decreto del Ministro dell’Interno del 6 maggio 2004 riguardante il “Piano Nazionale per la gestione di eventi di natura terroristica”, si è riunito con cadenza pressoché settimanale, allo scopo di esaminare e valutare le informazioni sulla minaccia terroristica interna ed internazionale.


Il consesso, primariamente deputato a supportare l’Unità di crisi del Viminale, all’occorrenza convocata dal Ministro dell’Interno, si è rivelato utile strumento ai fini della pianificazione, in forma coordinata, delle attività di prevenzione sul territorio nazionale istituzionalmente demandate alla Polizia di Stato e all’Arma dei Carabinieri, quali Forze di polizia a competenza generale.
Risultano particolarmente paganti l’estrema duttilità del metodo di lavoro e la possibilità di ponderare, con tempestività e competenza, le segnalazioni di minaccia al fine di enucleare quelle ritenute di immediato interesse operativo. Sulla base di quanto emerso, il Comitato ha intrapreso iniziative mirate, sostanziatesi, tra l’altro, nell’avvio di articolate operazioni congiunte di Polizia di Stato e Arma dei Carabinieri, con il supporto informativo di SISDE e SISMI, in direzione di ambienti dell’estremismo islamico in Italia; nella ricognizione delle indagini sul terrorismo islamico condotte negli ultimi anni in territorio nazionale sfociate in nuove operazioni; nel monitoraggio delle rete, con particolare riferimento ai siti jihadisti. In quest’ambito, il Comitato ha convenuto che i Servizi effettuino periodici resoconti sullo stato della minaccia. Le analisi dell’intelligence hanno consentito di estendere gli orizzonti di conoscenza dei singoli fenomeni, a tutto vantaggio della qualità della valutazione nelle specifiche emergenze.

La validità riconosciuta alla trattazione multisettoriale dei principali fattori di criticità ha ispirato la prosecuzione degli incontri dell’apposito Gruppo interforze sui rischi di attivazioni eversive in direzione del mondo del lavoro, operante presso la Segreteria Generale del CESIS. Esso è teso a verificare, attraverso il riscontro incrociato di dati intelligence, evidenze investigative e propaganda on line, le effettive capacità di presa dei messaggi eversivi nelle specifiche realtà occupazionali. In questa sede sono stati anche valutati episodi di stampo intimidatorio volti a colpire la concertazione, le politiche aziendali o il sindacato.
Sempre al fine di ottimizzare il supporto alle Forze di polizia, in vista della cerimonia della firma per l’adesione al Trattato per una Costituzione Europea, dichiarata “grande evento”, si è attivato un dispositivo di concertazione CESIS, SISMI e SISDE analogo a quello positivamente sperimentato per il semestre italiano di presidenza europea, con la designazione di appositi punti di contatto, per una tempestiva veicolazione delle informazioni e la valutazione congiunta delle evidenze d’interesse sugli eventuali profili di rischio.

Nell’ambito del Dipartimento della P.S. costituisce ulteriore momento di sinergia il Gruppo di lavoro tecnico per lo scambio informativo in materia di prevenzione e repressione del terrorismo, cui partecipano esperti delle Forze di polizia, dell’Amministrazione penitenziaria e degli Organismi informativi. Coordinato dalla Direzione Centrale della Polizia di Prevenzione, il consesso si focalizza, di volta in volta, su eventi o notizie di potenziale incidenza sulla sicurezza e sull’ordine pubblico. Hanno, tra l’altro, costituito oggetto di trattazione le attivazioni dell’area anarcoinsurrezionalista sul tema del carcerario; il rinvenimento di documentazione di ispirazione brigatista; la sicurezza di vertici internazionali, quali il G5 a Firenze e l’Assemblea Parlamentare della NATO a Venezia; talune iniziative dell’area antagonista a sostegno della cd. “resistenza” irachena; il rischio di contrapposizioni tra estremisti di diverso segno in occasione di manifestazionidi piazza.

Le attività della Comunità intelligence italiana, rispondenti essenzialmente a caratteri propri di prevenzione generale, concorrono alla costruzione della cornice di sicurezza del Paese, supportando l’azione che le Forze di polizia pongono in essere sul territorio a garanzia dell’ordinato e pacifico svolgimento della vita democratica.
Si inscrive in tale contesto l’impegno per la diffusione della filosofia della “polizia di prossimità”, attraverso iniziative finalizzate a soddisfare le istanze di sicurezza e vivibilità che promanano dal Paese ed il rafforzamento dell’istituto del poliziotto e del carabiniere di quartiere con l‘immissione di altri mille operatori appositamente selezionati e formati.
Per gli aspetti di specifica competenza, la Guardia di Finanza ha ulteriormente potenziato l’azione di contrasto ai “macrofenomeni” di minaccia (finanziamento al terrorismo internazionale, infiltrazione criminale nel tessuto economico e connesso riciclaggio, ecc.), ponendo in evidenza il rilievo dell’attività di analisi a forte impronta economico- finanziaria.



La valenza rivestita dall’analisi strategica ha indotto, in via sperimentale, ad un riassetto organizzativo della Segreteria Generale del CESIS, segnatamente per il Dipartmento in seno al quale operano, in forma integrata, le strutture dedicate alle materie di controterrorismo, cooperazione internazionale, immigrazione clandestina, crimine organizzato, intelligence economica, controproliferazione, situazioni Paese negli aspetti geopolitici di interesse e fonti aperte.
Nella medesima ottica e nell’ambito di una ottimale e mirata finalizzazione del patrimonio conoscitivo disponibile, la Segreteria Generale del CESIS – come già riferito nella scorsa relazione – sta provvedendo, in funzione pilota, alla progettazione e realizzazione di un nuovo sistema di trattazione delle informazioni.
Tale programma, inteso soprattutto al massimo potenziamento dell’attività di analisi strategica, è stato proficuamente avviato attraverso il supporto di strumenti tecnologicamente avanzati, capaci di assicurare tempestivamente un’adeguata base di conoscenza integrata, con possibilità di correlazioni ed aggregazioni dinamiche.



Si tratta di un progetto articolato e complesso, dalle modalità flessibili, con funzionalità automatiche di catalogazione ed elaborazione multilingue che, in prospettiva, appare capace di favorire significativamente, in termini di efficacia, efficienza e completezza, la rappresentazione di possibili scenari di interesse per l’intelligence, nell’ambito della cennata attività di analisi strategica.



1
Minaccia eversiva interna



La continuità nell’azione di contrasto, che nel semestre ha portato ad altri 15 arresti,ha ulteriormente inciso sulle potenzialità dell’area eversiva e terroristica interna.
Con pari costanza si è dispiegato il monitoraggio nei riguardi dell’estremismo di varia matrice, delineando uno scenario in pieno fermento, nel quale l’eterogeneità delle componenti oltranziste e il confronto dialettico che le attraversa non ne hanno ridotto il fervore operativo e le spinte antisistema.


Rispetto all’intero panorama della minaccia, si è rivelata pagante la strategia di massimo raccordo tra intelligence e Forze di polizia, con il consolidamento di già sperimentati moduli di interscambio, a tutto vantaggio del dispositivo di prevenzione e sicurezza.
Per quel che concerne l’area brigatista, la ricerca del SISDE mirante ad individuare possibili altri appartenenti alle BR-PCC è proseguita di pari passo con l’attività d’analisi intesa a definire le residue capacità di tali ambienti terroristici.
Il quadro cognitivo e valutativo è andato integrandosi con ulteriori, importanti riferimenti: appaiono indicativi soprattutto gli sviluppi dell’indagine coordinata dalla Procura di Roma, che hanno portato, tra l’altro, a due nuovi arresti, la copiosa documentazione sequestrata all’organizzazione, nonché gli interventi propagandistici dei brigatisti detenuti che, come di consueto, hanno scandito le udienze processuali con appelli ai militanti ancora in libertà.


Quanto emerso in chiave interpretativa rimanda ad un lungo ed articolato processo aggregativo ed al dibattito innescatosi con l’omicidio D’Antona. Un dibattito cui ha vivacemente concorso il circuito carcerario ed al quale parrebbero aver partecipato altri “rivoluzionari” disponibili all’opzione terroristica. Questi ultimi non sarebbero confluiti nella “organizzazione combattente” in quanto portatori di un’interpretazione innovativa dell’impianto militarista fermamente respinta dalle BR-PCC.
Emblematica della perseveranza nel percorso intrapreso appare la circostanza che la formazione brigatista, al settembre 2003, avesse in programma una nuova iniziativa,seppure di basso profilo operativo, nonostante la perdita degli unici due militanti “a tempo pieno” (Lioce e Galesi). Anche alla luce della più consistente ondata di arresti intervenuta dall’ottobre 2003 e delle stesse dichiarazioni rese da Cinzia Banelli, si ritiene che solo un esiguo numero di brigatisti – specie in Toscana e nel Lazio – sia sfuggito all’azione di contrasto. E’ soprattutto a costoro che si rivolgono i proclami dei militanti in carcere, in un contesto di piena sinergia tra vecchio e nuovo brigatismo e in continuità con una linea volta a sostenere la perdurante attualità del messaggio rivoluzionario.


Alcuni di questi scritti tradiscono la consapevolezza della sconfitta subita, anche se sembrano intesi a testimoniare la “tenuta” dell’organizzazione. Ciò spiega non solo le esortazioni alle “avanguardie”, ma anche le enfatizzazioni sul ruolo svolto dalle Brigate Rosse, le invettive contro lo Stato, gli attacchi alla concertazione e al riformismo sociale. Sul piano ideologico, le argomentazioni restano ancorate alla linea “militarista” del brigatismo, che esprime una concezione della lotta armata elitaria e sostanzialmente autoreferenziale. Ad avviso del SISDE, il progetto eversivo dell’organizzazione, seppure del tutto avulso dal contesto politico e sociale, potrebbe essere riproposto in futuro dai pochi brigatisti ancora in libertà.
Le “nuove” BR-PCC hanno rappresentato, in vario modo, un riferimento per gli ambienti rivoluzionari di ispirazione marxista-leninista. Per questo, a seguito della sostanziale disarticolazione del gruppo terroristico, altre sigle eversive potrebbero comparire sulla scena, nell’intento di accreditare una qualche forma di continuità con gli autori dei delitti D’Antona e Biagi.
Nel contempo, potrebbero cercare maggiore visibilità le formazioni che si ispirano alla cd. seconda posizione del brigatismo, interessate ad un più diretto rapporto con i movimenti di massa.
Secondo tale visione, l’azione violenta, ancorché di modesto spessore, diviene lo strumento privilegiato di proselitismo e lotta politica.
Su questo versante, la ricerca informativa del SISDE ha riguardato in primo luogo la realtà eversiva sarda, che con le iniziative intimidatorie intraprese in agosto e in dicembre si è confermata tra le più attive interpreti delle logiche di “propaganda armata”.


Gli orizzonti dell’estremismo isolano sono tracciati, sul piano teorico, nel documento diffuso in luglio, a firma “Nuclei Proletari per il Comunismo”, nel quale si rivendica la legittimità della violenza rivoluzionaria e si auspica la ricomposizione delle formazioni “comuniste combattenti”. Nonostante la forte connotazione identitaria e localista di tali ambienti, espressa anche da altre sigle, si rinviene una crescente determinazione a conferire respiro nazionale ed internazionale alle istanze di lotta, in nome dell’anticapitalismo e dell’antimperialismo. Il discutibile spessore ideologico che emerge dalla documentazione prodotta non consente, tuttavia, di sottovalutare il livello di pericolosità del gruppo, che ha ventilato la possibilità di ricorrere ad azioni più cruente.
La stasi operativa del circuito clandestino presente nel Nord Italia, evidenziatosi in passato con attentati di basso profilo, non ha ridotto la vigilanza del SISDE, anche in ragione dei segnali emersi in ordine ad attività di tipo organizzativo e programmatico.

In un’ottica di prevenzione, rileva altresì l’attività di quelle formazioni dell’estremismo rivoluzionario attestate su posizioni eversive, mostratesi propense ad operare su un duplice livello, che contempla anche una dimensione clandestina. Acquisizioni informative hanno peraltro posto in luce ricorrenti distonie tra i vari gruppi, dovute a più fattori, quali: una generalizzata concorrenzialità; sostanziali divergenze di metodo, specie per quanto attiene all’opzione della clandestinità o ai rapporti con il più ampio movimento antagonista; la tendenza a difendere la propria identità rispetto a proposte aggregative necessariamente più flessibili nei contenuti. Tra le principali tematiche di interesse per queste formazioni figura quella del lavoro, secondo una linea tesa a radicalizzare le istanze rivendicative per esasperare il confronto sociale. E’ stato comunque rilevato lo scarsissimo seguito di tali ambienti presso le maestranze operaie.

Le acquisizioni dell’intelligence hanno evidenziato il sostenuto attivismo dell’area anarcoinsurrezionalista,sia a livello di elaborazione teorica, sia nella pratica delle “campagne a tema”.
Dopo le operazioni di polizia che in giugno hanno visto coinvolti estremisti sardi e pisani, l’Arma ha tratto in arresto in luglio altri due elementi toscani, sospettati di appartenere alle “Cellule di offensiva rivoluzionaria”. Nello stesso mese, in esito ad un’articolata inchiesta coordinata dalla Procura di Roma, un’operazione congiunta di Polizia di Stato e Carabinieri ha consentito di assicurare alla giustizia esponenti dell’insurrezionalismo laziale, accusati di alcune azioni eversive contro Forze dell’ordine e Uffici giudiziari.
Tali vicende hanno offerto nuovi pretesti per iniziative di “solidarietà rivoluzionaria”: in piena continuità, ovvero in raccordo con il progetto lanciato nel dicembre 2003 con la “lettera aperta al movimento anarchico ed antiautoritario” a firma dell’esordiente “Federazione Anarchica Informale” (FAI).
In questo senso, la scelta degli obiettivi, così come le stesse rivendicazioni dell’attentato compiuto a Milano l’8 novembre nei pressi del carcere di San Vittore e dei plichi esplosivi pervenuti a Roma il 10 e l’11 dicembre – rispettivamente ad una sede sindacale della Polizia Penitenziaria e a quella dell’Associazione Nazionale Carabinieri – hanno inteso richiamarsi direttamente ai pacchi bomba indirizzati in aprile contro il direttore e un dirigente del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria.


Nel contempo, altre azioni siglate FAI, all’insegna della lotta al precariato e di stampo animalista, testimoniano un’estensione nel range degli obiettivi potenzialmente in grado non solo di catalizzare consensi, ma anche di accentuare la propria capacità di influenza. Il contesto di riferimento è un substrato di “individualità” e microgruppi nel quale si ritrovano, variamente presenti, ribellismo antisistema, pulsioni anarcoidi e logiche pseudo-identitarie. Proprio nella capacità di raggiungere questo più ampio uditorio è da valutare lo spessore eversivo delle sigle insurrezionaliste più “accreditate”, ancorché riconducibili a pochi elementi. In questo senso, è ipotizzabile che le strategie preordinate sottese al lancio di specifiche campagne offensive mirino pure a sollecitare la risposta di tali ambienti, meno motivati ideologicamente, ma disponibili all’iniziativa autonoma ed estemporanea, all’azione incendiaria o dinamitarda di basso livello e ad altri gesti violenti, talora mutuando dalla rete idee, slogan e tecniche operative di facile attuazione.
Significativi, tra l’altro, i tentativi di sabotaggio, come quello perpetrato il 15 agosto lungo la tratta ferroviaria Bologna-Firenze, asseritamente compiuto in solidarietà a “tutti gli anarchici” che sarebbero vittime della “repressione”.


Soprattutto sulla tematica della lotta alla “repressione” è andato ulteriormente sviluppandosi, in seno alle componenti anarchiche, il già segnalato dibattito sulla percorribilità di un tracciato che prevede sinergie con militanti di ispirazione marxista-leninista. Al riguardo, l’attività informativa del SISDE ha evidenziato il riemergere dell’irrisolto contenzioso tra settori insurrezionalisti “ortodossi”, orientati ad assegnare assoluta centralità all’azione diretta, e frange più propense all’interazione con altri ambienti oltranzisti, ritenuta funzionale anche all’ottenimento di maggiore visibilità nelle manifestazioni di piazza. Il confronto, in parte documentato sui siti antagonisti, ha interessato, prima ancora della dimensione militante, il momento ideologico, influenzando in vario modo le iniziative concrete di contestazione al sistema.
Nell’ottica della dichiarata guerra ai “luoghi di segregazione” e ad ogni forma di sfruttamento (inclusa quella dell’ambiente) hanno così trovato spazio, accanto alle attivazioni anticarcerarie e animaliste, quelle contro i Centri di Permanenza Temporanea (CPT), le infrastrutture ritenute di impatto ambientale e le agenzie di lavoro interinale, talora condividendo le campagne con segmenti della sinistra extraparlamentare, in altri casi raccordandosi all’oltranzismo anarchico europeo.


Le evidenze informative e i comunicati sulla rete hanno posto in luce i contatti con circoli sloveni, svizzeri, britannici, greci e, soprattutto, i rapporti privilegiati con l’insurrezionalismo spagnolo, dal quale non sono mancate attestazioni di solidarietà ai militanti italiani colpiti da provvedimenti restrittivi. Ciò, nel contesto di una campagna on line mirante a delegittimare magistrati ed appartenenti alle Forze di polizia, pure con riferimenti dalla valenza marcatamente intimidatoria.
La presenza violenta di piazza dell’oltranzismo anarchico ha registrato un sensibile ridimensionamento, riconducibile a diversi fattori, tra i quali la pendenza di processi a carico di esponenti dell’area, le descritte divergenze interne e la più generale situazione di frammentarietà del movimento antagonista, che è parso attraversare una fase di ripensamento e dibattito sulle strategie di attivazione e sulle forme della protesta.
Con riferimento all’area antagonista, un dato emergente si è rivelato quello della “regionalizzazione” delle iniziative, verosimilmente ritenuta più praticabile sul piano organizzativo o più pagante sotto il profilo della visibilità.
In questo contesto è maturata la mobilitazione sulle politiche sociali ad opera di settori della contestazione che, propensi a distinguersi dalle altre componenti del movimento con gesti dimostrativi eclatanti, si sono resi promotori di proteste tradottesi, in qualche caso, in forme di illegalità collettiva, come gli “espropri” ai danni soprattutto di esercizi commerciali.


Il SISDE ha seguito il fenomeno, alla luce di segnali concernenti il proposito di tali ambienti di innescare un processo emulativo su larga scala: un processo non realizzatosi, grazie anche alle decise risposte del Ministro dell’Interno, delle Forze di polizia e della Magistratura volte ad evitare ogni possibile degenerazione verso vecchie prassi dell’autonomia organizzata.
In vista dell’ dell’Assemblea Parlamentare della NATO, tenutasi in novembre a Venezia, i Servizi hanno svolto mirata attività informativa, anche in relazione ai due attentati incendiari compiuti in luglio a Padova e Chioggia, rivendicati da una sigla ispirata ad un gruppo terroristico attivo nei primi anni ’70 negli USA.
L’azione dell’intelligence non ha trascurato di rivolgersi a quelle componenti più radicali dell’antimperialismo ritenute in contatto con iracheni legati al fronte della guerriglia. Significativo inoltre un progetto disinformativo, segnalato dal SISMI, maturato in ambienti del radicalismo anarchico ligure e volto a screditare il Governo italiano con la diffusione sulla rete di falsi messaggi in lingua araba.
La descritta tendenza dell’antagonismo a muoversi in una dimensione locale – pur con qualche tentativo di proiezione a più ampio raggio – ha favorito l’attitudine delle frange oltranziste ad inserirsi nelle situazioni di fermento per innalzare i toni della contrapposizione. Emblematica la protesta di Acerra, rispetto alla quale il SISDE ha rilevato l’intenso attivismo delle principali aggregazioni estremiste della regione. Analogo trend si è evidenziato con riferimento alle iniziative contro le progettate “grandi opere”, quali il ponte sullo Stretto, il terzo traforo del Gran Sasso e le infrastrutture per le Olimpiadi invernali del 2006 a Torino. Il SISDE ha inoltre raccolto indicazioni in ordine ai propositi dei settori più radicali, specie di matrice anarchica ed autonoma, di intraprendere atti di sabotaggio ai danni dei cantieri dell’Alta Velocità/Capacità TAV/TAC della tratta Torino-Lione.

Il monitoraggio informativo ha delineato, poi, un significativo incremento della conflittualità tra frange estremiste di opposto segno, con intimidazioni, aggressioni, scontri, manifestazioni e presidi di protesta.
Da parte dell’ultrasinistra, il rilancio dell’“antifascismo militante” ha costituito fattore aggregativo, a livello locale, tra formazioni di diversa matrice. Per quel che concerne l’estrema destra, sempre più presente sul web, atti di intemperanza e vandalismo si sono rivelati un ricorrente strumento di lotta politica per le componenti della base “movimentista”, segnatamente di impronta skinhead. L’aggressione verificatasi a Milano il 6 agosto, con il ferimento di sei giovani, che ha portato all’arresto di un naziskin, ha ulteriormente acuito le contrapposizioni nel capoluogo lombardo, confermatosi, sotto questo aspetto, come l’area più sensibile. Altri motivi di contrasto, emersi soprattutto nella Capitale, sono parsi legati alla sempre più frequente sovrapposizione delle attivazioni, specie sulle tematiche di stampo sociooccupazionale. Il fenomeno potrebbe registrare un’intensificazione con l’approssimarsi delle consultazioni amministrative.
Secondo taluni segnali raccolti dall’intelligence, anche il contesto delle tifoserie ultras – caratterizzato da una significativa presenza di estremisti politici di entrambi i versanti – potrebbe offrire spazio a episodi di contrapposizione.


Ciò ferma restando la comune propensione a ricercare lo scontro soprattutto con le Forze di polizia, anche al di fuori degli stadi, nel quadro della condivisa lotta alla cd. “repressione” e allo strumento normativo della “diffida”.
Con specifico riferimento alla destra radicale, la militanza della base spontaneista continua a ricercare in più ambiti, incluso quello calcistico, occasioni di intervento e visibilità, in una fase ancora contrassegnata da una pronunciata frammentazione.
Al riguardo, il SISDE ha segnalato come il confronto tra i diversi orientamenti abbia accentuato la pulviscolarità della componente movimentista, in costante riposizionamento, con frequenti travasi di militanti tra le varie aggregazioni e ricorrenti intese tattiche di breve respiro.
Tali dinamiche hanno interessato soprattutto gli ambienti skinhead del Nord-Est, di marcata impronta razzista e xenofoba, la cui base è costituita principalmente da giovani attivisti insofferenti verso qualunque forma di “irregimentazione”.
L’attività informativa del SISDE ha evidenziato l’accresciuto ruolo svolto dai raduni musicali d’area quali efficaci canali di proselitismo e aggregazione, oltrechè per lo sviluppo di contatti a livello internazionale. Rispetto al passato, alcuni di questi raduni, segnatamente quelli riconducibili all’organizzazione “Blood & Honour”, sono stati contrassegnati da una maggiore radicalizzazione dei contenuti politici di stampo neonazista.


Crescente rilievo è parsa assumere, in quest’ambito, la componente skinhead italiana, di cui molteplici acquisizioni attestano l’ampliamento ed il consolidamento dei collegamenti con omologhi ambienti europei, specie dell’Est, ove tali settori stanno registrando una significativa espansione.
Anche a seguito degli sviluppi giudiziari di vicende che lo hanno interessato, il movimento skinhead ha notevolmente intensificato l’attività propagandistica contro la normativa vigente in materia di discriminazione razziale. Tematica, questa, che ha visto il convergente impegno di altre e più strutturate aggregazioni d’area, alcune delle quali collegate ad ambienti fondamentalisti islamici.

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Minacce collegate allo scenario internazionale



a . Fenomeno terroristico

Profili generali
Nel secondo semestre del 2004 l’intelligence ha continuato a confrontarsi in via prioritaria con le attività ascrivibili al cd. jihad globale, che rappresenta a tutt’oggi un’insidia di prima grandezza per la sicurezza.
A fronte di un fenomeno che raccorda dimensione sovranazionale e specificità locali, l’azione informativa svolta a tutela del nostro territorio e dei nostri interessi è chiamata a tenere conto degli sviluppi in grado di riflettersi su portata, composizione e modalità della minaccia.
Quello islamista è infatti un vettore di rischio che più di altri impone l’integrazione tra monitoraggio interno ed estero, tra sviluppi di situazione in aree di crisi e mappatura dell’attivismo radicale su base domestica, evidenziando tutta la complessità del contrasto ad un pericolo polverizzato sia quanto ai soggetti eversivi che ai territori interessati.
Prova ne è il raggio d’azione del terrorismo di matrice islamista, o compartecipato dal radicalismo, nell’intero anno, che abbraccia un arco geografico significativamente corrispondente alla massima estensione dell’antico Califfato, ribadendo la rilevanza delle articolazioni regionali, sorta di “emirati” destinati a gestire su base locale un progetto che resta universalista.
A tale larga estensione territoriale fanno riferimento le segnalazioni di minaccia raccolte nel semestre che, nel riflettere la preferenza accordata ad attacchi suicidi contro [soft target e l’ampio ricorso ai sequestri ed alla presa d’ostaggi, non mancano di ventilare la possibilità di azioni per via marittima e di tipo non convenzionale. Su questo ultimo aspetto resta alta l’attenzione dell’intelligence, specie in relazione al temuto impiego di ordigni esplosivi associati a sostanze radiologiche (cd. “bombe sporche”) o di aggressivi chimici ed agenti biologici.


In termini d’analisi, hanno trovato conferma le linee di tendenza già evidenziate, con una perdurante centralità del quadrante mediorientale – soprattutto dell’Iraq – e con un sostenuto, costante impiego dei mezzi di comunicazione, specialmente diinternet.
Il web ha ribadito infatti la propria funzione di veicolo privilegiato per il cd. “jihad di pensiero e di parola”, destinato a coltivare e diffondere una cornice ideologica radicale in grado di guadagnare nuovi adepti alla causa integralista. Questi sono ora ricercati anche tra il pubblico femminile, per il quale è stata varata nei mesi scorsi un’apposita rivista telematica, “Al Khansà”.


E’ proseguita intensa la propagazione sulla rete di testi di caratura programmatica, di rivendicazioni e di comunicati minatori, strumenti di vere e proprie campagne offensive virtuali che hanno conosciuto il proprio apice durante l’estate, con una forte accelerazione mediatica antitaliana.


Interamente svoltasi nel cyberspazio, tale stagione minatoria, con i consimili episodi di “sciacallaggio mediatico” registrati durante il sequestro Torretta/Pari, è stata opera di sigle e nickname vari, con una netta preponderanza delle sedicenti “Brigate Abu Hafs al Masri”, comparse a rivendicare anche gli attentati di Madrid del marzo 2004.
Il fenomeno va valutato soprattutto in relazione alla sua tempistica ed ai tratti salienti della minaccia che intende enfatizzare e amplificare.
Sul piano della tempistica, va rilevato come le sigle più prolifiche durante l’estate abbiano poi ceduto il proscenio, in autunno, alle voci dei leader del movimento jihadista, ad attestare un’alternanza in via di fatto tra i proclami di vertice e quelli da ricondurre a spinte di tipo profittatorio o emulativo.
Tale avvicendamento ed il collegamento strumentale tra le minacce e la scadenza della “tregua” offerta ai popoli europei da Bin Laden inducono a ritenere probabili nuovi exploit intimidatori intesi a protrarre l’eco delle dichiarazioni della leadership o ad inquinare delicati passaggi della politica nazionale ed internazionale.
Quanto ai tratti della minaccia, questa risulta attualmente da attribuire a più soggetti eversivi, corrispondenti ad altrettanti livelli organizzativi.
Si passa da ciò che rimane della struttura originaria di Al Qaida e delle propaggini decisionali ed operative ad essa collegate, alle organizzazioni affiliate o contigue, per giungere alle cd. “metareti” (network in cui l’originario carattere nazionale ha ceduto il posto ad una scelta internazionalista) ed alle cellule “pseudo-autoctone”, sul tipo di quella entrata in azione a Madrid.
Ad articolare il panorama degli attori del jihadismo contribuiscono, poi, quegli ambienti radicali – non di rado nuclei ristretti o individualità – che, interni alle società occidentali, registrano una progressiva radicalizzazione connessa ad un’integrazione mancata o rifiutata.
Un livello, questo, che risulta in grado di esprimere peculiari ed imprevedibili forme di violenza, come dimostrato dall’omicidio del regista Van Gogh in Olanda, in uno scenario in cui si profila anche il rischio di risposte ritorsive di stampo xenofobo. Appaiono emblematici delle tipicità dell’integralismo, nella sua “versione occidentale”, i segnali di minaccia in direzione degli esponenti moderati delle comunità di riferimento.

Il leader di Al Qaida ha dominato la ribalta mediatica con ben tre proclami – il 29 ottobre, il 16 ed il 27 dicembre – calibrati su distinti uditori: statunitense, saudita ed iracheno.
Nel loro insieme, tali pronunciamenti riassumono le linee portanti del disegno qaidista, che resta incentrato sulla lotta all’Occidente ed ai Paesi “collaborazionisti” – con USA ed Arabia Saudita a guidare le due categorie – e trova nella scena irachena laboratorio operativo e contingente perno ideologico.
Definita “terza guerra mondiale”, la crisi irachena viene ritratta come epocale e destinata ad influenzare gli esiti di un confronto artatamente raffigurato quale contrapposizione di due schieramenti, “miscredenza crociata” e “vero islam”, di cui i mujaheddin rappresenterebbero le avanguardie.
Per contenuti e tempistica, i messaggi di Bin Laden confermano l’attenzione rivolta al momento elettorale, risultando tutti temporizzati sull’imminenza di appuntamenti di voto (le presidenziali negli Stati Uniti, le elezioni municipali in Arabia Saudita, le consultazioni in Palestina ed Iraq). Essi inoltre ripropongono una pratica d’interlocuzione diretta con le popolazioni, funzionale ad accreditare la loro complicità nelle politiche dei governi e nella persecuzione antislamica che questi asseritamente attuano.
In questo senso, la sfida posta dall’islamismo armato alla sicurezza mondiale si conferma asimmetrica quanto a tattiche ed obiettivi, ma per certi versi di tipo tradizionale quanto a rappresentazione delle forze in campo: lummah islamica contro la comunità dei miscredenti.
La marcata dimensione politica dei tre comunicati – che conclama l’avvenuta trasformazione di Al Qaida da “base” organizzativa in ideologia – conferma l’intento dello sceicco islamista di porsi quale guida carismatica di un movimento vasto e composito. Un’ambizione, questa, che si giova di una lettura ad hoc della geopolitica contemporanea e rischia di determinare una deriva integralista di taluni conflitti nazionali e dei fenomeni di rinascita islamica registrati in varie aree.

La valenza degli interventi di Bin Laden, con il corredo di direttive di taglio operativo, specie per quanto riguarda l’invito a focalizzare gli attentati sul comparto petrolifero, si precisa ulteriormente alla luce dei proclami dell’egiziano Ayman Al Zawahiri, anch’egli “firmatario” di tre messaggi (9 settembre, 1° ottobre e 29 novembre).
Nelle parole del n. 2 di Al Qaida, l’appello al jihad rimanda ora al concetto di “resistenza” (per Afghanistan ed Iraq), ora a doveri individuali di natura difensiva per la Palestina, ora, infine, all’esigenza di arginare presunti piani “neocolonialisti” che dalla Penisola Araba si estenderebbero al Darfur.
Di particolare rilievo appare l’invito a costituire un “comando unificato”, che sembra essere stato raccolto dal giordano-palestinese Abu Musab Al Zarqawi, personaggio di primo piano del jihadismo in Iraq. Questi, il 17 ottobre, ha diffuso un proclama di adesione formale ad Al Qaida, procedendo a mutare la denominazione della sua formazione da“Tawhid wa al Jihad” (Monoteismo e Jihad) in“Tanzim Qaidat al Jihad fi bilad al Rafidain” (Organizzazione di Al Qaida in Mesopotamia).
Tale dichiarazione di affiliazione, successivamente sancita dallo stesso Bin Laden, rafforza l’ipotesi di un’avvenuta integrazione tattica di network già accomunati da affinità ideologica, seppur connotati da specificità non sempre collimanti.
Si tratta di uno sviluppo cui risulta connesso il rischio di sinergie di tipo offensivo non solo nei teatri di crisi, ma anche in quei contesti, come l’Europa, dove i circuiti collegati ad Al Zarqawi, sinora attivi nell’alimentare i ranghi dei combattenti in Iraq, potrebbero farsi interpreti di propositi antioccidentali. Ciò, all’interno di un disegno in cui viene ritenuto assolutamente pagante incidere sui rapporti euro-atlantici, colpendo la sponda europea per isolare gli Stati Uniti.

Ambiti di intervento
L’ufficiale “consacrazione” di Al Zarqawi come “emiro” di Al Qaida in Iraq (Paese su cui si riferisce più diffusamente nell’ambito del capitolo “Medio Oriente”) si associa al contestuale appello a sabotare le consultazioni irachene.
In quel contesto, pur affiancata da altrettanto temibili attori della destabilizzazione, la componente islamista appare aver assunto una capacità organizzativa che le conferisce un ruolo di primo piano, anche nell’enucleazione di pratiche terroristiche e di obiettivi poi mutuati dall’intero fronte della guerriglia.
Il jihadismo, intervenendo in una scena non nuova al fenomeno dei sequestri, ha contribuito a “spettacolarizzarne” e politicizzarne la dimensione, inaugurando una stagione in cui tale modalità operativa ha via via assunto fisionomia strategica, mirando ad indebolire la Coalizione multinazionale e ad ostacolare la normalizzazione del Paese.
L’islamismo sunnita ha altresì siglato una serie di attentati diretti tanto contro le infrastrutture petrolifere e le forze militari, quanto contro le nascenti strutture di sicurezza irachene, oggetto di vere e proprie esecuzioni sommarie, in un acuirsi della violenza costantemente amplificata e rilanciata sul web specie dalla formazione di Al Zarqawi e dal gruppo “Ansar al Sunna”.
Tali sviluppi sono puntualmente rispecchiati dalle segnalazioni del SISMI nel semestre che, con cadenza quotidiana, hanno riferito di plurimi piani terroristici, in varie fasi di maturazione, anche contro interessi italiani.
Dal complesso del patrimonio informativo si evince un quadro in cui le tattiche e gli obiettivi selezionati rispecchiano i diversi momenti della presenza integralista, focalizzandosi progressivamente su target ritenuti chiavi di volta della normalizzazione. Ne è evidente riprova, da ultimo, il moltiplicarsi dei segnali su pianificazioni in danno dell’appuntamento elettorale.
Ciò in uno scenario in cui il terrorismo appare destinato a pesare ancora sulla situazione irachena ed è verosimile che acquisisca spiccata connotazione antisciita, concentrandosi sulle personalità prescelte da una volontà popolare il cui orientamento di voto resta collegato alle proporzioni delle diverse componenti etnico-confessionali.
I dati sull’estensione dei circuiti che instradano mujaheddin in Iraq profilano l’ulteriore rischio legato alla possibile ridislocazione, al di fuori di quei confini, di reduci intenzionati ad avvalersi dell’esperienza militare e del carisma proprio dei “veterani” per proseguire altrove il jihad antioccidentale.
Tale eventualità rappresenta al momento un ulteriore focus della ricerca informativa, tesa ad individuare possibili reti logistiche ed ambienti di riferimento.
Sul piano dell’analisi, l’ipotesi di una “diaspora” radicale a partire dall’Iraq è, del resto, corroborata dall’esportabilità del jihadismo armato. Questa consegue direttamente ad un’elaborazione ideologica strumentalmente incentrata sui concetti di “imperialismo” e di “apostasia”, entrambi applicabili a tutti quei contesti dove siano presenti frizioni socioeconomiche e politiche veicolabili come persecuzioni antislamiche.
Iniziali segnali di tale fenomeno di reducismo sono stati già registrati con riguardo all’Arabia Saudita (per la quale si rimanda alla specifica trattazione nel capitolo “Medio Oriente”).


Gli attentati di dicembre contro il Consolato USA di Gedda ed il Ministero dell’Interno di Riyad hanno segnato, del resto, una riproposizione degli attacchi di maggiore caratura organizzativa dopo una relativa stasi operativa, punteggiata da assassinii di occidentali.
I possibili sviluppi terroristici nel Paese vanno valutati non solo alla luce delle evidenti capacità dei gruppi armati di colmare i vuoti prodotti dalla rafforzata azione di contrasto, ma anche tenendo conto degli inviti alla sollevazione formulati da Bin Laden, in singolare coincidenza con manifestazioni organizzate dalla dissidenza di base a Londra.
Accanto alla perdurante criticità della situazione saudita, le informative raccolte nel semestre danno conto di significativi profili di rischio che interessano l’intera regione.
E’ di peculiare rilievo l’operazione antiterrorismo condotta in settembre in Libano, con lo scompaginamento di una cellula salafita impegnata nella progettazione di attentati ai danni dell’Ambasciata d’Italia e di altre strutture diplomatiche europee, nonché di sedi istituzionali libanesi. L’attività informativa, avviata mesi addietro dal SISMI, ha portato all’indi viduazione di 35 soggetti – tra libanesi, palestinesi, sauditi e siriani, per 22 dei quali la magistratura di Beirut ha richiesto la pena capitale – ed al sequestro di esplosivo, detonatori e munizionamenti vari. I collegamenti del nucleo jihadista con Al Zarqawi ed il suo precedente coinvolgimento nel procacciamento di fondi e volontari inviati in Iraq confermano la rilevanza di quel contesto anche sul piano delle proiezioni operative extrairachene.
Vocazione offensiva “anticrociata” ed “antisionista” dell’islamismo ed intento di appropriarsi di conflitti di elevata valenza simbolica, punendo i Paesi arabi “colpevoli” di allinearsi alle posizioni occidentali, si rintracciano negli attentati del 7 ottobre in Egitto contro complessi turistici del Sinai nei quali hanno perso la vita anche due italiane. Questi sono stati rivendicati, nell’immediatezza, da tre sigle inedite e successivamente suggellati – nelle pagine telematiche della rivista integralista “Voce del Jihad” – dal nuovo leader dell’”Organizzazione di Al Qaida nella Penisola Araba” Al Otaibi.


Tali eventi – che hanno sollecitato approfondimenti informativi tendenti pure a verificare la possibilità di un’eventuale attrazione nell’orbita internazionalista dell’oltranzismo palestinese confessionale – pongono in luce la perdurante esposizione del Nordafrica alle attività del radicalismo. Qui le precarie condizioni socio-economiche – che l’attacco alle risorse turistiche rischia di aggravare – e le linee di politica estera adottate dai Governi dell’area continuano a catalizzare l’attenzione dell’integralismo, in termini di potenziale ampliamento del bacino di reclutamento e di opportunità di rilancio di campagne eversive.
Si collocano in questo quadro diversi segnali sull’acuirsi della minaccia in direzione della Libia. Nel Paese – dove sono stati arrestati, in ottobre, 17 presunti affiliati ad Al Qaida – sarebbero confluiti, dall’Europa, militanti di origine maghrebina ed asiatica. Il deserto libico viene indicato anche come area di ridispiegamento del“Gruppo Salafita per la Predicazione ed il Combattimento” algerino, che, nel semestre, ha dovuto registrare nuove perdite conseguenti ad una serrata azione di contrasto svolta sia dalle Autorità di Algeri, sia dagli Stati della fascia subsahariana.
In tale contesto, la collaborazione dell’intelligence italiana con i Paesi nordafricani – transito obbligato dei flussi migratori clandestini diretti verso l’Italia – ha continuato a rivestire carattere di assoluta priorità ed ha sollecitato un monitoraggio a tutto campo degli sviluppi nella regione, intesi a cogliere eventuali criticità.
E’ di interesse la situazione della Mauritania che emerge dai due nuovi tentativi di colpo di stato (agosto e settembre 2004) e dalle acquisizioni informative in ordine a progetti terroristici di matrice integralista e alla presenza di campi di addestramento al confine con il Mali.
Numerose sono, del resto, le segnalazioni del SISMI che hanno continuato ad indicare nel Sahel, nell’area subsahariana e del Corno d’Africa altrettante zone segnate dall’attivismo sia di formazioni autoctone sia di compagini e militanti a vocazione internazionalista. (Per le predette aree si rimanda al capitolo “Africa subsahariana”).
Gli stessi motivi che sollecitano una peculiare attenzione d’intelligence per il Continente africano sono alla base dell’impegno informativo verso i Balcani (cui viene più avanti dedicato un apposito capitolo di approfondimento).
Quest’ultimo scacchiere – snodo di plurimi traffici illeciti (dalla droga di provenienza afghana alle armi ed agli esplosivi) – continua a registrare, infatti, tentativi di infiltrazione integralista, specie nelle regioni dove l’islamismo ha modo di saldarsi a fermenti di tipo etnico-irredentista. Comprovano la rilevanza dell’area le segnalazioni che, anche nel secondo semestre del 2004, ne hanno indicato il possibile impiego quale avanzato fronte per proiezioni offensive verso l’Italia.
Oltrechè sui quadranti di possibile ridislocazione dei ranghi integralisti, la ricerca del SISMI ha continuato a focalizzarsi sui territori di impianto consolidato delle formazioni terroristiche, rilevando un sostenuto attivismo nell’area afghano-pachistana (trattata nel capitolo dedicato all’Asia centro-meridionale).
In Pakistan – a bilanciare i successi del controterrorismo, con numerosi arresti di militanti internazionalisti, individuati anche in Gran Bretagna, sospettati di voler replicare l’11 settembre – si registrano, peraltro, più indicazioni sulla pronunciata proiezione del radicalismo in direzione di altri teatri di crisi, e specialmente di quelli afghano ed iracheno.
Parimenti di rilievo quanto segnalato dal SISMI circa la presenza, nel Paese, di esponenti del jihadinternazionale di varia provenienza. Ciò, a disegnare un quadro che conferma altresì il pericolo di nuove impennate integraliste sia all’interno di quel territorio sia al di fuori dell’area.


Un rimarchevole dinamismo su scala regionale, con conseguenti accentuati rischi di un’estensione dell’attività terroristica ai Paesi contermini, continua a distinguere le componenti islamiste operanti nel Caucaso e nel Centroasia (aree per le quali si rinvia ai capitoli “Quadrante eurasiatico” e “Asia centro-meridionale”).
L’aspirazione della militanza araba operante nell’ambito della guerriglia cecena a raccordarsi al più ampio quadro del jihad globale risulta comprovata dagli interventi mediatici a sostegno delle azioni in Arabia Saudita ed in Iraq. Essa va valutata alla luce di sviluppi di cronaca che, con i tragici fatti di Beslan, attestano un accentuato incrudelirsi delle tattiche terroristiche.
Quanto al Centroasia, gli attentati contro la Procura Generale e le Ambasciate USA ed israeliana nella Capitale uzbeka di fine luglio, confermano la precarietà della locale cornice di sicurezza, lasciando intravedere la possibilità di una “torsione” antioccidentale dell’attività dei gruppi terroristici e di quelle formazioni transnazionali impegnate nel propiziare una “rinascita” islamica.
Simili preoccupazioni suscita il Sud Est asiatico, teatro, in settembre, di un attentato suicida all’Ambasciata australiana di Jakarta che riafferma la scelta internazionalista operata dalla “Jemaah Islamiyah”. Accanto alle acquisizioni del SISMI relative al perdurante attivismo e all’interazione delle principali formazioni indonesiane e filippine, si registra un allarmante acuirsi del confronto “religioso” in Thailandia.
La versatilità dell’islamismo e la sua comprovata capacità di inserirsi in conflitti a base locale, induce a mantenere elevata l’attenzione su rivendicazioni separatiste a sfondo confessionale che segnano un’area chiamata ora a misurarsi con le conseguenze dello tsunami. Pur nella prioritaria considerazione della natura umanitaria di tale tragedia, è compito dell’intelligence rilevare come l’impatto socio-economico del disastro ed il connesso caos anagrafico rischino di costituire altrettanti ambiti di intervento dei sodalizi criminali e terroristici, in termini di reclutamento e di appropriazione di documenti di identità.

Aspetti della minaccia in Italia
Come è evidente dalla panoramica che precede, ricerca informativa e monitoraggio d’intelligence hanno enormemente ampliato il proprio raggio d’azione in sinergia con la Farnesina. Ciò in ragione della necessità di affinare ulteriormente il dispositivo di prevenzione, in termini tanto operativi che d’analisi, per un sempre più efficace e puntuale supporto alle Forze di polizia.
L’attenzione riservata dal SISMI ai molteplici quadranti in cui risultano attive o potrebbero inserirsi componenti del jihadismo internazionale è finalizzata infatti a creare un’adeguata cornice di sicurezza agli obiettivi nazionali all’estero ed a cogliere per tempo le linee di tendenza dell’operato dei gruppi in Italia.
Tale attività informativa si affianca a quella costantemente svolta dal SISDE in direzione delle espressioni integraliste insediate entro i nostri confini. Qui è parallelamente proseguita l’azione investigativa nei confronti di cellule del radicalismo islamico, quasi sempre composte da soggetti preparati ideologicamente e militarmente nei campi di addestramento in Afghanistan, che si dedicavano al reclutamento e all’invio di mujaheddin verso aree di conflitto interetnico.
Hanno continuato ad evidenziarsi elementi maghrebini, specialmente d’origine marocchina, prevalentemente concentrati nelle regioni settentrionali, dove si è registrato il perdurante attivismo di “guide spirituali” di orientamento radicale. Pure presenti, soprattutto in Campania, risultano cittadini pachistani impegnati sia in attività illecite, quali il falso documentale, sia nella conduzione di esercizi commerciali, la cui tipologia è già emersa nell’ambito di pregresse indagini su movimentazioni finanziarie a favore dell’integralismo.
Le segnalazioni diintelligence continuano a riscontrare un complesso di iniziative di supporto, come attestato, tra l’altro, dalla scoperta – su input informativo del SISDE – di una stamperia clandestina a Napoli, consolidata piazza di approvvigionamento per documenti falsi.
Non mancano peraltro, in tale quadro, azioni di proselitismo tradottesi talora in aperto sostegno, anche di tipo finanziario e militante, alla causa jihadista, a comprovare l’esistenza di ambienti permeabili ai messaggi estremisti.
In questo contesto – pur tenendo conto dell’efficacia dimostrata dalle predisposizioni assunte in tema di contrasto – connotazione e moduli della minaccia inducono a considerare elevato il rischio che grava sulla presenza italiana all’estero.
Valutazioni, queste, che trovano riscontro anche nelle acquisizioni informative dei Reparti dell’Arma dei Carabinieri (MSU) impegnati nei teatri di crisi.
Il monitoraggio degli ambienti radicali in Italia svolto in sinergia da Servizi e Forze di polizia – in esito al quale sono stati adottati dal Ministro dell’Interno, in agosto, nuovi provvedimenti di espulsione nei confronti di un marocchino ed un tunisino – è teso ad evitare infiltrazioni integraliste. Queste rappresentano un vulnus per la stessa comunità di fede musulmana ed un ostacolo ad una integrazione, rispettosa di radici e tradizioni, verso la quale si muove da tempo l’azione del Governo.
Quanto segnalato in merito alle lotte interne tra moderati ed oltranzisti per la conquista della leadership di alcuni centri islamici ribadisce l’importanza di tali strutture nel tessuto aggregativo dell’immigrazione di quel credo. Un’importanza che rende indispensabile valorizzare quell’ampia maggioranza dimostratasi interessata ad un rapporto costruttivo con le nostre Istituzioni, basato sul rispetto reciproco e sul riconoscimento delle regole democratiche.
Potrebbe contribuire a consolidare il dialogo interconfessionale la possibile formazione di unaleadership teologica di origine nazionale, di cui si colgono primi segnali.


E’ significativo dell’impegno teso a prevenire quei fenomeni in grado di propiziare i percorsi di radicalizzazione, quanto rilevato dal SISDE circa la presenza, in talune scuole coraniche – in aumento specie al Nord – di docenti attestati su posizioni estremiste che a tale indirizzo conformano i propri insegnamenti.
I rischi connessi a forme di indottrinamento ultrafondamentalista – evidenziati anche in appositi tavoli tecnici del G8 – emergono in tutta evidenza negli ampi passaggi in cui Bin Laden si scaglia contro la riforma dei corsi di studio in Arabia Saudita.
La rilevanza accordata dall’islamismo alla dawa (predicazione) a fini di proselitismo – che ha suggerito l’adozione di forme di controllo anche in diversi Paesi del mondo arabo – induce a mantenere elevata l’attenzione pure nei confronti delle attività svolte nella Penisola dai cd. “imam itineranti”, sovente di provenienza pachistana, operanti in seno a formazioni transnazionali già indicate per la possibile infiltrazione di estremisti in Europa.
Il monitoraggio informativo si è rivolto, infine, pure a quella dimensione minoritaria di convertiti che hanno trovato nell’ultrafondamentalismo islamico una cornice ideologica in cui trasferire una pregressa vocazione militante antimperialista ed antisionista, maturata sia nella destra che nella sinistra extraparlamentare. Tale dimensione – che non ha fatto finora registrare il coinvolgimento in progettualità jihadiste – è quella alla quale si guarda come all’ambito in cui possono eventualmente realizzarsi temute sinergie tra attori eversivi endogeni e militanti islamisti.

L’attività dei Servizi non ha mancato di rivolgersi ad organizzazioni del separatismo e della dissidenza di diversa matrice, che pure risultano presenti nel nostro Paese.
Dopo la revoca della tregua unilaterale del giugno ed il rilancio di nuove iniziative offensive in Turchia, restano all’attenzione gli sviluppi del“Kongra-Gel”. I dissidi interni tra l’ala oltranzista e la fazione che sostiene l’esigenza di incanalare le rivendicazioni dell’etnia curda in un alveo politico sono culminati in una scissione della formazione, con l’annuncio, in agosto, della costituzione in Iraq di una nuova aggregazione.
Profondi contrasti, con la defezione di numerosi militanti, riguardano pure la dissidenza al regime di Teheran incarnata dai “Moujaheddin-e-Khalq” (MEK).
A fronte di un processo negoziale che, in patria, ha fatto segnare nuove battute d’arresto, le acquisizioni informative riferiscono del perdurante coinvolgimento di elementi tamil insediati in Sicilia nel procacciamento di fondi – anche mediante estorsioni in danno di connazionali – a sostegno delle attività delle “Liberation Tigers of Tamil Eelam” (LTTE), da anni impegnate in un confronto militare con le Autorità di Colombo.

b. Specifiche aree di crisi

Il contesto mondiale resta caratterizzato dalla sussistenza di situazioni di crisi determinate da una pluralità di fenomeni: irrisolti contenziosi territoriali, rivendicazioni di natura etnico-religiosa e nazionalistica, instabilità politico-istituzionale. Tutto ciò a disegnare scenari di criticità che si riflettono direttamente sul nostro Paese, sia come portatore di interessi autonomi sia in quanto inserito nel più ampio contesto delle relazioni internazionali.



Medio Oriente
La situazione in Iraq ha fatto registrare un ulteriore deterioramento delle condizioni di sicurezza a causa dell’offensiva terroristica sferrata dalla “guerriglia” in molte zone del Paese volta ad impedire lo svolgimento delle elezioni del 30 gennaio 2005. Ciò, secondo un disegno strategico teso ad innalzare il livello della tensione nei passaggi decisivi e più delicati del processo di stabilizzazione, alternando stragi con “omicidi selezionati



Nel perseguimento del citato obiettivo, le principali città centro-settentrionali sono state teatro di continui attacchi contro unità delle Forze Multinazionali e del costituendo Esercito iracheno, mentre una serie di attentati di particolare intensità ha interessato stazioni di Polizia, caserme e checkpoints della Guardia Nazionale, evidenziando l’elevata vulnerabilità degli apparati di sicurezza locali, tuttora in via di approntamento.
L’accresciuta capacità offensiva della “guerriglia” va ricondotta ad una serie di fattori tra cui si evidenziano l’incremento del numero dei suoi affiliati ed una migliore interazione sia all’interno delle singole componenti sia tra le varie espressioni della “guerriglia” stessa.




Nell’ambito di quest’ultima si contano, tra le formazioni a più elevato rischio, quelle guidate da esponenti legati al deposto regime, quelle estremistiche islamiche endogene – che annoverano una decina di organizzazioni tra cui “Ansar al- Islam” e “Ansar al-Sunna” – e quelle jihadiste straniere, riconducibili al network di Al Zarqawi, i cui volontari sono stati reclutati grazie anche al supporto di ambienti integralisti presenti in aree del Golfo e di facoltosi “saddamisti” e ba’athisti rifugiatisi in alcuni Paesi limitrofi


Tra i principali rischi indicati dall’intelligence continuano ad emergere quelli relativi a possibili sequestri di cittadini stranieri e ad attacchi contro le Forze Multinazionali, specie ad opera dei ribelli fuggiti da Falluja dopo le operazioni militari di novembre.
La cd. “strategia dei sequestri” ha interessato direttamente anche il nostro Paese in occasione del rapimento del giornalista Enzo Baldoni (20 agosto), che ha avuto, purtroppo, un rapidissimo esito infausto, e di quello delle due operatrici umanitarie Simona Pari e Simona Torretta (7 settembre). Va evidenziato come alla base della liberazione delle due volontarie vi sia stato un complesso di attivazioni, che vanno da una risposta unitaria a livello politico nazionale collegata ad una attività umanitaria ad una sapiente azione diplomatica in tutti i Paesi dell’area, nonché ad una tenace ricerca d’intelligence.
Rispetto al periodo precedente, tale “strategia” ha manifestato un “salto di qualità” operativo, atteso che la cattura degli ostaggi è avvenuta spesso in aree urbane presidiate da Forze Multinazionali e Polizia irachena, attraverso un’esecuzione quasi militare. Tale nuova fisionomia ha conferito ai sequestri un carattere di tipo strategico e non più casuale, teso a dimostrare, tra l’altro, le notevoli capacità offensive raggiunte dalla “guerriglia”.



In sede di analisi si è rilevata una progressiva demarcazione tra le componenti nazionaliste e jihadiste, in ragione delle diverse finalità che le animano, al di là del comune intento destabilizzante. Appaiono significativi i sequestri e gli attentati dell’ultimo periodo, cui hanno fatto seguito autonome rivendicazioni, quasi a voler rimarcare il peso specifico di ciascuna parte sia sul piano strategico che operativo.
In tale contesto, va altresì annoverata una serie di attentati contro la comunità cristiana (agosto e dicembre), di incerta matrice, che testimonia una pressione intimidatoria “a tutto campo”, suscettibile di introdurre un ulteriore elemento di sovversione.
Nel suddetto quadro, elevata è stata l’azione del SISMI nel rafforzamento di una rete informativa idonea a garantire una sempre più efficace protezione degli interessi italiani e delle forze alleate in generale. Di fatto, sono tuttora in corso nel Paese diverse operazioni a carattere preventivo.
Nel semestre di riferimento, il SISMI è stato impegnato nella gestione di situazioni particolarmente critiche connesse ai rapimenti dei citati connazionali: la pluralità di azioni ed iniziative è stata posta in essere sotto il costante coordinamento dell’Autorità di Governo.
Efficace e puntuale è stata, inoltre, l’attività del Servizio a tutela della Rappresentanza diplomatica italiana a Baghdad, per la quale sono stati forniti tempestivi elementi informativi relativi a molteplici tentativi di attacchi.
Senza soluzione di continuità è stata la ricerca informativa nell’area di responsabilità del Contingente nazionale (Governatorato di Dhi Qar), di cui si riferisce più diffusamente nel capitolo “Intelligence Militare”.
Specifica attenzione è stata riservata anche alla lotta tra le fazioni sciite moderate e radicali nel sud del Paese al fine di limitare possibili ricadute negative sulla stabilità di quel Governatorato. In particolare, sono stati costantemente monitorati esponenti e gruppi dell’estremismo sciita, protagonisti dei gravi episodi di tensione verificatisi nel mese di agosto in varie province dell’Iraq meridionale.

Sotto il profilo della politica interna ed internazionale condotta dal Governo ad interim, hanno costituito momenti significativi la Conferenza Nazionale a Baghdad, le visite effettuate dai vertici istituzionali in alcune Capitali arabe ed occidentali e lo svolgimento della Conferenza di Sharm el-Sheikh, ove è stato ribadito l’impegno dei partecipanti, inclusi i Paesi contermini, a supportare lo svolgimento delle elezioni ed a favorire, più in generale, la transizione politica irachena.
L’evento politico centrale è comunque dato dalla consultazione elettorale del 30 gennaio 2005 per una valutazione delle prospettive di interazioni tra le principali componenti del Paese, sciita, sunnita e curda.
Al di là degli esiti, rispetto alla probabile affermazione della maggioranza sciita, appare nodale – nell’ambito dell’Assemblea Nazionale Transitoria incaricata di redigere la nuova Costituzione (marzo 2005) – il ruolo che la parte sunnita potrà assumere nel difficile impianto istituzionale che dovrà tener conto delle diverse esi- 51 54ª relazione sulla politica informativa e della sicurezza - 2° semestre 2004 b5-b6 genze ed aspettative. Tutto ciò in un contesto che potrebbe, in via di mera ipotesi, vedere un’ulteriore escalation della violenza, laddove trovassero seguito gli appelli di Al Zarqawi miranti a provocare scontri interreligiosi o interetnici.


La stretta correlazione, inoltre, tra stabilizzazione politica e ricostruzione economica ha indotto la “guerriglia” ad ostacolare qualunque tentativo per la ripresa del Paese. Le azioni dei ribelli, associate a fenomeni di criminalità organizzata e comune, hanno indotto infatti molti operatori stranieri a lasciare l’Iraq, mentre gli attentati agli oleodotti hanno, in taluni casi e temporaneamente, paralizzato il settore petrolifero da cui si attendeva il principale supporto alla ricostruzione.
Tale fenomeno ha reso necessaria un’analisi congiunta della ricostruzione politica ed economica, quali momenti interagenti ed imprescindibili della cornice di sicurezza, il cui miglioramento è ritenuto essenziale per interrompere quel “circolo vizioso” che ha continuato ad ostacolare lo sviluppo del settore infrastrutturale.
Nel semestre in esame, l’impegno della comunità internazionale ha consentito il raggiungimento di accordi per definire la questione del debito estero iracheno, tradottisi, in seno alClub di Parigi, in una remissione dell’80%, cui ha fatto seguito la decisione degli USA di una cancellazione integrale dello stesso.
In tale contesto, particolare rilievo ha assunto la Conferenza dei Paesi Donatori svoltasi a Tokyo, i cui esiti hanno confermato la salda volontà dei partecipanti a continuare il progetto avviato nel precedente consesso di Madrid, nella consapevolezza che la ricostruzione dell’Iraq si pone come tappa fondamentale per la stabilizzazione dell’intera area mediorientale.


Con riferimento agli investimenti economici nazionali, l’interesse delle imprese italiane per le opportunità offerte da quel mercato si è manifestato attraverso la partecipazione a gare di appalto e l’avvio di rapporti per scambi commerciali. Nonostante le significative potenzialità della realtà economica irachena, il coinvolgimento italiano resta tuttavia, al pari di quello di altre Nazioni, fortemente condizionato dal quadro geopolitico e dalla cornice di sicurezza del Paese.

L’andamento del semestre ha reso ancor più evidente la fluidità degli equilibri nell’intera regione mediorientale, sollecitando un’ampia ed incisiva azione informativa. Impegno, questo, che ha consentito l’individuazione di taluni vettori di minaccia contro i nostri interessi in loco ed ha contribuito a delineare le linee evolutive di uno scenario che si conferma di assoluta centralità nelle dinamiche geostrategiche mondiali.
Da tale punto di vista, specifico rilievo ha rivestito il confronto israelo-palestinese, anche e soprattutto in ragione degli importanti elementi di novità che hanno dinamizzato le posizioni di entrambe le parti.
Alle inedite prospettive apertesi in campo palestinese con la scomparsa di Arafat, ha corrisposto infatti, nel contesto israeliano, un progressivo “riadattamento” dell’area del consenso intorno alla linea politica di Sharon. Circostanza, questa, che ha consentito una complessiva tenuta istituzionale pur a fronte di non poche e rilevanti variabili, prima fra tutte la spaccatura su un tema “caldo” come il ritiro dagli insediamenti.
In ogni caso, le circostanze positive che inducono la comunità internazionale ad un legittimo ottimismo sulla possibile ripresa del negoziato – tra le quali “pesa” certamente il rinnovato impegno statunitense – non cancellano le serie incognite che continuano a gravare sul processo di pace.
In effetti, le acquisizioni informative del periodo hanno puntualmente rilevato le criticità tuttora insite nell’uno e nell’altro versante. Da un lato, il difficile controllo dei gruppi estremisti da parte dell’Autorità Palestinese, la segnalata possibilità di progressiva incidenza destabilizzante ad opera di attori esterni, il rischio di inserimenti da parte del terrorismo islamico di matrice qaidista, le condizioni in cui versano l’apparato istituzionale e l’economia palestinesi, logorati dagli oltre quattro anni di questa seconda intifada. Dall’altro lato, le possibili derive violente dell’ultradestra israeliana “irriducibile” ed il rischio di negative “accelerazioni” nei rapporti con la Siria e l’Iran.
Cionondimeno, una lettura d’insieme della situazione corrobora l’opinione di quanti individuano nella congiuntura attuale un’eccezionale opportunità, rispetto alla quale è di assoluto interesse, per la sicurezza internazionale, intraprendere ogni utile iniziativa. In primo luogo, perché le opportunità, in Medio Oriente, sono passaggi delicati che non di rado esigono gravosi pedaggi. In secondo luogo, data la forte valenza anche simbolica della causa palestinese, per l’evidente positiva ricaduta che una effettiva ed efficace applicazione della road map comporterebbe in termini di allentamento della tensione nel rapporto occidente-mondo arabo.
Proprio in funzione della delicatezza di tale rapporto, di grande interesse nell’ottica intelligence è stato il rischio di derive destabilizzanti in Giordania, il cui ruolo “moderatore” continua ad essere di evidente, primaria importanza.
Ciò, specie alla luce delle acquisizioni informative che hanno delineato, nel corso dell’intero semestre, la permeabilità all’influenza qaidista di tutti i contesti limitrofi alle due crisi aperte (irachena e palestinese). Il fenomeno ha riguardato, sia pure in differente misura, l’intera penisola araba, ove oltre a colpire con particolare violenza il regime saudita, ha interessato pure i Paesi più piccoli – quali lo Yemen, l’Oman, il Kuwait e gli Emirati – anch’essi importanti sul piano strategico.
In particolare, come è già emerso in sede di analisi della minaccia terroristica internazionale, l’Arabia Saudita presenta considerevoli profili di criticità e fa registrare tanto l’azione di gruppi autoctoni quanto, più in generale, l’interesse del jihad internazionale. Anche in relazione alla centralità del regno nelle dinamiche del mercato energetico mondiale, l’impegno informativo in direzione di quel contesto si è mantenuto costantemente elevato. Ciò ha consentito, tra l’altro, di riscontrare taluni passi concreti del regime saudita, nel segno di un’acquisita consapevolezza della necessità di una più incisiva azione di contrasto al terrorismo - comprensiva di maggiori controlli dei finanziamenti alle charities islamiche - e dei rischi insiti nel protrarsi di una insufficiente risposta all’esigenza di modernizzazione sempre più avvertita in tutto il Paese. Significativi esempi in tal senso possono ravvisarsi nella convocazione del vertice internazionale sul terrorismo e nell’indizione, per la prima volta e dopo numerosi rinvii, di elezioni municipali; eventi, questi ultimi, di portata storica previsti per febbraio 2005.
Riflessi delle crisi in atto nella regione sono stati rilevati dall’intelligence anche in Siria, ove nell’ultimo periodo si è andato delineando un risveglio del movimento islamico, specie negli ambienti della comunità sunnita (circa il 75% della popolazione) che rifiutano l’ideologia secolare del partito Ba’ath ed osteggiano la preminenza della minoranza alawita. Accusato di insufficiente azione di contrasto al terrorismo internazionale, il regime damasceno è stato chiamato in causa, sia pur implicitamente, dall’ONU, che ha chiesto la cessazione di qualunque forma di influenza o interferenza esterna in Libano, richiamando la necessità di “un ritiro delle forze straniere” dal Paese. Al riguardo, nel quadro di instabilità che ha connotato la scena politico-istituzionale a Beirut, il SISMI ha contribuito a sventare un attentato contro la nostra sede diplomatica e altri obiettivi, come già illustrato nel capitolo dedicato al fenomeno terroristico.

Balcani
A fronte di altri quadranti regionali che hanno catalizzato l’attenzione internazionale per il violento manifestarsi delle crisi in atto, l’area balcanica ha avuto, nel semestre, una visibilità mediatica decisamente più limitata. Non è stato così per l’attività informativa, che ha continuato a riservare notevoli risorse al monitoraggio di una regione tanto vicina ai nostri confini quanto ancora ben lontana da una effettiva e compiuta normalizzazione, con tutto ciò che ne consegue in termini di sviluppo dei fenomeni criminali e di radicamento dei fondamentalismi.
Nel complesso, la consistente e circostanziata produzione informativa attesta infatti l’esistenza in quell’area di pericolosi fattori di rischio che, sebbene tuttora “sotto traccia”, potrebbero in realtà rapidamente degenerare. In tal senso emerge la crescita di istanze radicali islamiche, che si sta concretizzando nell’affermazione delle leadership religiose più estremiste e nella costituzione di nuove aggregazioni ispirate all’integralismo confessionale.
L'importanza di quel contesto per la sicurezza del nostro Paese risulta ancor più evidente ove si consideri che, con l’allargamento ad Est dell’Unione Europea, potrebbe determinarsi un “riposizionamento” di talune direttrici sulle quali si snodano i traffici illeciti che da Oriente adducono ai Paesi comunitari. Infatti, come già da più parti rilevato, ciò convoglierebbe sul precario quadrante balcanico ennesimi fattori di criticità, con possibili dirette ripercussioni sui confini nazionali (sui rischi per l’Italia promananti dai traffici illeciti si rinvia ai capitoli relativi alla minaccia criminale e all’immigrazione clandestina).


Quanto alla riscontrata “permeabilità” della regione all’inserimento ed al radicamento delle ideologie proprie del jihad internazionale (di cui si è diffusamente trattato nel capitolo dedicato al fenomeno), il SISMI ha mirato, in primo luogo, ad individuare strutture logistiche di appoggio e addestramento di gruppi terroristici di matrice islamica.
Il Servizio ha poi focalizzato l’attenzione sulle pericolose sinergie tra sodalizi delinquenziali dediti a traffici illeciti (droga, armi e clandestini) e formazioni islamiche radicali, senza trascurare i contatti tra queste ultime e movimenti irredentisti, prevalentemente finalizzati alla preparazione di nuove reclute.
A delineare ulteriormente l’humus in cui va innestandosi la minaccia islamista, valgono inoltre le numerose acquisizioni che fanno stato di un crescente attivismo, nella regione, di organizzazioni ed associazioni confessionali che, ufficialmente impegnate in settori socio-culturali, sarebbero dedite ad attività di finanziamento, proselitismo e propaganda di stampo integralista.
Altrettanto impegnativa è stata l’attività posta in essere dal SISMI in direzione delle spinte nazionaliste e separatiste di natura etnica, tanto albanesi quanto serbe, che risultano particolarmente insidiose e vanno ad incidere in un quadro d’insieme che non consente di escludere il riaccendersi di nuovi focolai di aperta conflittualità.
L’approssimarsi dell’avvio dei colloqui sullo status finale del Kosovo viene infatti avvertito, nella variegata realtà dei nazionalismi balcanici, come utile occasione per una ben più ampia ridefinizione delle configurazioni statuali dell’area.
Non giova certamente, in questa fase, la situazione dell’Unione di Serbia e Montenegro, interessata da tensioni politico-istituzionali, deficit occupazionale e mancato decollo del programma di privatizzazioni, nonché gravata da fermenti fondamentalisti nella regione del Sangiaccato.
A Belgrado inoltre si registra la risalente strategia degli elementi nazionalisti volta ad ostacolare il processo di democratizzazione, anche mediante attentati ai danni di esponenti pubblici favorevoli all’estradizione dei criminali di guerra richiesta dal Tribunale Penale Internazionale. In tal senso, le minacce di morte indirizzate al Presidente serbo ed a quello dell’Unione di Serbia e Montenegro ripropongono quella possibile collusione tra gruppi ultra-radicali e residue frange corrotte dell’apparato, la cui portata destabilizzante era emersa con l’omicidio del premier Djindjic.
Per quanto riguarda il Kosovo, l’attività informativa del semestre ha mirato a focalizzare le cause di deterioramento del teatro in cui opera il contingente nazionale inserito nella “Kosovo Force”. In questa ottica, oggetto di specifica attenzione sono state le iniziative di consolidamento delle formazioni di orientamento radicale, sia di connotazione etnica che di matrice islamica, nonché i forti interessi di gruppi collegati con la criminalità locale e transnazionale.
Le condizioni della provincia delineano il rischio di iniziative particolarmente violente, specie da parte albano-kosovara, anche contro l’UNMIK e la KFOR, cui far carico del mancato conseguimento dell’indipendenza e di asseriti atteggiamenti persecutori nei confronti della propria etnia.
Segnali preoccupanti - come si accennava - si sono rilevati anche sull’opposto versante del separatismo albanese mirante alla costituzione del “grande Kosovo”. Da questo punto di vista, la tendenza ravvisata presso le comunità presenti in Serbia meridionale, nella FYROM ed in Montenegro è stata quella di un complessivo, diffuso rafforzamento. In particolare, nella Valle di Presevo (Serbia meridionale), l’affermazione delle rappresentanze politiche radicali, registratasi in occasione delle consultazioni amministrative di settembre, potrebbe aprire la strada a rinnovate istanze di riassetto territoriale. In FYROM, alla presenza di gruppi armati panalbanesi nell’area di Tetovo, si aggiunge l’attivismo di ambienti estemisti slavo-macedoni, in una cornice caratterizzata da una complessiva precarietà del quadro politico.
Assai delicata è anche la situazione riscontrata in Bosnia-Erzegovina. In una cornice di costante collaborazione con gli organismi multilaterali, il SISMI ha rinvenuto siti di interesse militare non dichiarati (come previsto, invece, dalla specifica normativa internazionale) e ha reso possibile il sequestro di materiali di armamento.
La spinta secessionista dell’oltranzismo serbo va assumendo toni di maggiore intransigenza, mentre la questione della collaborazione con il Tribunale dell’Aja per i crimini di guerra si sta riflettendo sulla tenuta del delicato e complesso sistema istituzionale del Paese.


Infine, per quanto concerne l’Albania, si è registrato l’attivismo di sodalizi malavitosi locali legati alla criminalità transnazionale e la presenza di gruppi riconducibili all’estremismo islamico, spesso operanti nell’ambito delle attività di talune ONG confessionali. Il SISMI ha rilevato, in particolare, come il graduale radicamento sul territorio del fondamentalismo islamico costituisca una crescente minaccia per il personale internazionale presente a vario titolo nella regione, stante la possibilità che lo stesso sia fatto oggetto non solo di attività informative, ma anche di azioni ritorsive innescate da eventi in altri scenari di crisi, quale quello mediorientale.

Quadrante eurasiatico
La crisi cecena è stata segnata, in agosto e settembre, da una serie di gravi attacchi terroristici: l’esplosione di due Tupolev, l’attentato alla metropolitana di Mosca e l’incursione nella scuola osseta di Beslan.
La scelta degli obiettivi e del teatro delle azioni hanno indicato, con tutta evidenza, la notevole capacità offensiva e l’ampia portata strategica del terrorismo di matrice cecena. La palesata determinazione a colpire in maniera eclatante al di fuori della propria area, coinvolgendo elementi arabi e combattenti di varie nazionalità del quadrante, attesta in effetti una forte potenzialità destabilizzante.
Risulta elevato il rischio di un progressivo “contagio” all’interno ed all’esterno del territorio della Federazione Russa, nell’intera regione caucasica, già tendenzialmente instabile per l’esistenza di risalenti contenziosi e mai sopite, latenti rivendicazioni.
La situazione è resa ancor più critica dal possibile profilarsi di forme di cooperazione con l’estremismo islamico internazionale, specie ove si consideri che numerosi guerriglieri ceceni hanno condiviso esperienze addestrative e di combattimento con militanti del terrorismo jihadista.
La crescente instabilità nelle Repubbliche caucasiche della Comunità degli Stati Indipendenti (Azerbaigian, Armenia e Georgia) è stata seguita anche in ragione dell’importanza geostrategica di quel corridoio naturale fra Est ed Ovest, zona di transito delle risorse energetiche dirette in Europa.


Di rilievo, per altro verso, sono stati gli sviluppi della situazione in Ucraina, che ha fatto registrare, in occasione delle elezioni presidenziali, passaggi assai delicati, conimponenti manifestazioni di piazza che non facevano escludere il rischio di violente degenerazioni.
La cosiddetta “rivoluzione arancione”, pur segnando una positiva dinamizzazione del quadro politico interno, ha evidenziato l’esistenza di forti spinte contrapposte. A connotare ulteriormente il ruolo strategico del Paese vale altresì la collocazione geografica in un’area di rilevanti traffici illeciti, che si diramano lungo la direttrice europea da oriente verso occidente.

Asia centro-meridionale
La portata degli eventi susseguitisi sulla scena politico-istituzionale dell’Afghanistan - primo fra tutti lo svolgimento di libere elezioni contraddistinte da una massiccia partecipazione popolare - ha riproposto la rilevanza del Paese nell’intero quadrante.
Sono emersi, in particolare, segnali di una maggiore disponibilità a collaborare nella difficile opera di stabilizzazione e ricostruzione da parte di quegli attori regionali, che, da sempre, hanno influenzato le dinamiche interne afghane. Ne fa stato, tra l’altro, il rinnovato impegno di Islamabad nel contrastare la presenza di estremisti islamici nelle aree tribali pakistane ed il loro transito attraverso il comune tratto confinario.
L’attività informativa, sempre elevata in ragione della presenza in area di contingenti militari nazionali, ha tuttavia segnalato le difficoltà che tuttora ostacolano la piena governabilità del Paese, dipendente in larga misura da una complessa opera di mediazione tra le diverse componenti politiche, etniche, tribali e religiose.
In effetti, nonostante gli innegabili progressi conseguiti nell’azione di riforma democratica, permangono numerosi profili di criticità che potrebbero rallentare il processo di normalizzazione in atto e rappresentare una minaccia significativa per la comunità straniera lì presente. Infatti, sebbene le varie fazioni estremiste (sacche di resistenza talebane, elementi di Al Qaida, militanti di “Hezb-i-Islami”) abbiano dimostrato una capacità offensiva e di coordinamento insufficiente ad impedire lo svolgimento delle consultazioni presidenziali, esse continuano a rappresentare un serio pericolo per l’incolumità tanto di esponenti governativi quanto del personale civile e militare internazionale.
In tale contesto, la ricerca informativa rileva come non possa escludersi il reiterarsi di episodi di sequestro di cittadini stranieri, in ragione soprattutto dell’ampio impatto mediatico che ad essi si riconnette. All’attivismo dei movimenti armati anti-coalizione - destinato verosimilmente a perdurare, in una ricerca di innalzamento della tensione, almeno sino alle elezioni politiche previste per la prossima primavera - sono andati sommandosi altri fattori. Rilevano, in particolare, le resistenze opposte dai vari leader locali al consolidamento del potere centrale e il permanere delle attività illegali connesse con il commercio di oppio, la cui notevole consistenza e relativa diversificazione delle rotte di traffico continuano ad interessare le limitrofe realtà centro-asiatiche.
Al narcotraffico proveniente dall’Afghanistan si è accompagnata, nelle Repubbliche dell’Asia Centrale ex-sovietica, una diffusa radicalizzazione dell’estremismo islamico. Ciò rileva, sotto il profilo intelligence, per l’indubbio ruolo che la regione riveste, nelle dinamiche geostrategiche, a motivo delle cospicue risorse energetiche (petrolio e gas) di quel territorio.
In tale ottica, il SISMI ha dedicato considerevole attenzione informativa anche alle condizioni socio-economiche dell’area, nell’intento di tutelare la sicurezza degli investimenti del nostro Paese, individuando opportunità e rischi insiti in quelle peculiari e delicate realtà (sul tema generale si rinvia al capitolo relativo alle minacce alla sicurezza economica nazionale).
A testimonianza del continuo impegno del Pakistan nella lotta al terrorismo, si evidenziano i successi ottenuti dai locali apparati di sicurezza che hanno portato alla cattura di appartenenti a formazioni terroristiche sia endogene che collegate con Al Qaida. Gli esiti delle citate operazioni hanno contribuito a rendere il Paese un luogo di più difficile posizionamento di militanti, che hanno, peraltro, continuato ad orbitare nella regione del Waziristan al confine con l’Afghanistan.
Di rilievo le dinamiche istituzionali interne che, a seguito di una serie di emendamenti costituzionali (il cd.“Legal Framework Order”), hanno visto sensibilmente rafforzato il ruolo della dirigenza sul piano politico e militare.
Il contenzioso sul Kashmir è stato oggetto di costante monitoraggio informativo, sia per le numerose divergenze che quel confronto ha continuato a provocare tra le leadership pakistana ed indiana, sia per il rischio di una sua strumentalizzazione da parte dei gruppi radicali.

Africa subsahariana
La regione del Corno d’Africa ha continuato a proporsi all’attenzione dellintelligence per l’espansione dell’estremismo islamico, favorito dalla precarietà economico-sociale, per la persistenza di tensioni interstatuali legate agli ancora irrisolti contenziosi territoriali, per le deteriorate condizioni di sicurezza interna di taluni Paesi, in qualche caso all’origine di flussi migratori clandestini.
Quanto sopra, in un contesto che ha fatto registrare per la Somalia incoraggianti passaggi verso un possibile approdo democratico.
La colonizzazione confessionale islamica di stampo radicale, praticata anche in aree a forte densità cristiana da organizzazioni non governative a beneficio delle nuove leve e che sfrutta le gravi condizioni di disagio, risulta diversamente attuata su base locale.


Se in Kenya l’attività di propaganda e reclutamento è proseguita specialmente in direzione dei campi profughi che ospitano rifugiati di nazionalità somala, i fermenti estremistici in , intrecciati con rivendicazioni autonomiste e contrasti interetnici, risultano accompagnati da una progressiva diffusione del credo oltranzista wahhabita, che sta gradualmente riorientando l’ancora prevalente componente moderata di quella comunità sunnita.
In Eritrea il fondamentalismo islamista ha permeato l’attività di gruppi in termini di opposizione antigovernativa piuttosto che religiosa con limitati episodi di guerriglia, mentre in Somalia non ha accennato a deflettere l’azione della principale compagine estremista islamica nel Corno d’Africa: l’”Al Ittihah Al Islami” (AIAI), articolata su autonome cellule, raggruppate su base etnico-clanica.
Fattore di minaccia, quest’ultimo, che si innesta nel contesto politico interno contrassegnato, viceversa, da segnali di ricostruzione istituzionale e di pacificazione nazionale, e verso il quale l’Italia, partecipe della convergente opera di pressione diplomatica internazionale, nutre diretto interesse anche in vista della organizzazione, nella primavera ventura, della prossima Conferenza dei Paesi donatori.
Sulle prospettive di normalizzazione insistono, tuttavia, profili di rischio scaturenti dalle accese rivalità intertribali, dall’irrisolto contenzioso territoriale tra le due regioni del Nord, dalla perseverante vocazione secessionista del Somaliland e dal rinnovato attivismo delle formazioni islamiste animate da progettate ostilità contro il Governo e la programmata presenza di contingenti militari dell’Unione Africana con compiti di peacekeeping.
Hanno altresì formato oggetto di monitoraggio le situazioni di conflitto e di tensione in vari Paesi dell’Africa subsahariana e della Regione dei Grandi Laghi che, per il livello di coinvolgimento, delineano l’area di massima concentrazione delle crisi africane, aventi pesanti effetti anche sul piano umanitario.


In Costa d’Avorio i disordini susseguenti alla rottura della tregua delle forze governative con i ribelli del Nord, che hanno determinato perdite anche fra i militari del contingente francese ivi impegnato, insieme a quello delle Nazioni Unite, sono stati sedati per la decisa reazione internazionale, attuata a livello multilaterale e regionale.
Concreto ed immanente appare comunque il rischio di una emarginazione del Paese, cui si accavallerebbe il congelamento dei finanziamenti esteri, per l’ancora incompiuta promulgazione della riforma costituzionale, nel senso di un allargamento delle condizioni di esercizio dei diritti di elettorato passivo, e per la non sopita possibilità del ricorso da parte della dirigenza ivoriana all’opzione militare quale strumento di soluzione del conflitto.
Sensibili fattori di criticità permangono in Nigeria alle prese con l’intensificarsi nei territori settentrionali delle azioni dei gruppi integralisti islamici, accomunati dall’intransigenza anticristiana, e con la recrudescenza degli scontri tra militari e bande criminali, particolarmente attive nella regione meridionale petrolifera del Delta.


L’ampia mobilitazione indetta per protestare contro il rincaro dei carburanti, con il fermo della attività estrattiva, e la minaccia di sabotaggi in danno di impianti di compagnie straniere, da parte di locali formazioni armate, configurano un serio quadro di minaccia anche di diretto impatto sugli interessi italiani colà radicati, in un insidioso intreccio di rivendicazioni, istanze socio-politiche di impronta xenofoba e fenomeni diffusi di criminalità.
Costante attenzione intelligence è stata dedicata al Sudan, pur interessato da un significativo accordo di pacificazione delle aree del Sud, per l’instabilità delle regioni occidentali, segnatamente del Darfur, contraddistinte da devastazioni e saccheggi in danno della popolazione locale, e per l’ampia presenza di elementi del terrorismo internazionale islamista.


Nel Darfur, il continuo stillicidio di scontri tra Forze armate e milizie filogovernative con i movimenti ribelli conferma l’instabilità dell’area, con gravi ripercussioni a livello umanitario (dal febbraio 2003 si contano circa 30.000 vittime, 1 milione di sfollati e 180 mila profughi affluiti nel confinante Ciad).


Nella Regione dei Grandi Laghi, verso cui si indirizzano iniziative di stabilizzazione da parte del consorzio internazionale, continuano a registrarsi condizioni di insicurezza specie nell’area triconfinaria tra il Burundi, la Repubblica Democratica del Congo e il Ruanda, teatro di scontri intertribali e di combattimenti, ancorché di carattere locale. In Burundi, ad inasprire il contesto, vanificando l’opera di pacificazione in atto, rilevano l’irrisolta questione del rientro dei profughi nei luoghi di origine, la presenza di numerose formazioni criminali e l’incompiuta cornice legislativa costituzionale, segnatamente nella parte relativa alla tutela delle minoranze etniche.
Sulla situazione nellaRepubblica Democratica del Congo, affetta da una perseverante conflittualità in regioni settentrionali, non hanno mancato di produrre effetti le politiche di influenza esercitate da Paesi confinanti, peraltro agevolate dalla notevole permeabilità di quel sistema ad infiltrazioni nei suoi apparati militari ed amministrativi.
Permane critico il quadro in Uganda, ove nella contrapposizione tra esercito governativo e milizie ribelli si alternano tregue e fasi di belligeranza.

Sudamerica
Nel contesto sudamericano hanno assunto rilievo, sollecitando specifica attenzione dell’intelligence, le complesse e spesso correlate problematiche politiche, economiche e di sicurezza con effetti sulla consistente comunità italiana presente in alcuni di quei Paesi. Per quanto concerne il Venezuela, la ricerca informativa è stata rivolta alle tensioni incidenti sulle strategie di competizione internazionale nel settore energetico e all’incremento di episodi di carattere criminale (specie sequestri e rapine), perpetrati in danno di connazionali.
Particolare interesse ha destato l’evoluzione della situazione economica in Argentina, Paese verso il quale il nostro saldo commerciale ha registrato una decisa flessione, in un contesto caratterizzato dall’ancora irrisolto processo di ristrutturazione di quel debito estero.
In merito alla cornice di sicurezza relativa alla zona triconfinaria tra Argentina, Brasile e Paraguay, è stata registrata una perdurante attività di raccolta di fondi da parte di soggetti contigui all’estremismo islamico, nonostante la crescente pressione delle Forze di polizia locali abbia determinato una migrazione degli elementi più radicali.

c. Proliferazione delle armi di distruzione di massa

E’ proseguita la ricerca informativa del SISMI al fine di contrastare i programmi per lo sviluppo di armi di distruzione di massa ed eventuali tentativi di acquisizione da parte di gruppi terroristici di dispositivi chimici, biologici, radiologici e nucleari.
Sono state ulteriormente approfondite le attività poste in essere dalla “rete clandestina” gestita a suo tempo dallo scienziato pakistano Abdul Qadeer Khan volte a verificare l’ipotesi della cd. “bomba islamica”. Tale network - anziché finalizzato all’arricchimento personale di pochi soggetti - potrebbe in realtà presupporre una strategia per il conseguimento di capacità militari di settore, da parte di taluni Paesi.
Sempre in materia di controproliferazione nucleare, il monitoraggio del procurement nel semestre non ha fatto registrare livelli di particolare intensità. Sono stati costantemente seguiti i contenziosi in atto tra l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA) ed alcuni Paesi sospettati di aver sviluppato programmi nucleari.
Tra questi si evidenzia il confronto con l’Iran, tradottosi nell’adozione, il 29 novembre, di una risoluzione dell’Agenzia nella quale è stato recepito l’impegno di Teheran a sospendere tutte le attività connesse con l’arricchimento ed il riprocessamento di materiale nucleare.
In campo missilistico, l’Iran ha confermato di possedere una delle industrie più avanzate di tutta l’area mediorientale, grazie anche alla stretta collaborazione con alcuni Paesi dotati di elevate capacità di settore.
Tale industria è in grado di produrre missili balistici a propellente liquido (con gittata fino a 2000 km) e razzi a propellente solido (aventi gittata di circa 200 km). Interesse hanno rivestito inoltre gli sforzi realizzati in campo spaziale con lo sviluppo di tre programmi utili a consentire il lancio del primo satellite nel 2005.
Oltre l’Iran rilevano:
la Siria, che sembra aver privilegiato una strategia militare basata sull’impiego di aggressivi chimici in collegamento con un programma missilistico di portata limitata;
l’India ed il Pakistan, entrambi impegnati nello sviluppo e nella sperimentazione delle rispettive dotazioni missilistiche. Mentre New Delhi ha mostrato aspirazioni anche in campo spaziale, Islamabad ha cercato, con l’assistenza di altri Paesi, di conseguire l’autonomia nel settore missilistico;
la Corea del Nord, ove il negoziato multilaterale, avviato nell’agosto 2003 per la composizione della “crisi nucleare”, non ha ancora sortito effetti a motivo delle divergenti posizioni nordcoreana e statunitense sulle priorità da attuare per lo smantellamento degli impianti nucleari.
Intanto, Pyongyang continua a porsi come principale fornitore di componenti, know how ed assistenza tecnica per le Nazioni interessate a dotarsi di capacità missilistiche.



Sempre in materia “non convenzionale”, si evidenziano i contributi forniti dal SISMI alle Amministrazioni nazionali preposte al controllo delle esportazioni di materiali dual use e l’attivazione di alcune procedure per l’applicazione della c.d. clausola “catch all” idonea a bloccare esportazioni a rischio.
L'intelligence non ha mancato, inoltre, di porre in essere iniziative per il contrasto dei traffici illeciti di armamenti convenzionali. In tale ambito, la ricerca informativa ha anche consentito di acquisire controindicazioni relativamente all’esportazione di materiali d’armamento e di beni duali dall’Italia. Sulla base delle informazioni raccolte, sono stati predisposti contributi per le Amministrazioni deputate al controllo dei trasferimenti delle armi e dei prodotti militari e esclusi dalla disciplina della legge 185/90. E’ stata pure verificata la compatibilità delle citate transazioni con i criteri valutativi previsti dal Codice di Condotta europeo, che vieta le esportazioni di armi nei casi in cui sussistano rischi di un loro utilizzo a fini di repressione interna, in violazione dei diritti umani o per il prolungamento di situazioni conflittuali.
Elevato è stato il controllo sulle esportazioni effettuate con operazioni “estero su estero” ed interessanti porti italiani, al fine di impedire trasferimenti clandestini e “triangolazioni”.
Particolare attenzione è stata riservata anche alla difesa del patrimonio tecnologico italiano ed all’export di materiale sensibile collegato, soprattutto, al settore aerospaziale.
A testimonianza della sicurezza della movimentazione di materiale sensibile, si è evidenziata l’opera della Guardia di Finanza nei porti nazionali ed ai valichi di frontiera, sovente in collaborazione con il SISMI, per il contrasto all’illecita esportazione di beni convenzionali e dual-use.

d. Contrasto allo spionaggio

Il crescente ruolo assunto dall’Italia nello scenario internazionale, sotto i profili politico, diplomatico e militare, e l’avanzato livello tecnologico raggiunto in taluni comparti industriali, tra cui quello della difesa, hanno reso il nostro Paese target privilegiato di una insidiosa penetrazione ad opera di Organismi stranieri. L’attività di controspionaggio, connotata da un elevato grado di specializzazione e qualificazione professionale, ha quindi richiesto, nel semestre, un notevole impegno da parte del SISMI, che ha assicurato un capillare dispositivo di controllo, operando talvolta in collaborazione con Servizi collegati esteri.
Ciò non soltanto al fine di individuare gli agenti stranieri, conoscerne collegamenti, obiettivi e tecniche intrusive, ma anche per neutralizzare eventuali tentativi di “reclutamento” all’interno delle Istituzioni e delle strutture sensibili nazionali


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Minacce alla sicurezza economica nazionale



Nell’ottica di una più dinamica nozione di tutela della sicurezza economica nazionale, l’azione dell’intelligence ha coniugato attivazioni di carattere difensivo con apporti informativi e di analisi volti ad ottimizzare l’internazionalizzazione del sistema Paese,contribuendo ad evidenziare eventuali iniziative in danno degli interessi italiani.
In riferimento al primo ambito, il terrorismo internazionale di matrice islamica ha continuato a rivestire prioritaria considerazione in ragione del suo impatto sui circuiti produttivi e distributivi e relativamente ai molteplici canali attraverso i quali riceve sostegno finanziario.
Sul piano generale la lettura economica del fenomeno porta ad evidenziare un articolato quadro di effetti interni ed internazionali, rinvenibili, fra gli altri, nell’alterazione degli scambi commerciali, nell’aggravamento dei costi, nell’influenza sui corsi energetici, nell’incidenza sui fondamentali macro-economici, nell’incremento della spesa pubblica per la sicurezza.
Il terrorismo incide anche sulla componente psicologica, generando incertezza e, in termini di mercato, influenzando, in qualche misura, l’andamento degli indici di fiducia con una diretta correlazione sulla dinamica dei consumi.
In tale contesto, l’intelligence, concorrendo alla creazione di un’ampia cornice di sicurezza, si propone di circoscrivere i danni di siffatto circolo vizioso ridimensionando il rischio e la sua percezione e correggendone, in tal modo, l’influsso sui mercati.
Sotto il profilo dell’azione di diretto contrasto, i Servizi, concentrando l’attenzione sulle varie modalità di impiego dei fondi raccolti, hanno individuato molteplici fonti di sostegno finanziario al terrorismo internazionale, essenzialmente riconducibili alle direttrici dell’autofinanziamento, delle donazioni anche da parte di ambienti statali ed organizzazioni caritatevoli, della indebita distrazione di sussidi ed aiuti umanitari.
Nello specifico settore del no profit di matrice islamica la Guardia di Finanza ha svolto, nel corso del 2004, mirati controlli su associazioni operanti anche in Italia, sospettate di supporto logistico e finanziario al terrorismo internazionale. In relazione a tali accertamenti sono stati indagati numerosi soggetti.


Il SISDE, a seguito di una capillare azione di censimento sul territorio nazionale, ha evidenziato il rischio che all’interno del settore alimentare, soggetti medio-orientali, asiatici ed africani, possano aver effettuato iniziative di sostegno alla causa jihadista mediante lo storno di utili aziendali.
Quanto, invece, allemodalità di trasferimento, il SISMI ha continuato a registrare il prevalente ricorso ai sistemi di rimessa alternativi rispetto ai canali bancari, che, se esercitati senza le prescritte autorizzazioni, assumono per la vigente legislazione connotazione illegale. Ciò emerge dall’esito di investigazioni svolte dalla Guardia di Finanza nei confronti di soggetti ritenuti responsabili di illecite operazioni verso l’estero per milioni di euro.
Costante attenzione intelligence è stata, quindi, riservata ai circuiti di movimentazione istantanea dei fondi (money transfer) che si pongono come mezzo efficace e diffuso anche in quei Paesi ritenuti non cooperativi nel contrasto al reinvestimento dei capitali di provenienza illegale. A fronte di una repentina espansione dell’offerta di questo servizio,appare ancora ridotta la percentuale di segnalazioni per transazioni sospette di riciclaggio da parte degli operatori del settore.
Ulteriori profili di criticità sono riconducibili, secondo il SISMI, alle movimentazioni transfrontaliere ad opera di corrieri assoldati da organizzazioni terroristiche come pure al ricorso di queste ultime a sistemi di trasferimento di fondi basati su strumenti semplici, economici ed in grado di assicurare l’anonimato.
E’ proseguito, a cura del SISMI, il monitoraggio del fenomeno della imprenditorializzazione nel nostro Paese della grande criminalità anche transnazionale. Per quel che concerne l’estero, sono state segnalate, nei Balcani e nell’Est Europa, attività aziendali finalizzate a schermare operazioni di riciclaggio di proventi illeciti da reinvestire in Italia.
L’impegno del SISDE in relazione alle risorse economiche di pertinenza criminale ha permesso di individuare nuove modalità operative da parte di elementi contigui a clan camorristici per la ripulitura dei profitti derivanti dal narcotraffico, tentativi di inserimento delinquenziale negli appalti pubblici, nonché iniziative di investimento di esponenti della malavita endogena in Europa orientale e di cittadini russi e sauditi in Sardegna.
In un’ottica di tutela sul piano informativo del sistema economico italiano, il SISMI, con attivazione di dispositivi di allerta, ha contribuito a contrastare truffe finanziarie ai danni dei risparmiatori nazionali, relativamente a emissioni presso centri off shore di valori mobiliari a rischio di insolvenza.
Per quanto attiene, invece, alle manovre di penetrazione ostile nei confronti della nostra economia è continuata la ricerca intelligence su società estere, riconducibili a gruppi dell’area asiatica, che hanno effettuato, mediante aziende di copertura, operazioni finanziarie e commerciali di natura illecita.
In particolare, il contributo del SISMI ha permesso di rilevare ulteriori fattori di pericolosità collegati a casi di spionaggio industriale diretti a comparti produttivi strategici e a tentativi di compattamento di partecipazioni straniere nel settore energetico italiano. L’attività informativa del Servizio è stata, altresì, orientata a individuare possibili controindicazioni per il nostro sistema produttivo derivanti da perdite di know how a seguito di accordi tra operatori italiani ed esteri.
Sempre in tale ambito, il SISDE ha evidenziato pratiche distorsive della concorrenza risultanti dalla contraffazione di marchi, dalla violazione della proprietà intellettuale e dalla gestione di attività produttive sommerse, che hanno consentito a soggetti stranieri l’acquisizione di quote di mercato in settori trainanti dell’economia nazionale.
A sviluppo della cospicua produzione informativa, la specifica azione della Guardia di Finanza è stata diretta, da un lato, ad intercettare presso scali marittimi ed aeroportuali la movimentazione di merci contraffatte, dall’altro, a localizzare laboratori clandestini.
Con riferimento al sempre attuale tema della sicurezza dell’approvvigionamento energetico, l’azione del SISMI si è dispiegata nell’attività di monitoraggio e valutazione di aree geografiche sensibili e nell’analisi dei fattori strutturali e congiunturali incidenti sul livello dei prezzi petroliferi, con osservazione degli effetti sui fondamentali macro-economici interni.


In tale contesto, il Servizio ha posto in evidenza criticità relative alle attuali, prevalenti direttrici di trasporto marittimo (Bosforo e Canale di Suez) attraverso le quali si diramano le forniture di greggio verso il nostro Paese. Nuove normative di protezione ambientale, dettate in particolare dalla congestione di transito delle petroliere, e l’elevato rapporto tempi/costi di navigazione hanno indotto a riconsiderare le rotte di aggiramento degli Stretti con brevi tratti via terra, ovvero le pipeline che attraversano l’Europa orientale e la Turchia.
Sulle possibili alternative di canalizzazione terrestre del petrolio, individuate nel complesso degli oleodotti finalizzati al trasporto degli idrocarburi dall’area del Caspio verso l’Europa, potrebbero profilarsi, tuttavia, controindicazioni di sostenibilità economica dettate dagli alti costi fissi di impianto e di potenziale instabilità dei territori di passaggio.


A seguito del ruolo strategico che la risorsa idrica va assumendo a livello mondiale, la ricerca informativa si è proposta di approfondire le principali linee evolutive del processo di modernizzazione che sta riguardando lo specifico comparto in Italia, verso il quale hanno mostrato interesse gruppi esteri di primario livello.
Particolare attenzione è stata, altresì, rivolta alla tutela di altri settori infrastrutturali critici.
Ad integrare l’attività di presidio della sicurezza economica nazionale, il SISMI si è attivato per contribuire al sostegno del sistema Italia mediante apporti informativi e di analisi su aree di potenziale interesse per la proiezione degli investimenti nazionali e su atti di concorrenza sleale posti in essere all’estero, anche da soggetti istituzionali, a carico di aziende italiane operanti oltre confine.
Infine, specifico impegno è stato profuso a supporto dell’inserimento di nostre imprese nei programmi di ricostruzione economica in Iraq ed in Afghanistan, stante l’ancora precaria cornice di sicurezza.


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Minaccia criminale



Il contrasto alla criminalità organizzata, endogena e straniera, tanto nelle sueespressioni virulente quanto in quelle meno visibili ma a più marcata valenza eversiva,ha costituito una priorità nella politica informativa e di sicurezza del Governo.
A fronte di un fenomeno poliedrico ed in costante evoluzione, l’impegno dell’intelligence,in raccordo con gli apparati investigativi, si è tradotto in un’articolata attività di ricerca, inItalia e all’estero, nel monitoraggio delle situazioni locali e delle proiezioni a livello nazionalee transnazionale, nell’analisi di trend e strategie delinquenziali potenzialmente in grado diincidere sulla sicurezza, sul tessuto sociale e sulle prospettive di sviluppo economico.


Nel semestre in esame, sempre in un quadro di collaborazione con i Servizi ed in una piùampia cornice di contrasto che ha visto la denuncia di 521.398 persone, delle quali 95.508 in stato di arresto, le Forze di polizia hanno disarticolato 443 associazioni per delinquere distampo mafioso e di criminalità comune ed assicurato alla giustizia oltre sessanta latitanti.
L’azione del SISDE in direzione dello scenario criminale nazionale ha posto in luce unasituazione di generalizzato dinamismo, che ha interessato in varia misura le mafie endogene,influenzandone assetti e proiezioni operative. Tra i fattori di maggior incidenza sugliequilibri criminali dei sodalizi campani, pugliesi e, in misura minore, calabresi figura laridotta capacità dei gruppi tradizionali di comporre i conflitti interni ed esterni. Ciò derivadai frequenti cambi di vertice, a seguito di arresti, scarcerazioni o latitanza dei capi,costretti ciclicamente a competere con i gregari e a rinnovare le posizioni di comando.
Parallelamente, l’affermazione della logica di “specializzazione” nei vari settori malavitosiha fatto evolvere una nuova classe criminale, meno legata al territorio e pronta a recepirneogni possibilità di guadagno.
Accanto alla struttura mafiosa tradizionale va quindi progressivamente affermandosi quella banditesca, caratterizzata da fluidità operativa, interagente con gruppi malavitosi anche stranieri e di forte aggressività.

Emblematici del confronto tra vecchio e nuovo modello criminale e della connessa carica dirompente sono gli sviluppi fatti registrare dalla camorra nell’area partenopea, in esito ad un processo degenerativo da tempo all’attenzione del SISDE e delle Forze di polizia.


Tale processo scaturisce da una violenta contrapposizione “generazionale” rispettoalla quale non trovano spazio le tradizionali intermediazioni, anche per l’ambiguità dei “cartelli” o per la loro sopravvenuta incapacità di assorbire le tensioni. La portata degli interessi in gioco rimanda non solo alla contesa gestione del narcotraffico, ma anchealle forti proiezioni sul tessuto economico ed imprenditoriale, nella prospettiva di indebiti inserimenti nei progetti di riqualificazione dell’area. Intervengono inoltre ad accrescere il livello di violenza la disponibilità di ingente potenziale di fuoco ed un progressivo ampliamento delle aggregazioni, con il ricorso a nuove leve anche minorenni. Solo a Napoli e provincia, gli omicidi commessi nel semestre sono stati 80, dei quali 66 di stampo camorristico (56 gli omicidi commessi nel primo semestre 2004, di cui 42 ascrivibili alla camorra).


Il percorso di sradicamento del fenomeno criminale, che peraltro non può prescindere dalla partecipe collaborazione della società civile, ha visto il massimo impegno degli apparati di intelligence e di contrasto. L’attività delle Forze di polizia ha portato,nel semestre, alla disarticolazione di 20 associazioni per delinquere, alla cattura di 13 latitanti e alla denuncia, nella provincia di Napoli, di 11.471 persone, delle quali 2.901in stato di arresto.
Nello specifico contesto, l’impegno del SISDE, prioritariamente indirizzato alla localizzazione di latitanti che svolgono tuttora funzioni di comando e di diretta influenza, siè tradotto altresì nella raccolta e analisi di dati concernenti i diversi focolai di conflittualità,le emergenti alleanze tattiche e le ulteriori, possibili spiralizzazioni.
Il quadro delineato dall’intelligence ha trovato significative conferme nella vasta operazionedi polizia, coordinata dalla DDA di Napoli, condotta in dicembre da Polizia di Stato, Arma dei Carabinieri e Guardia di Finanza nei confronti di oltre cinquanta elementi riconducibiliai sodalizi più agguerriti.

Gravata da numerosi processi e da un’ininterrotta pressione investigativa, la criminalità organizzata pugliese si presenta caratterizzata, a livello provinciale, da realtàdelinquenziali peculiari - come l’emergente “società foggiana” - accomunate, tuttavia,dalla precarietà degli equilibri e da frequenti contrapposizioni, soprattutto a Bari. IlSISDE ha evidenziato come la natura di “servizio” di queste compagini delinquenziali,pur favorendo le interazioni con matrici straniere - soprattutto albanesi e slave - per la conduzione dei traffici di droga e armi, non riesca a stabilire durature alleanze sul territorio.L’arresto in Germania, con il supporto informativo del SISDE, di un latitante salentino conferma le ramificate proiezioni europee della criminalità pugliese, che ha radicato strutture in aree geografiche nodali sia per il traffico di stupefacenti che per il supporto logistico agli affiliati, specie ricercati.

A sviluppo di una linea di tendenza già rilevata dal SISDE e anche a seguito di ulteriori importanti arresti (sono 19 i latitanti catturati nel semestre), continuano a registrarsi contrapposizioni all’interno di alcuni gruppi storici della ’ndrangheta, con ripercussioni sulla tenuta delle locali alleanze. Ad indicare l’accresciuto livello di tensione tra le cosche, intervengono la pressione estorsiva diffusa e, soprattutto, la violenza intimidatoria contro amministratori e funzionari pubblici, secondo una strategia di competizione contemplante“prove di forza” anche eclatanti e dimostrazioni di capacità militare.
Significative nel senso le segnalazioni del SISMI che hanno consentito di sventare un progetto di attentato all’interno del palazzo comunale di Reggio Calabria, nonché le molteplici evidenze del SISDE sulle dinamiche omicidiarie innescatesi nel Crotonese,che hanno fatto registrare anche l’utilizzo di bazooka.
L’attività informativa del SISDE ha seguito altresì gli attriti suscettibili di degenerazione,specie nell’area di Sibari, nel Lametino, nel Vibonese e nella Locride. Quanto al territorio reggino, lo stesso Servizio ha segnalato pure i tentativi di condizionamento, conil consueto strumento dell’intimidazione, sulle politiche di urbanizzazione. Circostanziate acquisizioni del SISMI hanno riguardato le metodologie di infiltrazione di gruppi criminali negli appalti pubblici relativi ad opere da realizzare nel porto di Gioia Tauro.
La dimensione transnazionale e l’attitudine a coniugare la tradizionale pervasività mafiosa con i più innovativi moduli dell’imprenditoria e della finanza costituiscono il punto di forza della criminalità calabrese. Quest’ultima, “globalmente” competitiva,domina gran parte dei principali snodi dei traffici illeciti e dei correlati circuiti di reinvestimento,anche attraverso il radicamento di propri affiliati, con funzione di intermediari,nei Paesi delle rotte.


I reiterati sequestri condotti dall’Arma dei Carabinieri e dalla Guardia di Finanza,con la collaborazione informativa del SISMI, confermano il ruolo assunto dalla ’ndranghetanel controllo di significativi settori del traffico internazionale di armi e di esplosivi.Altre evidenze del Servizio, concernenti i consolidati rapporti con i cartelli colombianie i contatti con sodalizi operanti in Brasile, assegnano preminente rilevanza alla criminalità calabrese nell’approvvigionamento e nella distribuzione di cocaina in Europa.

In controtendenza rispetto alle spinte centrifughe rilevate nelle altre importanti realtà delinquenziali, cosa nostra si è mostrata capace di riassorbire gradualmente i gruppi dissidenti. Ciò, in nome dei prioritari interessi economici e in conformità conuna linea di potere riconducibile al boss latitante Bernardo Provenzano. Una regola di condotta che non esclude tuttavia, in ogni momento, la possibilità di improvvise manifestazionidi violenza, quando queste siano dettate da logiche di sopravvivenza.
A conferma della pervasività della mafia siciliana sul tessuto economico rileva un’operazione condotta il 9 dicembre dalla Guardia di Finanza nel capoluogo palermitanoche, con il costante supporto del SISDE, ha portato in carcere i vertici di importanti famiglie mafiose attive soprattutto nel settore delle estorsioni. Nel Nisseno, con il concorso informativo del Servizio, la Polizia di Stato ha sgominato un gruppo criminale,collegato alla locale cosca egemone, dedito ad attività delittuose in danno di operatorie conomici.
Per quel che concerne il traffico di armi ed esplosivi, il 20 dicembre la Guardia diFinanza ha sequestrato in Calabria, con il contributo del SISMI, un ingente carico didinamite, proveniente da Catania e verosimilmente destinato nel Nord Italia.
Quanto ai collegamenti internazionali, il SISMI ha segnalato i contatti mantenuti dalatitanti di cosa nostra con organizzazioni brasiliane, funzionali, oltre che al narcotraffico,ad attività connesse al riciclaggio di proventi illeciti.

Le ampie proiezioni estere di taluni sodalizi endogeni li rendono compartecipi di un fenomeno criminale transnazionale che, confermandosi in grado di incidere in modo significativo sulla sicurezza, ha sollecitato l’adozione di sempre più mirate strategie di contrasto sul piano globale, regionale e nazionale, attraverso il rafforzamentodella collaborazione e dello scambio informativo.
Si muovono in questa direzione anche recenti iniziative assunte in ambito europeo, tese a valorizzare una metodologia basata sull’intelligence per far fronte ad un pericolo da ultimo annoverato dalle Nazioni Unite tra le principali minacce che il mondo dovrà affrontare nei prossimi decenni.
Riflettono la portata e l’insidiosità del fenomeno gli esiti dell’attività informativa condotta nel semestre, che ha confermato la presenza, entro i confini nazionali, di diversi sodalizi stranieri in varia interazione tanto con reti criminali italiane quanto conorganizzazioni di riferimento nei Paesi d’origine e con cartelli multinazionali.
La produzione dell’intelligence - che ha provveduto anche ad implementare la ricerca humint, accentuando parallelamente il raccordo con la Polizia Giudiziaria - ha posto in luce l’estrema diversificazione degli ambiti illeciti, ribadendo peraltro l’assoluta centralità del narcotraffico. Centralità che discende sia dalla valenza inquinante e di per sé destabilizzante dei profitti collegati alla movimentazione degli stupefacenti, sia dal connesso rafforzamento organizzativo ed operativo dei clan coinvolti, sia, soprattutto,dalle possibili saldature tra network criminali e terroristici.
E’ di rilievo, al riguardo, la crescente espansione della coltivazione di papavero daoppio in Afghanistan, dove il traffico rimane nel controllo di personaggi locali vicini ad ambienti fondamentalisti.
Profilano rischi di un’ulteriore estensione del fenomeno ad aree a connotazione integralista i segnali raccolti sull’attivismo dei trafficanti afghani in Pakistan, per l’impianto di coltivazioni e l’allestimento di laboratori. Incrementate risultano altresì lerotte che adducono in Iran e quelle che attraversano il Centro Asia per l’inoltro degli stupefacenti in Russia.



Preminenza rivestono, ai fini della sicurezza nazionale, i Balcani, tradizionale snodo nevralgico per l’immissione di droga afghana nei mercati europei. Connotano il fenomeno nella regione tanto il coinvolgimento nel narcotraffico di gruppi vicini a circoli radicali islamici, quanto l’esteso ricorso al “baratto” tra droga ed armi o esplosivi. Rilevante,alla luce del consolidato radicamento in Italia di sodalizi criminali balcanici, è il crescente interesse dei trafficanti dell’area per le droghe sintetiche che verrebbero prodotte in Albania.
La mappatura effettuata dal SISMI delle rotte e dei protagonisti del mercato internazionaledegli stupefacenti si completa con le indicazioni sulla perdurante presenza divaste coltivazioni di cannabis in Marocco. Qui il traffico di hashish registrerebbe anche forme di cooperazione e scambio tra trafficanti di droga e gruppi estremisti islamici interessati all’acquisizione di materiale d’armamento.
L’azione del SISMI non ha mancato di rivolgersi ai circuiti di movimentazione della cocaina sudamericana. Al riguardo, pur osservandosi una riduzione delle coltivazioni,tanto in Colombia che negli altri Paesi andini, si rileva come i vari gruppi insurrezionalisti locali continuino ad autofinanziarsi con gli introiti del traffico di stupefacenti. Intale Continente, inoltre, va evidenziato il ruolo assolto dal Brasile nella veicolazione della droga verso i mercati europei.
Fra le operazioni condotte con il fattivo concorso dell’intelligence va sottolineato lo smantellamento - su input del SISMI - di organizzazioni criminali italo-straniere contigue alla ‘ndrangheta, dedite al traffico verso l’Italia di droga proveniente dall’Europa dell’Est e dal Nordafrica.
L’azione informativa sul versante internazionale profila uno scenario percorso darotte illecite che hanno favorito l’impianto anche in Italia di consorterie criminali estere. Al riguardo, il monitoraggio condotto dal SISDE ha riscontrato la crescente competitività dei sodalizi stranieri ed una loro progressiva connotazione paramafiosa. Ne fanno stato le acquisizioni che pongono in luce come varie “matrici” criminali affianchino,ad espressioni di tipo banditesco, più strutturate forme organizzative, non dirado in grado di interagire con i gruppi italiani su base paritetica.
E’ il caso dei sodalizi di origine albanese che, prevalentemente presenti in Puglia,operano sia attraverso bande che con consorterie di tipo mafioso. La crescita organizzativa ed operativa dei clan schipetari ne conferma la capacità di relazionarsi alle formazioni nazionali, come evidenziato dai segnali sull’avvio di attività imprenditoriali injoint venture.
Analoghi collegamenti con ambienti delinquenziali autoctoni - ed in specie con la camorra - va mostrando la criminalità ucraina. La diffusione dalla Lombardia alla Calabria,il rigido controllo sulla comunità di connazionali - esercitato attraverso una capillare pressione estorsiva - la disponibilità di armamento e la strutturazione militare palesati dai gruppi principali hanno sollecitato una forte attenzione dell’intelligence. Nesono riprova le acquisizioni informative del SISDE che hanno tra l’altro consentito, indicembre, in Campania, una rilevante operazione condotta dalla Polizia di Stato e dai Carabinieri con l’arresto di 34 soggetti tra ucraini e bielorussi.
Una incisiva penetrazione nel tessuto economico-commerciale continua a caratterizzare l’operato delinquenziale cinese. Prevalentemente concentrata nel Centro-Nord, eda sempre capace di introdurre in Italia uomini e merci violando i confini ed eludendoi controlli doganali, la malavita cinopopolare resta particolarmente attiva nel settore della contraffazione dei marchi. Quella criminalità, inoltre, ha fatto registrare sia il coinvolgimento,relativamente inedito, nel traffico di droga, sia una pronunciata aggressività interna, tradottasi in numerosi omicidi.
I sodalizi nigeriani si distinguono per un’accentuata diversificazione dei livelli operativi:da una parte, bande giovanili che affiancano ai tradizionali illeciti (specie droga esfruttamento della prostituzione) reati predatori di forte impatto, dall’altra reti organizzativea connotazione mafiosa, operanti anche attraverso associazioni etniche che necostituiscono l’interfaccia legale.



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Immigrazione clandestina



Ambito operativo elettivo per la criminalità, l’immigrazione clandestina ed i fenomeni illeciti connessi restano un obiettivo importante della ricerca intelligence.
L’azione informativa all’estero, finalizzata ad individuare reti coinvolte, direttrici ed eventuali collusioni, si integra con quella condotta in direzione dei circuiti che, in territorio nazionale, favoriscono il traffico o sfruttano la clandestinità. Questa contribuisce ad alimentare, nei Paesi di destinazione, sacche di presenze illegali, serbatoi di reclutamento per la criminalità autoctona e straniera e, potenzialmente, per il radicalismo islamico.
Il fenomeno migratorio clandestino resta, infatti, all’attenzione dell’intelligence, anche per l’eventuale coinvolgimento di organizzazioni terroristiche.
I frequenti segnali sulla presenza in alcuni Paesi africani, soprattutto nella zona del Corno d’Africa, nell’area subsahariana e nel Sahel, di formazioni jihadiste inducono ad uno stretto controllo dei movimenti provenienti da quelle aree.
Pur non essendo emerso un sistematico rapporto tra movimenti illegali e terrorismo, i Servizi, in raccordo con omologhi Organismi esteri, hanno accentuato il monitoraggio della composizione degli arrivi clandestini e delle attività di “terminali” operativi in Italia.
La prevenzione ed il contrasto condotti da intelligence e Forze di polizia vanno a comporre un quadro di attivazioni estremamente articolato, in cui resta centrale l’azione politico-diplomatica volta a favorire la collaborazione con i principali Paesi di origine e transito dei flussi.
Si inserisce in tale contesto il serrato impegno italiano in direzione della Libia che - suggellato dalle visite in quel Paese del Presidente del Consiglio e del Ministro dell’Interno - ha consentito il raggiungimento di proficue intese bilaterali.
L’azione del Governo si è tradotta anche in iniziative intraprese in ambito europeo per la rimozione dell’embargo, che consentirà a quel Paese di dotarsi degli equipaggiamenti necessari al contrasto dei traffici che ne percorrono l’ampio territorio.
Sul piano operativo la cooperazione italo-libica, che vede a monte un’accentuata interazione tra Servizi, risulta pure focalizzata sullo scambio informativo e su un programma di formazione ed addestramento per il controllo delle frontiere. In una sinergia a tutto campo, nel secondo semestre del 2004, sono stati organizzati 32 voli straordinari in partenza dalla Libia, che hanno consentito il rimpatrio di varie migliaia di clandestini.


L’accelerazione impressa al dialogo bilaterale discende dall’esigenza di realizzare un fronte avanzato di contrasto verso sud rispetto a movimenti clandestini che tuttora trovano nel Nordafrica uno snodo prioritario, sia quale collettore dei flussi continentali, sia quale sponda delle rotte orientali.
Ne sono conferma le evidenze del SISMI che riferiscono appunto della rilevanza del territorio libico, quale area di confluenza e passaggio della maggior parte dei clandestini che raggiungono via mare l’Italia.
Le diverse correnti migratorie vengono canalizzate sulle località costiere da reti criminali che - avvalendosi anche di referenti “specializzati” per ciascuna componente nazionale - si estendono nei Paesi di origine, transito ed arrivo dei flussi. Il fenomeno si avvale di plurime modalità di movimentazione, affiancando alle rotte desertiche quelle aeree, con tappe intermedie di convenienza.
In un quadro che conferma l’esposizione agli arrivi clandestini, specialmente dell’isola di Lampedusa, del ragusano, del siracusano e delle coste calabresi, sono di rilievo i segnali, raccolti dal SISDE, che configurano l’esistenza di un’accorta regia delinquenziale degli sbarchi, orientati anche in base alle capacità di accoglienza dei centri di permanenza temporanea.
Contribuiscono a comporre lo scenario nordafricano, i dati sui traffici di irregolari verso l’Algeria (una stima approssimativa quantifica in 100.000 i clandestini che entrano ogni anno nel Paese dalle frontiere con Niger e Mali) e quelli sul perdurante impiego dell’Egitto per il transito di migranti provenienti da Corno d’Africa ed Estremo Oriente.


La comprovata attitudine dei network criminali a profittare delle carenze strutturali e dell’inadeguatezza degli apparati di sicurezza induce poi ad assegnare rilevanza al segnalato coinvolgimento del territorio somalo.
Il ruolo dei sodalizi delinquenziali volto a captare la domanda di emigrazione è confermato dalle operazioni che, con il fattivo contributo del SISMI, hanno colpito organizzazioni composte da italiani e stranieri, dedite al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina ed allo sfruttamento di elementi mediorientali, africani, asiatici ed esteuropei.
Per quanto riguarda il versante est-europeo, la concomitante presenza nell’area di attivismo criminale, separatista/nazionalista ed islamista ha sollecitato costante attenzione informativa. L’interazione tra le rotte impiegate per il traffico di droga, armi e clandestini finisce infatti per accrescere il rischio che la pressione migratoria veicoli una “minaccia integrata”.
La stretta collaborazione tra Servizi e le iniziative di cooperazione bilaterale e multilaterale adottate dal Governo nello specifico quadrante consentono di confermare, anche nel secondo semestre 2004, il forte ridimensionamento dei flussi.
Per altro verso in Albania e Kosovo si colgono segnali relativi ad una riorganizzazione dei trafficanti. L’attività informativa nella regione ha riconfermato, inoltre, la presenza di flussi migratori da Ucraina, Bielorussia, Moldavia e dall’Asia che trovano snodo in Romania, continuando a giovarsi del supporto di componenti criminali, operanti con la copertura di agenzie di viaggio o di società di import-export.
I flussi che muovono dalla Cina seguendo molteplici direttrici - da ultimo attestandosi in Croazia - confermano l’estensione del fenomeno clandestino ed i suoi collegamenti con i gruppi delinquenziali che agiscono in seno alle comunità immigrate. Conferiscono peculiare valenza criminale agli arrivi illegali di cinopopolari le risultanze del SISDE sul protratto sfruttamento dei clandestini da parte di strutture associative etniche che rappresentano gli interessi della malavita organizzata.
Il collegamento dell’immigrazione con situazioni di conflitto o di profonda crisi economica, che si coglie in tutta evidenza nello scenario mediorientale ed asiatico - percorso da curdi, cingalesi, pakistani, bengalesi e sikh - induce a guardare con preoccupazione a quei fattori, come il disastro nel sud-est asiatico e la crescente connotazione confessionale di alcune crisi, in grado di influenzare quantità e qualità delle partenze clandestine.


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Intelligence militare




A tutela della sicurezza militare, il SISMI ha svolto, nel periodo in esame, attività operativa e di analisi.
L’impegno “sul campo” a supporto dei contingenti nazionali nei diversi teatri di crisi ha inteso corrispondere nella maniera più efficace alle esigenze di volta in volta individuate in piena sintonia con il Comando Operativo Interforze dello Stato Maggiore della Difesa.
Il SISMI, al fine di preservare l’incolumità dei nostri militari, ha continuato a profondere ogni sforzo per rafforzare ulteriormente, in ciascuna area di intervento, l’utilità dei propri dispositivi è intelligence, cui si è costantemente raccordato lo strumento informativo delle Forze Armate.
In tale ottica, la specifica azione del Servizio, dispiegata in chiave informativa, ha permesso di conseguire risultati che hanno spesso assicurato all’Italia l’apprezzamento e la riconoscenza di Paesi alleati ed amici.
Nel contesto iracheno si è operato nell’area di responsabilità del nostro contingente (provincia di Dhi Qar), mediante un dispositivo composito di “Force Protection”, in stretto contatto con le forze militari nazionali nell’ambito della “Multinational Division South East”. Oltre a raccogliere informazioni sulla situazione generale e della zona di Dhi Qar, il SISMI ha sviluppato contatti con personalità locali al fine, fra l’altro, di registrare il grado di consenso della popolazione nei confronti del contingente, individuare situazioni di rischio e forme di minaccia e promuovere relazioni positive. Particolare attenzione è stata rivolta nei confronti degli appartenenti all’ex regime e dei gruppi terroristici del radicalismo islamico. Inoltre, per i riflessi sulla stabilità della provincia, sono state costantemente seguite le delicate fasi relative alla ricostruzione delle istituzioni locali ed alla riforma del comparto sicurezza.
Nel teatro afghano la ricerca informativa è stata condotta, soprattutto, a favore dei Reparti italiani che operano nell’ambito della missione “International Security and Assistance Force” (ISAF) a Kabul e nell’operazione “Enduring Freedom” in Khowst e province limitrofe. L’attività, mirata alla“Force Protection” e svolta in collegamento con gli altri organismi di intelligence della coalizione, ha anche supportato le iniziative del contingente nazionale a favore delle Autorità locali e della popolazione. Il SISMI ha inoltre collaborato al progetto per l’eventuale costituzione, sotto la guida dell’Italia, di un “Provincial Reconstruction Team” ed ha monitorato la situazione in altre aree dell’Afghanistan, ove sono in corso alcuni programmi della Cooperazione italiana.
La presenza in Bosnia-Erzegovina di personale in supporto alle unità militari ivi schierate ha consentito, come già in passato, una piena collaborazione ed il conseguimento di buoni risultati anche nel rinvenimento e sequestro di materiali di armamento e siti di interesse militare non dichiarati (come previsto, invece, dalla specifica normativa internazionale).
Quanto all’attività di analisi, è proseguito l’impegno del Servizio nella formulazione delle linee guida dell’Intelligence Strategica dell’Alleanza Atlantica, in accordo con le decisioni assunte nel summit di Istanbul.
In tale quadro, è stata effettuata un’azione propositiva per l’aggiornamento della documentazione NATO, al fine di assicurare maggiore aderenza alle esigenze decisionali delle autorità politico-militari dell’Alleanza ed alla pianificazione dei Comandi operativi. Ciò nel contesto di uno scenario di minaccia non più esclusivamente militare, bensì fortemente caratterizzato da fattori di rischio asimmetrici e transnazionali. Il Servizio ha infine contribuito alla stesura del progetto di revisione dell’architettura intelligence dell’Alleanza Atlantica.


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Attività della Segreteria Generale del CESIS
a tutela della sicurezza delle informazioni



L’esigenza avvertita di aggiornare gli obiettivi dell’intelligence in relazione all’evoluzione dei profili di minaccia, si è tradotta, nel semestre in esame, pure in direttive del Segretario Generale del CESIS, nella veste di Autorità Nazionale per la Sicurezza (A.N.S.) delegata, tese ad assicurare un’adeguata protezione delle informazioni classificate, in ambito nazionale ed estero. Ne è scaturito un sensibile aumento di tutte le attività svolte in tale ambito dal III Reparto della Segreteria Generale del CESIS - Ufficio Centrale per la Sicurezza (U.C.Si.), che ha conferito ulteriore impulso alla collaborazione internazionale, attraverso nuove intese ed accordi in materia di sicurezza.


E’ stata potenziata l’azione diretta a verificare l’idoneità delle misure di sicurezza attive e passive per la tutela dei dati classificati delle nostre Ambasciate, di Enti pubblici nonché di società ed imprese ai fini della sicurezza industriale, presenti sia sul nostro territorio che all’estero. A tale scopo è risultata estremamente proficua la collaborazione con il Ministero degli Affari Esteri ed i Servizi.
Con riguardo alla tutela della circolazione di dati sensibili in seno ad organizzazioni sovranazionali, l’U.C.Si. ha contribuito all’aggiornamento delle direttive che disciplinano le strutture di sicurezza della NATO. Parimenti, è risultato di rilievo l’apporto riguardante la revisione delle procedure per il rilascio delle informazioni classificate UE a Paesi terzi e organismi internazionali nonché per la gestione delle abilitazioni di sicurezza (NOS).
Nel settore della valutazione dell’affidabilità del personale, in collaborazione con il Comitato Parlamentare di Controllo, particolare attenzione è stata dedicata al riesame delle disposizioni per la concessione di NOS, in un’ottica di armonizzazione con analoghe norme europee e delle organizzazioni internazionali di cui l’Italia fa parte.


L’A.N.S. ha svolto, sul piano della sicurezza delle comunicazioni, un importante ruolo sia a livello europeo che NATO. Ciò, anche attraverso la promozione e la sottoscrizione di accordi con le omologhe Autorità dei Paesi partecipanti a programmi strategici comuni, di uso civile o militare.
Nell’ambito dell’Alleanza Atlantica, l’A.N.S. è stata inoltre incaricata di svolgere un’azione di coordinamento ai fini della certificazione di sicurezza del nuovo sistema di comunicazione satellitare, frutto di un consorzio italo-britannico. Ulteriore momento di attivazione del III Reparto in tale settore, ha riguardato il programma Cosmo Sky-Med (per l’osservazione della Terra a scopi civili e militari), per il quale è in corso la valutazione degli aspetti di sicurezza, ai fini della tutela del segreto.
E’ proseguita intanto l’attività a supporto per la stipula dell’Accordo di Sicurezza tra i quattro Paesi che costituiscono l’EUROFORZA (Italia, Francia, Portogallo e Spagna).
Complessivamente, giova evidenziare la rafforzata cooperazione con:
- le Forze Armate, sotto il profilo tecnico, per assicurare loro un sostegno sempre più efficace ed aderente alle missioni in Iraq, in Afghanistan e nei Balcani;
- il Ministero delle Infrastrutture e Trasporti e l’Agenzia Spaziale Italiana, per la conclusione dei negoziati USA-UE riguardanti il progetto di navigazione satellitare Galileo, per il quale l’A.N.S. ha anche la responsabilità di omologare il relativo sistema informativo;
- il mondo accademico, per l’approfondimento e lo scambio di conoscenze su aspetti concernenti la tutela delle comunicazioni (crittografia), utile ad incrementare la consapevolezza di una moderna “cultura della sicurezza”.